Questo blog non rappresenta una testata giornalistica in quanto viene aggiornato senza alcuna periodicità . Non può pertanto considerarsi un prodotto editoriale ai sensi della legge n° 62 del 7.03.2001. L'autore non è responsabile per quanto pubblicato dai lettori nei commenti ad ogni post. Verranno cancellati i commenti ritenuti offensivi o lesivi dell’immagine o dell’onorabilità di terzi, di genere spam, razzisti o che contengano dati personali non conformi al rispetto delle norme sulla Privacy. Alcuni testi o immagini inserite in questo blog sono tratte da internet e, pertanto, considerate di pubblico dominio; qualora la loro pubblicazione violasse eventuali diritti d'autore, vogliate comunicarlo via email all'indirizzo edomed94@gmail.com Saranno immediatamente rimossi. L'autore del blog non è responsabile dei siti collegati tramite link né del loro contenuto che può essere soggetto a variazioni nel tempo.


Non smettete mai di protestare; non smettete mai di dissentire, di porvi domande, di mettere in discussione l’autorità, i luoghi comuni, i dogmi. Non esiste la verità assoluta. Non smettete di pensare. Siate voci fuori dal coro. Un uomo che non dissente è un seme che non crescerà mai.

(Bertrand Russell)

20/05/17

Mosca prepara esercitazioni a fuoco al largo della Libia


r


Le navi da guerra russe nel Mediterraneo si preparano a effettuare test missilistici al largo della Libia alla fine del mese di maggio. E’ quanto scrive la rivista americana Newsweek, precisando che la Federal Aviation Authority (Faa) ha informato gli aerei che transitano nello spazio aereo del Paese Nordafricano che i test potrebbero essere effettuati tra il 24 e il 27 maggio.
Secondo il ricercatore Michael Kofman, del Woodrow Wilson International Center, “molto più probabilmente non sarà un test, ma una dimostrazione del sostegno politico e della prospettiva di un maggior coinvolgimento russo in Libia nei prossimi mesi”.
Kofman ha ricordato che l’ultima volta che una portaerei russa è stata al largo della Libia, lo scorso gennaio, l’uomo forte della Cirenaica, il generale Khalifa Haftar, venne ospitato sulla Kuznetsov, a dimostrazione dell’appoggio garantito da Mosca.
Il ministero della Difesa russo non ha risposto alla richiesta di commento di Newsweek ma l’ipotesi più probabile è che vengano effettuate esercitazioni a fuoco al largo di Tobruk o nel Golfo di Sirte: uno show con cui i russi mostrerebbero bandiera per indicare il sostegno ad Haftar e al governo della Cirenaica e confermare alla Nato il loro ritorno in forze nella ex colonia italiana e nel cosiddetto “Mare Nostrum”.

Foto Reuters

20 maggio 2017 - di

19/05/17

Obiettivo finale: rovesciare Trump. Preparatevi…


images-37 

Ma cosa sta succedendo negli Usa? Per capirlo bisogna ripercorrere in rapida sequenza i primi 5 mesi della presidenza.
Trump inizia come un presidente di rottura, che nel suo discorso inaugurale traccia degli obiettivi e una visione del ruolo degli Stati Uniti nel mondo antitetici rispetto ai suoi predecessori.
Come prevedibile, la reazione dell’establishment è durissima: manifestazioni di piazza, giudici che bloccano decisioni presidenziali, l’intelligence che soffia sul fuoco del Russiagate alimentando lo spettro che Mosca abbia interferito nelle elezioni mentre molti repubblicani si schierano con i democratici. Lo Stato Profondo (Deep State) è in rivolta e protagonista di ogni forma di boicottaggio.
Dopo appena tre settimane, uno dei suoi consiglieri più, quello alla Sicurezza Nazionale, Michael Flynn si dimette per aver nascosto alcune conversazioni con l’ambasciatore russo a Washington. In sé nulla di irrimediabile, anche il team di Hillary ha avuto contatti con l’ambasciata russa. Trump, che non conosce la potenza dell’apparato, commette un errore, si dimostra arrendevole e abbandona Flynn.
Trump e il suo vice Pence
Trump e il suo vice PenceIl 6 aprile nuovo cedimento: l’altro fedelissimo Steve Bannon, viene estromesso dal Consiglio nazionale della sicurezza, dove restano solo falchi, tra cui molti neoconservatori. Dopo poche ore Trump rinnega i capisaldi del suo discorso inaugurale e diventa improvvisamente interventista. Bombarda con i missili una base militare in Siria, lancia la Madre di tutte le bombe in Afghanistan, fa salire alle stelle le tensioni con la Corea del Nord. Intanto al Pentagono, si affinano i piani di guerra.
Trump appare normalizzato, inghiottito dall’establishment. E improvvisamente il Russiagate sparisce dalle prime pagine, perde di intensità e di importanza. Il presidente annuncia la revoca del Trattato di libero scambio Nafta ma dopo poche ore si rimangia tutto, a conferma del suo ammansimento. La revoca dell’Obamacare torna d’attualità con il convinto assenso del Partito repubblicano.
Poi, però, accade qualcosa. Trump ci ripensa o, almeno, dimostra di volersi riprendere qualche spazio, soprattutto diplomatico. Dopo aver incontrato da solo il leader cinese XI con cui stabilisce un ottimo rapporto personale, esautora di fatto il Dipartimento di Stato, decidendo da solo la visita dal Papa il 24 maggio e, soprattutto, avviando un dialogo con Mosca, parla al telefono con Putin e riceve alla Casa Bianca il ministro degli Esteri russo Lavrov.
L’establishment non gradisce e inizia ad agitarsi. Le polemiche interne riaffiorano, i giornali ricominciano a descrivere una Casa Bianca spaccata e caotica. Quando il presidente decide di licenziare il capo dell’Fbi Comey, il Deep State dichiara una nuova e verosimilmente definitiva, guerra al redivivo Trump. Seguendo i dettami illustrati dall’ex consigliere di Obama Kupchan che invitava ad “adoperare i media e l’opinione pubblica”, sulla stampa amica ovvero New York Times e Washington Post  fioccano indiscrezioni e rivelazioni pesantissime, insinuanti e, come sempre, anonime, ma di fonte sicura: servizi segreti, esponenti dell’Amministrazione. Gli altri media amplificano. E l’isteria monta.
Dennis Kucinich
Dennis KucinichQualunque voce o ricostruzione contro Trump viene presentata dai media come sicura e provata, qualunque indizio a sua discolpa viene relativizzato o ignorato. La Washington Post annuncia che le informazioni passate a Lavrov durante l’incontro alla Casa Bianca sono segrete e che il presidente ha messo a repentaglio la sicurezza nazionale. Si scopre,tuttavia, che si tratta dell’allarme sulla possibilità che l’Isis compia attentati sugli aerei nascondendo bombe nei laptop, rischio noto da giorni, e lo stesso Putin smentisce di aver ricevuto informazioni segretissime e si dice pronto a dimostrarlo. Ma non basta a riportare la quiete. Mc Cain cita il watergate, i democratici incalzano, i media attaccano con toni scandalizzati.
E ora? Un esponente di lungo corso della politica Usa, insospettabile perché rappresenta la sinistra americana, Dennis Kucinich, legge con molta lucidità la situazione. Ricorda di non aver nulla in comune con Trump  ma in un’intervista a Fox News giudica pretestuosa questa campagna.
“Se l’informazione era così sensibile perché è stata passata al Washington Post?”
si chiede. E ancora:
“”Qualcosa è fuori controllo.C’è un tentativo di stravolgere la relazione con la Russia. (…) Dobbiamo chiederci: perché l’intelligence sta cercando di sovvertire il presidente degli Stati Uniti con questi leaks? (…) Guardi, io sono in disaccordo con Trump su molte questioni ma su questa ci può essere solo un presidente e qualcuno nel mondo dei servizi segreti sta cercando di rovesciare questo presidente al fine di perseguire una linea politica che ci mette in conflitto con la Russia. Il punto è: perché? E chi? Abbiamo bisogno di scoprirlo”.

Kucinich ha quasi certamente ragione. Qualunque pretesto è utile per perseguire lo scopo finale: ribaltare la volontà popolare, cacciare Trump e mantenere il potere nelle mani dell’establishment, al cui interno si annullano le differenze politiche tra destra e sinistra, e che governa gli Usa dai tempi di Kennedy.
Il successore è già pronto: è il vice Mike Pence, che non è mai stato un fedelissimo di Trump. E’ uomo del partito repubblicano. Di lui si fidano.

da Il Cuore Del Mondo il blog di Marcello Foa - 17 maggio 2017
fonte: http://blog.ilgiornale.it

18/05/17

La finta lotta alla mafia


La finta lotta alla mafia

Ci sono dei dati elaborati dallo Svimez che indicano la presenza della mafia, praticamente, su tutto il territorio nazionale, ma con percentuali che liquidano i fiumi di inchiostro usati per scrivere tutti i romanzi sul Sud sempre presentato come territorio esclusivo della malavita organizzata. Questi dati dimostrano, infatti, che il peso mafioso nelle attività imprenditoriali “legali” risultano del 19 per cento del Pil nel centronord e del 14 per cento nelle zone del Sud; ma anche se si parla di attività criminali propriamente “illegali” il primato del Nord si afferma con l’11,5 per cento contro il 6,7 per cento del Sud.
Dati di questo tipo avrebbero dovuto determinare reazioni di allarme della grande stampa nazionale con veri e propri gridi di dolore mentre, al contrario, l’informazione dei “giornaloni” ha scelto di ignorarli facendo calare su di essi un colpevole silenzio. L’allarme avrebbe dovuto essere anche dello Stato che, probabilmente, si sente appagato dalle notizie delle “attività di contrasto” esercitate al Sud dagli apparati all’uopo preposti. Se al Nord, infatti, le inchieste si contano sulle punte delle dita (anche se coinvolgono città come Milano, Torino, Bologna e Roma) e colpiscono direttamente le cosche mafiose trasferitesi su quei territori, al Sud, pur essendo diminuito il peso mafioso, come certificano i dati Svimez, la quantità di operazioni scodellate trimestralmente, è abnorme.
C’è, quindi, qualcosa che non va. O stanno sbagliando al Nord dove ci si limita a fare il minimo indispensabile colpendo i nuclei mafiosi veri e propri, o si sta sbagliando al Sud con inchieste, dai nomi altisonanti, che vengono sfornate a getto continuo e colpiscono quasi sempre gli stessi malviventi, ma vengono “condite” con la presenza di politici, imprenditori e soggetti indicati come appartenenti ad un fantomatico “terzo livello”. In sostanza al Sud si è letteralmente in uno stato di perenne emergenza.
Questa emergenza ha prodotto almeno due tipi di “professionisti dell’antimafia” come li chiamava Leonardo Sciascia: il primo rappresentato da quanti, provenienti dalla società civile, vivono con le sovvenzioni pubbliche, per il loro impegno antimafioso, e resterebbero senza “lavoro” se la mafia scomparisse dai loro orizzonti; e il secondo rappresentato dai magistrati che, poi, sono quelli a cui si riferiva direttamente il grande intellettuale siciliano. I primi pensano alla propria pagnotta, i secondi vogliono cucirsi addosso l’abito degli “esperti” della lotta alla mafia, che serve, eccome se serve, per raggiungere Direzioni nazionali di strutture antimafie, o di Procure di alto prestigio.
Se a questi si aggiungono i Prefetti che gerarchicamente dipendono dal ministero degli Interni che producono “interdittive” e scioglimenti di Consigli comunali effettuati anche se essi erano già stati sciolti, per le dimissioni dei rispettivi sindaci, come Gioia Tauro, Laureana di Borrello e Bova Marina. Il CdM su proposta del ministro dell’Interno ha, quindi, sciolto Consigli comunali già sciolti da diversi mesi (essi avrebbero potuto andare a nuove elezioni con la tornata di giugno senza privare i cittadini degli organi democratici previsti dalla Costituzione).
Ma la voglia di apparire, sommata allo spirito autoritario acquisito nel vecchio Pci ed alla necessità del mantenimento dello status di ministro bravo e capace, è una malattia non facilmente superabile. Tra l’altro, per le “interdittive” non c’è bisogno di prove a sostegno dei provvedimenti che stanno causando un vero e proprio deserto economico, con le chiusure di molteplici attività imprenditoriali e commerciali; e anche per lo scioglimento dei Consigli comunali si colpisce solo la cittadinanza e non chi ha commesso un reato. Si tratta, quindi, di solo “fumo negli occhi” che distoglie l’attenzione dai veri problemi del Paese a partire dal vuoto rappresentato dagli ultimi governi.
Parlare, allora, di falsa lotta alla mafia è il minimo perché essa non determina passi avanti nel contrasto alla delinquenza organizzata, ma consolida, consciamente o inconsciamente, l’immagine di territori di frontiera dove è necessario usare la mano dura e senza risparmio.


Se la prendono con un titolo di giornale

Se la prendono con un titolo di giornale



Scandalo a buon mercato quello scatenato da non pochi “giornaloni” contro un titolo di “Libero” dell’altro giorno a proposito della spazzatura romana presa a scopate dal Partito Democratico in maglia gialla, ma non da Matteo Renzi e nemmeno da Maria Elena Boschi. Da questo rimanere, per così dire, in borghese il titolo “Renzi e Boschi non scopano”. E vai con le accuse di sessismo, di volgarità, di doppio sensismo, di scandalo per i minorenni (che ne sanno più dei nonni) e tanta indignazione del politically correct, cioè a buon mercato, contro lo stesso Vittorio Feltri. Al quale va invece la nostra più allegra stretta di mano. Sfido chiunque a dimostrare lo scandalo di un titolo in un panorama di mass media che si nutrono di turbamenti morali un tanto al chilo e che, per dimostrare di essere “comme il faut”, “à la page”, liberi docenti di belle maniere, si scatenano contro un titolo che, semmai, ha la ragion d’essere proprio nell’ironia, nella presa in giro e in quell’umorismo a doppia mandata che usufruisce dei duplici sensi quando questi non sono affatto pericolosi, anzi.
Magari l’attuale politica si nutrisse di questi alimenti essenziali, magari, se invece di prendersi a torte in faccia, i nostri politicanti, chi più chi meno, si rivolgessero verso questa gioiosa bi-direzione. Figuriamoci. Viene il sospetto, sempre a proposto delle scope e degli scopatori e non, che l’insistenza di chi ora ci “pucia dentro il biscotto” ipercritico sia, volente o nolente, il compiaciuto evidenziatore proprio di quel doppio senso che finisce con l’assumere un ruolo di prova d’accusa. Ma accusa di che? Ridicoli. Ma la cosa più interessante, va pur ripetuto a rischio di annoiare e annoiarvi, è la reazione opposta dei nostri talk show tenuti, non si sa da chi, in un silenzio sacrale su questa maliziosa parentesi che, al contrario e in Paese televisivo meno banalotto e conformista, sarebbe servita e servirebbe. A che? A fare dei nostri talk show, più o meno tutti, un luogo nel quale davvero sia possibile un confronto degno di questo nome, un ragionamento, una critica sia pur dura ma, quando serve, dotata di un sorridente buonsenso, con punte anche aguzze, capace comunque di fare della contemporaneità politica italiana un qualcosa di vivo, di attraente, e di utile, per dire.
Cosa non funziona nei talk? Va detto preliminarmente che sono tanti, troppi e praticamente intercambiabili. Secondo Carlo Freccero - uno che ha fatto la storia della nostra migliore televisione - i talk show sono di un numero eccessivo, innanzitutto perché costano assai poco, il che, tuttavia, proprio per l’altissimo numero e la non distinguibilità di fondo, non aiuta affatto l’audience e semmai contribuisce alle esposizioni velleitarie dei politici presenti, vellicati nella loro ambizione di apparire. Ma è anche un problema di contenuti. Lo “scazzo” furibondo giornaliero che ci mettono in mostra questi luoghi televisivi, per di più di attualità politica, è unidirezionale, non cambia mai di spessore contenutistico, resta in superfice e si diletta di aggressioni verbali reciproche, col massimo gaudio dei conduttori, nell’illusione, questi ultimi, che lo scontro più acceso, l’ingiuria più sfacciata servano a far decollare l’asticella dell’audience. Quando mai...
E il bello è che l’attualità del Paese, la sua complessa realtà, politica, di costume, e quant’altro, è assai viva e stimolante; sia come la narra sapidamente un imbattibile Feltri, sia quando avviene sotto gli occhi di noi tutti o, se vogliamo, quando la sua portata e incidenza è tale che occorre ai conduttori un minimo, non un massimo, di consapevolezza per parlare e far parlare. Prendiamo la storia del povero Fabiano Antonioli, il disk jockey cieco e del tutto immobile ma del tutto cosciente nelle sue decisioni fino al suicidio in una clinica Svizzera accompagnato e assistito dal coraggioso radicale Marco Cappato. Ebbene, dopo l’assoluzione di due Pm, il giudice istruttore ha chiesto il rinvio a giudizio del bravo parlamentare radicale, e rischia una condanna da cinque a dieci anni di carcere. Su questa vicenda, di vita e di morte, di scelte di fondo, di coraggio e di sfida al conformismo, il silenzio dei talk show e di quasi tutti i media, è stato come si dice, assordante. Peccato.

IMMIGRAZIONE - #Ardea, " Tor San Lorenzo in rivolta per l’arrivo di oltre 60 clandestini "


Fasoli: "Per la città è la morte turistica, commerciale, edilizia".



Il Faro on line – “Tor San Lorenzo è in rivolta contro il prossimo arrivo di oltre 60 clandestini che verranno ospitati presso l’ex Hotel “Le Palme”, oggi “Parco degli Ulivi”, proprietà di un noto avvocato di zona”, scrive Luigi Centore.

Il primo a dare la notizia è il candidato a sindaco Luca Fanco, che critica duramente la scelta e dichiara: “Se risultasse veritiero quanto sta avvenendo ad Ardea in merito all’accoglienza di 60 clandestini ufficiali come primo gruppo, per poi arrivare ad oltre 200 clandestini, questi stranieri giungeranno a Tor San Lorenzo e verranno ospitati a spese della collettività nazionale nella struttura alberghiera ex “Le Palme”, in largo della Rotonda, oggi ribattezzata “Parco degli ulivi”. La popolazione è furibonda e già si sta organizzando per scongiurarne l’arrivo ormai certo dei clandestini”.
“Non solo Fanco ritiene che Roma non può e non deve portare ad Ardea clandestini, anche perché siamo pieni; basti pensare quanti stranieri extracomunitari di cui molti senza fissa dimora, molti dei quali sconosciuti alle forze dell’ordine, vivono nei 706 ettari delle Salzare in manufatti abusivi e con ordine di demolizione, o nel complesso immobiliare delle Salzare, per di più in condizioni igienico sanitarie da quarto mondo”, scrive Centore.
A Fanco fa da sponda un’altra candidata a sindaco quale Monica Fasoli che scrive: “Siamo venuti a conoscenza che il commissario prefettizio Dott. Antonio Tedeschi ha siglato l’autorizzazione per l’insediamento di circa 60 immigrati nell’ex Hotel Le Palme”.
“Per Ardea è la morte turistica, commerciale, edilizia ma soprattutto considerata la situazione attuale di criminalità locale, questo non aggiunge altro che poca sicurezza del territorio”, prosegue Fasoli.
“Forse il commissario Tedeschi non ha considerato che per la vastità territoriale Ardea è sotto organico di forze dell’ordine, quindi questa decisione scellerata comporterebbe ulteriori problemi alla comunità di Ardea. Questo, a ridosso della stagione balneare, creerebbe non pochi problemi alla poca attività rimasta a causa della poca attenzione delle passate amministrazioni. Insomma – conclude Fasoli – il danno sarebbe enorme per cui non possiamo stare fermi”.
“Il candidato a sindaco Massimiliano Giordani – scrive Centore – è pronto a organizzare la protesta con quanti ancora vogliono scongiurare questo disastro, senza guardare i colori politici, e chiede al Commissario se il manufatto è totalmente conforme ai requisiti urbanistici ovvero se è totalmente in regola. Giordani ricorda che contro l’invasione o l’accoglienza incontrollata proprio il presidente di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni si è sempre opposta”.
“Fanco – prosegue Centore – ricorda che spesso con i clandestini possono infiltrarsi cellule dormienti di terroristi islamici, e poi basti guardare chi nel proprio cartello ha candidati legati a cooperative sociali o Onlus”.

di - 17 maggio 2017

15/05/17

Migranti illegali: pesa il vuoto lasciato da Roma e Bruxelles



8728d5f4-c6d6-479d-87a1-3d59372aca57DSC_0314


I consistenti flussi di immigrati illegali dalla Libia degli ultimi giorni, oltre 7 mila persone soccorse e trasferite in Italia e più di 200 morti affogati solo nel week end scorso, evidenziano tutti i limiti di un dibattito ideologico e sterile dal momento che nei porti italiani i migranti illegali vengono sbarcati sia dalle navi civili delle Ong sia da quelle militari delle flotte italiane ed europee.
Il procuratore della Repubblica di Catania, Carmelo Zuccaro, sostiene che “il soccorso ai migranti va fatto nel rispetto della legalità” ed entrare nelle acque territoriali libiche “è possibile solo in presenza di condizioni di pericolo, se no si fa agevolazione dell’immigrazione clandestina”.
Le navi di alcune Ong vi entrano regolarmente, a quanto pare in seguiti a contatti con gli stessi trafficanti mentre per le navi militari l‘acceso alle acque libiche resta subordinato teoricamente a un “invito” delle autorità libiche o a un’autorizzazione dell’Onu che nessuno al Palazzo di Vetro.
Il confronto è tra due filosofie diverse: L’Italia e l’Europa vorrebbero che all’interno delle acque libiche provvedesse la locale Guardia Costiera addestrata ed equipaggiata (anche con 10 nuove motovedette in fase di consegna) dagli italiani a soccorrere e riportare a riva i migranti.
Le Ong sono animate invece dalla volontà di salvare più persone possibile per trasferirle in Italia, volontà condivisa peraltro da molti sponenti politici anche in Italia. Un approccio non solo umanitario quindi, ma anche politico che unisce le Ong attive in mare con molti organizzazione che in Italia si occupano dell’accoglienza.
“La gestione dei flussi non spetta alle Ong ma al legislatore: solo una percentuale molto bassa dei migranti che arrivano sulle nostre coste ottiene l’asilo, tutto il resto viene immesso necessariamente nel circuito dell’illegalità” ha ricordato Zuccaro aggiungendo che “il rispetto della non invasione delle acque libiche costringerebbe i trafficanti a uscire allo scoperto e aiuterebbe la nostra attività di contrasto”.

DSC_0189

Ma è proprio il vuoto lasciati in questi anni dal governo italiano e dalla Ue a favorire il lavoro delle Ong e dei trafficanti che, paradossalmente, condividono l’obiettivo di far arrivare in Europa i migranti illegali.
Dall’operazione di soccorso Mare Nostrum siamo passati a operazioni militari che dovrebbero difendere gli interessi nazionali (Mare Sicuro) e contrastare i trafficanti (Eunavfor Med) ma di fatto tutte e navi attive nel Canale di Sicilia, civili o militari svolgono tutte lo stesso compito: raccolgono in mare gli immigrati illegali e li trasferiscono in Italia.
Anche in barba al diritto internazionale. Nessuna legge prevede infatti che debbano essere accolti coloro che si rivolgono a criminali per violare frontiere mentre per il diritto marittimo (convenzione di Amburgo) i “naufraghi” devono essere soccorsi e sbarcati nel porto sicuro più vicino.
Di porti sicuri ve ne sono molti in quell’area e tutti più vicini di quelli italiani. Innanzitutto quelli libici che sono sicuri perché in quella zona costiera della Tripolitania che va dal confine tunisino a Misurata non vi sono scontri bellici in atto e poi perché la stessa Organizzazione internazionale delle Migrazioni, in un recente rapporto, evidenzia come il 64% dei migranti africani che si trovano in Libia intendano trovare lavoro nella ex colonia italiana (come facevano ai tempi del regime di Mammar Gheddafi), non venire in Europa. Quindi considerano la Libia un luogo dove poter vivere e lavorare.

DSC_0248

Ci sono poi i porti tunisini ma le autorità del paese nordafricano rifiutano di accoglierli, come fa anche Malta che pure è membro della Ue ma per il suo rifiuto non ha subito da Bruxelles l’ostracismo riservato invece all’Ungheria e agli altri Paesi del Gruppo di Visegrad.
L’Italia è quindi l’unico Stato ad accogliere chiunque paghi i trafficanti, a rinunciare a difendere le sue frontiere, a ogni forma di sovranità territoriale. Anche prima che entrassero in campo le navi delle Ong le flotte italiane ed europee non hanno mai contrastato realmente i trafficanti. Per farlo dovrebbero agire in Libia, invece si sono limitati ad arrestare oltre un migliaio di scafisti, “pesci piccoli” per la stragrande maggioranza rilasciati in attesa di giudizio e tornati a svolgere il loro “mestiere”.
Federica Mogherini, annunciando nel 2015 l’inizio delle operazioni della flotta europea, precisò che nessun migrante sarebbe mai stato respinto: un invito a ingigantire i flussi come le rimproverò Theresa May, all’epoca ministro degli Interni britannico, come di fatto è avvenuto.
Il vuoto di potere lasciato dalla Ue e da Roma, che continuano a subire i flussi migratori senza decidersi a fermarli, è stato riempito dagli interessi delle organizzazioni che si occupano del business dell’accoglienza in Italia (valutato quest’anno intorno ai 5 miliardi di euro) e dalle Ong che gestiscono i soccorsi in mare.
Non ha però senso puntare l’indice sulle navi delle Ong quando quelle militari effettuano lo stesso compito. Anzi, penetrando nelle acque libiche le Ong salvano molte persone che restando in balìa delle onde a bordo di gommoni stracarichi rischierebbero di scomparire tra i flutti.
A Roma e a Bruxelles manca la capacità politica di negare l’accesso ai porti alle Ong, in quanto soggetti privati, e schierare le flotte nelle acque libiche per soccorrere tutti i migranti e riportarli sulle spiagge libiche con mezzi militari, fatta eccezione per bambini e bisognosi di cure.
O, in alternativa, sbarcarli in porti tunisini dove l’Onu potrà accoglierli in campi profughi da cui rimpatriarli. Certo non sarà facile convincere Tunisi ad accettare questo gravoso compito ma potrebbero essere un buon incentivo aiuti economici italiani che ci costerebbero certo meno dell’accoglienza per centinaia di migliaia di immigrati illegali.
I respingimenti, in Libia o Tunisia, non solo eviterebbero tanti morti in mare ma farebbero cessare i flussi migratori in pochi giorni poiché nessuno rischierebbe la vita e migliaia di euro (che in Africa sono un capitale) avendo la certezza di non poter raggiungere l’Europa.
L’Italia invece non sembra neppure in grado di ostacolare i trafficanti semplicemente bloccando l’afflusso in Libia dei gommoni utilizzati per mettere in mare gli immigrati illegali.
Nei mesi scorsi il comando italiano della flotta europea Eunavfor Med ha reso nota la provenienza dei gommini di pessima qualità impiegati, sovraccarichi di migranti, dai trafficanti Prodotti in Cina, commerciati in Turchia, giungono nei porti libici triangolati via Malta nell’ambito di regolari transazioni.
Basterebbe bloccarne l’imbarco sui mercantili a Malta (paese Ue sul quale Italia e altri partner europei potrebbero esercitare pressioni) diretti nei porti della Tripolitania da dove raggiungeranno presto le spiagge pronti a salpare. Oppure sarebbe possibile per la flotta Ue (che tra l’altro ha anche l’incarico di impedire traffici di armi verso la Libia) ispezionare i mercantili diretti in Libia bloccandoli in mare, requisendo i gommoni e distruggendoli con azioni militari tese a scoraggiare gli armatori ad accettare un carico così ambiguo.
Eppure nulla di tutto questo viene fatto con la giustificazione che si tratta di un commercio legale e legittimo: i trafficanti sono così liberi di acquistare on line i gommoni che gli verranno consegnati a domicilio, sotto il naso di quelle flotte italiane e Ue che dovrebbero contrastarli.

Foto Marina Militare

fonte: http://www.analisidifesa.it

  
Gianandrea Gaiani - Nato a Bologna, dove si è laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 ha collaborato con numerose testate occupandosi di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportages dai teatri di guerra. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Collabora con i quotidiani Il Sole 24 Ore, Il Foglio, Libero, Il Mattino e Il Corriere del Ticino, con i settimanali Panorama e Oggi e con i periodici Limes, Gnosis e Focus Storia. E' opinionista delle reti tv RAI, RSI, Mediaset, Sky, La7 e radiofoniche Rai, Capital e Radio24. Ha scritto Iraq Afghanistan - Guerre di pace italiane.

Macron, utile idiota dell’islamismo


Macron, utile idiota dell’islamismo

Durante la guerra fredda con l’Unione Sovietica, li chiamavano gli “utili idioti”. Queste persone non erano membri del Partito comunista, ma lavoravano per esso, ne parlavano positivamente e condannavano le idee di Lenin e Stalin. Nel XXI secolo, il comunismo è scomparso, ma l’islamismo lo ha rimpiazzato come principale minaccia mondiale. Come il comunismo, l’islamismo – o il totalitarismo islamico – colleziona i suoi “utili infedeli”, proprio come il comunismo produceva i suoi utili idioti. C’è però un’importante differenza: nell’Unione Sovietica, gli utili idioti erano intellettuali. Ora, gli utili infedeli sono uomini politici, e uno di loro è stato appena eletto presidente della Repubblica francese.
Emmanuel Macron, utile infedele, non è un sostenitore del terrorismo o dell’islamismo. È molto peggio: non riesce neanche a vedere la minaccia. Subito dopo gli orribili attacchi del 13 novembre 2015 a Parigi, Macron ha dichiarato che la società francese deve assumersi “una parte di responsabilità” nel “substrato in cui il jihadismo ha potuto prosperare”.
“Qualcuno, con il pretesto che ha la barba o un nome che potrebbe sembrare musulmano, ha il quadruplo delle possibilità di non avere un lavoro rispetto a un altro che non è musulmano”, ha aggiunto Macron. Secondo lui, ritornare in Francia dalla Siria, con tanto di kalashnikov e una cintura esplosiva, sarebbe un gesto di ripicca da parte di un disoccupato di lunga data? Macron ha quasi accusato i francesi di essere razzisti e “islamofobi”. “Abbiamo una parte di responsabilità”, egli ha ammonito, “perché questo totalitarismo si nutre della diffidenza che noi abbiamo lasciato sedimentare nella società (...) e se domani non ce ne occuperemo, dividerà [gli spiriti] ancor di più”.
Di conseguenza, ha concluso Macron, la società francese “deve cambiare ed essere più aperta”. Più aperta a cosa? All’Islam, ovviamente. Il 20 aprile 2017, dopo che un terrorista islamista ha assassinato un poliziotto, ferendone altri due, a Parigi, Macron ha detto: “Non intendo inventare in una notte un programma di lotta contro il terrorismo”. Dopo due anni di continui attacchi terroristici sul territorio francese, il candidato alla presidenza della Repubblica considera i problemi di sicurezza del paese come trascurabili? Inoltre, il 6 aprile, in piena campagna presidenziale, Barbara Lefebvre, docente e autrice di libri sull’islamismo, ha rivelato agli spettatori del programma televisivo di France2 L’Emission Politique la presenza di Mohamed Saou nella squadra della campagna elettorale di Macron. È stato Saou, un responsabile dipartimentale del movimento politico di Macron “En Marche!”, ad aver twittato la classica dichiarazione islamista: “Io non sono Charlie”.
Percependo lo scoppio di un potenziale scandalo, Macron ha congedato Saou, ma il 14 aprile dai microfoni di Beur FM, un’emittente radiofonica francese musulmana, credendo di essere fuori onda, Macron ha detto: “[Saou] ha fatto delle cose un po’ radicali. Ma ad ogni modo, Mohamed è un tipo a posto, in gamba”.
“In gamba”, presumibilmente perché Mohamed Saou stava cercando di raccogliere voti musulmani per Macron. Saou è un caso isolato? Certo che no. Il 28 aprile, Mohamed Louizi, autore del libro Pourquoi j’ai quitté les Frères Musulmans, ha pubblicato su Facebook un articolo dettagliato che accusava Macron di essere un “ostaggio del voto islamista”. Ripubblicato da Dreuz, un sito web cristiano anti-islamista, l’articolo di Louizi forniva nomi e date, spiegando come il movimento politico di Macron sia stato ampiamente infiltrato da militanti dei Fratelli musulmani. Sarà interessante vedere come molti di loro saranno candidati del movimento di Macron alle prossime elezioni legislative. Il 24 aprile, l’Unione delle organizzazioni islamiche di Francia (Uoif), che è considerata il rappresentante francese dei Fratelli Musulmani, ha pubblicamente esortato i musulmani a “votare contro le idee xenofobe, antisemite e razziste del Front National e chiesto loro di votare in massa per Macron”.
Perché? Macron è un dichiarato promotore dell’islamismo in Francia? È più politicamente corretto dire che è un “mondialista” e un “attivo promotore del multiculturalismo. Come tale, egli non considera l’islamismo una minaccia nazionale, perché, per lui, la nazione francese o, come egli ha detto, la cultura francese non esiste. Macron ha di fatto negato che la Francia è un Paese con una cultura specifica, una storia specifica e una letteratura o un’arte specifica. Il 22 febbraio, in visita a Londra dove ha incontrato i cittadini francesi, Macron ha dichiarato: “La cultura francese non esiste, esiste una cultura in Francia ed è diversa”. In altre parole, sul territorio francese, la cultura francese e le tradizioni francesi non hanno alcuna priorità rispetto alle culture importate dagli immigrati. Lo stesso giorno, a Londra, egli ha aggiunto: “L’arte francese? Non l’ho mai vista!”.
Ma in un’intervista al magazine anti-islamista Causeur Macron ha affermato: “La Francia non è mai stata né mai sarà un paese multiculturale”.
Da politico, Macron non si rivolge alla popolazione francese, ma a destinatari segmentati. In Algeria, egli ha detto che la colonizzazione francese è stata un “crimine contro l’umanità”. Evidentemente, Macron sperava che questa dichiarazione lo avrebbe aiutato a fare incetta dei voti dei cittadini francesi di origine algerina. Durante la campagna presidenziale, Macron ha sempre detto alle persone quello che loro volevano sentire. I francesi potrebbero subire una delusione scoprendo che per Macron l’idea di appartenere a una patria, di pensare alle frontiere e di avere una lingua madre, una letteratura o un’arte specifica non è altro che spazzatura.

(*) Gatestone Institute

Traduzione a cura di Angelita La Spada