In
attesa di apprendere dalla Cap dell’Aia se, ed eventualmente chi, dove e
quando dovrà avviare una vera indagine sugli eventi che hanno coinvolto
i Marò, con un’istruttoria se del caso seguita anche da un processo, è
bastato qualche tenue spiffero sulla possibilità che l’India stia
negoziando in gran segreto un accordo con l’Italia per rimettere in
libertà i Marò, indagati da 4 anni senza accuse, a fare esplodere la
santabarbara di una interessata strumentalizzazione della sinistra
indiana. La miccia che ha prodotto la deflagrazione mediatica è stata la
dichiarazione del senatore Latorre, omonimo ma nessuna parentela con il
nostro fuciliere del San Marco, attualmente presidente della IVa
Commissione permanente Senato (Difesa), il quale ha di recente affermato
chiaro e tondo che per nulla al mondo Max Latorre tornerà in India per
consegnarsi ai suoi persecutori.
Dal suo santuario di Trivandrum, puntuale e rabbiosa è subito
arrivata la replica di Oommen Chandy, il premier del governo del Kerala,
nonchè ispirato inventore dal nulla del caso internazionale sui Marò,
in combutta con l’ex ministro della difesa di New Delhi A. K. Antony,
quello che chiese una tangente di 51 milioni di $ alla società
italo-inglese AgustaWestland, alla quale l’India aveva commissionato 12
super-elicotteri. Per inciso, il processo per corruzione internazionale
al tribunale di Busto Arsizio condotto contro il Gruppo Finmeccanica si è
concluso ad ottobre del 2014 con la piena assoluzione degli imputati
italiani circa le accuse di corruzione.
Chissà come si saranno sentiti soddisfatti i giudici nostrani
dopo avere distrutto sulla base di un nulla assoluto l’immagine
internazionale di un gruppo all’avanguardia tecnologica e che tutto il
mondo ci invidia, col risultato di aver mandato in fumo una commessa da
560 milioni di dollari per l’Italia, ed aver causato una esposizione di
quasi 340 milioni di euro alla AgustaWestland, dei quali circa 120
riguardano i primi tre elicotteri forniti che gli indiani si sono
tenuti, guardandosi bene dal pagarli o dal restituirli, per poi arrivare
ad un imbarazzato :”Ops, chiediamo scusa, ci eravamo sbagliati, niente
corruzione, anzi siete stati voi ad essere vittime di un ricatto”.
Ricatto, come noi abbiamo sempre sostenuto, orchestrato dall’allora
ministro della Difesa indiano Antony, l’amico di Chandy, il sanguinario
persecutore dei Marò. Ma non sarebbe stato meglio valutare bene la
situazione prima di provocare questo enorme danno al Paese ? Chiusa
parentesi.
Usando un linguaggio di inaudita violenza il premier keralese è
insorto, come riportano i media indiani, scagliandosi contro la
prospettiva che Latorre rimanga in Italia non torni più in India nelle
more che si decida sulla competenza giurisdizionale sul caso Marò, e che
anzi venga rimesso a piede libero anche Salvo Girone. “I due marinai
italiani hanno commesso un crimine in territorio indiano ed è quindi
all’India che devono rispondere delle loro azioni”, ha tuonato Chandy,
per poi aggiungere: “Il governo del Kerala guidato dall’UDF (il partito
di sinistra di cui Chandy è uno dei leader, ndr) su questo punto fu
irremovibile, ed anzi chiese la restituzione dei due assassini per
processarli in Kerala, ricevendo in questo il pieno appoggio dell’UPA
(la coalizione di centrosinistra tra UDF e l’NCP-National Congress Party
di Sonia Gandhi e di Antony, che ha governato l’India per un paio di
legislature prima di essere travolto da scandali e corruzione e
sostituito dall’attuale governo di destra di Narendra Modi, ndr).
Poi l’accorato appello rivolto direttamente al premier indiano
Modi per sollecitare l’immediato ritorno di Latorre e la reclusione
preventiva dei due “criminali” italiani sino alla conclusione del loro
processo in India, sotto leggi indiane. Bontà sua, Chandy ha anche
tranquillizzato tutti sul fatto che lui “non biasima, nè critica nessuno
per la lentezza dell’iter giudiziario indiano”. Insomma, per lui, basta
che i Marò restino sequestrati in India, e poi chi se ne frega se sono
innocenti o se qualcuno butta via la chiave della loro cella senza manco
averli sottoposti ad un giusto processo.
Ora un personaggio del genere ed affermazioni di quel tenore non
meritano risposta, anche perchè questa lui l’ha già avuta dalla Corte
Suprema indiana, che con la sentenza di gennaio del 2013 circa il
ricorso dello Stato del Kerala che rivendicava la sua giurisdizione sul
caso, la Corte specificò che “La vicenda dei fucilieri italiani è un
caso internazionale, per cui va affrontato tra organismi di pari rango
istituzionale, ovvero dal governo dell’Italia e da quello dell’India che
hanno sottoscritto i trattati, le convenzioni e gli accordi
internazionali che regolano i loro rapporti nell’ambito della comunità
internazionale. Il governo italiano ha rapporti solo col governo
centrale dell’India per cui non può esserci alcuna disputa tra Italia
firmataria degli accordi internazionali ed il Kerala che è solo uno
degli stati dell’Unione Indiana”. Più chiari di così.
Poi sorvoliamo che sul fatto che Chandy ignori che i Marò, come
si riconoscerebbe a chiunque altro, sono innocenti sino a prova
contraria, cioè ad una condanna passata in giudicato dopo un giusto
processo. A noi interessa chiarire perchè Chandy ha detto quelle cose e
mantenga la sua posizione aprioristicamente colpevolista. Circa un anno
fa, mentre si andavano spegnendo i clamori del caso Marò, il premier del
Kerala è rimasto impantanato in uno scandalo di livello nazionale, e
parliamo di un subcontinnte con 1300 milioni di persone. Qualche tempo
prima si era scoperto che una società specializzata in impianti e
sistemi di produzione di energia solare, la “The Team Solar Energy Co.”
co-diretta da un disinvolto ragazzotto dal nome impossibile, tale Biju
Radhakrishnan ed una avvenente e giovane condirettrice dal nome esotico
di Sarina Nair, avevano affidato il marketing della ditta ad escorts
mozzafiato che avevano fatto arrivare alle stelle il fatturato
dispensando favori sessuali e mazzette ad arrapati uomini politici e
ricchi imprenditori. Mentre Sarina coordinava la sua flotta di girls,
tra un ordine e l’altro il dinamico e palestrato Biju aveva trovato il
tempo di ammazzare la propria malcapitata moglie, forse perchè sapendo
troppo, sarebbe stato meglio metterla in condizione di parlare poco.
Gli inquirenti hanno potuto accertare che pesanti “incentivi”
sono finiti nelle tasche di compiacenti ministri del governo keralese,
proprio quello a capo del quale c’è Chandy. E lui come stava messo in
questa vicenda? Prima male, adesso peggio. Male perchè se metà dei
ministri del governo di uno stato si fa corrempere da quattro
elettricisti, il capo di quello stato non se ne può tirare fuori. Poi
peggio, perchè varie intercettazioni della polizia trascritte di recente
hanno fatto emergere che spesso le telefonate per coordinare tutte
queste attività illegali partivano dalla scrivania di Chandy. La banda
dietro la Team Solar otteneva grosse commesse pubbliche grazie ai
politici (corruzione), oppure stipulava sontuosi contratti di fornitura a
prezzi ipergonfiati, grazie alla garanzia dei politici keralesi di
turno, commesse per le quali otteneva grossi anticipi cui seguivano
forniture micragnose, quando c’erano (truffa).
Il lubrificante di questo sistema, soldi a parte, era il sesso
sfrenato ed è facile comprendere che, quando si entra in questa logica,
poi non è sempre possibile distinguere escorts e prostitute, cioè le
professioniste consenzienti, dalle dilettanti segretarie e dipendenti, o
magari solo figlie o nipoti delle suddette, rese accondiscendenti a
minacce, botte e cazzotti. Del resto faceva parte del governo keralese
anche il signor PK Kunhalikutty, salito alla ribalta della stampa
nazionale e locale indiana non per uno degli interessi che rientravano
tra le sue tante responsabilità, ma per quello che in India viene
chiamato “The ice-cream parlour sex case”, ovvero gli abusi sessuali di
gelateria, perchè era nella
sala di una famosa gelateria di Thiruvananthapuram che il fratello di
Kunhalikutty adescava le vittime, ragazzine tra i 12 ed i 14 anni, che
teneva sequestrate per giorni per poi darle in pasto al fratello.
E Kunhalikutty, di fede musulmana, non era uno qualsiasi, perchè
nel governo del Kerala rivestiva queste cariche: Ministro per
l’Industria e la Ricerca Tecnologica con deleghe al Commercio, alle
Miniere e Geologia, alle Tecnologie dell’Informazione, all’Orditura al
Telaio e Settore Tessile, al Wafq and Hajj Pilgrimage (l’equivalente
della Caritas e dell’Opera Diocesiana Pellegrinaggi dei cattolici, solo
che gli islamici ovviamente vanno a La Mecca, i cattolici in Terra
Santa), alle Associazioni Professionali e Municipalità, al Piano
Regolatore, alle Authorities per lo Sviluppo Regionale. Scusate se è
poco. Ecco, è gente di questa risma, questo tipo di persone capeggiate
da Chandy ad accusare i Marò ed a chiedere giustizia. Ripugnante.
Ma come ha fatto Chandy, con l’aiuto di Antony, a costruire un
caso attorno a Latorre e Girone? Si deve sapere che a febbraio del 2012
il Kerala era teatro di una durissima battaglia elettorale. Il governo
di Oommen Chandy fu messo sotto di un solo voto al Parlamento locale, ma
quello bastò a sfiduciare l’esecutivo. Non fu possibile trovare
maggioranze alternative ed affidabili, per cui si ricorse agli elettori.
Nel Kerala l’attività economica più diffusa è quella legata alla pesca
in mare. La locale associazione dei pescatori conta la bellezza di 3
milioni di iscritti. Se ciascuno di questi si porta politicamente dietro
qualche amico o qualche familiare ecco a disposizione della politica un
bel serbatoio di 7-8 milioni di elettori su una trentina di milioni di
aventi diritto. Nel Kerala nulla si può fare contro o senza il consenso
dei pescatori.
Quel 15 febbraio di 4 anni fa, al largo delle coste del Kerala
avvennero due fatti. La mattina, la motonave italiana Enrica Lexie fu
puntata da una barca senza insegne, nè bandiere. Dal tracciato radar
riportato sul logbook, il natante appare sul quadrante a 2,8 miglia
dalla Lexie, in avvicinamento su rotta di collisione alla velocità di
oltre 14 nodi. Sorda ad ogni messaggio radio, alle segnalazioni luminose
e sonore, l’imbarcazione continuò ad avanzare verso la fiancata della
Lexie, sino alla distanza minima di 85 metri, valutata nel rapporto
sull’incidente in possesso della nostra Marina Militare. Da bordo,
armati di potenti binocoli, i militari del Nucleo di Protezione, i Marò,
constatarono che gli uomini d’equipaggio sul natante, descritto sul
giornale di bordo di colore blu, erano tutti armati con armi
automatiche, fucili e mitragliette.
Fu solo quando essi stavano per accostare sottobordo la Lexie che
Latorre e Girone spararono 24 colpi di avvertimento in acqua, fatto che
convinse quell’imbarcazione a virare di oltre 90 gradi e ad
allontanarsi precipitosamente. Dalla registrazione sul logbook in tempi
insospettabili, cioè prima che scoppiasse il caso, il tutto avvenne alle
16.30 circa ora del Kerala, corrispondenti alle ore 11.00 UTC
(Coordinated Universal Time), cioè l’ora di Greenwich, a circa 20,5
miglia dalla costa del Kerala, ovvero fuori dalle acque territoriali
dell’India. Versione dei fatti, questa, avallata e sottoscritta da 31
testimoni, gli uomini a bordo della Lexie, tra i quali 19 marinai di
nazionalità indiana, e coerente con i tracciati dei dati satellitari e
del radar di bordo in possesso anche della Marina indiana.
La Lexie informa dell’incidente l’MSRC (Centro di controllo
marittimo per la sicurezza della navigazione) di Mumbai, il quale chiede
alla petroliera italiana la cortesia di girare l’informazione anche
alla Capitaneria di Kochi. In un articolo del 28 ottobre del 2015 (“Come
la sinistra colpevolista ha montato un caso ideologico sui Marò”) Qelsi
mostra la e-mail con la quale l’MRSC chiede alla Lexie di informare
Kochi, fornendo a tal fine il numero del canale radio da utilizzare e
due numeri telefonici della locale Capitaneria. Più tardi, la
Capitaneria riceve un altro drammatico messaggio, quello di un
peschereccio, il St Antony, che lamenta di essere stato oggetto di una
sparatoria che ha causato la morte di due pescatori ed annuncia di
essere in rotta verso il porto di Neendakara, dove infatti arriva di lì a
poco, alle ore 23.30 ora locale.
Sull’orario non possono esserci dubbi, perchè la notizia ha fatto
il giro del Kerala ed ha messo in ansia 3 milioni di pescatori ed i
loro familiari, parenti, amici e conoscenti. Il molo pullula di radio-TV
locali e nazionali, tra i quali l’emittente più importante è il canale
nazionale news 24 di NDTV. Appena messo piede a terra, il
comandante-proprietario del peschereccio Fredy Bosco viene sommerso dai
cronisti e parlando in tamil e malayalam riferisce che qualcuno, un paio
di ore prima, aveva sparato loro addosso, apparentemente senza motivo e
uccidendo due degli 11 pescatori a bordo. Due ore prima delle 23.30
sono le 21.30. La Lexie aveva sparato alle 16.30, in acqua, solo per
avvertimento, senza ferire, nè uccidere nessuno. Il peschereccio
assalitore era blu, il St Antony era bianco. A bordo del primo c’erano
uomini armati, sul St Antony solo inermi pescatori.
La Lexie ed i Marò, quindi, non c’entrano niente con la morte dei
due pescatori, ma per Antony e Chandy, ex ministro indiano della difesa
e potentissimo politico il primo, corrottissimo e smaliziato maneggione
il secondo, entrambi immersi nell’alleanza “ulivista” dell’Upa nel
governo di New Delhi, quella incredibile, ma casuale coincidenza andava
benissimo per montare un caso. Al primo serviva qualcosa per costringere
gli italiani a mollare ed essere più malleabili sulla tangente da
strappare per la commessa dei superelicotteri. Al secondo serviva un
qualcosa di eclatante per creare un caso da strumentalizzare a fini
politici in una tormentata e difficile campagna elettorale. E’ nato da
questa concorrenza di interessi il caso Marò.
Se questa è la genesi, tutto il resto diventa semplice chiaro e
trasparente, atremmo quasi per dire quasi ovvio e banale. Bisognava far
confluire due avvenimenti in uno solo. I Marò hanno sparato qui? I
pescatori sono stati uccisi là? Facciamone un unico fatto, congruiamo
gli elementi probatori, costruiamo prove contro e cancelliamo quelle a
favore della realtà fattuale ed oplà tutto a posto. I pescatori keralesi
hanno avuto giustizia e sono contenti tanto da votare compatti per il
capopopolo Chandy; Antony ha avuto quello che voleva, l’Italia pagherà i
danni, i Marò, …beh loro se ne faranno una ragione. Magari alla fine
dopo avegli inflitto 20 anni di carcere a noi indiani, avranno pensato
Antony e Chandy, ci ringrazieranno pure quando mostrando comprensone e
magnanimità li rimanderemo a casa abbonandogli una decina d’anni di
galera.
Di Rosengarten, il
fonte: http://www.qelsi.it