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Non smettete mai di protestare; non smettete mai di dissentire, di porvi domande, di mettere in discussione l’autorità, i luoghi comuni, i dogmi. Non esiste la verità assoluta. Non smettete di pensare. Siate voci fuori dal coro. Un uomo che non dissente è un seme che non crescerà mai.

(Bertrand Russell)

02/01/16

MARO' IN INDIA " VERITA' E GIUSTIZIA PER MASSIMILIANO E SALVATORE "




"Infine l'Italia dovrebbe impegnarsi davanti alla Corte suprema a rimandare Latorre e Girone per un processo in India qualora la Cpa si esprimesse a favore di essa sul tema della giurisdizione"

Le uniche prove che abbiamo dimostrano che le autorità indiane hanno portato un falso peschereccio sotto la murata della Lexie per costruire una colpevolezza inesistente, quelle a carico dei due accusati prodotte dagli inquirenti indiani sono una pagliacciata e ognuno ora lo può verificare.

E fra qualche giorno vi dimostro che l'India ha organizzato tutto per celebrare il processo con la Legge SUA Act proprio perchè è consapevole che i due accusati sono innocenti, ricorrendo a "testimonianze" funzionali a questo obiettivo e che smantelleremo come abbiamo smantellato le famose "prove scientifiche".

E la SUA Act è una legge incompatibile con il Diritto italiano, europeo, internazionale e indiano, che rovescia l'onere della prova sull'accusato come nel medioevo, obbliga il giudice a emettere una sentenza di colpevolezza, comporta una automatica condanna a morte, e addirittura nell'art.14 prevede la non punibilità o processabilità per chi, applicando la SUA Act, commetta abusi o errori di qualsiasi tipo.

E hanno la faccia da culo da chiederci di "impegnarci" a rimandare in India due che sappiamo innocenti per essere processati e condannati in base a una legge barbara affinchè i buffoni del Kerala non siano smentiti e a New Delhi possano recitare la parte della potenza regionale che impone il suo arbitrio.

Non è che in queste ultime settimane siamo stati a dormire, abbiamo aspettato che maturasse qualche decisione a favore dell'ostaggio Girone, come ufficiosamente era stato indicato. Nel frattempo si è elaborata una efficace sintesi del quadro d'insieme processuale, in modo che nessuno possa fingere di non sapere. A Roma come a l'Aia come a New Delhi.

Ringrazio tutti quelli che hanno collaborato e stanno collaborando, il motto è sempre lo stesso: "Verità e Giustizia per Massimiliano e Salvatore".
La prossima uscita sarà per smantellare le testimonianze funzionali all'applicazione del SUA Act.

Luigi Di Stefano - 31 dicembre 2015

fonte: https://www.facebook.com/Grifo52?fref=ts


01/01/16

I marò merce di scambio per accordi commerciali

L'India teme l'opposizione italiana a intese sull'export verso l'Ue: e ora tratta

I marò merce di scambio per accordi commerciali
L'apertura di Nuova Delhi suona come un ricatto: Girone e Latorre potrebbero essere comunque condannati, anche se in contumacia
Una fitta ragnatela di accordi commerciali in gioco tra Nuova Delhi e l’Unione Europea. Al centro i due marò, in particolare Salvatore Girone, quello ancora recluso in India. Merce di scambio e poco più secondo il Telegraph India, che ieri ha dato notizia dell’esistenza di una “trattativa segreta”. Fatto curioso, che la trattativa segreta finisca su un quotidiano. Ancor di più che a pubblicarne i termini sia un quotidiano indiano, segno evidente che qualche gola profonda nel subcontinente ha sussurrato all’orecchio dell’amico giornalista un piano che, chissà, si vorrebbe far saltare.
Fatto sta che secondo le voci cui il Telegraph ha dato spazio l’'India starebbe preparando una "road map" con l’Italia per porre fine alla battaglia diplomatica prima e giudiziaria poi in corso da quasi quattro anni. In gioco la richiesta “a ciascuna delle parti di accettare le richieste chiave dell’altra”, fermo restando che il negoziato non dovrà interferire con il caso ancora aperto presso la Corte suprema indiana né con l’arbitrato in corso presso il Tribunale internazionale del diritto del mare di Amburgo.
Sostanzialmente si tratta di dare a Salvatore Girone il placet al suo rientro in Italia, a patto che il nostro Paese si impegni a ritirare le sue obiezioni all’adesione di Nuova Delhi a quattro importanti organismi di controllo delle modalità di esportazione. I fucilieri come merce di scambio di giochi commerciali? È così. E sembra decisamente che l’India voglia accelerare proprio su questo piano, per togliersi il suo scomodo detenuto presso l’ambasciata italiana. Con la palla che passa ora a Roma. Il governo Renzi accetterà o meno quello che suona come un ricatto, con la concreta prospettiva di vedere comunque Girone e Latorre condannati (seppure in contumacia)? Ai posteri l’ardua sentenza.

robert vignola - 1 gennaio 2016
fonte: http://www.ilgiornaleditalia.org

Le favole di chiusura del giovane Premier




 
Come era scontato che accadesse, il Premier Matteo Renzi ha sommerso i giornalisti intervenuti alla sua conferenza stampa di fine anno con un fiume di parole ad effetto, sostenute dalle immancabili slides.
Si è trattato di un lungo e insopportabile bla-bla-bla finalizzato ad infiocchettare i risultati, a mio avviso, molto deludenti di un signorino che aveva promesso miracoli in ogni settore. Stringi stringi, l’intera valanga di ottimistiche valutazioni espresse da Renzi si è incentrata sul quel più 0,8 per cento di crescita parziale, che l’Istat sarà chiamata verificare nel prossimo mese di marzo, che oramai costituisce il suo più sostanzioso elemento propagandistico. Una crescita striminzita la quale, mi permetto di ricordare, segue anni di calo verticale del Pil italiano e che rappresenta un piccolo rimbalzo favorito essenzialmente da una favorevole quanto provvisoria combinazione di fattori esterni, tra cui il Quantitative easing messo in campo dalla Banca centrale europea e il crollo del prezzo delle materie prime.
Oltre a ciò, cosa rilevata da pochi osservatori, in questo modesto rialzo bisogna considerare la sfilza di mance e mancette elettorali erogate dallo stesso Presidente del Consiglio, le quali concorrono nominalmente a far lievitare di qualche frazione il medesimo prodotto interno lordo, ma contestualmente aumentano un indebitamento pubblico colossale, ancora finanziabile solo in virtù della nostra appartenenza alla tanto bistrattata zona euro.
Sul piano strutturale, invece, niente è stato fatto in prospettiva per ridurre la deriva di un Paese che ha continuato anche nel 2015 a vivere sotto la campana di vetro di un paternalismo di Stato che costa troppo e che deprime le sempre più ridotte capacità produttive - quelle che per intenderci creano cose che qualcuno è disposto liberamente ad acquistare sul mercato - del nostro tessuto economico. I grandi capitoli della spesa pubblica italiana non sono stati neppure sfiorati dall’uomo dei miracoli e questo, come dimostra la sua raccapricciante manovra finanziaria tutta in deficit, impedisce di alleggerire nei fatti e non con le chiacchiere una pressione tributaria allargata insopportabile.
Ora, se vivessimo in un Paese politicamente evoluto, soprattutto dopo decenni di un catastrofico assistenzialismo di Stato, i magrissimi risultati sbandierati da Renzi, in rapporto alle sue roboanti promesse, avrebbero dovuto già dovuto decretarne la caduta. Ma questo non è finora avvenuto a causa di una oramai cronica mancanza di una seria alternativa politica. Tant’è vero che, al di fuori degli avventurismi grillini e lepenisti, l’Italia sembra sempre più refrattaria a costituire una rappresentanza politica strutturata che si basi su un diffuso senso della responsabilità individuale, vero antidoto contro ogni forma di populismo demagogico. Da questo punto di vista, il tanto vagheggiato partito liberale di massa sembra destinato a restare nel libro dei sogni anche nel 2016.

di Claudio Romiti -31 dicembre 2015

fonte: http://www.opinione.it
 

31/12/15

Crisi, 4.000 suicidi nel 2015: "Riforme per fermare questo eccidio"


Imprenditori, artigiani, commercianti, padri di famiglia o disoccupati. La crisi non guarda in faccia a nessuno, spingendo sempre più spesso le persone al suicidio


suicidi

Imprenditori, artigiani, commercianti, liberi professionisti, padri di famiglia o disoccupati. La crisi non guarda in faccia a nessuno, spingendo sempre più spesso le persone al suicidio. È questo il triste epilogo dell'Italia che non resiste. Il tutto nel silenzio assoluto delle istituzioni e della magistratura.
I numeri parlano di oltre 4.000 persone che si sono tolte la vita per la crisi economica che ha toccato imprese e famiglie, nel 2015. Un vero e proprio eccidio.

Il presidente di Confedercontribuenti, Carmelo Finocchiaro, rilancia l'allarme e chiede a Renzi "atti concreti per fermare questo drammatico fenomeno, attraverso riforme precise che riguardino il sostegno all'occupazione, la riforma del sistema bancario, la tutela del risparmio, la riforma di equitalia, oltre a precise iniziative per riqualificare la vita nelle città, e al sostegno alle famiglie sempre piu' impoverite. Senza trascurare la lotta all'usura criminale e al racket".

Mercoledì, 30 dicembre 2015 
fonte: http://www.affaritaliani.it

29/12/15

L’ultima comica: la guerra all’Europa



 


Che pena questo Matteo Renzi che gioca a fare il duro con Bruxelles e con la signora Angela Merkel. Da giorni assistiamo al deprimente spettacolo di un leader disperato. Le ha sparate troppo grosse, il giovanotto, per impressionare i suoi sostenitori non meno dei suoi avversari e ora, che i risultati positivi promessi non arrivano, non sa più che pesci prendere.
L’ultima legge di stabilità lo dimostra con drammatica evidenza. In cosa consisterebbe la svolta annunciata? Quand’è che il debito pubblico è stato abbattuto? Che fine hanno fatto i risparmi su una macchina statale che costa all’inverosimile? Dov’è la crescita assicurata? Sarebbe quello striminzito zero-virgola di Pil? Matteo Renzi ha raccontato di un miracolo italiano inesistente e adesso deve inventarsi fantasiose guerre da combattere pur di far dimenticare alla nazione le balle che ha raccontato. Negli ultimi giorni ha deciso di puntare sullo scontro con gli europoteri utilizzando argomenti del repertorio tradizionale della Lega di Matteo Salvini. Di là dalla cortina fumogena azionata dai media di regime, pensate che gli italiani siano così superficiali e distratti da non accorgersi che la manovra renziana sia una patetica farsa? Anche l’elettore più sprovveduto non potrà negare che se fosse autentico il ravvedimento del giovanotto fiorentino sulla via di Bruxelles esso comporterebbe una plateale dichiarazione di resa alle ragioni dei nascenti populismi, in Italia e in Europa.
Invece, non c’è niente di serio nell’attivismo di Renzi: la sua è solo tattica propagandistica totalmente mancante di strategia. Il vero obiettivo è più miserevole di quanto si immagini: si tratta di fingere di fare la voce grossa nella speranza di raccattare qualcosa a Bruxelles, magari sotto forma di flessibilità nello sforamento dei conti, da spendere in patria prima della tornata elettorale delle prossima primavera. Alle Europee del 2014 il Paese volle offrire alla “giovane promessa” venuta da Firenze una generosissima apertura di credito. Purtroppo per lui, e per noi, quel capitale di fiducia consegnatoli sotto forma di un sonoro 40 per cento dei consensi non esiste più. Si è liquefatto.
Il Paese non sta meglio degli anni precedenti. Al contrario, la crisi ha peggiorato le condizioni di vita di parecchi. Lo dicono i dati sulla povertà che sono macigni, non pietre. Se al Premier sta bene così continui pure a fare il Peter Pan su un’isola che non c’è. Ma dire che il peggio è passato visto che a Natale le famiglie hanno speso per il cenone più degli anni precedenti, omettendo di segnalare che ristoratori e albergatori piangono perché per loro è stata crisi nera, significa fare una politica “magliara”, indegna di un Paese serio. Dire che le sanzioni che l’Europa intende comminare all’Italia sulla mala gestio dei migranti siano lunari, come ha fatto il palafreniere del governo, Angelino Alfano, significa non essere minimamente rilevanti nei palazzi che contano, dove si decidono i destini di questa Europa. Vuol dire essere marginali, in tutti i sensi. Appendersi poi, come tenta di fare il Renzi in versione natalizia, agli specchi della propaganda e cavalcare gli umori della gente comune non è una linea politica: al più è un tentativo maldestro di restare a galla.
Ma la storia insegna che quando lo scopo ultimo si confonde con gli strumenti impiegati per raggiungerlo, il potere diviene effimero, l’azione di governo autoreferenziale e la politica rovina in un esilarante intreccio plautino dal retrogusto macabro. Come l’ignobile aggrapparsi alla retorica dei cadaveri affioranti dalle acque del Canale di Sicilia. Per dare senso all’arbitraria occupazione delle istituzioni si ricorre al consunto repertorio teatrale di una politica ridotta a spettacolo. Null’altro! Ora, un Matteo Renzi che ringhia alla signora Angela Merkel dovrebbe piacere agli italiani. Invece no, perché non è credibile. Volete che gli si batta pure le mani?

di Cristofaro Sola - 29 dicembre 2015
fonte: http://www.opinione.it

Marò: Elio Vito, non si capisce in cosa si sia manifestata vicinanza Renzi Elio Vito



Elio Vito

Elio Vito

“Non si capisce in cosa si sia manifestata la vicinanza di Renzi a Latorre e Girone visto che non ha mai voluto incontrarli. E tra l’altro Latorre è in Italia per cure”. Lo afferma Elio Vito, capogruppo in commissione Difesa della Camera.
“Renzi – aggiunge l’esponente azzurro – è colpevole di avere atteso oltre un anno e mezzo per avviare l’arbitrato internazionale che il Parlamento all’unanimità aveva chiesto. Ma la cosa più grave è aver cercato invano un impossibile accordo politico con l’India che ha umiliato la nostra sovranità nazionale, i diritti dei nostri fucilieri, ancora ingiustamente e illegalmente trattenuti dall’India dopo quasi 4 anni senza un capo di imputazione e con le prove della loro innocenza”.

29 dicembre 2015 

Marò. L’amara realtà di Latorre e Girone nonostante gli annunci ricorrenti di Renzi e c.


Latorre e Girone con i baschi del San Marco
Latorre e Girone con i baschi del San Marco

“Il Tribunale del Mare aveva riconosciuto ad agosto che il caso dei marò esulasse dalle competenze della giurisdizione indiana. L’Italia ha visto riconosciute le proprie ragioni. Siamo fiduciosi che anche il Tribunale internazionale dell’Aja le riconoscerà. Ci sono tutte le condizioni perché Girone possa presto riabbracciare la sua famiglia”: il leitmotiv è sempre lo stesso. Anche nell’ultima intervista del ministro della Difesa Roberta Pinotti a “Il Mattino” torna il ritornello dell’imminente risoluzione del caso dei marò e del rientro di Girone in patria. Tutto ruota intorno all’indeterminatezza del ricorrente aggettivo “presto”.
Con un vertenza aperta con l’India dal febbraio 2012, i premier Monti, Letta e Renzi, e i ministri che si sono succeduti alla Difesa e agli Esteri non hanno mai mancato di alimentare le speranze di una rapida e positiva conclusione della contesa. A pochi giorni da una serie di scadenze roventi – discussione da parte del Tribunale arbitrale de L’Aja della richiesta di misure cautelari per i militari italiani, udienza della Corte Suprema indiana del 13 gennaio e scadenza del permesso per cure mediche di Latorre il 16 gennaio – rileggere le dichiarazioni degli esponenti del governo Renzi sulla vicenda fotografa i minimi margini di manovra e i piccoli progressi raggiunti (l’internazionalizzazione prima davanti al Tribunale di Amburgo, ora a l’Aja).

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Eppure proprio il premier fiorentino, il 22 febbraio 2014 aveva cinguettato senza indugi, dopo aver contattato i due Leoni del San Marco: “Ho appena parlato al telefono con Massimiliano Latorre e Salvatore Girone. Faremo semplicemente di tutto perché i due militari possano presto tornare a casa”. “Consideriamo il vostro caso una priorità – sottolineò al tempo il presidente del Consiglio a Latorre e Girone – siamo pronti a fare tutto quanto è in nostro potere per arrivare il più rapidamente possibile ad una soluzione positiva”. La stessa posizione era stata assunta dall’appena nominata ministro della Difesa, Roberta Pinotti. Subito dopo il giuramento non aveva avuto dubbi nell’inserire il dossier Latorre-Girone in cima all’agenda del suo impegno nell’esecutivo: “È la prima preoccupazione, il primo pensiero che dobbiamo avere”. E rimanendo in tema, anche Paolo Gentiloni, titolare della Farnesina, a novembre del 2014 aveva riproposto un lessico da alpinista affermando che il caso marò “è in cima alla nostra agenda”. Il 21 gennaio 2015, in una intervista al Qn addirittura immaginava “con l’India, una via d’uscita”.
Queste ultime feste natalizie, infine, hanno reso evidente la violazione dei diritti umani sofferta dai due militari italiani. Il fuciliere barese Salvatore Girone ha trascorso il terzo Natale di fila in India, raggiunto dalla moglie Vania e dai due figli: una piccola gioia che non può mitigare la concreta privazione che Salvatore patisce ogni giorno, vedendo annichilito il ruolo di padre nei confronti dei due bambini, in un delicato momento di crescita, e costretto a limitarsi a quotidiani dialoghi digitali. Sono feste amare anche per Latorre: il militare tarantino è alle prese con cure specialistiche e vive queste settimane con l’incertezza legata al suo permesso. Scade il 16 gennaio e nessuno può assicurargli che sarà rinnovato. (da Il Tempo)

29 dicembre 2015 da Michele De Feudis
fonte: http://www.barbadillo.it

28/12/15

Piccole ma cattive: le corvette russe classe Buyan


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Il 7 Ottobre scorso dal Mar Caspio un flottiglia russa ha lanciato 26 missili da crociera “Kaliber” su alcuni bersagli terrestri  in Siria. I missili hanno percorso circa 1.500 chilometri sorvolando territori iraniani ed iracheni per colpire centri di comando e depositi dei ribelli nei pressi delle città di Raqqa e di Aleppo.
L’operazione è stata insolitamente ben documentata da foto e filmati russi riguardanti sia la fase di lancio che quella d’impatto. Della flottiglia russa facevano parte una fregata della classe “Gepard” e tre corvette della classe “Buyan”. L’azione di tipica power projection ashore della Marina di Mosca ha avuto numerosi commenti sulla stampa, ma, a nostro giudizio, non è stato sufficientemente sottolineato l’intervento delle “Buyan”.



La corretta denominazione russa di queste unità minori è quella di “small- size gunnery ship”, ma pare accettata anche la loro classificazione quali “corvette” forse per renderle più appetibili ad un eventuale acquirente estero.
Si tratta di un prodotto del famoso centro progettistico di Zelenodol’sk (città della Russia che si trova nella Repubblica autonoma del Tatarstan) con famosi cantieri navali fondati nel 1895, nei quali già durante la guerra fredda venivano progettate navi da guerra.
Il progetto iniziale fu denominato “21631”, ma solo tre unità vi appartengono e tutte operative nella Marina del Caspio, il successivo progetto “21631” ne ha sviluppato le caratteristiche rendendole missilistiche e destinandole non solo al Caspio ma anche alla Flotta del Mar Nero.



La recentissima pubblicazione dell’US Office of Naval Intelligence intitolata “The Russian navy, a Historic Transition” classifica le prime tre con la sigla PG, vale a dire cannoniere da pattugliamento, mentre attribuisce la caratteristica PGG alle ultime facendole rientrare nella categoria delle unità da pattugliamento armate di missili guidati.
Esaminiamo brevemente le caratteristiche di queste interessanti navi.
Le unità del progetto “21630”, dette anche classe “Astrakhan” dal nome della prima unità, pur progettate dal centro ingegneristico Zelenodol’sk sono state costruite dai cantieri Almaz di San Pietroburgo tra il 2005 ed il 2011. Sono lunghe 62 metri, dislocano circa 500 tonnellate e propulse da due water jet mossi da motori Diesel raggiungono i 25-26 nodi.
Il loro armamento è veramente cospicuo trattandosi di un cannone da 100 mm del tipo “A-190-01” ad alto volume di fuoco utilizzabile sia contro bersagli di superficie che aerei, di un lanciatore SAM per missili “Gibka”, di un lanciarazzi da 122 mm a 40 canne per utilizzo contro costa, di due mitragliere Gatling a sei canne da 30 mm e due mitragliatrici da 14,5 mm.



Le consorelle maggiori del progetto “21631” sono più lunghe (74 metri) e sfiorano il dislocamento di 1.000 tonnellate ed all’armamento delle “Astrakhan” aggiungono l’impianto per il lancio verticale (VLS) di otto missili da crociera “Kaliber”, che sono stati i protagonisti dell’azione contro l’ISIS. Di queste unità esiste anche una versione da esportazione dal nome di “Tornado” (progetto 21632) di cui un’unità è stata fornita dal Kazakhstan.
L’equipaggio di circa 35-40 persone dovrebbe, a nostro parere, avere sistemazioni logistiche piuttosto “rustiche” in considerazione dei molti spazi a bordo occupati dai sistemi d’arma, dai depositi munizioni e dalle attrezzature elettroniche, comunque l’autonomia dichiarata è di ben 10 giorni di mare.



Il programma di costruzione per le Buyan missilistiche, costruite da Zelenodol’s Zavod, sembra essere di 10 unità da realizzare entro il 2019 migliorando in modo significativo l’efficacia militare sia della Flottiglia del Caspio sia della Flotta del Mar Nero con piccole unità dotate di un significativo armamento land attack oltre che di eccellenti sistemi di autodifesa.
In conclusione ci pare che le caratteristiche complessive di queste navi stiano dimostrando un certo cambiamento della strategia navale russa nell’area meridionale degli interessi di Mosca con lo schieramento di unità di limitate dimensioni, adatte quindi ad operare in mari ristretti, ma con una capacità di intervenire su bersagli terrestri situati a notevolissime distanze (oltre 1.000 chilometri) dal punto di lancio. E’ forse presto per dare giudizi, ma l’attenzione su questi mezzi ci appare doverosa.


Foto: Marina Russa

di Pier Paolo Ramoino - 28 dicembre 2015
fonte: http://www.analisidifesa.it

Pier Paolo Ramoino

Pier Paolo Ramoino

.L'ammiraglio Ramoino è Vice Presidente del Centro Universitario di Studi Strategici e Internazionali dell'Università di Firenze, Docente di Studi Strategici presso l'Accademia Navale di Livorno e cultore della materia presso la Cattedra di Storia delle Relazioni Internazionali dell'Università Cattolica del S. Cuore a Milano. Dal 1982 a tutto il 1996 ha ricoperto le cattedre di Strategia e di Storia Militare dell'Istituto di Guerra Marittima di Livorno, di cui è stato per dieci anni anche Direttore dei Corsi di Stato Maggiore. Nella sua carriera in Marina ha comandato diverse unità incluso il caccia Ardito e l'Istituto di Guerra Marittima.
 


Società Noi amiamo la vita più di quanto essi vogliano la morte


 
Noi amiamo la vita più di quanto essi vogliano la morte
C’è un ideale per cui valga la pena vivere, più potente di quello per cui i terroristi muoiono? Un ideale per vivere è molto di più di uno per cui morire



Parigi, 15 novembre 2015. La folla sul sagrato di Notre Dame in occasione della Messa dopo gli attentati terroristici del 13 novembre
Dopo la strage che ha sconvolto nuovamente il mondo lo scorso 13 novembre a Parigi, risuona ancora una volta l’affermazione impressionante contenuta nel comunicato di rivendicazione dell’attentato dell’11 marzo 2004 a Madrid, attribuito al portavoce di Bin Laden: «Noi amiamo la morte più di quanto voi amiate la vita». Già dopo la tragedia apocalittica delle Torri Gemelle a New York l’Occidente era rimasto sconvolto dalla furia ideologica dell’estremismo fondamentalista di matrice islamica, ma Madrid e Londra prima, Parigi ora hanno oscurato l’idea pur giusta e tranquillizzante di un’Europa centro del dialogo con tutti, luogo di apertura sul Mediterraneo e nesso col Medio Oriente. Questa idea è messa in discussione dal terrore, che è precisamente lo scopo del terrorismo: riempire di incertezza e confusione l’urgenza di una reazione, che protegga noi, le nostre città e il nostro mondo. Ma proprio il fatto che tutti avvertiamo la necessità di difenderci deve farci riflettere su cosa vogliamo veramente difendere e quale sia la difesa vincente sul lungo periodo.
Che cos’è la paura che ci fa sentire insicuri, precari e sospettosi, quando per strada, al bar, in treno e soprattutto in aeroporto vediamo e sentiamo persone o gruppi diversi da noi chiacchierare in una lingua che ci sembra arabo? Il nostro benessere, la nostra organizzazione sociale, il nostro ordine non bastano a darci certezze, a contrastare quella dedizione che i terroristi hanno per la morte, sì da sembrare indomabilmente più forti di noi. C’è un ideale per cui valga la pena vivere, più potente di quello per cui i terroristi muoiono?
Un ideale per vivere è molto di più di uno per cui morire. Nel primo caso, la vita, pur con il suo carico di contraddizioni e sofferenze, è positiva, luogo di significato, compimento e promessa di compimento. I martiri cristiani hanno dato e purtroppo danno la vita, vivendo e affermandola anche quando viene loro tolta violentemente. Nel secondo caso, la vita propria e altrui è insignificante e vi si può rinunciare o sopprimerla per un utopico progetto di paradiso terreno o ultra-terreno. Si tratta di una declinazione più elementare delle ideologie che hanno insanguinato il Novecento. Mentre siamo impegnati a discutere di quale spazio dare a presunti nuovi diritti, indifferenti o polemici con i valori e le verità della nostra tradizione, siamo investiti da un treno in corsa, che travolge la nostra superficialità e disattenzione.
Il buio della tragica ondata di nonsenso, di cui siamo vittime e autori, deve trasformarsi in una spinta cogente a riflettere su chi siamo e così cercare una sponda per un possibile cambiamento, per un possibile sguardo nuovo sulle cose. C’è ancora qualcosa per cui continuare a uscire di casa, andare al lavoro, metter su famiglia, portare i figli a scuola, anche solo andare al cinema, a fare la spesa o partire per un viaggio, curarsi per una malattia, assistere chi ha bisogno, decidere di continuare a respirare stesi su un letto di ospedale senza più poter muovere un muscolo se non le palpebre… insomma vivere e convivere?
Nel corso di un ritiro spirituale tenuto agli studenti universitari di Comunione e Liberazione nel 1994, don Giussani raccontò un episodio riguardante madre Teresa di Calcutta. Un giornalista aveva intervistato una giovanissima suora di madre Teresa, non ancora ventenne, e lei disse: «Ricordo di aver raccolto un uomo dalla strada e di averlo portato nella nostra casa». «E cosa disse quell’uomo?». «Non biascicò, non bestemmiò, disse soltanto: “Ho vissuto sulla strada come un animale e sto per morire come un angelo, amato e curato. (…) Sorella, sto per tornare alla casa di Dio” e morì. Non ho mai visto un sorriso come quello sulla faccia di quest’uomo.» Il giornalista replicò: «Perché anche nei più grandi sacrifici sembra che non ci sia sforzo in voi, che non ci sia fatica?». Allora intervenne madre Teresa: «È Gesù quello a cui facciamo tutto. Noi amiamo e riconosciamo Gesù, oggi». E commentava don Giussani: «Quel che c’era ieri o è oggi o non c’è più». È proprio questo “oggi” che fa la differenza, il riconoscere quello sguardo sulla propria vita oggi, non ieri o 2000 anni fa. 

I messaggeri del nulla 
Perché uno avverte immediatamente come bene un gesto come quello descritto, a prescindere dalla propria posizione religiosa o ideologica? Perché è profondamente umano e quindi vero per tutti. Risveglia qualcosa che c’è nell’io, che magari uno neanche si ricorda di avere. Corrisponde! L’argine alla disumanità dei tempi è un cuore che desidera vivere per il bene, per quel bene che rende ragione del passato e desta la speranza per il futuro. L’ideale della libertà sul quale sono stati costruiti i nostri paesi, sfida qualsiasi violenza dentro e fuori i confini e ha la sua origine nel fatto che ogni singolo essere umano, qualunque sia la sua condizione fisica e morale, è rapporto con l’infinito e quindi ha un destino di cui nessuno può essere padrone. Dare la vita per il bene della singola persona, non per distruggere l’altro in nome della morte. Chi difende il nulla, chi nega l’urgenza di sostenerci a cercare un significato per il vivere, fa da sponda ai messaggeri della morte. Perché i messaggeri della morte sono i messaggeri del nulla.
In questa situazione dobbiamo riconoscere che l’unica possibile ripartenza è un’educazione autentica, la liberazione dell’io dalla schiavitù di un orizzonte piccolo per la propria esistenza. Solo con un ideale grande c’è libertà, e quindi coraggio per affrontare la vita, comunque essa si presenti. La risposta adeguata a tale esigenza non comincia con un’iniziativa nostra, ma dalla accoglienza di quello che magari inconsapevolmente aspettiamo. È Natale!

Il grande annuncio
Il Natale, con la lieta notizia di Dio che si fa uomo, ci richiama ad accorgerci che l’umanità più grande di cui abbiamo bisogno si realizza attraverso l’ingresso nel mondo di una verità concreta, tanto inaspettata quanto visibile e frequentabile. Questo ideale ha un punto di verifica oggettivo che chiunque può riconoscere, in qualunque parte del mondo, qualunque sia il suo credo, religione, cultura, genere o sesso: esso afferma il bene e ama il destino di ogni singola persona.
Esiste un bene a cui dare la vita più grande del male che la nega? Finché non cominceremo a spendere la nostra vita per rispondere a questo interrogativo, saremo sempre schiavi della paura, perché la vita è appesa a un filo. Papa Francesco ci ricorda che l’unica giustizia che può trionfare è il nome di Dio e si chiama Misericordia: «Solo l’amore riempie i vuoti, le voragini negative che il male apre nel cuore e nella storia».
In questi giorni come duemila anni fa risuona in tutti gli angoli della Terra per bocca di quella cristianità che ha costruito l’Europa il grande annuncio con cui si avvia il vangelo di san Giovanni: «Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo». Ma l’uomo di oggi, stremato dalle proprie ansie e ferito dalle delusioni, saprà ancora riconoscerla e accoglierla? Quello che propone il Papa con l’istituzione del Giubileo della Misericordia è la presenza di una realtà storica, positiva per noi tutti, contro qualunque minaccia di male, tanto del nemico da fuori quanto della nostra meschinità da dentro. La Chiesa si rivolge a noi come luogo scelto per ospitare e far conoscere l’avvenimento di Cristo che permane nella storia. Questa scalcagnata compagnia umana nella quale continua ad essere presente il Verbo fattosi carne è il metodo che ha voluto Cristo stesso. Questa è in fondo la nostra sicurezza, nient’altro.

Foto Ansa
dicembre 25, 2015 Giancarlo Cesana - Davide Prosperi
fonte: http://www.tempi.it/

27/12/15

CASO MARO'/ENRICA LEXIE - INDIA " L’Italia ancora in panne sul caso marò "

Il caso marò è tornato in questi giorni  alla ribalta non solo perché Salvatore Girone ha trascorso il suo quarto Natale da “prigioniero” nell’ambasciata italiana a Nuova Delhi ma soprattutto perché il Tribunale internazionale che gestisce la procedura d’arbitrato non sembra intenzionato a dare risposta immediata alla richiesta di Roma di consentire il rientro a casa del militare del Reggimento San Marco in attesa che vi sia un verdetto sulla vicenda che risale al febbraio 2012.
La settimana scorsa l’Italia ha infatti depositato al Tribunale Arbitrale costituito presso la Corte Permanente d’Arbitrato de l’Aja una richiesta di “autorizzare il fuciliere Salvatore Girone a tornare in Italia e a restarvi per tutta la durata della procedura arbitrale in corso”.



Nei giorni scorsi è trapelata la notizia che Matteo Renzi avrebbe chiesto a Barack Obama “una mano” per giungere al più presto al rilascio del fuciliere di Marina permettendogli di tornare in Italia dove, è ormai certo, resterà il suo compagno di sventura, Massimiliano Latorre, che non è mai ritornato in India dopo la lunga convalescenza per il malore che lo colse l’anno scorso.
Gli Stati Uniti potrebbero essere interessati ad aiutare l’Italia esercitando pressioni su Nuova Delhi, considerata a Washington un alleato di grande rilevanza nella strategia di contenimento della potenza cinese. La diatriba con l’Italia non aiuta il progetto statunitense poiché Roma potrebbe opporsi alla piena integrazione dell’india in alcuni consessi internazionali.


Come ad esempio l’MTCR (Missile Technology Control Regime) , organismo che raccoglie 43 Paesi possessori di tecnologia missilistica strategica (spaziale e balistica) a cui l’ingresso dell’India è stato impedito nei mesi scorsi dal veto italiano.
Un veto che ha messo in imbarazzo Washington che aveva dato ampie garanzie a Delhi sull’accesso a quello e ad altri organismi multinazionali che si occupano di armi e tecnologie strategiche.
Per questo gli Stati Uniti avrebbero tutto l’interesse a cercare di mediare, in attesa delle decisioni giudiziarie, la crisi tra due Stati suoi alleati. In realtà il governo italiano sembra alternare il bastone alla carota e infatti non si è opposto all’accordo stipulato da Fincantieri con due cantieri navali indiani di proprietà statale (Mazagon Dock Limited e Garden Reach Shipbuilders & Engineers) per acquisire tecnologie italiane utili allo sviluppo delle 7 nuove fregate lanciamissili “stealth” (a ridotta visibilità radar) della Marina Indiana tipo P-17A.



Come ha evidenziato il Corriere della Sera, il governo nazionalista di Narendra Modi ha l’opportunità di lasciar andare Girone in attesa dell’esito dell’arbitrato oppure potrebbe non opporsi a un’ordinanza di rilascio del militare da parte del collegio arbitrale composto da 5 giudici (un indiano, un italiano, un coreano, un giamaicano e un russo) la cui decisone è attesa però non prima di marzo.
A quasi 4 anni dal 15 febbraio 2012 e dalla morte di due pescatori indiani, che l’India attribuisce al fuoco dei militari italiani imbarcati sulla petroliera Enrica Lexie, la ricorrenza natalizia torna ad alimentare la polemica politica con aspre critiche rivolte al governo Renzi soprattutto da Lega Nord e Fratelli d’Italia.
Il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha telefonato a Salvatore Girone al quale, recita un comunicato del Quirinale, ha fatto gli auguri e ha assicurato che “le istituzioni e il Paese sono impegnati per una rapida soluzione della vicenda che riguarda lui e Massimiliano Latorre”.



Una telefonata doverosa da parte della più alta carica dello Stato anche se forse l’espressione  “rapida soluzione” non appare la più felice.
Anche perché Girone è da tempo provato psicologicamente e nei giorni scorsi ha ben evidenziato il suo malessere postando un quadrato nero su Facebook in sostituzione della sua foto.
“Sono molto fiducioso che sia fatta giustizia e questo soprattutto con i criteri del buon senso e nel rispetto del diritto internazionale, affinché ci vengano restituite la mia libertà, e quella di Massimiliano Latorre. Questo perché sono ormai quattro anni che vivo con la mia libertà soppressa” ha scritto Girone poco prima di Natale.


Invece Latorre ha pubblicato, sempre su quel social network, un link con una intervista a Carlo Noviello, comandante in seconda dell’Enrica Lexie, nella quale si ribadisce l’innocenza dei due militari del San Marco in merito alla morte di due pescatori nelle acque del Kerala.
Nel documento audio, datato ma poco conosciuto, Noviello ricostruisce l’azione dei fucilieri che tentarono di respingere l’abbordaggio della Enrica Lexie da parte di una barca differente dal peschereccio St. Antony, su cui si trovavano i due pescatori uccisi.
Latorre sembra aver così voluto ribadire che le accuse indiane contro i due fucilieri sono del tutto inattendibili.
Foto: Ansa e Lapresse
tramite: http://www.analisidifesa.it

Gianandrea Gaiani

Gianandrea Gaiani

Giornalista nato nel 1963 a Bologna, dove si è laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 ha collaborato con numerose testate occupandosi di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportages dai teatri di guerra. Attualmente collabora con i quotidiani Il Sole 24 Ore, Il Foglio, Libero, Il Corriere del Ticino e con il settimanale Panorama sul sito del quale cura il blog “War Games”. Dal febbraio 2000 è direttore responsabile di Analisi Difesa. Ha scritto Iraq Afghanistan - Guerre di pace italiane.
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