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Non smettete mai di protestare; non smettete mai di dissentire, di porvi domande, di mettere in discussione l’autorità, i luoghi comuni, i dogmi. Non esiste la verità assoluta. Non smettete di pensare. Siate voci fuori dal coro. Un uomo che non dissente è un seme che non crescerà mai.
Mai riscatto fu pagato ad alcuna organizzazione terroristica. L'Italia è generosa in 'aiuti umanitari mirati'
Che strano mondo. Tutti credevano di sapere che l’Italia pagava
da sempre i riscatti per salvare la vita ai suoi sequestrati e ora ci
dicono che siamo in malafede: le due cooperanti d’avventura sono libere
per bontà d’animo dei sequestratori. Quasi quasi da mandargli un ‘aiuto’
come premio bontà
Strano mondo, torno a ripetere. Una vita di frontiera tra
sequestri e segreti e riscatti pagati dello Stato. Credevamo. Credevo di
sapere -ad esempio- che un milione di dollari in banconote usate di
taglio misto pesava circa 20 chili e occupava tutto uno zaino. Credevo
di sapere di banditi che dall’Iraq alla Siria, passando per la Libia,
sequestravano italiani per avere soldi, e ora scopro fossero dei
semplici bontemponi che offrivano rudi vacanze gratis. Scoramento: ‘Caro
signor Ministro, con cui ci davamo del tu, ma chi ti ha scritto quegli
impapocchiamenti che hai letto in Parlamento?’.
Il
ministro che non paga riscatti, le due ex sequestrate, a destra Claudio
Taffuri, Unità di Crisi della Farnesina che va a recuperare tutti i
sequestrati italiani liberati gratis
Il Segreto di Stato si può difendere certamente meglio. Dell’italiota
‘dico e non dico’ ride il mondo. ’Siamo contrari al pagamento di
riscatti’: esiste qualcuno che invece è contento di farlo? ‘L’Italia in
tema di rapimenti si attiene a comportamenti condivisi a livello
internazionale, sulla linea dei governi precedenti’. Comportamenti
trattativisti o all’americana? Risposta non pervenuta. Governi
precedenti: allora siamo sicuri del pagamento. ‘Solo illazioni il
presunto pagamento’ dice il ministro. Forse i 12 milioni detti da alcuno
sono davvero troppi. Se scendiamo attorno ai 5 va meglio?
A memoria del ministro. Stati Uniti e Regno Unito si dichiarano tra i
pochi Paesi al mondo che non pagano riscatti ma tentano azioni militari
per liberare gli ostaggi. Nella gran parte dei Paesi europei le cose
vanno molto diversamente, scrive il New York Times. «Gli americani ci
hanno detto un sacco di volte di non pagare riscatti. E noi abbiamo
risposto che non li vogliamo pagare (come detto da Gentiloni NdR), ma
non possiamo lasciar morire i nostri cittadini», ha raccontato un
ambasciatore europeo. Ovviamente non si tratta mai di ‘riscatti’ -vero
ministro?- ma di generosi ‘aiuti umanitari’.
Secondo i calcoli del giornalista americano Callimachi sul NYT,
‘donazioni’ simili hanno fruttato alla rete di al Qaida almeno 165
milioni di dollari in cinque anni, più di 60 soltanto nel 2013. A pagare
di più sono stati i francesi, che hanno subito il numero maggiore di
rapimenti. Diciassette cittadini francesi e un totale di 58 milioni di
dollari sono stati pagati in riscatti. 10 persone liberate, 5 uccise.
Tra i Paesi europei, la Svizzera ha pagato 14 milioni in riscatti,
seguita dalla Spagna con circa 10. Anche l’Italia avrebbe pagato
all’organizzazione, anche se non quanti Francia e Spagna.
Il ministro Gentiloni mentre la racconta al Parlamento
Secondo diversi organi di stampa, i casi di Simona Pari e Simona
Torretta (2004), Giuliana Sgrena (2005), Clementina Cantoni (Afghanistan
2005), Rossella Urru e Mariasandra Mariani (2011) si sarebbero tutti
conclusi con il pagamento di un riscatto. Ovviamente, non ‘riscatti’ e,
ovviamente non ad Al Qaeda, direttamente. Anche il modo con cui i
rapitori approcciano chi deve pagare il riscatto è collaudato. Prima una
lunga fase di silenzio per creare panico. A quel punto c’è la
telefonata, poi video di sollecito a rilanciare l’attenzione. Poi
qualcuno paga. Ma mai un riscatto, parola di ministro.
Ci sono le piccole
spie del circo dei pidocchi italo-atlantisti che cavalcano, o si fanno
cavalcare, dai ratti islamo-atlantisti (dicesi zoccole), come due/tre
finte-giornaliste e/o studentesse di ‘giornalismo’ cui sono incappato ma
che si sono smascherate subito; e ci sono anche le coordinatrici
‘caritatevoli’ tra conferenzieri della NATO ed assassini jihadisti, che
usano il denaro pubblico e/o usurpato al gonzume popolinesco, per
finanziare inziative ‘umanitarie’ assieme ad al-Qaida. Non solo i doppi
servizietti segreti italidioti impancano la farsa delle due
sex-jihadiste per giustificare l’invio di 14 milioni di dollari ai loro
fidanzatini barbuto-ciabattari (con cui evidentemente gli spioni
italo-atlantisti hanno rapporti, magari passivi), ma spendono qualche
euro per raccattare aspiranti sex-jihadiste facebookkakiane camuffate da
‘ricercatrici di verità’, al solo scopo di spioncinare via FB, come gli
insegnano i loro addestratori (e di sicuro parenti), agenti
anal-fabeti, incompetenti e raccomandati, che appestano i servizietti
italo-kebabbari della Repubblichina anti-sociale
qatarioto-saudita-scalfariana (con spruzzatina di ceneri del carteggio
Napolitano-Provenzano). E questo mentre il governo italiano usa le tasse
estorte alla popolazione per finanziare, con 14 milioni di dollari, il
terrorismo taqfirita celebrato dalle due eroine del milieu sex-jhadista
che spazia dai centri sociali, gravidi di mezzane pseudo
filo-palestinesi, agli uffici del PD e della laidissima spia degli USA
Federica Mogherini, al ministero della Difesa italiano che spaccia
militari sotto copertura in Ucraina e in Siria, aiutando nazisti e
integralisti a compiervi pulizie etniche, giù fino ai covi di AISI,
AISE, Digos e altre fogne del sistema italiano, che partecipano in
subordine ai macelli libico, siriano e iracheno. E qualcuno di tali
ratti ha anche il coraggio di minacciare querele. (E che dovrebbero studiarsi bene, prima).
Uno
dei due soldati siriani della 93.ma Brigata sequestrati dagli
islamisti, ovvero dai fidanzatini dei vari Marzullo, Ramelli, Andervill,
Farnesina, Ceniti, Francia, Tizzani, Appiani, Soufi,
Fangareggi e altre odalische taqfire d’Italia. Dopo che i terroristi
assassinarono il primo soldato, chiesero al secondo di dire che “Lo
Stato islamico è eterno”. Invece, prima di essere ucciso con un colpo
alla testa, questi ha risposto: “Giuro su Dio che vi annienteremo!”. Dio
abbia pietà delle vostre anime, coraggiosi soldati dell’Esercito Arabo
Siriano. Il vostro sangue non sarà sparso invano. Nessuna pietà per i ratti islamisti, e i loro pidocchi italiani.
Vanessa, Greta e le sette taqfiriste
Alessandro Lattanzio, 8/8/2014
Greta
Ramelli e Vanessa Marzullo sono le ‘cooperanti’ filo-islamiste
scomparse il 1 agosto nella provincia di Aleppo, in Siria, dopo essere
state infiltrate dai servizi segreti italiani e turchi in territorio
siriano. La Farnesina, ovvero il ministero degli Esteri italiano, al
solito sproloquia di “progetti umanitari nel settore sanitario e idrico”
seguiti dalle cooperanti. In Siria e in una zona bellica? Le due
‘cooperanti’ operano assieme a Roberto Andervill, dell’IPSIA Varese, ONG delle ACLI, che dopo essersi distinto in Bosnia e
Kosovo, dove la presenza islamista è notevole, è divenuto un attivista a
favore della “Rivoluzione antigovernativa”. Con Marzullo e Ramelli ha
creato il progetto Horryaty (“per servizi idrici, sanitari e
culturali” da sviluppare in Siria, a credergli) e per cui si sono
infiltrti nell’area rurale di Idlib dalla Turchia, accompagnati dai
terroristi che affliggono la Siria e con l’evidente supporto dei servizi
d’intelligence italiani e turchi, (ovvero della NATO). Andervill, a
conferma dei sospetti, il 7 agosto ha chiuso la pagina facebook del progetto Horryaty proprio quando due suoi elementi sono ‘scomparsi’. Strane le affermazioni del soggetto: “E’
lei che ha mandato le due ragazze in Siria? “Assolutamente no. Intanto
chiariamo una cosa: Horryaty non è un Organizzazione Governativa o una
Onlus. E’ semplicemente un gruppo di tre persone che hanno a cuore un
paese e hanno deciso di fare qualcosa per aiutarlo”.” Quindi? Una
comitiva per una scampagnata, o qualcos’altro d’incofessabile? Tale
presa di distanza suscita solo ulteriori sospetti.
Nessun dubbio sulle finalità politiche di simili iniziative ‘umanitarie’
Difatti, già in precedenza Vanessa Marzullo aveva compiuto un tour de force
nella Siria assediata e martirizzata dagli stessi criminali che
l’accompagnavano. Il 6 aprile era a Homs, il 22 a Duma, centinaia di
chilometri più a sud, presso Damasco.
Questo è il tracciato del viaggio di Vanessa Marzullo nella Siria martirizzata dalla guerra islamo-atlantista. No Alpitour?
Tutto ciò è impossibile senza l’appoggio
delle intelligence dei Paesi interessati e dei mercenari
islamo-terroristi operanti in Siria: “Come avete fatto a entrare in
Siria? Lei era il più esperto del gruppo, è stato a Gaza, in Bosnia. Chi
ha trovato in contatti per passare il confine? “Certo,
non siamo entrati da soli. Ci ha aiutato un gruppo di persone
conosciute prima di partire, persone fidate. Abbiamo anche lavorato con
altre associazioni italiane come We are Onlus e Rose di Damasco. Siamo
sempre stati tutti e tre consapevoli dei rischi che correvamo e ci siamo organizzati in modo da passare il confine solo quando è strettamente necessario. Non siamo degli stupidi”.” Già Rose di Damasco, sulla relativa pagina facebook si legge: “MATERIALI
RACCOLTI VENGONO PORTATI IN SIRIA ATTRAVERSO I NOSTRI AMICI SIRIANI e
da SEGRATE CON CONTAINER poi ritirati e distribuiti in Siria da nostri
contatti locali. Altre associazioni fidate che si occupano della Siria
in Italia: Comunità araba siriana in Italia, We are, Insieme si puo’
fare, Onsur.it, Ossmei, Auxilia italia, il Cuore in Siria (ovvero Time4life), Insieme per la Siria Libera”. Tutte associazioni promosse dall’universo del dirittuamitarismo pronta cassa ex-cattocomunista: Arci, Acli e pretonzoli alla padre dell’Oglio non mancano; ma qualcuna riesce ad essere anche più inquietante: l’ong “Il Cuore in Siriaè
un progetto di solidarietà che nasce da un incontro di cuore fra
Claudia Ceniti, milanese, bancaria, Paola Francia, giornalista freelance
di Forlì e Pietro Tizzani, funzionario dell’Arma dei Carabinieri con esperienza in Kosovo”,
anche qui il Kosovo (e i servizi d’intelligence, cos’altro è un
‘funzionario dei carabinieri’?) fa curriculum per infiltrarsi in Siria,
per ‘scopi umanitari’. Sempre sulla pagina facebook di Rose di Damasco, si può leggere tale frase inequivocabile: “CONDANNIAMO IL REGIME DI ASSAD E SUOI ALLEATI IRAN E RUSSIA, COMPLICE SILENZIO MONDIALE
E LA DISINFORMAZIONE. CHIEDIAMO LA FINE DEL REGIME ASSASSINO, CHIEDIAMO
CHE SIA SALVAGUARDATA L’UNITÀ NELLA MOLTEPLICITÀ DEL PAESE E CHIEDIAMO CORRIDOI UMANITARI PER I RIFUGIATI E GLI AIUTI.” In sostanza Rose di Damasco
è un’organizzazione militante che affianca il terrorismo attivo e
operativo in Siria, auspicando perfino l’intervento armato diretto della
NATO contro la Repubblica Araba Siriana (i cosiddetti ‘corridoi
umanitari’).
A fine luglio Ramelli e Marzullo vengono infiltrate nel governatorato di Aleppo. “Il
30 luglio (Ramelli) ha mandato un messaggio su facebook a una decina di
amici, in realtà è la terza volta che si reca in Siria. Doveva stare
solo una settimana, ma ci ha comunicato che aveva deciso di fermarsi ancora perché si sentiva più utile sul campo.
A Varese e Milano organizzava incontri per la raccolta fondi, perché è
qui che ha fondato con la sua amica questa organizzazione. In questi
mesi ha fatto un lavoro splendido. Ci chiedeva di comprare latte in
polvere, materiale medico e altro. Rispetto alle modalità con cui
operava, sappiamo che arrivava in Turchia portando i soldi della raccolta fondi e poi entrava da una frontiera di quel paese”.
La Farnesina trova normale e auspicabile infiltrare cittadini italiani
in territorio straniero, per di più sotto il controllo di organizzazioni
terroristiche riconosciute come tali a livello mondiale. Riguardo ai
servizi segreti (le cosiddette ‘intelligence & sicurezza’),
chiaramente partecipano in prima linea a tale guerra di 4.ta generazione
contro il Popolo e le autorità siriane. Per il resto, non c’è alcun
dubbio che il progetto ‘umanitario’ Horryaty sia un’attività di fiancheggiamento del terrorismo che affligge la Siria.
La
bandiera ucraina accanto a quella siriana coloniale chiude il cerchio
dell’allenza tra islamismo mediorientale e nazifascismo ucraino
In Siria, contro la popolazione e le forze armate siriane, combattono anche jihadisti ceceni e tatari. Nelle file del Dawlat al-Islamiya fi al-Iraq wal-Sham
(Stato Islamico dell’Iraq e Levante – SIIL), operano l’emiro Umar
al-Shishani (Omar il Ceceno), a capo del gruppo ceceno ausiliario del
SIIL Muhajarin wal-Ansar (emigranti e partigiani), ma opera
anche Abdulqarim al-Uqraini (“Abdulqarim l’ucraino”) anche noto come
Abdulqarim Krimsky (“dalla Crimea”), vicecapo del Jaysh al-Muhajirin wal-Ansar (JMA). A febbraio, Abdulqarim al-Uqraini stipulò un accordo con la liwa Shuhada Badr, gruppo dell’esercito libero siriano (ELS). Abdulqarim al-Uqraini in precedenza guidava la Jamaat Crimea. Inutile ribadire che la Jamaat di Abdulqarim si era installata ad Haraytan, provincia di Aleppo, ospite della liwa Shuhada Badr. L’accordo tra al-Uqraini e liwa Shuhada Badr afferma tra l’altro l’imposizione dei comitati per la shariah gestiti da Ahrar al-Sham e Jabhat al-Nusra
nei villaggi e quartieri controllati dai terroristi, e di sostenersi a
vicenda nella guerra contro il regime di Assad. L’accordo è stato
firmato alla presenza di shaiq Abu Amir, rappresentante
dell’organizzazione terroristica Ahrar al-Sham. In precedenza, nell’ottobre 2013, ad Aleppo, 13 organizzazioni terroristiche taqfiriste, tra cui Jabhat al-Nusrah, Ahrar al-Sham e liwa al-Tawhid formavano Jabhat al-Islamiya
(Fronte Islamico), un’alleanza islamista ancor più ‘radicale’ rispetto
all’ELS. Tale dichiarazione avveniva dopo l’aumento dei rifornimenti
militari degli Stati Uniti e della NATO alle organizzazioni
terroristiche presenti in Siria. In seguito, venne creato l’Amaliyat Ghurfat Mushtaraqat Ahl al-Sham (AGMAS – Sala operativa congiunta del Levante), che coordina le operazioni nel governatorato di Aleppo della locale filiale di al-Qaida, Jabhat al-Nusra, del Jabhat al-Islamiya e del Jaysh al-Mujahidin (Esercito dei mujahidin).
Pochi giorni dopo la nascita del Fronte Islamico, altre 43 fazioni terroristiche creavano il Jaysh al-Islam guidato dal saudita Muhammad Zahran al-Lush. Ad esso aderivano la qataib
Junub al-Asima, liwa Shuhada Badr, qatiba al-Ashayr, qatiba Rayat
al-Haq, liwa Dara al-Ghuta, liwa Jaysh al-Muslimin, liwa Umar bin
Abdelaziz, liwa Tawhid al-Islam, liwa Maghawir al-Qalamun, liwa Fatah
al-Sham, qatiba Suqur Abu Dujana, liwa Shuhada al-Atarib, qataib Ayn
Jalut, qataib Nur al-Ghuta, liwa Umar bin al-Qatab, qataib al-Sadiq. In precedenza Zahran al-Lush guidava la liwa al-Islam, finanziata dal “Consiglio dei sostenitori della rivoluzione siriana in Quwayt”. La formazione di Jaysh al-Islam “rafforza
il fatto che la rivoluzione siriana si distingue per il suo
orientamento islamico. Rappresenta la fine di qualsiasi influenza
significativa detenuta dal secolare ELS non lasciando sostanzialmente
nessuno, nell”opposizione’ che non propugni un’identità islamica“.
Greta
Ramelli e Vanessa Marzullo, in questa foto, presa durante una
manifestazione antisiriana, reggono un cartello su cui è scritto: “Agli eroi di liwa Shuhada, grazie per l’ospitalità e se Dio vuole vedremo la città di Idlib libera quando ritorneremo”.
Ma cos’è l‘Itihad Liwa Shuhada Badr
(Unione dei battaglioni dei martiri di Badr)? Il suo capo è Qalid bin
Ahmad Siraj Ali (alias Qalid Hayani). Il gruppo è dedito a saccheggi e
altri crimini contro i civili nella provincia di Aleppo. La liwa Shuhada Badr
controlla due centri di tortura soprannominati “Guantanamo” e “Abu
Ghraib”, dove detengono avversari politici, militanti baathisti e civili
rapiti nei quartieri settentrionali di Aleppo. La liwa Shuhada Badr
è attivamente impegnata nella lotta contro la locale popolazione di
origine curda, ed è nota per l’uso dei famigerati “cannoni inferno”,
armi che lanciano grosse bombole di gas caricate di TNT, utilizzate
contro i quartieri filo-Baath di Aleppo. Ad aprile, una
coalizione di attivisti siriani per i diritti civili di Aleppo aveva
definito Hayani un “macellaio” avendo bombardato i civili, incoraggiato i
suoi uomini a violentare le donne e i prigionieri, per aver
saccheggiato e distrutto le industrie, laboratori e negozi di Aleppo per
venderne il materiale alle imprese turche. La liwa Shuhada Badr
controllava parte dei quartieri settentrionali di Aleppo Shayq Maqsud,
Bani Zayd, al-Qaldiya e Ashrafiya e dispiega parte dei suoi circa 3000
islamisti oltre che ad Aleppo anche a Hayan, Bayanun e Haraytan. A
giugno, il gruppo terroristico ha bombardato i quartieri occidentali di
Aleppo, filo-governativi, in risposta alle elezioni presidenziali
siriane.
Il terrorista Qalid Hayani perpetra massacri nel quartiere di Ashrafiya
Le due ragazze sono vicine anche ad organizzazioni come ‘Un esercito unificato per ripristinare la rivoluzione‘, emanazione del Fronte islamico, le cui iniziative hanno questo tenore: “Il PYD è criminale quanto i criminali del Partito Baath“.
Il PYD è il maggiore partito della minoranza curda in Siria, che ha una
notevole presenza ad Aleppo. Come visto, i curdi sono oggetto degli
attacchi della brigata taqfirista di Hayani, cui le due rapite (e
viciniori) esprimono entusiastico supporto e sostegno. In sostanza, le
ONG italiane o attive in Italia, con la copertura dei servizi segreti
(italiani e turchi), della Farnesina e di altri organismi delle
‘autorità italiane’ (scusate l’ossimoro), supportano attività, in
Italia, che sarebbero vietate dalla legge Mancino.
Infine, va ricordato che nei giorni della ‘scomparsa’ delle due
‘cooperanti’, esattamente il 2 agosto, veniva instaurato l’ennesimo
organismo-ammucchiata anti-Baath tra fazioni e bande
islamo-terroristiche. In tale caso si tratta di organizzazioni salafite e
della Fratellanza mussulmana (leggasi Qatar e Turchia). La nuova
organizzazione si chiama Comando del consiglio rivoluzionario e vi fanno
parte haraqat Hazam, Fronte dei siriani rivoluzionari,
Duru Hayat al-Thawra, Firqat 101, Jabhat al-Haq al-Muqatila, Alwiyat
al-Ansar, Jaysh al-Mujahidin, Ajinad al-Sham, liwa al-Haq, Suqur
al-Sham, Jaysh al-Islam, haraqat Nur ad-Din al-Zanqi, Faylaq al-Sham. Si notino che almeno haraqat Hazam e haraqat Nur ad-Din al-Zanqi
hanno appena ricevuto i missili anticarro statunitensi BGM-71 TOW,
probabilmente da Arabia Saudita e Turchia, ma con l’approvazione degli
Stati Uniti. Il capo di haraqat Hazam è Abdallah Awda (alias “Abu Zayd”), che nel giugno 2011 trasmise tramite al-Jazeera un video sulla sua diserzione dall’esercito siriano e l’adesione ai gruppi islamisti in rivolta. Awda ha creato e guidato haraqat Dabat al-Ahrar, l’organizzazione su cui si basa l’ELS. Nel 2012, Awda creò la qatiba Faruq al-Shmal, presso la città di Qan al-Subul, governatorato di Idlib, che faceva parte della qataib al-Faruq, controllata tramite la Fratellanza musulmana siriana dai governi di Turchia e Qatar. Nel dicembre 2013, la qatiba Faruq al-Shmal aderì a Jabhat al-Thuwar al-Suriya
(Fronte dei rivoluzionari siriani – SRF), comprendente 14 gruppi
terroristici nei governatorati di Idlib, Aleppo, Lataqia e Hama, e che
riceve armi da Stati Uniti, Arabia Saudita e Turchia. Nel gennaio 2014,
la qatiba al-Faruq al-Shmal condusse azioni terroristiche congiunte con haraqat Hazam, nell’ambito di una campagna chiamata Ginevra II, in concomitanza con i colloqui di pace a Ginevra tra i fantocci siriani della NATO e il governo baathista.
La ‘cooperante’ Vanessa Marzullo si felicita per le imprese dei terroristi di al-Nusra Vanessa Marzullo, 10 giugno 2014
Gli amici di Vanessa e Greta
#Homs – Il 3 giugno, i rivoluzionari
hanno preso d’assalto il villaggio di Um Sharhsouh, 10 km a nord della
città di Homs e 2 chilometri a ovest della strada M5 (la principale ad
unire nord-sud), conquistando il punto più alto del paese, la fortezza
di Um Sharshouh. Da allora, guidati da Jabhat a-Nusra, Ahrar al
Sham e altri battaglioni, hanno preso controllo del 60% del paese,
sottraendo al regime diversi depositi di armi.
La battaglia per Um Sharshouh è parte di una campagna militare della
zona periferica settentrionale, dove i ribelli mantengono il controllo
di alcune zone: Rastan e Talbise; al-Hula e Dar al-Kabira a ovest.
Osama Abu Zeid, attivista di 23 anni di Homs, spiega perchè alcuni dei
rivoluzionari della città vecchia di Homs si sono tirati fuori dagli
scontri.
* Qual è l’importanza di Um Sharshouh?
La sua posizione geografica. Si trova su una collina che domina il resto
dei villaggi che vogliamo liberare. Ha una fortezza, il castello Um
Sharshouh – il cui controllo è fondamentale per le battaglie.
La maggior parte dei shabiha, miliziani governativi, erano al suo interno.
* Le brigate vogliono riprendere il controllo di Homs? Hanno obiettivi a lungo termine?
Quello che sta accadendo nel nord non ha alcun legame con la battaglia
per riconquistare Homs, al punto che non tutti i battaglioni che hanno
lasciato la città stanno partecipando. Questi battaglioni sono stati
intenti a unificare i loro ranghi, al fine di riprendere il controllo
della città.
* Qual è l’obiettivo della battaglia per Um Sharshouh, e cosa è accaduto fino ad ora?
L’obiettivo è liberare un gruppo di villaggi controllati dal regime: Um
Sharshouh, Kufr Nan e Jabourin. Quei villaggi separano Talbise e Rastan
da al Houla.
Se questi villaggi vengono conquistati, l’Esercito Siriano Libero sarà
sul punto di controllare la via di rifornimento del regime per la costa:
l’autostrada Homs-Tartous.
Fino ad ora i ribelli hanno preso il controllo di una parte di Um
Sharshouh, tra cui il castello della città – una delle parti più
importanti della battaglia.
Ancora una posa dei bisognosi aiutati dalle ‘cooperanti’ Greta e Vanessa
Combattente curdo-siriana delle Forze di Difesa Popolari decapitata dagli islamisti presso Qubani, in Siria.
Nessuna pietà per i ratti, e i loro pidocchi.
Va ricordato che lo Stato islamico
dell’Iraq e Levante ha ricevuto armi anticarro, razzi, mortai, giubbotti
antiproiettile, veicoli corazzati da trasporto truppa, lanciarazzi,
carri armati e veicoli da combattimento della fanteria, munizioni e
sistemi per telecomunicazioni da Bulgaria, Croazia, Romania e Ucraina.
Il “SIIL ha usato armi statunitensi catturate in Iraq e materiale
fornito da Paesi dell’ex-blocco orientale, ordinato più di un anno fa”,
dichiarava un diplomatico a Middle East Newsline. Il 12 agosto 2014, una fonte diplomatica affermò che il flusso di armi al SIIL proveniva dalla NATO, in particolare dalla Turchia.
I servizi d’intelligence della NATO favorirono l’invio di fondi e armi
dall’Europa sotto il pretesto degli aiuti umanitari alla Siria. “I
servizi di sicurezza occidentali erano responsabili della scelta di
fornitori di armi affidabili nei Paesi dell’Europa occidentale per
trasferimenti di denaro e il trasporto di mortali forniture “umanitarie”
nel Medio Oriente. Le forniture iniziarono nel 2013 ad opera di imprese
create appositamente. I contratti indicavano Paesi e società terzi come
destinazione dei rifornimenti”. Il SIIL ha reclutato in Bosnia, Bulgaria e Kosovo i terroristi per le sue guerre in Iraq e Siria.
Si ricordi che l’ispiratore della missione ‘umanitaria’ ad Idlib e
Aleppo delle due samaritane islamiste, Andervill, vanta una certa
esperienza nelle operazioni ‘umanitarie’ in Bosnia e Kosovo (come anche
il ‘funzionario’ dei carabinieri su accennato). L’11 agosto, in Kosovo
furono arrestati almeno 40 sospetti agenti del SIIL e sequestrati
munizioni ed esplosivi. Almeno 200 kosovari avrebbero raggiunto il SIIL e
Jabhat al-Nusra. World Tribune
“…ci sarebbe il concreto rischio di terroristi siriani infiltrati, che approfittano delle maglie larghe connesse all’Operazione Mare Nostrumper entrare indisturbati nel nostro Paese. … La Sicilia colabrodo,
dunque, potrebbe costituire un facile varco d’ingresso per i terroristi
dell’Isis, confusi tra la folla dei migranti. Per non parlare di quelli
già presenti. Molti sono italiani, altri sono invece immigrati di seconda generazione. Sono duecento e vivono tutti in Italia. Sarebbero stati addestrati nei campi paramilitari in Afghanistan, in Pakistan e in Iraq e adesso sono rientrati in Italia, dove conducono apparentemente una vita normale, senza dare particolarmente nell’occhio. Sono
i terroristi islamici di casa nostra, per la maggior parte italiani,
addestrati militarmente nelle fila degli integralisti, che avrebbero il
ruolo di agire per il reclutamento nel nostro Paese. … E non è tutto, perché sarebbero invece una cinquantina gli italiani già partiti per Siria e Iraq, che si sarebbero uniti alle milizie jiahidiste dell’Isis, i tagliatori di teste, per intenderci, che impongono la severa legge islamica assassinando tutti coloro che ritengono infedeli o apostati.
La notizia più eclatante, qualche tempo fa, è stata quella di un 25enne
di Genova, morto fra i miliziani dell’Isis in Siria, mentre combatteva
per l’Islam più integralista. … Le preoccupazioni vengono confermate,
poi, anche dal direttore dell’Ufficio Antiterrorismo, Lamberto Giannini,
… che sottolinea come insieme a persone che hanno già combattuto su
altri fronti (come quello afghano), il contagio fondamentalista stia coinvolgendo anche giovani, spesso incitati grazie al web e convertitisi all’Islam in modo rapido e improvviso.” Repubblica
Il
1 gennaio 2015, ad Aleppo, i terroristi sostenuti dalle sorridenti
rapite Marzullo e Ramelli, per festeggiare l’anno nuovo hanno bombardato
con i mortai un quartiere governativo, uccidendo 13 civili e ferendone
altri 18. (Xinhuanet)
Erano cittadini filo-governativi, perciò per Vanessa Marzullo ucciderne
13 dev’essere stata una gioia ‘umanitaria’, come si può ben leggere nel
suo rivoltante articoletto taqfirita.
L’uomo
all’estrema sinistra è Haisam Saqan (Abu Omar)? La tizia che fa la V di
vittoria si chiama Nawal Soufi, attivista antisiriana di origine
marocchina. Forse tale origine le permette di divinare sempre i carichi
di immigrati clandestini che sbarcano in Sicilia, dove lei opera? Digos e
servizi segreti italiani, tacciono, acconsentono e proteggono.
Nel 2012 …”Haisam, dopo aver partecipato
alle manifestazioni per la liberazione della Siria a Milano e Varese (le
stesse durante le quali si conoscono anche le due ragazze volontarie rapite agli inizi di agosto,
Vanessa e Greta). Prima Haisam diventa tra i leader più attivi del
Coordinamento siriani liberi di Milano. Nelle manifestazioni è sempre in
prima fila, spinge, incoraggia gli altri. Poi prende parte all’assalto
all’ambasciata siriana a Roma, nel febbraio 2012. Un video su YouTube lo
mostra mentre arringa i compagni. Ed è a quel punto che gli inquirenti
iniziano ad interessarsi a lui. Si becca una denuncia, viene condannato
all’obbligo di firma. E’ esasperato, sul suo profilo Facebook “Haisam Siria” (ora disattivato), i messaggi si fanno sempre più radicali. All’inizio se la prende con il regime. «Il mio piede schiaccia gli alawiti – Dobbiamo bruciare gli alawiti»,
scrive rivolgendosi al presidente siriano Assad (alawita). Denuncia le
torture e i patimenti del popolo siriano, niente di più niente di meno
di quanto non facciano tanti suoi connazionali stanchi di assistere ai
massacri. Poi, gradualmente, i post diventano sempre più violenti. …
All’incirca nella primavera del 2012 parte per la Siria. Probabilmente
passa dalla Turchia, via Gaziantep. Poi al campo profughi di Killis. Lo
stesso percorso seguito da Giuliano del Nevo, che si è arruolato tra le
file di Isis. In un messaggio postato su un’altra pagina Facebook
, si legge: «ll nostro fratello Haisam che ha deciso di lasciare Milano
per unirsi all’esercito Siriano Libero». Haisam, dunque, sembra essere
finito tra le file dei ribelli del Free Syran Army. Quando
mette piede in Siria di Isis ancora non si parla. Sulla sua pagina
Facebook però inizia a comparire anche la bandiera nera dei gruppi
jihadisti nei quali alcuni dei ribelli, stanchi delle sconfitte, stanno
confluendo. Più che de Isis, sembra trattarsi di al-Nusra, vicina ad al-Qaida ma meno organizzata e feroce di Isis. Ed è a quel punto che Abu Omar spunta nel video del New York Times.
Di lui, poi si perdono le tracce. Ora, mentre la procura di Milano
riapre il fascicolo a suo nome per indagare su reati di terrorismo
internazionale (in Italia arruolarsi in milizie straniere non è
considerato reato, mentre lo è reclutare e fare adepti, secondo
l’articolo 270 quinquies che prevede l’arresto per chi pratica attività
di addestramento ad attività con finalità di terrorismo anche
internazionale), l’attenzione sulla presenza di jihadisti e reclutatori
nel nostro paese si alza. Ma non basta. All’incirca nella primavera del
2012 parte per la Siria. Probabilmente passa dalla Turchia, via
Gaziantep. Poi al campo profughi di Killis. Lo stesso percorso seguito
da Giuliano del Nevo, che si è arruolato tra le file di Isis. In un
messaggio postato su un’altra pagina Facebook, si legge: «ll
nostro fratello Haisam che ha deciso di lasciare Milano per unirsi
all’esercito Siriano Libero». Haisam, dunque, sembra essere finito tra
le file dei ribelli del Free Syran Army. Quando mette piede in Siria di Isis ancora non si parla. Sulla sua pagina Facebook
però inizia a comparire anche la bandiera nera dei gruppi jihadisti nei
quali alcuni dei ribelli, stanchi delle sconfitte, stanno confluendo.
Più che de Isis, sembra trattarsi di al-Nusra, vicina ad al-Qaida ma meno organizzata e feroce di Isis. Ed è a quel punto che Abu Omar spunta nel video del New York Times.
Di lui, poi si perdono le tracce. Ora, mentre la procura di Milano
riapre il fascicolo a suo nome per indagare su reati di terrorismo
internazionale (in Italia arruolarsi in milizie straniere non è
considerato reato, mentre lo è reclutare e fare adepti, secondo
l’articolo 270 quinquies che prevede l’arresto per chi pratica attività
di addestramento ad attività con finalità di terrorismo anche
internazionale), l’attenzione sulla presenza di jihadisti e reclutatori
nel nostro paese si alza. Ma non basta”. Corriere
“Secondo
alcune indiscrezioni filtrate dal governo ci sarebbe una certa
irritazione per il tardivo apprendimento di alcune operazioni di
intelligence sia nella zona siriana che in quella libica, e anche per
una sottovalutazione da parte dell’AISE di quel che stava avvenendo a
Tripoli e Bengasi. Ma il caso che più preoccupa il governo è
stata la scelta dei servizi segreti italiani durante il 2013 di seguire
acriticamente senza che risulti né autorizzazione preventiva né adeguata
informativa le direttive di altri servizi- soprattutto quelli
americani- nell’area siriana. Un particolare sembra inquietare il governo in questo momento: la
scelta dell’intelligence italiana, che in quell’area calda aveva una
struttura già depotenziata da qualche anno, sarebbe stata quella di
aiutare in ogni modo il fermento della rivolta nei confronti del
presidente siriano Bashar al Assad. La linea certo è stata
simile a quella di altri servizi occidentali, e le operazioni sul
territorio non dissimili da quelle scelte dagli stessi americani. Dall’Italia
secondo la ricostruzione che si sta ultimando proprio in queste ore
sarebbero partiti addestratori militari specializzati nelle tecniche di
guerriglia destinati in particolare a due campi organizzati, uno in
territorio turco e l’altro ai confini della Giordania. Lì sarebbero
stati addestrati proprio dagli italiani alcuni combattenti – anche
miliziani qaedisti- che successivamente sono andati ad ingrossare le
fila dell’ISIS, rendendosi protagonisti anche di alcune azioni (come i
rapimenti) di cui sono stati vittima cittadini occidentali, e perfino
italiani. Un errore strategico (visti gli avvenimenti
successivi) di questo tipo è stato compiuto dagli stessi americani, con
una differenza tecnica non da poco: per ogni miliziano addestrato gli
americani hanno raccolto i dati biometrici (impronte digitali, dna,
iride etc…), l’intelligence italiana no. Con il risultato che gli
americani hanno tracciato i miliziani da loro addestrati, e quindi sono
in grado di rintracciarli e identificarli. Gli italiani no”. Analisi Difesa
Agenzia Informazioni e
Sicurezza Esterna
Nel febbraio 2013 il ministro degli
Esteri Giulio Terzi di Santagata sostenne che l’Italia doveva fornire
“aiuti militari non letali” ai terroristi attivi in Siria. Quindi 12/36
agenti dei servizi segreti italiani, AISE, hanno addestrato terroristi
islamisti in due basi, in Turchia e in Giordania. Il senatore Lorenzo
Battista, segretario della Commissione Difesa commentava tale vicenda,
“Da circa un anno e mezzo due team dell’AISE operano in
Giordania e Turchia dove hanno addestrato miliziani sunniti,
successivamente passati nelle fila dell’ISIS che ha assorbito al suo
interno gran parte delle formazioni islamiste. Secondo quanto ha
rivelato Globalist l’Italia ha contribuito, seppur
indirettamente, a fomentare quel rischio terrorismo che oggi è
presentato come una delle più gravi minacce per il paese. Occorre fare
chiarezza e aprire una discussione franca in Parlamento e nel paese
sulle nostre strategie degli ultimi anni sui teatri di crisi. Il
Consiglio supremo di Difesa ha solo pochi giorni fa ribadito il rischio
terrorismo che corre anche il nostro paese. Di fronte alla gravità della
situazione sono necessarie scelte ponderate che contribuiscano alla
soluzione dei conflitti e non ad alimentare ulteriore caos”. Globalist
L’ebetino
sionista libanese Gad Lerner intervista il terrorista islamista Haisam
Saqan sul modo migliore di esportare la ‘democrazia’ in Siria…
In
relazione al paragrafo qui sopra, sulle operazioni dei servizi segreti
italiani contro la Siria, va rilevata un’altra organizzazione
filo-taqfirista, che s’infiltra in Siria sotto mentite spoglie
umanitarie: l’ONG Time4life, che guarda caso ha una base operativa in Turchia, a Kilis,
nel Paese da cui s’infiltrano migliaia di squadroni della morte
taqfiristi per devastare la Siria e danneggiare il suo popolo. Come al
solito, anche tali ‘cooperanti’ operano tranquillamente in un territorio
controllato dai servizi segreti della NATO, italiani, turchi, qatarioti
e le verie organizzazioni terroristiche islamiste. Ma questo non è un
caso, poiché sebbene si proclami associazione “nata con l’obiettivo di
raccogliere donazioni di denaro, cibo, medicinali, abiti e beni di prima
necessità da destinare ai bambini in difficoltà, da quelli in Siria,
colpiti dalla guerra, a quelli del Nicaragua e della Romania…” é
l’ennesima copertura atlantista per interferire negli affari interni
della Siria “…al centro dell’attenzione internazionale dopo lo scoppio
della rivolta del 2011 trasformatasi ben presto in una sanguinosa guerra
civile (Per magia, verrebbe da pensare. NdAL): gli aiuti vengono
raccolti in Italia e distribuiti dai volontari dell’Associazione alla
popolazioni nei campi profughi allestiti in territorio siriano o
sfollati nei paesi confinanti (in principal modo nel comprensorio di
Kilis, Turchia)”, già. E se fossi nei panni del Presidente Ortega, mi
preoccuperei, poichè questa ambigua associazione è presente anche in
Nicaragua, a Chinandega, dove “sono stati avviati alcuni progetti a
sostegno dell’infanzia, dal punto di vista educativo e scolastico”. Il
Nicaragua ritorna alla ribalta mondiale grazie alla costruzione cinese
di un nuovo canale interoceanico, irritando gli USA per la concorrenza
al canale di Panama, saldamente controllato da Washington. In relazione,
ogni mossa volta a preaparare il terreno all’enneisma primavera
colorata, è ben gradita ai burattinai del Pantagono e di Langley.
Responsabile di Time4life è tale Elisa Fangareggi,
la quale tra un’invettiva contro la Siria baathista e una scappata in
Nicaragua, ha il tempo di frequentare esponenti e dirigenti della nota
associazione umanitaria North Atlantic Treaty Organization (NATO):
Elisa
Fangareggi con l’ammiraglio Rinaldo Veri, presidente del Centro Alti
Studi Difesa, noto ente di beneficenza collegato al Ministero della
Difesa.
Elisa Fangareggi con l’ambasciatore della NATO Stefano Stefanini.
Elisa Fangareggi con il prof. Fausto Pocar, presidente dell’International Institute of Humanitarian Law, che interpreta il diritto internazionale su misura delle esigenze di Washington.
“A pranzo col Generale Vincenzo Camporini, vicepresidente dell’Istituto Affari Esteri, e col Prof. Greppi, vicepresidente dell’International Institute of Humanitarian Law,
un onore dopo aver studiato per anni sui libri scritti da lui…ma chi
avra’ scattato la foto….?” Già, chi l’avrà scattata? Al-Baghdadi?
Ammiragli, Generali e ideologi della
NATO, ecco come spandere al meglio le offerte e gli aiuti pretesi dal
popolino bue ignorante, da tali dirittoumanitaristi a senso unico ed
allineati. Gli aiuti e i finanziamenti pretesi da tali pseudovolontari
per le loro finte missioni umanitarie, sono solo una copertura per
occultare delle vere e proprie operazioni d’intelligence e di supporto
al terrorismo contro la Siria e il suo popolo. Chi fornisce denaro a
tali pseudo-ONG, mere organizzazioni di copertura di Gladio e
dei servizi segreti della NATO, finanzia il terrorismo e lo stragismo in
Siria, che producono quelle stesse vittime che tali oscene
organizzazioni sfruttano per racimolare denaro, usurpandolo al popolino
di creduloni irretiti dalla propaganda imperialista. E il bello è che
questa amicona di generali e ammiragli della NATO viene spacciata come “giovane madre di Modena che lotta per salvare i bimbi siriani“… come sicuramente vengono presentati i figuri di quest’ennesima operazione d’infiltrazione made in Germany, ma collegata sempre a Time4life: 3433 – The Road to Syria, di Action Syria,
associazione di Berlino per finanziare progetti ‘umanitari’ in Siria, e
i cui responsabili hanno tutti le stimmate di agenti della Guerra
psicologica (PsyWar) contro la Repubblica Araba di Siria:
Thomas Rassloff fotogiornalista da 12 anni in Medio Oriente, da Israele
all’Afghanistan, e Björn Kietzmann, fotogiornalista che nel 2013
s’infiltrò in Siria tramite le linee di rifornimento dei terroristi
islamisti che occupavano Aleppo, per diffondere propaganda antisiriana e
condurre la guerra psicologica a sostegno del terrorismo
islamo-atlantista e contro il governo socialista di Damasco.
Il
finanziamento milionario del terrorismo contro la Siria, da parte del
governo italiano, sotto la farsa dell’auto-rapimento organizzato dai
doppi servizi italiani delle loro sex-jihadiste, ha un suo perché: “Gli
Stati Uniti si preparavano ad inviare 400 militari per addestrare i
terroristi siriani, accompagnati da altre centinaia di militari “per
garantire sicurezza e sostegno ai centri di addestramento”, da attivare
nel marzo 2015 in Turchia, Qatar e Arabia Saudita. Il maggiore-generale
Michael Nagata, a capo del Combined Joint Interagency Task Force sulla Siria, dell’US Army,
e l’inviato speciale per la Siria del dipartimento di Stato degli USA,
Daniel Rubinstein, avevano incontrato a metà gennaio, ad Istanbul, i
capi del CNS e di altre organizzazioni terroristiche attive in Siria.
“Questi incontri introduttivi sono stati un passo importante, dato che
entro la primavera ci prepariamo a lanciare il programma di
addestramento ed equipaggiamento con i nostri partner internazionali”,
affermava la portavoce del Pentagono Elissa Smith”. (Sputnik)
Ma questa operazione non era la prima del genere nella storia dei
rapporti tra statunitensi e terroristi. Vi sono diverse, infatti,
indicazioni sui legami tra terrorismo islamista in Siria e Iraq ed
intelligence degli Stati Uniti. Ad esempio, la maggior parte dei capi
del SIIL proviene dal centro di detenzione statunitense di Camp Bucca in
Iraq, come il capo del SIIL Abu Baqr al-Baghdadi, detenuto dal 2004 al
2006 a Camp Bucca, “Ciò che è successo durante la detenzione di Baghdadi
a Camp Bucca rimane un mistero. Alcune notizie affermano che vi abbia
passato 10 mesi nel 2004, mentre altre dichiarano che dal 2005 vi fu
detenuto per quattro anni. Quest’ultima possibilità è improbabile, dato
che Baghdadi creò l’Esercito dei sunniti e aderì al Consiglio della
Shura dei Mujahidin poco prima dell’assassinio di Abu Musab al-Zarqawi,
nel giugno 2006. Il consiglio fu creato nel gennaio 2006, quindi è più
probabile che Baghdadi sia stato rilasciato tra la fine del 2005 e
l’inizio del 2006”. Dopo l’eliminazione di Abu Umar al-Baghdadi e Abu
Hamza al-Muhajir, nel 2010, Abu Baqr al-Baghdadi poté divenire il capo
dell’organizzazione. Altro importante capo del SIIL, Abu Ayman al-Iraqi,
ex-ufficiale iracheno sotto Sadam Husayn, fu prigioniero a Camp Bucca e
poi membro del consiglio militare del SIIL. Un altro membro del
consiglio militare che fu prigioniero a Camp Bucca era Adnan Ismail
Najm, noto anche come Usama al-Bilawi, che guidò l'”invasione di Mosul”
nel giugno 2014. Fu arrestato nel gennaio 2005 ed imprigionato a Camp
Bucca, essendo un ex-ufficiale di Sadam Husayn. Era il capo del
Consiglio della Shura del SIIL prima di essere eliminato dall’esercito
iracheno presso Mosul, il 4 giugno 2014. Sempre a Camp Bucca fu
prigioniero Haji Samir o Haji Baqr, il cui vero nome era Samir Abid
Hamad al-Ubaydi al-Dulaymi, ex-colonnello dell’esercito iracheno, dopo
la detenzione a Camp Bucca aderì ad al-Qaida. Era il capo del
SIIL in Siria, quando fu liquidato dall’Esercito arabo siriano ad Aleppo
ai primi di gennaio 2014. Diversi ex-detenuti dichiararono che Camp
Bucca era simile a una “scuola di al-Qaida” dove i jihadisti i
istruivano sull’uso di esplosivi e sugli attacchi suicidi i detenuti più
giovani. Un ex-prigioniero, Adil Jasim Muhammad, disse che uno dei capi
jihadisti fu imprigionato per sole due settimane, ma durante quelle due
settimane poté reclutare 34 detenuti. Muhammad disse anche che gli
statunitensi non facevano nulla per impedire tale reclutamento. (al-Akhbar)
Secondo l’attivista antisiriano Muhammad Qasim, le comunicazioni tra
terroristi ed esercito israeliano aumentarono prima dell’assalto su Dara
e Qunaytra, nel settembre 2014. Qasim dirigeva le operazioni dei
terroristi durante quell’offensiva, “La battaglia per catturare Qunaytra
il 27 settembre fu preceduta da coordinamento e comunicazioni tra Abu
Darda, capo di Jabhat al-Nusra, e l’esercito israeliano per
spianare la via all’attacco. Secondo un capo dell’ELS che partecipò alla
battaglia, l’esercito israeliano fornì ad Abu Darda le mappe delle
postazioni dell’Esercito arabo siriano nella zona. La battaglia dei
terroristi di al-Qaida del Jabhat al-Nusra, per controllare il valico di Qunaytra, fu coordinata dall’esercito israeliano tramite Abu Darda, “Durante
gli scontri, gli israeliani bombardarono pesantemente molte postazioni
del regime, ed abbatterono un aereo militare che cercava d’impedire
l’avanzata dei terroristi e presero di mira altri aeromobili“.
Prima della battaglia, Israele fornì ai terroristi sistemi di
comunicazione e attrezzature mediche, migliorando la comunicazioni tra i
terroristi e attrezzando quattro nuovi ospedali da campo nel sud della
Siria. Qasim aggiunse che Israele permise la creazione di un piccolo
campo per i terroristi nel Golan occupato, dicendo: “Il campo ospita
decine di siriani, ed Israele vi fornisce la necessaria assistenza
umanitaria. I terroristi che spesso si recano nella zona israeliana,
attraversano il confine più di tre volte al giorno per recarvisi. Ogni
terrorista con ferite gravi che non può essere curato nei nostri
ospedali, viene immediatamente trasferito nel Golan occupato dagli
israeliani e poi trasferito con un’ambulanza civile, scortata da una
pattuglia dell’esercito israeliano, in un ospedale per le cure. Poi
l’esercito israeliano veniva contattato dai terroristi per sapere della
situazione dei feriti ricoverati. I primi risultati della collaborazione
tra esercito israeliano e terroristi si ebbero a Qunaytra, quando
presero il controllo del valico di frontiera. Allora Israele sosteneva i
terroristi coprendoli con il pretesto del ‘tiro indietro’, ostacolando
qualsiasi tentativo dell’aviazione siriana d’intervenire e abbattendo un
aereo siriano. Inoltre rifornì i terroristi di attrezzature per colpire
le fortificazioni dell’Esercito arabo siriano. Israele vuole esercitare
il controllo su tutto il Golan e ha in modo significativo intimidito
gli osservatori delle Nazioni Unite facendoli ritirare dalle loro
posizioni“. Il 4 ottobre, i terroristi di Jabhat al-Nusra
occuparono Tal al-Hara, tra Qunaytra e Dara, ciò non sarebbe potuto
accadere senza il sostegno di Israele, secondo l’attivista anti-siriano
Ghazwan al-Hurani, che assistette alle comunicazioni tra Jabhat al-Nusra e Israele. “Il
supporto d’Israele nella battaglia di Tal al-Hara era elevato, e
l’esercito israeliano ne fu la mente pianificandola ed eseguendola. Gli
israeliani comunicavano istruzioni precise in arabo su ciò che dovevano
fare i terroristi, momento per momento“. La stazione radar siriana
di Tal al-Hara fu bombardata dagli aerei da guerra israeliani il 5
settembre 2014, un mese prima che i terroristi l’occupassero il 7
ottobre. Tutto ciò per impedire all’Esercito arabo siriano di monitorare
i movimenti dei terroristi e dell’esercito sionista nel Golan occupato,
ed impedire ogni tentativo d’intercettare gli attacchi aerei
israeliani. (al-Monitor)
Minacce preventive: Arabafenix Fabioalessandro,
capisci a me!! so perfettamente che se volevano solo aiutare i bambini e
malati sarebbero rimaste nel campo profughi turco dal quale sono
passate per entrare in siria, ne si sarebbero trovate nella casa di un
lieder rivoluzionario antigovernativo : quello che dico e’ nel tuo
giovanile farti travolgere dalle emozioni non puoi definirle troiazze, e
augurarti la loro.eliminazione fisica. Prima di tutto e’ un reato, e
poi a 20 anni il piu. delle volte si pensa di aver capito tutto e invece
non si e’ capito un cazzo. Stare dalla parte della jiahd islamica, del
califfato (sponsorizzati dagli usa), significa stare da parte di gente
che apre il ventre del nemico e addenta il fegato dello sventurato e si
fa pure filmare. La tua opera di informazione sul donbass e’
impareggiabile, ma se ti esprimi da estremista il tuo messaggio diventa
inefficace, e rischi che ti chiudano l.accaunt.
Minacce a posteriori: caro lattanzio, le mie non sono minacce preventive, non sono a capo
dei servizi di sicurezza,ne facio parte di gladio: semplicemente ti ho
invitato ad usare il buon senso: vedo che in questo articolo,
diversamente dal tua pagina faceboock,(dalla quale mi hai bannato) non
usi le espressioni che io ti ho criticato, come” troiazze, speriamo
vengano eliminate, ecc compiacendo un tuo sostenitore che parlava di ”
brasato di cooperante” ecc: tutto cio’ e’ inaccettabile.Non
puoi denunciare le atrocita’ del isis che si fa fotografare con le
teste dei soldati siriani e poi nella tua pagina fb inneggiare “alla
morte delle tue troiazze!!!” Nelle tua sindrome da accerchiamento puoi
pure credere che io sia chissa quale infiltrato (pubblicando i simboli
del eversione) , invece ti ho chiesto solo di usare il buon senso e di
non augurare la morte a due irrensponsabili che stanno dalla parte
sbagliata, ma che non meritano questo invito al liciaggio mediatico. Se
avessi i coglioni (cosa di cui dubito a questo punto) pubblicheresti
anche le tue pagine fb dove , a piu’ riprese definivi le due ragazze
troiazze, augurandoti che venissero ammazzate. Alessandro , cerca di crescere, e di comportarti da uomo, e non da ragazzino esaltato.Arabafenix fabio (alias fabio vaevictis…) (mailto:carpediemvaevictis@gmail.com) (Ora ci tocca sentire il sermone
sgrammaticato dell’esimio pusher maghrebino complessato e in vena di
onirismi romano-imperiali).
Le minacce di Ratman: lo schifo in assoluto aurora sito
Sei tu l’autore?????
Se ti serve uno psicologo….
fai un fischio Alessandro Liberatoscioli
Caro sbirro, qui lo dico, e
lo ribadisco, nessuna pietà per i ratti, tantomeno per i pidocchi come
Marzullo, Ramelli e te, fabio spia di questura. Nessuna!
«Risoluzione Ue sbagliata» Per New Delhi lede la propria sovranità giudiziaria
L'India non ci sta: l'internazionalizzazione della querelle per la
libertà dei marò, dopo il voto per acclamazione del Parlamento Europeo
che ha approvato la mozione promossa dal deputato di FI Lara Comi, ha
fortemente irritato il governo guidato dal premier Modi. La levata di
scudi è arrivata con una dichiarazione del portavoce dell'esecutivo di
Nuova Delhi, Syed Akbarrudin, volta a sottolineare l'inopportunità della
mozione presentata dai parlamentari europei italiani. «Il caso che
riguarda i due Fucilieri di Marina italiani che hanno ucciso due
pescatori indiani, è all'esame della giustizia, ed è in discussione fra
India e Italia»: questo l'incipit del discorso del portavoce che dà per
scontata la colpevolezza dei soldati del San Marco e ricorda la propria
sovranità giudiziaria. E aggiunge: «La Corte Suprema Indiana nella sua
ordinanza del 14 gennaio 2015, ha concesso tre mesi di estensione della
permanenza di Massimiliano Latorre in Italia per motivi di salute,
mentre l'altro Fuciliere, Salvatore Girone, risiede nell'ambasciata di
Italia a New Delhi». «In queste circostanze - è scritto nella nota di
Akbarrudin - sarebbe stato consigliabile che il Parlamento europeo non
avesse adottato una risoluzione».
L'irritazione del governo indiano appare evidente, anche perché il
mandato che il parlamento di Strasburgo ha dato a Federica Mogherini,
Alto rappresentante europeo per le questioni internazionali, è chiaro:
oltre al rimpatrio dei Fucilieri, e un cambio di giurisdizione, è
rivolto al ministro degli esteri dll'Unione l'invito «a intraprendere
tutte le misure necessarie al raggiungimento di una soluzione equa,
rapida e soddisfacente». E desta più di una preoccupazione il passaggio
sulla residenza in India del marò barese Salvatore Girone, già ritenuto
«un ostaggio-garanzia» del ritorno di Latorre dal ministero dell'Interno
del governo Modi (come riportato dal quotidiano «The Economic Times»).
La reazione dei deputati italiani a Strasburgo è stata immediata. Per
Lara Comi, promotrice della risoluzione, la strada è quella giusta
grazie alla internazionalizzazione della contesa: «L'India dovrà
riflettere molto e già una sua reazione l'abbiamo avuta e questo vuole
dire che siamo su un buon proseguimento, per il meglio dei nostri Marò».
E poi una postilla volta a evidenziare la perdurante, ormai da tre
anni, violazione dei diritti umani ai danni dei fucilieri di Marina:
«Quello che chiediamo all'India - ha aggiunto - è di riavere i nostri
marò per avere un processo secondo la giurisdizione o italiana o
internazionale, perché riteniamo che quello che sta facendo l'India sia
una violazione dei diritti». «All'interno del trattato dell'Ue - ha
concluso - si prevede che nel momento in cui un Paese lede i diritti
dell'uomo, si ha anche il blocco dei negoziati in ambito commerciale».
Anche Antonio Panzeri, eurodeputato del partito Democratico, ha difeso
la moral suasion del Parlamento Ue e l'invito ad intervenire decisa
rivolto a Lady Pesc Mogherini: «La risoluzione che coinvolge la
stragrande maggioranza del Parlamento europeo è importante - ha
analizzato Panzeri - perché il tema diventa un tema europeo.
Individuiamo alcuni punti essenziali come quelli di trovare una
soluzione attraverso un arbitrato internazionale e abbiamo dato un
mandato esplicito all'Alto rappresentante europeo Mogherini nell'ambito
dei rapporti con l'India per trovare le soluzioni le più utili per
risolvere questa vicenda». Sul caso è intervenuto anche il Movimento 5
Stelle sottolineando che «i lunghi ritardi delle autorità indiane
nell'istruzione del procedimento sono una grave violazione dei diritti
umani dei marò», e auspicando «che la competenza giurisdizionale sia
attribuita alle autorità italiane e/o a un arbitraggio internazionale».
Per i grillini Federica Mogherini deve «mantenere l'impegno
ufficialmente preso a nome della Commissione traducendo la volontà del
Parlamento europeo in iniziative concrete senza esitare a mettere sul
tavolo anche le relazioni politiche e commerciali tra l'Ue e l'India».
Intanto Massimiliano Latorre, dimesso nei giorni scorsi dall'ospedale
neurologico milanese Besta, sta proseguendo le cure post intervento al
cuore a Taranto. In rete, infine, si registra una nuova iniziativa del
«Popolo tricolore per la libertà di Max e Salvo». È stata pubblicata sul
web una cartolina (per sensibilizzare l'opinione pubblica sulla
querelle Italia-India) con un appello che prende spunto dal noto slogan
francese di questi giorni: «Je suis - simbolo del leone di San Marco -
fuciliere di Marina».
Nella Costituzione italiana è previsto il reato di tradimento, ma nella storia della Repubblica, non è mai stato invocato.
Cosa dovrà mai dunque fare un politico per essere accusato di tradimento? Giorgio
Napolitano ha sicuramente tradito la Costituzione costringendoci a
vivere nell’illegittimità del colpo di stato compiuto chiamando Mario
Monti a governare, continuando fino ad oggi a non indire mai le
elezioni, mantenendo in vita un Parlamento dichiarato illegittimo dalla
Consulta in quanto dichiarata illegittima la legge elettorale con la
quale è stato eletto.
Tutte le istituzioni attuali sono pertanto illegittime, tutte
le «riforme» decise da Renzi con il consenso di un Parlamento
illegittimo e firmate dall’altrettanto illegittimo presidente della
Repubblica non sono valide e la democrazia non esiste più, come
dimostrato anche dal fatto che i partiti di opposizione pur di
sopravvivere, consentono quasi tutto, oppure si oppongono quando sanno
che comunque la loro opposizione non metterà in crisi il governo.
Giorgio Napolitano ha tradito la Costituzione anche nel
momento in cui, cedendo alla richiesta di Monti di essere in ogni caso
garantito venendo a governarla, lo ha nominato senatore a vita,
lasciando esterrefatti gli italiani che non lo conoscevano affatto.
Eppure la Costituzione precisa che tale carica deve essere motivata da
una ricca produzione letteraria, artistica, scientifica che abbia dato
lustro all’Italia.
Visto che Mario Monti non ha mai prodotto nulla e che perfino nel
mondo bruxellese dove i massoni e bilderberghiani come lui nuotano
benissimo, non ha combinato niente di buono tanto da essere costretto a
dimettersi con due anni di anticipo dalla Commissione europea «per
l’accertata responsabilità collegiale nei casi di frode, cattiva
gestione e nepotismo», è evidente che Napolitano ha esercitato il suo
potere contro la Costituzione e che la nomina di Mario Monti non è
valida.
Ho citato massoni e bilderberghiani: Napolitano ne fa parte
e il suo nome si trova in tutti i libri che si occupano di questo
argomento, così come ci si trova quello di Ciampi, di Monti, di Enrico
Letta, di Draghi, di Amato, di Prodi e così via (di Renzi i cataloghi
della massoneria affermano che non è ancora un iniziato perché attende
l’opportunità di diventarlo in una loggia importante).
Bisogna aggiungere poi il legame fraterno con i numerosi e importantissimi massoni presenti in Vaticano,
i quali naturalmente hanno enormi possibilità per influire sulle nomine
fondamentali ovunque. Questo è dunque il vero problema di una finta
democrazia: gli esponenti di un’associazione, comunque essa si chiami,
sono collegati fra loro sostenendosi nell’occupare le cariche politiche
ed economiche più importanti, e mentre se un politico procede in questo
modo con i suoi parenti, questo comportamento viene considerato un abuso
e un illecito, il legame fra massoni sfugge ad ogni critica.
Il fatto che la massoneria non sia più segreta, non ha cambiato in
nulla la strategia di potere che essi perseguono e che hanno
brillantemente messo in atto con la costruzione dell’Ue e della Bce.
Bruxelles è un loro fortino così come sono esclusivamente loro gli
azionisti della Banca centrale; l’Ue è stata fatta appositamente: per
consegnare a loro l’economia e i redditi europei.
Adesso è stato già fissato il giorno dell’elezione del nuovo
presidente, con elettori illegittimi naturalmente. Nessuno parla? Il
presidente del Senato è un magistrato: non sente il bisogno di essere
lui a indire immediatamente le elezioni e riportare l’Italia nella
legalità?
Ida Magli per il giornale- 16 gennaio 2015
fonte: http://www.imolaoggi.it
Greta Ramelli e Vanessa Marzullo sono tornate in
Italia nella notte, libere e vive. Le loro famiglie scoppiano di gioia.
Le informazioni dal momento del loro rapimento
ad Abizmu, in Siria, il 31 luglio 2014, erano state date col contagocce
e da fonti non sempre attendibili. La Farnesina stessa ha imposto alla
stampa il più rigoroso silenzio per non compromettere la situazione. Di
fatto, il periodo che va dal 31 luglio scorso fino alla giornata di
ieri, 15 gennaio 2015, dal rapimento alla liberazione, è stata una lunga
e silenziosa parentesi, interrotta solo dal videomessaggio del 31 dicembre, in cui le due ragazze, velate e irriconoscibili, imploravano di essere salvate.
Oltre al sollievo per la notizia, per aver appreso
che due giovani italiane sono vive e non sono più nelle mani dei
sequestratori, sono ancora molte le domande che restano senza risposta.
Perché Greta e Vanessa sono finite nelle mani dei rapitori?
Su questo punto si sono sviluppate tante teorie molto fantasiose e
alcuni dati su cui sorgono meno dubbi. Le due cooperanti erano fra le
fondatrici dell’associazione di volontariato Horryaty, nata all’inizio
del 2014 per portare aiuti medici alla popolazione siriana. Lungi
dall’essere un’associazione apolitica o imparziale, Horryaty era
dichiaratamente vicina alla causa del Consiglio Nazionale Siriano, la
resistenza a Bashar al Assad, la cui bandiera era esposta sia nelle
manifestazioni dal vivo che sui siti Internet dell’organizzazione. Come
tutte le organizzazioni vicine agli oppositori di Assad, sono entrate in
Siria da Nord, dal confine della Turchia. Greta e Vanessa non sono
andate in Siria alla cieca, ma hanno condotto un primo sopralluogo in
marzo. Nella loro spedizione di luglio sono state accompagnate da
Daniele Raineri, giornalista de Il Foglio veterano della guerra siriana, su cui ha realizzato numerosi reportage, anche per la Tv La7.
Considerando queste premesse, è molto più ardua l’ipotesi di un
rapimento per ingenuità, molto più probabile quella del rapimento
deliberato: una banda di sequestratori avrebbe dunque puntato
direttamente a loro (o a Raineri, o a entrambi i bersagli), conoscendo
in anticipo il loro arrivo.
Nel silenzio dei canali informativi ufficiali, i
media alternativi, su Internet, si sono sfogati formulando una serie di
congetture. In particolar modo è finito sotto la lente di ingrandimento
un cartello, scritto in arabo, che Greta e Vanessa esibivano in una
delle loro manifestazioni, in cui ringraziano il gruppo di resistenza
siriana Liwa Shuhada. Questo gruppo armato, stando alle fonti pubbliche
di analisti, opera nella provincia di Idlib, dove le due italiane sono
state rapite, ed è parte del Consiglio Nazionale Siriano (Cns), la parte
dei ribelli siriani dichiaratamente estranea alla jihad internazionale
(non l’Isis, né Al Qaeda, dunque). Alcune fonti su Internet, comunque,
hanno descritto Liwa Shuhada come una formazione armata affiliata ad Al
Nusrah, la costola siriana di Al Qaeda, responsabile del rapimento.
Queste informazioni, tuttavia, sono da prendere con le molle, perché nel
corso di una guerra civile la propaganda funziona a pieno ritmo e,
secondo i media pro-Assad tutte le formazioni della resistenza (incluso
l’intero Cns) sono da considerarsi costole di Al Qaeda o dell’Isis,
mentre nella realtà dei fatti lottano fra loro infliggendosi migliaia di
perdite. E’ comunque da escludere, vista la natura di Horryaty, fra i
cui sponsor ci sono le Acli/Ipsia di Varese, vi siano simpatie per il
terrorismo islamico. O per il terrorismo in senso lato. In settembre,
fra le varie ricostruzioni ufficiose sulla vicenda, il quotidiano
libanese Al Akhbar sosteneva che le due ragazze, assieme al giornalista de Il Foglio,
fossero state attirate con un inganno nella casa del capo del Consiglio
Rivoluzionario di Alabsmo, dopodiché Raineri è riuscito a fuggire in
tempo, mentre le due ragazze sono finite prigioniere. Ma anche questa
fonte (Al Akhbar) è da prendere con riserva, perché è dichiaratamente vicina a Hezbollah, parte in causa nel conflitto civile siriano.
La varietà di versioni su gruppi e schieramenti,
comunque, fornisce almeno un’impressione chiara: in Siria sai con chi
entri, ma non chi ti troverai accanto una volta entrato. Il Cns è una
galassia di movimenti armati in continuo mutamento. I confini fra Cns e
Al Nusrah e quest’ultima e l’Isis non sono netti. I rapporti fra queste
tre formazioni passano dall’ostilità aperta all’alleanza tattica
temporanea, nei momenti di debolezza. Al Nusrah, tanto per dire, era
nemica del Cns finché era forte, poi quando è sorta la minaccia comune
dell’Isis è diventata alleata, ma quando sono iniziati i raid della
Coalizione sull’Isis ha ricominciato la sua azione terrorista anche ai
danni del Cns. Inoltre non è neppure possibile stabilire quanto il Cns
sia infiltrato da formazioni islamiste, che poi passano armi e bagagli
(ed esperienza) ad Al Nusrah, o anche all’Isis. In questa circostanza,
anche affidarsi alla protezione di un gruppo armato ritenuto amico,
diventa un gioco d’azzardo. Se non possono in alcun modo essere accusate
di essere delle “fiancheggiatrici del terrorismo” (come molti si
affrettano a dire, sui social network, basandosi solo su informazioni
dubbie, a dir poco), Greta e Vanessa possono certamente essere
rimproverate per eccesso di fiducia nei confronti dei loro referenti
locali.
Il problema del terrorismo, semmai, si pone adesso.
Infatti, la prima notizia della liberazione di Greta e Vanessa non
l’abbiamo ricevuta dalla Farnesina (che fino a ieri pomeriggio ha
mantenuto un rigoroso silenzio), ma da tweet di formazioni ribelli
vicine ad Al Nusrah, rilanciati dal canale tv Al Mubasher, del network arabo Al Jazeera.
Solo successivamente è arrivata la conferma dal governo italiano. E
infine sono partiti i rabbiosi commenti dell’Isis: “Questi cani del
Fronte al Nusrah rilasciano le donne crociate italiane e uccidono i
simpatizzanti dello Stato islamico”. Quindi erano nelle mani di Al
Nusrah, da quanto apprendiamo da queste fonti. E, non essendoci stato
alcun blitz delle forze speciali italiane, come è stato possibile il
rilascio, in cosa è consistito l’intenso “lavoro di squadra dell’Italia”
osannato dal governo Renzi? Dalle istituzioni non arriva alcun
commento, ma sull'account Twitter @ekhateb88, ritenuto vicino
ai ribelli anti-Assad, viene postata la notizia dell’avvenuto pagamento
di un riscatto pari a 12 milioni di dollari. Questa affermazione è stata
poi rilanciata dalla Tv al Aan, di Dubai e dal quotidiano britannico Guardian.
Se così fosse (ed è su questa cifra, 12 milioni, che
è subito nata la polemica contro il governo, animata dalla Lega Nord),
avremmo fornito un finanziamento a fondo perduto alla jihad islamica. E
questo in un periodo in cui il terrorismo è attivissimo, all’indomani
della strage di Parigi, nello stesso giorno in cui, in Belgio, un
sanguinoso blitz della polizia ha smantellato una cellula
che preparava attentati. Il governo italiano, come è noto a tutti, ha
sempre trattato. L’unica volta che ha rifiutato categoricamente di
farlo, l’ostaggio è stato ucciso: si chiamava Aldo Moro. Pagare un
riscatto ai terroristi islamici, tuttavia, non fa altro che alimentare
il loro business dei rapimenti, che, assieme al contrabbando del
petrolio, alle raccolte fondi negli ambienti islamici radicali e alle
razzie, è una delle prime fonti di profitto. Il nostro governo ritiene
che questa sia la miglior tattica per liberare i prigionieri. Gran
Bretagna, Usa e Francia preferiscono tentare i blitz di liberazione e
fra i loro ostaggi si conta il maggior numero di vittime, in effetti.
Vuoi perché vengono assassinati prima da terroristi che sanno di non
poter negoziare, vuoi perché restano uccisi nei falliti tentativi di
liberazione. L’Italia impiega sicuramente tattiche differenti, ma quanto
rende sicura la vita degli italiani all’estero? Se rapire un italiano
paga (e paga, a quanto pare), possiamo solo immaginare quanti altri
nostri connazionali verranno rapiti ancora. E di italiani all’estero ce
n’è sempre: giornalisti, missionari, impiegati di filiali in aree ad
alto rischio, volontari e cooperanti come le due ragazze.
Non è realistico pretendere che il governo cambi tattica
e passi ad un atteggiamento di intransigenza nei confronti dei
rapitori: non lo ha mai fatto e gli esempi dei falliti blitz americani,
britannici e francesi dimostrano che non sia neppure un metodo
promettente. Non si può neppure pensare di richiamare a casa tutti gli
italiani che operano in zone pericolose. Quel che dovrebbe cambiare è
semmai la mentalità di chi corre rischi portando aiuti in aree di
guerra. Che sia più consapevole dei pericoli ai quali va ad esporsi e al
danno che può infliggere all’intera comunità nel caso la sua personale
impresa (encomiabile quanto si voglia) dovesse finire in un sequestro.
Il governo potrebbe e dovrebbe aiutare i singoli in quest’opera di
responsabilizzazione, non accogliendo a braccia aperte ogni iniziativa
umanitaria, ma scoraggiando (anche attivamente) quelle che appaiono, già
da subito, troppo rischiose. Non si tratterebbe di scoraggiare
l’altruismo, ma di incoraggiare la responsabilità. Un altruista morto, o
rapito, non può più fare del bene a nessuno. E se il proprio slancio di
generosità finisce in una trattativa con degli jihadisti, domandiamoci
poi a chi possa far bene.
Papa Francesco, quello osannato
dall'unanimismo progressista, dice: «Non si può prendere in giro la
fede. Se insultano mia madre, tiro un pugno». Un'uscita agghiacciante, a
cui oggi vogliamo opporre lo splendido discorso di Benedetto XVI a
Ratisbona, quando contrappose la razionalità occidentale al concetto di
jihad
Il 12 settembre 2006 Joseph Ratzinger, allora Papa in carica, tenne una lectio magistralis all’Università di Ratisbona dal titolo Fede, ragione e università – Ricordi e riflessioni,
incentrata sul rapporto tra fede e ragione e fondamentale per la
teologia cristiana e il pensiero contemporaneo tutto. In essa,
riallacciandosi alle riflessioni del dotto imperatore bizantino Manuele
II Paleologo, Ratzinger andava al cuore della grande anomalia
occidentale, l’incontro tra il “logos” greco e la fede cristiana, e la
metteva in relazione con il concetto di jihad islamica, che punta
tutt’oggi a “diffondere la fede per mezzo della spada”. Ne
ripubblichiamo oggi una parte. Sì, proprio oggi che il suo successore,
l’unanimemente osannato Papa Francesco (soprattutto dall’unanimismo
progressista), ha rilasciato le seguenti dichiarazioni, a proposito
della vicenda di Charlie Hebdo (che poi è appunto un
massacro “con la spada per diffondere la fede”): «Abbiamo l’obbligo di
parlare apertamente. Avere questa libertà, ma senza offendere. E vero
che non si può reagire violentemente, ma se qualcuno dice una parolaccia
contro la mia mamma, lo aspetta un pugno! Ma è normale! Non si può
provocare. Non si può insultare la fede degli altri. Non si può prendere
in giro la fede». Non sappiamo come reagiranno a questa vera e propria
teorizzazione della repressione religiosa i numerosi e sguaiati fan che
Bergoglio ha nelle redazioni, nei partiti politici, nei talk show. Noi,
sappiamo che l’Occidente ha avuto un grande Papa, Benedetto XVI, che ha
difeso la sua eccezionalità davanti al mondo, e a maggior ragione
vogliamo tornare a leggercelo.
È per me un momento emozionante trovarmi ancora una volta nell’università
e una volta ancora poter tenere una lezione. I miei pensieri,
contemporaneamente, ritornano a quegli anni in cui, dopo un bel periodo
presso l’Istituto superiore di Freising, iniziai la mia attività di
insegnante accademico all’università di Bonn. Era – nel 1959 – ancora il
tempo della vecchia università dei professori ordinari. Per le singole
cattedre non esistevano né assistenti né dattilografi, ma in compenso
c’era un contatto molto diretto con gli studenti e soprattutto anche tra
i professori. Ci si incontrava prima e dopo la lezione nelle stanze dei
docenti. I contatti con gli storici, i filosofi, i filologi e
naturalmente anche tra le due facoltà teologiche erano molto stretti. Una volta in ogni semestre c’era un cosiddetto dies academicus,
in cui professori di tutte le facoltà si presentavano davanti agli
studenti dell’intera università, rendendo così possibile un’esperienza
di universitas– una cosa a cui anche Lei,
Magnifico Rettore, ha accennato poco fa – l’esperienza, cioè del fatto
che noi, nonostante tutte le specializzazioni, che a volte ci rendono
incapaci di comunicare tra di noi, formiamo un tutto e lavoriamo nel
tutto dell’unica ragione con le sue varie dimensioni, stando così
insieme anche nella comune responsabilità per il retto uso della ragione
– questo fatto diventava esperienza viva. L’università, senza dubbio,
era fiera anche delle sue due facoltà teologiche. Era chiaro che
anch’esse, interrogandosi sulla ragionevolezza della fede, svolgono un lavoro che necessariamente fa parte del “tutto” dell’universitas scientiarum, anche se non tutti potevano condividere la fede, per la cui correlazione con la ragione comune
si impegnano i teologi. Questa coesione interiore nel cosmo della
ragione non venne disturbata neanche quando una volta trapelò la notizia
che uno dei colleghi aveva detto che nella nostra università c’era una
stranezza: due facoltà che si occupavano di una cosa che non esisteva –
di Dio. Che anche di fronte ad uno scetticismo così
radicale resti necessario e ragionevole interrogarsi su Dio per mezzo
della ragione e ciò debba essere fatto nel contesto della tradizione
della fede cristiana: questo, nell’insieme dell’università, era una
convinzione indiscussa.
Tutto ciò mi tornò in mente, quando
recentemente lessi la parte edita dal professore Theodore Khoury del
dialogo che il dotto imperatore bizantino Manuele II Paleologo, forse durante i quartieri d’inverno del 1391 presso Ankara, ebbe con un persiano colto su cristianesimo e islam e sulla verità di ambedue. Fu poi presumibilmente l’imperatore stesso ad annotare, durante l’assedio di Costantinopoli
tra il 1394 e il 1402, questo dialogo; si spiega così perché i suoi
ragionamenti siano riportati in modo molto più dettagliato che non
quelli del suo interlocutore persiano. Il dialogo si estende su tutto
l’ambito delle strutture della fede contenute nella Bibbia e nel Corano e
si sofferma soprattutto sull’immagine di Dio e dell’uomo,
ma necessariamente anche sempre di nuovo sulla relazione tra le – come
si diceva – tre “Leggi” o tre “ordini di vita”: Antico Testamento –
Nuovo Testamento – Corano. Di ciò non intendo parlare ora in questa
lezione; vorrei toccare solo un argomento – piuttosto marginale nella
struttura dell’intero dialogo – che, nel contesto del tema “fede e ragione“, mi ha affascinato e che mi servirà come punto di partenza per le mie riflessioni su questo tema.
Nel settimo colloquio (διάλεξις – controversia) edito dal prof. Khoury, l’imperatore tocca il tema della jihād,
della guerra santa. Sicuramente l’imperatore sapeva che nella sura 2,
256 si legge: “Nessuna costrizione nelle cose di fede”. È probabilmente
una delle sure del periodo iniziale, dice una parte degli esperti, in
cui Maometto stesso era ancora senza potere e
minacciato. Ma, naturalmente, l’imperatore conosceva anche le
disposizioni, sviluppate successivamente e fissate nel Corano, circa la guerra santa.
Senza soffermarsi sui particolari, come la differenza di trattamento
tra coloro che possiedono il “Libro” e gli “increduli”, egli, in modo
sorprendentemente brusco, brusco al punto da essere per noi
inaccettabile, si rivolge al suo interlocutore semplicemente con la
domanda centrale sul rapporto tra religione e violenza in genere,
dicendo: “Mostrami pure ciò che Maometto ha portato di nuovo, e vi
troverai soltanto delle cose cattive e disumane, come la sua direttiva di diffondere per mezzo della spada la fede
che egli predicava”. L’imperatore, dopo essersi pronunciato in modo
così pesante, spiega poi minuziosamente le ragioni per cui la diffusione
della fede mediante la violenza è cosa irragionevole.
La violenza è in contrasto con la natura di Dio e la natura dell’anima.
“Dio non si compiace del sangue – egli dice -, non agire secondo
ragione, σὺν λόγω, è contrario alla natura di Dio. La fede è frutto
dell’anima, non del corpo. Chi quindi vuole condurre qualcuno alla fede
ha bisogno della capacità di parlare bene e di ragionare correttamente,
non invece della violenza e della minaccia… Per convincere un’anima
ragionevole non è necessario disporre né del proprio braccio, né di
strumenti per colpire né di qualunque altro mezzo con cui si possa
minacciare una persona di morte…”
L’affermazione decisiva in questa argomentazione contro la conversione mediante la violenza è: non agire secondo ragione è contrario alla natura di Dio. L’editore, Theodore Khoury, commenta: per l’imperatore, come bizantino cresciuto nella filosofia greca, quest’affermazione è evidente. Per la dottrina musulmana, invece, Dio è assolutamente trascendente.
La sua volontà non è legata a nessuna delle nostre categorie, fosse
anche quella della ragionevolezza. In questo contesto Khoury cita
un’opera del noto islamista francese R. Arnaldez, il quale rileva che
Ibn Hazm si spinge fino a dichiarare che Dio non sarebbe legato neanche
dalla sua stessa parola e che niente lo obbligherebbe a rivelare a noi
la verità. Se fosse sua volontà, l’uomo dovrebbe praticare anche
l’idolatria.
A questo punto si apre, nella comprensione di Dio e quindi nella realizzazione concreta della religione,
un dilemma che oggi ci sfida in modo molto diretto. La convinzione che
agire contro la ragione sia in contraddizione con la natura di Dio, è soltanto un pensiero greco o vale sempre e per se stesso? Io penso che in questo punto si manifesti la profonda concordanza tra ciò che è greco nel senso migliore e ciò che è fede in Dio sul fondamento della Bibbia.
Modificando il primo versetto del Libro della Genesi, il primo versetto
dell’intera Sacra Scrittura, Giovanni ha iniziato il prologo del suo
Vangelo con le parole: “In principio era il λόγος“. È questa proprio la stessa parola che usa l’imperatore: Dio agisce σὺν λόγω, con logos. Logos significa insieme ragione e parola
– una ragione che è creatrice e capace di comunicarsi ma, appunto, come
ragione. Giovanni con ciò ci ha donato la parola conclusiva sul
concetto biblico di Dio, la parola in cui tutte le vie spesso faticose e
tortuose della fede biblica raggiungono la loro meta, trovano la loro
sintesi. In principio era il logos, e il logos è Dio, ci dice
l’evangelista. L’incontro tra il messaggio biblico e il pensiero greco
non era un semplice caso. La visione di san Paolo, davanti al quale si
erano chiuse le vie dell’Asia e che, in sogno, vide un Macedone e sentì
la sua supplica: “Passa in Macedonia e aiutaci!” (cfr At 16,6-10) –
questa visione può essere interpretata come una “condensazione” della
necessità intrinseca di un avvicinamento tra la fede biblica e
l’interrogarsi greco.