
 
 
Da venerdì si combatte a Bengasi e a Tripoli, con l’impiego di 
blindati, aerei ed elicotteri. Nel capoluogo della Cirenaica le forze 
militari del generale Khalifa Haftar sono impegnate contro le milizie 
islamiste dei qaedisti di Ansar al-Sharia. A Tripoli i golpisti sono 
rappresentati dalla milizia di Zintan (considerata la meglio armata e 
addestrata tra le tante milizie tribali libiche) guidata dal colonnelllo
 Mokhtar Fernana, che ha “ufficializzato” il collegamento con Haftar 
annunciando “la sospensione del Congresso nazionale generale” (il 
Parlamento) e di tutte le istituzioni. Un’iniziativa preannunciata il 
giorno prima dal generale Hatfar, che si era visto accusare dalle 
autorità di Tripoli di voler attuare un colpo di stato. Il filo diretto 
tra i combattenti laici in Tripolitania e Cirenaica è apparso così più 
che evidente e il governo libico ne ha dovuto prendere atto. Dopo aver 
negato problemi fino al primo pomeriggio di ieri (“è tutto sotto 
controllo”) in serata ha disposto la sospensione del Parlamento e di 
qualunque sua attività fino a nuove elezioni, compresa quella di un 
nuovo premier.

 
L’ultimo
 premier insediatosi a Tripoli, l’imprenditore miliardario Ahmed Miitig 
improvvisamente entrato in politica lo scorso 4 maggio con l’appoggio 
dei Fratelli Musulmani e altri fondamentalisti islamici, non è riuscito a
 portare alcuna soluzione alla crisi accentuando al contrario i 
contrasti tra islamisti e laici. Del resto la nomina di Mitiig con una 
votazione quasi clandestina al Parlamento e con un numero di consensi 
inferiore a quello richiesto dal regolamento aveva indotto molti a 
gridare al “golpe” orchestrato dai Fratelli Musulmani del partito 
“Giustizia e Costruzione” ben determinati a prendere il controllo del 
Paese conquistando alla loro causa molti deputati eletti come 
indipendenti. La nomina di MItiig ha fatto perdere ogni credibilità 
residua alla classe politica almeno agli occhi dei militari. Non a caso 
poco dopo il comunicato governativo un altro comandante militare, Wanis 
Abu Khamada, capo delle forze speciali libiche, ha dichiarato che gli 
uomini della sua unità sono “pronti a combattere contro il terrorismo” e
 ad affiancare soldati e ufficiali già schierati con Haftar al quale 
hanno portato in dotazione aerei, elicotteri e pezzi d’artiglieria 
pesante. Due basi aeree, Tobruk e Benina (Bengasi), erano passate nella 
notte con il generale.

 
La
 comunità internazionale per ora tace, forse aspettando gli eventi o in 
attesa di capire quali schieramenti si muovano oggi nella crisi libica. 
Hatfar ha vissuto molti anni negli Stati Uniti e alcuni lo considerano 
al soldo della CIA. Certo dalla sua parte sembra schierato l’Egitto del 
generale al-Sisi prossimo presidente che da tempo vuole spazzare via gli
 islamisti dalla confinante Cirenaica. Facile immaginare anche il 
supporto algerino alle milizie di Zintan e alla sollevazione militare 
non solo per le affinità con il governo di Algeri (i militari sono il 
baluardo della laicità delle istituzioni) ma anche perché l’anarchia 
libica ha consentito ampi collegamenti tra i qaedisti libici e quelli 
attivi in Algeria nell’ambito del movimento al-Qaeda nel Maghreb 
Islamico. Bisogna poi comprendere se il Qatar continuerà a sostenere i 
Fratelli Musulmani libici anche dopo la dura crisi diplomatica dei mesi 
scorsi che l’ha opposto ad Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti che nel
 caso di ingerenza di Doha sono pronti a sostenere (se non lo stanno già
 facendo) il generale Hatfar così come hanno sostenuto al-Sisi in 
Egitto.

 
In
 Libia tira quindi aria di restaurazione con un regime di tipo militare 
che “protegga la democrazia” da derive islamiste? Presto per dirlo 
perché se l’obiettivo del pronunciamento militare è chiaro non è 
altrettanto certo che la guerra possa essere vinta in breve tempo. 
Qaedisti e fratelli Musulmani potrebbero saldarsi per opporre una 
resistenza che troverebbe supporto nelle rivalità tribali, ad esempio a 
Misurata le cui milizie sono da sempre rivali di quelle di Zintan. Senza
 contare le difficoltà di controllo del territorio specie nel Fezzan, la
 vasta regione desertica meridionale.
Il silenzio di Washington, Londra e Parigi potrebbe indicare un ruolo di
 questi Paesi negli sviluppi recenti in Libia così come le dichiarazioni
 di Matteo Renzi sembrano testimoniare come l’Italia sia stata colta 
ancora una volta di sorpresa dagli eventi in atto nella ex colonia.
“La Libia è una priorità assoluta ma la vicenda si risolve solo per 
via internazionale, nessun Paese da solo può pensare di risolvere una 
situazione così drammatica” ha detto ieri auspicando ancora una volta il
 coinvolgimento dell’Onu e dell’Ue.  E poi ha espresso la consueta 
“profonda preoccupazione”, appelli “a tutte le parti a fermare il bagno 
di sangue e a evitare ulteriori violenze” e “a lavorare insieme” per 
“una democrazia stabile”.

 
Insomma,
 la solita aria fritta che cerca di nascondere l’assoluta mancanza 
(anche in questo governo) di una politica estera persino nei confronti 
di un Pese così vicino e dal peso così strategico in termini energetici,
 di coinvolgimento delle nostre aziende e di esposizione 
all’immigrazione clandestina. Come nel febbraio 2011, quando col 
supporto diretto di “consulenti” di Qatar, Francia e Gran Bretagna, 
prese il via a Bengasi la “rivoluzione” contro il regime di Muammar 
Gheddafi, anche di fronte al “pronunciamiento” militare del generale 
Hatfar a Roma sembrano cadere dalle nuvole. Washington invece segue 
“minuto per minuto” l’evolversi della situazione “estremente fluida” in 
Libia. Non solo.
Nell’eventualità di dover ordinare un’evacuazione d’emergenza degli 
americani nel Paese ha inviato altri 4 aerei da trasporto militari V-22 
Osprey nella base siciliana di Sigonella (a 530 chilometri da Tripoli) 
dove da mesi ne stazionano altri 4 con 200 marines. E’ quanto riferisce 
la Cnn citando fonti del Pentagono. I Bell-Boeing V-22 Osprey 
(convertiplani, velivoli che decollano come elicotteri e poi effettuano 
una transizione dei due motori ad elica per volare come aerei con una 
velocità massima di 510 km/h con un’autonomia di 1.650 km) possono 
trasportare fino 24 passeggeri e possono decollare con un preavviso di 6
 ore. In totale la flotta di Osprey con i marines di scorta sarà in 
grado di evacuare oltre 200 persone dall’ambasciata americana a Tripoli.

 
I
 duecento marines inviati dalla base Usa di Moron, in Spagna, sono a 
Sigonella “a causa della situazione di instabilità in Nordafrica” e 
“sono addestrati per rispondere a ogni tipo di crisi” che metta a 
rischio gli interessi degli Stati Uniti. Lo ha detto ieri  all’Adnkronos
 l’addetto stampa della base militare, il tenente Usa Paul Newell. In 
relazione alle notizie che giungono dalla Libia, Newell spiega di non 
poter fornire indicazioni “specifiche” sulla situazione nel Paese ma 
l’area di “instabilita’” per la quale e’ stato deciso l’invio del 
contingente di Marines nella base siciliana, sottolinea Newell, riguarda
 tutto il “Nordafrica”.
Stessa risposta da Alberto Lunetta, il vice di Newell nella Stazione 
Aeronavale della US Navy di Sigonella. “Al momento nessuna novità” in 
relazione alle notizie di scontri armati che giungono dalla Libia, 
spiega. “Li posizioniamo in modo più avanzato a Sigonella, in modo che 
possano rispondere piu’ velocemente ad ogni crisi”, aveva detto nei 
giorni scorsi il portavoce del Pentagno, Steve Warren, annunciando il 
trasferimento dei marines dalla base spagnola dove è stato istituito il 
quartier generale Marine Air-Ground Task Force Crisis Response.Questa è 
l’unità di intervento rapido creata dopo l’attacco al consolato di 
Bengasi, quando, l’11 settembre del 2012, l’ambasciatore Christopher 
Stevens ed altri 3 americani furono uccisi prima che riuscissero ad 
arrivare i marines. Il trasferimento è stato richiesto dal dipartimento 
di Stato, aveva confermato Warren, pur senza precisare se esistono 
minacce specifiche contro interessi Usa.

 
Anche
 se al momento non vi sarebbero piani imminenti di un’evacuazione 
dell’ambasciata di Tripoli è evidente che il Dipartimento di Stato non 
può permettersi di esporsi ad un possibile nuovo, tragico, errore di 
valutazione dei rischi per la sicurezza di cittadini ed interessi 
americani nel paese nordafricano. Soprattutto in questo momento in cui i
 repubblicani appaiono intenzionati a rilanciare la mai sopita polemica 
sui tragici fatti di Bengasi avviando l’ennesima indagine al Congresso, 
che ne ha condotte in questi due anni altre sette. Ancora una volta 
saranno lanciate accuse all’amministrazione, ed in particolare 
all’allora segretario di Stato, Hillary Clinton – ora probabile 
candidata alla Casa Bianca – di non aver adeguatamente protetto prima i 
diplomatici americani e poi di aver cercato di ingannare il paese sulla 
natura dell’attacco. democratici da giorni denunciano il fine 
prettamente elettorale, a pochi mesi dalle elezioni di mid term e già in
 vista della battaglia per la Casa Bianca, di questa nuova inchiesta, e 
alcuni di loro vorrebbero addirittura boicottare i lavori della 
commissione.

 
La
 concomitanza dell’avvio della nuova inchiesta con il precipitare della 
situazione di instabilita’ politica, e quindi di sicurezza, a Tripoli ha
 fatto tornare di attualità a Washington la situazione della Libia, ed 
anche le critiche alla gestione dell’intervento e soprattutto del post 
intervento libico. Secondo il quotidiano la Casa Bianca e la Nato “hanno
 la responsabilità del disastro in Libia, perché sono intervenuti per 
aiutare i ribelli a rovesciare Gheddafi e poi sono ne usciti rapidamente
 senza fare un serio sforzo di aiutare i libici a ristabilire la 
sicurezza e costruire un nuovo ordine politico” scriveva nei giorni 
scorsi il Washington Post, stigmatizzando sia l’amministrazione Usa che 
gli alleati europei per quella che veniva definita “l’azione 
raffazzonata” in Libia.
“Il Congresso dovrebbe indagare sul perché l’amministrazione ha 
permesso che un Paese in cui aveva avviato un’operazione militare 
scivolasse nel caos” invece di “continuare a cercare lo scandalo su 
Bengasi” a scopi elettorali, concludeva l’editoriale che non ha 
risparmiato critiche neppure ai repubblicani.
con fonti Ansa e Adnkronos
Foto: faisalalshrafi, Reuters, AFP, AP, stripe
di Gianandrea Gaiani -20 maggio 2014
fonte: http://www.analisidifesa.it