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Non smettete mai di protestare; non smettete mai di dissentire, di porvi domande, di mettere in discussione l’autorità, i luoghi comuni, i dogmi. Non esiste la verità assoluta. Non smettete di pensare. Siate voci fuori dal coro. Un uomo che non dissente è un seme che non crescerà mai.

(Bertrand Russell)

10/12/16

REFERENDUM "Ha vinto il “No”? E chi se ne frega! "



 


Avete capito bene cari diciotto milioni di italiani che votando “No” speravate non solo di bocciare la riforma, ma, ovviamente, Matteo Renzi, Governo e maggioranza? Avete capito che il rispetto della volontà popolare è quello che state vedendo? Cioè che Renzi sarà ancora a Palazzo Chigi con tutti, o quasi, i suoi ministri, alla faccia del voto del quattro dicembre scorso.
Viene da pensare cosa avrebbero potuto fare se avesse vinto il “Sì”. Dunque, nonostante tutto, ringraziamo Dio che almeno la Costituzione ce la siamo tenuta stretta. Stiamo assistendo a uno spettacolo indecoroso, Renzi, Partito Democratico e alleati di Governo hanno sbagliato il possibile e l’impossibile, ma alla fine saremo noi a pagare il conto. L’unica soluzione alternativa alle elezioni anticipate e cioè quella di affidare l’incarico al Presidente Pietro Grasso, per guidare un Governo istituzionale sostenuto largamente da un Parlamento fedele alla volontà popolare, non si farà. Non si farà perché dentro la maggioranza, ma soprattutto dentro il Pd, è scattata la resa dei conti e dunque chi se ne frega del voto sul referendum, quello che conta è la vendetta, la rivincita, l’interesse personale.
Insomma, ci stanno prendendo in giro un’altra volta con ogni scusa possibile pur di fare i loro calcoli di comando, di segreteria, di forza correntizia, di poltrone e di potere. Va da sé, infatti, che se ci fossimo trovati in un Paese normale, sarebbe stato ovvio l’incarico al Presidente del Senato; ovvio l’impegno a un’immediata modifica, seppur elementare, della legge elettorale; ovvio lo scioglimento delle Camere subito dopo.
Da noi, invece, ci si fa scudo della sentenza della Consulta che arriverà solo a fine gennaio, ci si fa scudo degli impegni internazionali, ci si fa scudo di tutto pur di nascondere la verità che è tutt’altra. La verità è che nel Pd giocano a fregarsi gli uni con gli altri, Renzi a negare ogni appoggio a un Governo che lo escludesse del tutto, la minoranza a evitare il voto per paura del risultato e per rosolare Renzi fino all’ultimo. Del resto dentro il Pd tutti sanno che senza l’appoggio dei quattrocento parlamentari che contano alla Camera niente è possibile, dunque ne approfittano per regolare i conti in sospeso. Qui non si tratta del pericolo grillino, del rischio della destra, insomma delle bugie che dicono per non portarci al voto, anzi questo è il modo per aprirgli un’autostrada. La realtà è che non vogliono rischiare di mollare il potere. Sono talmente devastati dall’onnipotenza da non capire quanto il popolo gli si rivolterà contro quando finalmente potrà votare, perché prima o poi si dovrà pur votare. Sono talmente deliranti da non capire che messaggi ipocriti stanno lanciando al Paese, ai diciotto milioni di cittadini che hanno votato “No”, ma anche a quelli che non hanno votato e che vedendoli comportarsi così lo faranno la prossima volta, votando per protesta. Del resto cosa ci si poteva aspettare da una maggioranza che in tre anni ci ha portato e ridotto in questo modo. Solo qualche sprovveduto poteva immaginare che la vittoria del “No” avrebbe sconfitto l’arroganza, la tracotanza e il menefreghismo.
Per questo ci appelliamo al vaglio del Presidente Mattarella, l’unico in grado di capire fino in fondo il significato politico e l’importanza del voto referendario. Il capo dello Stato può ancora prendere il toro per le corna e incaricare il Presidente Grasso, spingendo tutto il Parlamento a sostenerlo, per rispetto e responsabilità istituzionale e costituzionale verso gli italiani. Se al contrario ci ritrovassimo ancora Renzi a Palazzo Chigi sarebbe non solo il trionfo del gattopardo (alla faccia del cambiamento), ma l’aggravamento definitivo, rischioso e pericoloso della frattura fra politica e cittadini.

di Elide Rossi e Alfredo Mosca - 10 dicembre 2016

09/12/16

REFERENDUM "Populisti sarete voi!"


 


Adesso dall’estero, dove sono state esportate le peggiori cavolate, i più smaccati pregiudizi “made in Italy”, giungono le manifestazioni della preoccupazione per la vittoria del “No”, che rappresenterebbe “un grave scivolone populista”.
È una menzogna intollerabile, un’ulteriore prova dell’ambiguità perversa, della manipolazione su scala internazionale delle verità e delle questioni relative alla vita politica del nostro Paese. Populisti? Populisti quelli del “No”, populista quelli che hanno intuito, benché bombardati da un’indecente, spregiudicata campagna di menzogne e di allarmismi, che andava difesa una struttura dello Stato non “personalizzata” per le esigenze di un Capataz di provincia?
Incominciamo col dire che la riforma costituzionale scongiurata col voto del 4 dicembre era (essa sì) concentrata di populismo, di cosiddetta antipolitica, di antiparlamentarismo che dell’antipolitica è stato sempre un cavallo di battaglia. La riduzione del Senato ad un dopolavoro di sindaci e consiglieri regionali, (“osì risparmiamo”) era la tipica cavolata da bar di periferia. La “semplificazione” del processo legislativo realizzato con un campionato di sette diversi tipi di legislazione, secondo articoli modificati in modo da risultare più un regolamento di un torneo di bocce che una raccolta di norme della Carta fondamentale, erano manifestazioni di una subcultura populista. E la retorica di Matteo Renzi, perennemente in maniche di camicia, che cos’era se non una bolsa espressione di populismo? Discutere, certo, di che cosa sia il populismo, come esso si distingua e si contrapponga alla democrazia, richiederebbe ben altro spazio.
A lanciare anatemi contro il populismo, del resto, sono quelli che lo hanno prodotto e che hanno ritenuto di poterlo cavalcare per il loro potere ed i loro interessi. Esso è la reazione alla vacuità delle ideologie, alla caricatura del marxismo dei figli di papà, al tentativo di ingessare la politica, le possibilità di alternative. È la reazione alla burocratizzazione ed all’asservimento al potere dei sindacati. Certo, è una reazione che spesso ricalca sciagurati modi di essere di chi l’ha provocata. La sfiducia e la rabbia contro la classe politica ha fatto e fa dei “populisti” la tifoseria del partito dei magistrati. Io non sono certo sospettabile di simpatia per i grillini ed i leghisti. Ma ciò non deve impedire a me, come ad altri, di reagire alle menzogne ed alle distorsioni. Cari signori del “Sì”: non veniteci a raccontare che il pericolo è il populismo che ha vinto con il “No”. Populisti siete voi. E qualcosa di peggio.

di Mauro Mellini - 08 dicembre 2016

08/12/16

Le inquietanti eredità del Governo Renzi



 


Il Governo di Matteo Renzi passerà alla storia della Repubblica come uno dei più longevi, ma anche come quello che ha lasciato le eredità più pericolose e negative.
Nei tre anni in cui ha guidato il Paese ha distribuito mance elettorali che non sono minimamente servite ad incentivare i consumi ed a riattivare la produzione, ha realizzato una riforma del lavoro che ha corretto le storture del passato ma ha scaricato sui conti pubblici tutti gli incentivi fiscali e contributivi dati agli imprenditori e ha provocato un falso aumento di occupazione subito calato quando gli incentivi sono diminuiti, ha privilegiato i già super-privilegiati (banche e grandi gruppi industriali internazionali) scaricando i costi di questi privilegi sul ceto medio e le fasce meno abbienti, ha dato vita ad una politica estera appiattita sulle posizioni di Barack Obama e Angela Merkel che ha impedito all’Italia di svolgere un ruolo attivo nel Mediterraneo e che l’ha resa sempre meno influente all’interno della Comunità europea.
Tutto frutto di incapacità e dilettantismo? Niente affatto. Tutto frutto di uno stile di governo segnato dalla convinzione che nella società della comunicazione e dello spettacolo il subito, qualunque esso possa essere, va sempre preferito al bene. Il ché, tradotto in termini politici, significa governare con la preoccupazione di fronteggiare il contingente senza minimamente pensare alle conseguenze nel futuro. Gli ottanta euro dovevano servire per superare lo scoglio delle elezioni europee, gli incentivi per l’occupazione e tutte le altre misure economiche per convincere gli italiani che la crisi è passata ed il Governo va sostenuto, il sostegno ai privilegiati per garantirsi la benevolenza e la benedizione mediatica dei vip (da Marchionne ai banchieri, da Boccia a Santoro e Benigni), il voto di scambio o voto della frittura per recuperare il referendum considerato in bilico, la paralisi internazionale per avere gli inviti alla Casa Bianca e le pacche sulle spalle della Cancelliera tedesca per trasformare questi riconoscimenti formali e fittizi in effetti speciali per soddisfare il provincialismo italico.
Solo arroganza la scelta del subito a dispetto del bene? Sicuramente no. A determinare questo stile di governo ha contribuito la convinzione di Renzi di non avere alternative e di essere destinato a governare il Paese per un tempo infinito. Il “subito” mal fatto sarebbe stato corretto con comodo!
Gli esempi più clamorosi di questo modo di governare sono la riforma elettorale fatta solo per la Camera, nella convinzione che il Senato elettivo sarebbe stato cancellato dal referendum e la riforma della Rai, che ha tolto al Parlamento il controllo del servizio pubblico per consegnarlo al Governo, realizzata nella certezza che Renzi sarebbe comunque rimasto a Palazzo Chigi all’infinito ed a gestire la Rai sarebbe stato sempre l’Esecutivo renziano ed i suoi uomini. Tra le eredità lasciate da Renzi ora c’è la necessità di realizzare al più presto una legge elettorale per il Senato da conciliare con quella della Camera. E c’è la domanda intrigante se alla Rai, cambiando il Governo, si debba cambiare anche la sua governance operativa.
Il subito è nemico del bene. Soprattutto se fatto con arroganza e dilettantismo!

di Arturo Diaconale - 08 dicembre 2016

IMMIGRAZIONE "Migranti, UE: 80% di arrivi in Italia sono irregolari"



“Se confrontiamo Italia e Grecia vediamo che fino all’80% dei migranti che attraversano il mar Egeo sono profughi, mentre la maggioranza di quelli che arrivano in Italia dal Mediterraneo centrale,  l’80%, sono irregolari. Non intendiamo cambiare i criteri” delle nazionalità da ricollocare.
Così il commissario Ue Dimitris Avramopoulos a chi chiede se non si pensi a una modifica dei criteri per le nazionalità da ridistribuire, visto che in Italia non ci sono abbastanza siriani ed eritrei candidabili. (ANSA).
Quindi tutti i clandestini resteranno in Italia, mantenuti a spese degli italiani.

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“AVRAMOPOULOS SVELA GRANDE INGANNO ACCOGLIENZA PD”
BRUXELLES, 8 DIC – “Ci voleva la caduta del governo Renzi per indurre l’Ue a svelare il grande inganno sull’immigrazione: oggi il commissario Avramopoulos ammette che l’80% degli arrivi in Italia sono di irregolari. Peccato che il sistema di accoglienza italiano fino ad oggi abbia funzionato a pieno regime, offrendo vitto e alloggio a tutti, anche agli irregolari (e non sono mancati, tra questi, casi di crimini, anche efferati).

La tardiva ammissione dell’Ue getta nuove ombre sull’operato del Pd e del già premier Renzi. La Lega Nord aveva denunciato per tempo la lucida follia di queste politiche migratorie, ricevendo come risposte alzate di spalle da parte degli stessi partiti di maggioranza che, dopo aver contribuito ad alimentare l’invasione, oggi gridano all’emergenza”. Lo dice l’europarlamentare e vicesegretario federale della Lega Nord Lorenzo Fontana

Ong e contractor americani fanno contrabbando “industriale” di immigrati?  Ora bisognerebbe processarli








Fonte: http://www.imolaoggi.it

Leggi anche: http://edoardo-medini.blogspot.it/2016/12/immigrazione-come-blackwater-ed.html

07/12/16

IMMIGRAZIONE "Come Blackwater ed Emergency traghettano migranti in Italia"

Regina e Chris Catrambone
Regina e Chris Catrambone

MOAS è l’acronimo di Stazione di aiuto ai migranti in mare aperto. Si tratta di un’organizzazione non governativa con sede a Malta che si è posto il compito di pattugliare il Mediterraneo e salvare persone in alto mare, recuperandole da gommoni, zattere e barche sul Phoenix, il peschereccio della MOAS, una nave completa di droni per sorvegliare le acque, traghettando i migranti per miglia, dalle coste libiche alla Sicilia. L’organizzazione è gestita da Chris Catrambone (35) e sua moglie Regina. Chris Catrambone, statunitense della Louisiana diplomato al college, gestiva un ristorante su un battello a vapore ed ha lavorato presso il Congresso degli Stati Uniti a Washington DC, prima di lavorare come investigatore assicurativo. In tale veste fu inviato nei luoghi più pericolosi del mondo, come ad esempio Iraq e Afghanistan. Dopo aver fatto abbastanza esperienza, e accidentalmente sopravvissuto all’uragano Katrina in Louisiana nel 2005, l’anno dopo Chris Catrambone fondava il Tangiers Group, azienda globale specializzata in “Servizi di assicurazione, assistenza di emergenza, gestione dei sinistri sul campo ed intelligence“(1)). Inizialmente operava dagli Stati Uniti, ma per gestire meglio l’azienda in espansione trasferiva le attività in Italia (dove incontrava la futura moglie) e poi a Malta. È qui che nel 2013 Chris Catrambone fondò la Migrant Offshore Aid Station (MOAS) per assistere la popolazione del terzo mondo ad attraversare il mare in cerca di una vita migliore. Catrambone e la moglie si dice che abbiano speso 8 milioni di dolari propri per tale fine, perché, come il fondatore della MOAS ha confessato, anche lui, una volta che perse la casa a causa di Katrina, capì la situazione degli altri.

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Ian Ruggier è un membro del consiglio della MOAS. Questi un tempo fece scalpore a Malta con un piano volto a frenare i migranti in rivolta a Malta. Le unità di polizia circondarono la folla, ed isolarono e colpirono i capi per evitare ulteriori dimostrazioni. Eppure qualcosa andò storto e fallì, con le organizzazioni pro-immigrati che fecero enorme clamore e i tribunali che se ne occuparono (2). Dopo 25 anni di servizio, Ian Ruggier ha trovato lavoro nella MOAS: incaricato di contenere i migranti ora è passato dalla loro parte: Saulo divenne Paolo. Forse.
Ma che succede se Ian Ruggier è soltanto l’uomo il cui compito è garantire che i migranti soccorsi o infiltrati in Europa non finiscano a Malta? Perché le barche della MOAS sono di stanza a Malta, da dove operano. Una volta caricati di immigrati, salpano dal porto di La Valletta verso l’Italia per scaricarvi il carico umano. Robert Young Pelton è consulente strategico della MOAS (3), fondatore di Migrant Report (4) e proprietario della Dpx (Posti estremamente pericolosi) Gear, che vende coltelli da guerra (5) per chi si reca nelle zone di conflitto da cui, stranamente, provengono le persone che si suppone MOAS e Migrant Report dovrebbero aiutare. Come giornalista free-lance ha incontrato Eric Prince, il fondatore della Blackwater, la società militare privata statunitense (mercenari) impegnata in operazioni in Afghanistan e Iraq; per inciso, la Blackwater è stata impiegata anche in Louisiana, durante l’uragano Katrina: Chris Catrambone era capitato lì proprio in quel momento. Robert Young Pelton ha incrociato Eric Prince su questioni finanziarie.
Ma tornando a Chris Catrambone. Un giovane laureato e dipendente, costituisce una società (Tangiers Group) che estende rapidamente le attività in oltre cinquanta Paesi, comportando profitti per milioni da potersi creare l’ente di beneficenza che si chiama MOAS. MOAS impiega uomini che contemporaneamente possono intervenire presso le aziende militari private o essere incaricati di frenare l’afflusso di persone che cercano di attraversare il Mediterraneo. Tale organizzazione non-governativa non è in concorrenza con i governi europei nel recupero dei migranti: piuttosto li integra, un riconoscimento per cui il suo fondatore riceve premi. (6)

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 Alcune domande sorgono. Come ha fatto Chris Catrambone ad accumulare tale fortuna, così giovane, sul mercato delle assicurazioni? (7) È il suo ente di carità è solo un’espressione delle proprie convinzioni personali? Persegue scopi politici? Il suo Tangiers Group opera nelle zone di guerra: è un puro caso? Lavorò presso il Congresso degli Stati Uniti a Washington DC. Alcuni suoi collaboratori spuntano nelle stesse zone pericolose dove opera Tangiers Group. Anche qui un puro caso? Sembra che ci sia una stretta relazione tra MOAS, marina maltese ed esercito statunitense. MOAS è guidata da un ufficiale di marina noto per il duro trattamento inflitto agli immigrati; fu promosso partner commerciale della Blackwater, ben nota per le azioni spietate contro i civili e di proprietà di una persona che ha fatto fortuna sfruttando le operazioni militari statunitensi in Afghanistan, Africa del Nord e Medio Oriente. Lo stesso denaro, in un modo o nell’altro, guadagnato creando caos in Africa e Medio Oriente, provocando la crisi dei rifugiati, viene ora usato per spedire migliaia di africani senza documenti nel cuore dell’Europa, causando problemi in Italia, Francia, Grecia e Germania. Non si può fare a meno di chiedersi se quelli della MOAS siano onesti salvatori o compiano la missione di destabilizzare ancora di più l’Europa.

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 Robert Young Pelton in Afganistan nel 2001, durante l'invsione degli USA. Qui era circodanto dai guerriglieri dell'Alleanza del Nord, il fronte di cui era leader il potente narcotrafficante afgano Ahmad Shah Masud, grande amico di Gino Strada. C'è un nesso? Pelton era presente


Robert Young Pelton in Afganistan nel 2001, durante l’invsione degli USA. Qui era circondato dai guerriglieri dell’Alleanza del Nord, il fronte di cui era leader il potente narcotrafficante afgano Ahmad Shah Masud, grande amico di Gino Strada. C’è un nesso?


Robert Young Pelton, in Iraq assieme agli amici della Blackwater

Robert Young Pelton, al centro, in Iraq assieme agli amici della Blackwater. Pelton è “consigliere strategico” dell’ente immigrazionista MOAS con cui Emergency di Gino Strada ha stretto forti legami.

Riferimenti
1. Christopher Catrambone, My Story.
2. Come l’esercito ha sbagliato, Times of Malta, 19/12/2005, un ufficiale responsabile della disastrosa gestione delle proteste, Malta Today 16/11/2007.
3. Robert Young Pelton: Aid Station Migrant Offshore (MOAS) e la crisi dei rifugiati dalla Siria.
4. Migrant Report
5. Dpx Gear
6. MOAS, giovane eroe tra coloro onorati nel giorno della Repubblica, 13/12/2015 Malta Today 2015/12/13.
7. “Avevo un patrimonio netto di 10 milioni di dollari prima di compiere trent’anni. (…) Non sono cresciuto nel denaro o nel lusso. Ho costruito tutto quello che ho da zero, attraverso il duro lavoro e la dedizione. Ad un certo punto, ho cominciato a vedermi arrabbattarmi tra questioni sui soldiPhoenix Rising.


Il sodalizio tra MOAS ed Emergency risale al 2011?
Il sodalizio tra MOAS ed Emergency risale al 2011?


La MOAS usa droni da ricognizione.
La MOAS usa droni da ricognizione di origine militare per le operazioni di ‘recupero’ di migranti.



Gefira 11/10/2016
Traduzione di Alessandro Lattanzio

fonte: https://aurorasito.wordpress.com/

L’arma di Renzi: il casino che ha fatto


 


Se nel 1943 Benito Mussolini avesse detto a Re Pippetto: “Maestà, prima di mandarmi a Ponza mi deve lasciar compiere gli ‘atti indifferibili’. C’è una guerra da cui uscire, manca una legge elettorale per il Parlamento che dovrebbe tornare a funzionare, c’è la legge di bilancio non ancora approvata…”. Re Pippetto gli avrebbe detto: “Mi sta per caso pigliando in giro? Proprio Voi, ex Duce, a ricordami il casino che avete fatto?”.
Già, ma Re Pippetto, benché complice e corresponsabile di quel gran casino che Mussolini si lasciava dietro le spalle, non era un vero e proprio “Re ad personam” di Mussolini, che aveva rottamato tutte le istituzioni, ma lasciato in vita quel tanto della monarchia, da cui poi fu abbattuto.
Sergio Mattarella che prega Matteo Renzi di soprassedere alle dimissioni, annunciate dopo una sonora sconfitta nel referendum che egli stesso aveva concepito non tanto come conferma della “Costituzione ad personam”, quanto come plebiscito per una investitura “speciale” del suo Governo e del suo regime, è una conferma dell’esistenza del piano e della avanzata realizzazione di un regime che non prende nemmeno in considerazione la sua fine e la sua sostituzione. E nemmeno quella del Capataz.
Pennivendoli e pseudo-politicanti si affannano oggi a spiegare tutte le cose che mancano per poter decentemente sopravvivere alla cacciata di Renzi. E così ci ricordano le devastazioni operate da Renzi (ed anche da qualcun altro!) in così poco tempo. Manca una legge elettorale appena decente. Manca quella del Senato. E poi c’è l’Europa, cui hanno raccontato che non era Renzi il “descamisado” il vero populista, ma che era lui “la diga”, la difesa dell’europeismo e della politica corretta. Sono questi mascalzoncelli, bugiardelli o, magari, persino in buona fede, che, come ci hanno invano esortato a votare “Sì”, ora vorrebbero convincerci che c’è un tale casino che bisogna scongiurare che chi lo ha realizzato ed è stato sonoramente battuto se ne vada, lasciandoci orfani della sua presenza.
Renzi è oggi, e lo sarà nei prossimi giorni e mesi, Mussolini a Salò: manifestamente prigioniero dei suoi veri padroni, con l’incarico di ricordarci che è lui che ci può difendere dalla loro ira e che gli altri che bene o male lo hanno spodestato sono loro i traditori ed il simbolo dell’Italia irriconoscente.
Il colmo l’ho inteso dalla televisione: le dimissioni sono congelate perché, dovendosi ancora votare al Senato la Legge di stabilità, ci vuole un Governo che possa mettere la “questione di fiducia”. Già, la fiducia nell’autore del disastro. La fiducia degli altri bambocci al burattino cui il Popolo gliela ha già espressa con il gran calcio nel sedere del “No”. La fiducia al Governo più clamorosamente e nettamente sfiduciato della storia della Repubblica. Sembra il copione di un film di Totò. Ma noi non ci divertiamo affatto. E chi pretende di potersi far beffa del Popolo Italiano consentendo a Renzi una qualche appendice tipo Salò, rischia proprio di finire male. Come non dovrebbe finire nessuno.

di Mauro Mellini - 07 dicembre 2016

La grande lezione del referendum



 


Di che pasta fossero fatti Matteo Renzi e Maria Elena Boschi il referendum costituzionale lo ha dimostrato. Anche quei milioni di creduloni, nei piani alti e bassi della nazione, che se ne sono innamorati, dovrebbero averlo capito. Ma non ne sono sicuro.
Il signor Renzi e la signorina Boschi, catapultati inopinatamente al vertice dell’Esecutivo da un militante stagionato del bolscevismo, dell’eurocomunismo, del socialismo, tardivamente e malamente convertito bensì alla democrazia ma di rito italico, avevano proclamato “lippis et tonsoribus” che la riforma costituzionale, e l’incorporata legge elettorale, erano essenziali, tanto che, se non approvate dal Parlamento o respinte dal popolo, si sarebbero dimessi dal Governo e ritirati a vita privata. Insomma, per asseverare i loro propositi, avevano posto agl’Italiani una sorta di “questione di fiducia”. L’avevano posta, il primo con parole roboanti, la seconda con espressioni più caute, ma entrambi in modo drastico e ultimativo. Ebbene, non pare che intendano tenere fede alla parola data; non fino in fondo, almeno.
Dopo la batosta, Renzi ha fatto un discorsetto pieno d’involontaria ironia: “Ho perso, mi dimetto, però avevo ragione, gli elettori sono dei coglioni, non mi hanno capito, eccetera”. Resterà segretario del Partito Democratico? Non si sa. Cercherà un lavoro? Boh. Il signor Renzi, che non ha mai gestito una bottega, diretto un ufficio, coltivato un campo, quel militante stagionato e una maggioranza parlamentare frastornata lo elevarono al Governo della Repubblica, dove si comportò da scout nel campeggio estivo. Lì egli condusse seco la signorina Boschi, senza che risultassero specifiche competenze nella materia d’incarico, che, badate bene, è materia politicamente esplosiva la quale non può essere maneggiata senza conoscenze approfondite e professionali. Essendo stata decisiva quanto devastante la loro sconfitta, un’autentica Waterloo, mi sarei aspettato, dico la verità, le dimissioni immediate, intorno alle ore 0,30 del 5 dicembre, della signorina Boschi. Mi pareva normale che una donna con quella sperimentata presenza scenica comparisse in televisione e dicesse: “Ho perso. La mia riforma è stata rifiutata. Vi avevo legata la mia vita pubblica. Mi dimetto da ministra e da deputata. Torno al lavoro di avvocata fallimentare” (in senso proprio, non traslato, sia chiaro). Invece ci hanno informato che si era nascosta, rintanata direi, nelle stanze di Palazzo Chigi e che era stata vista riempire di lacrime gli occhi già rilucenti e piangere affranta.
Renzi, nel frattempo, è stato più attivo che mai: telefonate, twittate e su e giù dal Quirinale: dimissioni congelate. Del militante stagionato, che Renzi ha più volte additato come il vero padre della riforma, non sappiamo se nutra l’intenzione di lasciare il seggio di senatore a vita. Tuttavia, bisogna precisarlo, non aveva mai promesso di dimettersi. La pietra di paragone di cotanto italico costume è il signor David Cameron, che, avendo indetto un referendum di analoga importanza e perdutolo, si è dimesso da primo ministro e da deputato “con effetto immediato” ed ha definitivamente lasciato la vita politica inglese. Il motivo è nobile quanto la decisione: non intendeva ostacolare il nuovo governo né essere fonte di “grande distrazione e grande diversivo” nel Parlamento e nel partito.
Indro Montanelli notava che diventare britannici è impossibile, ma tentare fa bene comunque. Ecco, i nostri tre neppure ci provano.

di Pietro Di Muccio de Quattro - 07 dicembre 2016

05/12/16

REFERENDUM - "Perché ha vinto il No"




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La Costituzione funziona. Questa è la prima osservazione da farsi dopo la vittoria del No. L’articolo 138, diventato famoso nelle famiglie italiane, ha fatto il proprio dovere: ha rimarginato la spaccatura partitica registrata in Parlamento deferendo ai cittadini, 47 milioni più gli italiani all’estero, il compito di decidere. Per quanto la democrazia diretta sia difficile nelle società complesse e in qualche caso abbia dato risultati insoddisfacenti, tuttavia, quando la partecipazione sia massiccia (e come non rallegrarsi – tutti – del ritorno alle urne degli italiani) il voto referendario esprime una forza democratica autentica.
L’odiosa conduzione della campagna elettorale, peraltro non sorprendente, ha fatto credere che la fine del mondo fosse imminente e che l’innesco fosse il No. Quindi, oggi, la prima cosa da dire, da parte di chi si è schierato a difesa della Costituzione, è una semplice verità: non avremo la Carta più bella del mondo ma quella che abbiamo dobbiamo attuare. Questo referendum, dovrà essere ricordato nella storia, non per essere stato troppo somigliante agli sguaiati episodi delle campagne inglesi ed americane ma per aver innescato nell’elettorato un processo irreversibile di costruzione di una nuova classe politica che, intessuta in libere formazioni, riceva consenso solo se si faccia garante ed attrice di un immediato processo di attuazione della Costituzione. Intendo dire che avremo bisogno di forze rappresentative che siano testimonianza vivente e quotidiana dei principi costituzionali e li abbiano a mente, in termini di conformità, in ciascuno dei propri atti assunti sotto la loro responsabilità, in Parlamento e nel Governo.
Per conseguire questo risultato è necessaria una buona legge elettorale e la base è la sentenza della Corte Costituzionale che ha tolto di mezzo l’obbrobrio antidemocratico del Porcellum. Deve esser chiaro che nessuna legge che ne sia continuazione logica – forse dovremmo dire – che faccia gli interessi dei partiti è fuori dalla Costituzione. Prima ancora che la Corte si pronunci, deve svilupparsi un anticorpo democratico, il controllo degli elettori-cittadini-persone. Questi dovranno gridare la propria fedeltà alla Carta ed “intimorire” ogni forza politica che provi ad aggirarla, al servizio di questo o quell’interesse lobbistico, nazionale od internazionale.
Non è l’Italia il solo Paese a sperimentare un tempo politico nel quale si debbano rivedere i punti di equilibrio tra rappresentanza e governabilità. Le scorciatoie prese in altri ordinamenti, lo testimonia la storia, li hanno proiettati in vicoli ciechi. Noi vorremmo che fossero espulsi meccanismi truffaldini, a cominciare da premi di maggioranza, essi si incostituzionali, ed espulse le forze che li hanno somministrati in questi anni. I partiti della Prima Repubblica sono stati sommersi dal discredito della corruzione; i loro successori hanno aggiunto a chiare tentazioni malavitose una disperante incapacità di Governo. La governabilità è figlia di buone leggi e di grandi intelligenze, e di inclusività che metta in grado di arricchire la comunità di tutte le risorse che possiede. Partiti e neoformazioni hanno costruito nel ventennio berlusconiano recinti ad excludendum e, fuori, è rimasto ciò che di meglio il Paese possiede, la sua secolare storia di intelligenza politica che ha fatto di un piccolo Paese, non particolarmente ricco di risorse naturali, un grande Paese.
In Terris, per primo, ha inaugurato una tribuna della verità referendaria. Gli chiediamo di aprire una tribuna del cambiamento democratico. E, sia chiaro, nessuno pensi di nascondersi nelle pieghe della democrazia per ucciderla. Finalmente possiamo tornare a pronunciare questo straordinario monosillabo che è il Sì: si alla nostra Costituzione, si alla lealtà nei suoi confronti, si alla democrazia, si allo sviluppo.

 fonte: http://www.interris.it

Carpe diem. Assemblea costituente subito.



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È il momento perfetto, bisogna cogliere l’attimo e fare subito un’assemblea costituente. Gli italiani non sono mai stati così pronti e così consapevoli della necessità di riformarla davvero questa Costituzione obsoleta e castrante.
Se questo referendum ha avuto un solo merito è stato proprio quello di aprire un dibattito su un impianto costituzionale che ormai non funziona più e che è stato la causa della maggior parte dei problemi italiani.
I sostenitori del Sì si accontentavano di una riforma purchessia anche se per lo più ammettevano che non fosse buona e adatta allo scopo.
I sostenitori del No sapevano che andava cambiata, ma non accettavano né la toppa peggiore del buco né il metodo antidemocratico con cui era stata imposta dal governo.
Ora la si può cambiare davvero nell’unico modo democratico che esista, con un’assemblea costituente da eleggere subito per riformarla in accordo con gli elettori.
È necessaria una legge elettorale proporzionale ad hoc che valga solo per eleggere i parlamentari chiamati a riscrivere la Carta sulla base di un programma specifico.
Ogni partito deve dichiarare apertamente quale sistema intende proporre, avanzare le sue idee e impegnarsi a sostenerle e farsi eleggere solo per questo.
I nuovi padri costituenti vanno eletti con le preferenze perché ci devono mettere la faccia, li vogliamo conoscere, non ci servono dei pigiabottone a comando, ci devono ispirare fiducia, devono dimostrarci di essere all’altezza del fondamentale compito che sono chiamati a svolgere, devono essere autorevoli, non essere imposti con l’autorità come servi di partito.
Va aperto un dibattito costruttivo sul presidenzialismo, sull’elezione diretta del Presidente del Consiglio, sui poteri dell’esecutivo, sui compiti del potere legislativo, sulle competenze del Presidente della Repubblica, sulla struttura della pubblica amministrazione, sulla suddivisione dei compiti con regioni e enti locali, sul federalismo fiscale e su come riformare una magistratura che non è stata minimamente sfiorata, non a caso, dalla riforma appena bocciata.
Ma soprattutto va affrontato il tema del rapporto tra cittadini e Stato, sui suoi limiti all’ingerenza nella vita e nelle attività degli italiani, sulla tassazione, sulla burocrazia, sulla giustizia che tale non è, sull’oppressione continua che subiamo.
Gli italiani sono pronti, non lo sono mai stati come oggi, non facciamoci sfuggire questa occasione.
Dateci la possibilità di esprimerci, dateci delle idee, fateci delle proposte e lasciateci decidere come vogliamo far funzionare l’Italia.
Lo so che i politici attuali temono questo confronto diretto, ma è nel loro stesso interesse perché solo da una Costituzione nuova, che definisca chiaramente i poteri, potranno avere la possibilità di governare e avere quella stabilità che tanto invocano, ma che è impossibile gestire con la Costituzione attuale. 70 anni di crisi di governo stanno lì a dimostrarlo.
Così non si può più andare avanti, stiamo regredendo, la crisi economica ci ha distrutti, l’oppressione fiscale ci ha massacrati, ma soprattutto ci stiamo incattivendo, la coesione sociale è ai minimi storici, la rabbia monta e non riuscirete a gestirla ancora a lungo con marchette e promesse come avete fatto finora. Quel 60% di No con un’affluenza di quasi il 70% dimostra al di là di ogni ragionevole dubbio che non ci comprate più.
Prima che sia troppo tardi, abbiate un sussulto dignità e prendete atto del vostro fallimento, ridateci la parola e fateci cambiare questa Costituzione.
È la base di tutto, sono le fondamenta della nostra convivenza, il palazzo è crollato miseramente, è arrivato il momento di ricostruire tutto e in questo noi italiani siamo imbattibili.
Non ci serve un governo oggi come oggi, non ce ne facciamo niente dell’ennesimo pisquano che promette di fare riforme su tutto il riformabile per non riformare nulla davvero.
Non servono nuove leggi a iosa per mettere toppe qua e là senza una logica sistematica facendo più danni che altro.
Abbiamo bisogno di un’assemblea costituente che si occupi solo di riscrivere la Carta sulla base delle nostre indicazioni di voto, mentre un governo si limita a gestire l’attività ordinaria senza inventarsi nulla, mentre il parlamento evita di scrivere leggi inutili.
Una volta che sarà stato definito l’impianto costituzionale e che i principi fondamentali di una nuova legge elettorale coerente con quell’impianto siano stati inseriti nella Costituzione, onde evitare che ogni nuova maggioranza parlamentare si inventi una legge incoerente a proprio uso e consumo, solo allora si potrà tornare alle elezioni e ripartire da zero con un nuovo Stato che ci permetta finalmente di essere liberi di rinascere dalle ceneri in cui ci avete seppelliti.

di Barbara Di - 5 dicembre 2016

04/12/16

Renzi e Boschi straparlano sul referendum



 


L’oligarchia che si autoprotegge con le leggi elettorali ispirate al porco mira a confinare il popolo nello stabbiolo. Ma non basta. Cerca di rafforzarsi pure con una Costituzione che mette nelle sue mani anche il catenaccio. La pseudo riforma, che gl’Italiani sono chiamati a bocciare, non rafforza lo Stato, che è di tutti, ma il Governo, che non è della vera maggioranza del popolo, ma di una maggioranza truccata, cioè di una minoranza gonfiata con gli ormoni della tecnica elettorale.
Oh Italiani, non vi viene il sospetto che la modifica costituzionale promossa e imposta dal Governo in carica possa essere esclusivamente a beneficio del Governo in carica? Perché mai il Governo in carica dovrebbe volere il bene di tutti gl’Italiani a preferenza del suo stesso bene? Dimenticate che il bene del Governo è un bene di parte, tanto che chiamiamo democrazia il sistema politico che consente di deporre pacificamente il Governo sgradito? Il Governo (parola derivata dal latino “gubernator”, che significa timoniere, pilota della nave) non è il padrone dello Stato, ma il temporaneo guidatore. La nave è del popolo, che gliela affida a tempo e a scadenza per fargliela condurre, non per modificarla nel cantiere. Basta il sospetto indotto dalla protervia con la quale due governanti, Matteo Renzi e Maria Elena Boschi, perorano la loro causa a mettere sull’avviso gli elettori consapevoli e prudenti.
Oh Italiani, avete notato quanto sia formale e tiepida la propaganda degli altri ministri? La freddezza, fino al silenzio, con la quale tanti ministri accompagnano la forsennata campagna del presidente Renzi e della ministra Boschi, somiglia ad una presa di distanza dall’incaponimento di costoro, dai loro propositi, dominati dall’ostinazione immotivata e irragionevole di perseguire la salvezza dell’Italia attraverso una revisione costituzionale mal concepita, mal scritta, male indirizzata. Questi altri ministri, il loro silenzio connivente e perciò doppiamente colpevole, sono tuttavia la prova che perfino al Governo manca la piena, unanime, convinzione di fare la cosa giusta.
Oh Italiani, di presidenti del Consiglio mediocri, inconcludenti, vantoni e persino ladri, ne avete visti tanti, ma di un presidente che proclami la sua revisione costituzionale un bene in sé e che se ne faccia esclusivo viatico, come una presuntuosa divinità pagana, non avevate visto l’eguale. Tale è l’albagia del Premier da condurlo a profferire frasi da semeiotica medica, del tipo “se votate contro la riforma, poi non mi venite a cercare più”. A parte che il popolo non lo ha cercato, ma è stato insediato da un’oligarchia con una manovra di palazzo con il suo sleale contributo, perché mai il popolo dovrebbe ricercarlo, cioè cercarlo di nuovo, dopo avergli bocciato l’atto principale del Governo? Egli e la sua ministra hanno legato alla riforma la loro sorte governativa e addirittura politica, spacciando la cosa per serietà personale. Ma la serietà, in politica, consiste nella coerenza dell’azione. Se l’attore della causa dice che il libello non suffraga la domanda oppure che le richieste saranno completate in una seconda causa oppure che le pretese sono difettose e formulate in modo imperfetto, il giudice rigetta la domanda e, seppure un giudice generoso non lo condanni per lite temeraria, gli accollerà la responsabilità del processo e le spese. Domani gl’Italiani così dovranno giudicare la domanda di Renzi e farne una causa persa rispondendo “No”.

di Pietro Di Muccio de Quattro - 03 dicembre 2016

Renzi: garanzia di instabilità

 

 


Con la vittoria del “Sì” Matteo Renzi procederà all’esecuzione di massa (ovviamente in termini metaforici, anche se non è azzardato pensare che non gli dispiacerebbe affatto farlo materialmente) dei suoi nemici interni. Ed in caso di vittoria del “No” e di sue preannunciate dimissioni da Presidente del Consiglio si affretterà a creare le condizioni per andare al più presto ad elezioni anticipate per liquidare da segretario del partito i componenti della dissidenza interna e trasformare il Pd nel Partito di Renzi.

In un caso o nell’altro il regolamento di conti all’interno del Partito Democratico, che grazie al “Porcellum” gode di una salda maggioranza alla Camera e grazie ai transfughi di Angelino Alfano e Denis Verdini usufruisce di una maggioranza meno solida al Senato, produrrà come conseguenza inevitabile una fase di forte instabilità politica. Non è facile prevedere quanto potrà essere la durata di questa instabilità. Probabilmente il tempo necessario per dare vita ad una nuova legge elettorale ed andare al voto entro il 2017. Ma anche se il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, riuscisse ad evitare il voto anticipato attraverso un Governo di transizione destinato a far giungere la legislatura alla sua conclusione naturale, è fin troppo evidente che da lunedì prossimo il Paese entrerà, qualunque sia il risultato del referendum, in una campagna elettorale più dura e tormentata della campagna referendaria.

È falso, allora, quanto affermato da Matteo Renzi secondo cui con un successo del “Sì” verrebbe garantita la stabilità politica. È vero l’esatto contrario. Aver impostato il referendum come un plebiscito sulla sua persona ha lacerato profondamente la società nazionale ed il partito di maggioranza relativa e creato un incendio che potrà essere spento solo dal voto politico degli italiani. Con l’aggravante che l’eccesso di personalizzazione compiuto dal Premier sul referendum si trasferirà sulla prossima campagna elettorale, trasformandola nella partita decisiva non delle sorti del Paese ma delle sorti di Matteo Renzi. Il tutto mentre, a dispetto della propaganda di stampo sudamericano (Renzi come Chávez) prodotta dalla stragrande maggioranza dei media asserviti, la crisi non si ferma e l’azione del Governo tesa a fronteggiarla si rivela sempre più debole ed inutile.

di Arturo Diaconale - 03 dicembre 2016