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Non smettete mai di protestare; non smettete mai di dissentire, di porvi domande, di mettere in discussione l’autorità, i luoghi comuni, i dogmi. Non esiste la verità assoluta. Non smettete di pensare. Siate voci fuori dal coro. Un uomo che non dissente è un seme che non crescerà mai.
«Le pallottole che hanno ucciso i due pescatori indiani non passano per
le canne delle armi dei marò», loro due, Girone e Latorre, non hanno
mai sparato a nessuno: questo il punto chiave della relazione del perito
Luigi Di Stefano che l’altro giorno è stato chiamato dalla Commissione
Europea per le petizioni a illustrare i dati delle sue ricerche. Il
dibattito è breve, incredibilmente semplice rispetto ai 1.528 giorni,
oltre quattro anni, durante i quali si è trascinata, e si sta
trascinando, la vicenda. La presidente della Commissione Petizioni del
Parlamento europeo, la svedese Cecilia Wikstrom, ha brevemente
illustrato il punto 23 all’ordine del giorno, la petizione numero 2089
relativa «all’arresto e la detenzione di due marinai italiani in India».
L’autore della petizione «ha facoltà di parlare per cinque minuti».
E a Di Stefano quei cinque munuti sono stati sufficienti per demolire
quattro anni di ingiuste accuse, di interminabili udienze giudiziarie
indiane e infiniti rinvii. È tutto nelle carte consegnate al Tribunale
internazionale del Mare dagli stessi giudici indiani, spiega il perito
balistico. In quelle carte, come già raccontato da Il Tempo, ci sono, un
po’ maldestri, gli esami autoptici, le perizie sui proiettili, i
rilievi su quel peschereccio che, ricorda il tecnico, «dopo i rilievi di
rito, condotti con un normale metro, è stato restituito all’armatore
che lo ha lasciato affondare, così da rendere impossibile ogni ulteriore
esame».
«L’innocenza dei nostri marò - ha detto pacatamente Di Stefano era
nella consapevolezza delle autorità indiane sin dal secondo giorno dei
fatti, dal giorno in cui sono state eseguite le autopsie». L’audizione
nasce da una petizione dello stesso Di Stefano, presentata al Parlamento
Europeo nel 2014 e pone come momento di svolta la richiesta italiana di
arbitrato internazionale. Tutti i documenti relativi all’inchiesta
furono infatti tenuti segreti dalle autorità indiane, che hanno però
dovuto consegnare i fascicoli al tribunale di Amburgo. Da quelle parti
inchieste e processi hanno uno svolgimento diverso che in India e, come
ricorda Di Stefano «gli atti sono tutti pubblici». Per questo,
attraverso una semplice richiesta, chiunque può vedere i risultati degli
accertamenti fatti dagli inquirenti indiani e da questi giungere
all’inevitabile conclusione, aggiunge Di Stefano: «I marò sono
innocenti».
Da quei documenti emerge che nulla combacia: l’ora dell’incidente, lo
svolgimento dei fatti, il calibro dei proiettili. Curiosa anche la
«messa in scena» nel porto indiano di Kochi dove alla petroliera Enrica
Lexie, a bordo della quale erano i nostri marò, fu affiancato un
peschereccio simile a quello colpito dai proiettili di chissà chi, che
in realtà si trovava a 200 miglia di distanza. «Non credete a me - dice
Di Stefano - credete alle prove presentate dalle stesse autorità
indiane». E chiede alla Commissione «che siano nominati quattro esperti -
e precisa - non italiani. Che siano chiesti al Tribunale di Amburgo i
documenti indiani e sottoposti ad analisi».
Una rappresentante dell’Unione Europea ha ribadito la preoccupazione
per le tensioni che il caso marò ha suscitato e dal dibattito è emerso
anche l’imbarazzo dei politici di fronte ad una vicenda che dovrebbe
avere l’ovvia conclusione: il proscioglimento dei due militari che,
oltretutto, dovrebbero godere dell’immunità di chi partecipa alle
missioni internazionali di pace.
Alla seduta della commissione Petizioni del Parlamento europeo hanno
partecipato numerosi italiani: Mario Borghezio, esponente della Lega
Nord, Fabio Massimo Castaldo, dei Cinque Stelle, Andrea Cozzolino
(Socialisti & democratici), ma anche di altre nazioni, come Pál
Csáky, rappresentante della minoranza ungherese in Slovacchia,
incaricato dal Ppe di seguire il caso. L’esposizione di Di Stefano è
stata giudicata «estremamente convincente», ma il Parlamento Europeo non
ha modo di intervenire sulla Corte di Amburgo. Però, è intervenuta la
presidente Wikstrom, «possiamo rivolgerci alla delegazione per i
rapporti tra l’Ue e l’India e alle autorità e ai diplomatici indiani,
dedicando tutta la nostra attenzione al caso». La vicenda, per il
momento, è tutta nelle mani del Tribunale Internazionale che si dovrà
pronunciare nei prossimi giorni.
Un asino raglia anche in giacca e cravatta ( Stephen King )
Puntuale
e precisa come un orologio svizzero ieri ha fatto capolino sua maestà
la disinformazione, rifilataci (come sempre del resto ) nei momenti
topici della ricerca della verità, la carta stampata con grande dovizia
di particolari ci informa della vicinanza del Capo dello Stato in
occasione della ricorrenza del 25 aprile e dalle colonne online di un
quotidiano alquanto seguito e che ( ma solo a parole ) si dichiara
vicino ai Fucilieri di Marina sequestrati da quattro anni dall' india,
questo quotidiano con un grande titolone ad effetto ( e si, loro son
bravissimi in questo ) ci propina uno "studio", udite udite, del 2013
con la famigerata teoria dello spiattellamento di proiettili sull' acqua
e poi con dovizia e profusione di particolari tecnici fornisce un
assist clamoroso all' india dando per scontato che vi sia un nesso tra i
colpi esplosi dal team di protezione della Enrica Lexie ( alle ore
16'30 circa indiane ) con quanto dichiarato in prima battuta a caldo dal
buon Freddy Bosco che era a bordo del peschereccio su cui erano le due
presunte vittime " erano le 21'30 circa ( indiane ndr ) stavamo
dormendo, sono stato svegliato da un forte rumore e ho visto i miei
colleghi colpiti... " per inciso dagli allegati presentati dalla
delegazione indiana al tribunale di Amburgo lo scorso anno i proiettili
recuperati dall' esame autoptico effettuato sui corpi dei deceduti
risultano essere compatibili con un calibro 7,65 in luogo del 5,56 con
cui sono equipaggiati i Fucilieri di Marina della Brigata Marina San
Marco, riprendendo questa bufala, ops scusate questo rapporto,
apprendiamo dall' articolo in oggetto che questo "rapporto " fu
presentato nel 2013 al Ministro della difesa Mauro e da esso scartato,
accantonato, insinuando quindi che "c' erano le carte " per salvare i
Marò, da parte nostra affermiamo senza ombra di dubbio che questo
fantasmagorico rapporto non è altro che un opera di disinformazione in
grande stile utile forse a coprire i comportamenti degli alti gradi
della Marina Militare in comando all' epoca dei fatti ( febbraio 2012 )
visto che è basato su dati empirici quali lo spiattellamento di
proiettili sulle acque mosse dell' oceano indiano e oltretutto partendo
da un altezza di oltre 20 metri sul livello dell' acqua, va da se che
anche uno studente delle scuole medie dimostrerebbe che la cinematica
ipotizzata è impossibile a realizzarsi, accantonando per un momento
questo " raglio di asino " parliamo invece di ciò che è
accaduto il 19 aprile 2016, ovvero l' audizione del perito giudiziario
Luigi di Stefano in commissione petizioni al parlamento europeo e
proprio in virtù della disinformazione di stato imperante sul caso non
aggiungiamo altro di scritto invitandovi all' ascolto e alla lettura di
ciò che ha prodotto l' analisi del Di Stefano sugli allegati ufficiali
indiani presentati al tribunale di Amburgo e disponibili dallo stesso
tribunale a chiunque ne faccia richiesta, non abbiamo paura e tantomeno
intenzione di abbassare il capo di fronte a queste manovre di
disinformazione, da queste colonne cerchiamo di far conoscere all'
opinione pubblica tutto quello che i media non dicono o meglio... non
vogliono dire.
Oggi più di ieri e domani più di oggi #iostoconimarò.
Di seguito link e video per una corretta informazione. http://www.seeninside.net/piracy
Bruxelles, 21 apr – Reportage sul viaggio di Luigi Di Stefano a Bruxelles, perito che fin dall’inizio del caso Marò
ha sostenuto la tesi dell’innocenza dei nostri due soldati attraverso
una perizia tecnica, in buona parte confermata l’estate scorsa dalla
pubblicazione dei documenti del Tribunale di Amburgo da cui sono emerse
le bugie indiane e i dati incontrovertibili dell’innocenza di Latorre e Girone. Di Stefano ha presentato la sua relazione tecnica alla Commissione Petizioni
del Parlamento Europeo di Bruxelles. Petizione che è stata accolta
dalla presidente della Commissione, la svedese Cecilia Wikistrom,
proponendo lei stessa, di intervenire sulla commissione per i rapporti
con l’India e sull’ambasciata stessa per sollecitare un’azione
conoscitiva su questo argomento che come lei stessa ammette: “coinvolge
due cittadini europei che stavano svolgendo un lavoro”
nell’ambito di una missione europea di protezione delle navi in transito
nelle zone infestate dalla pirateria.
Di Stefano ha chiesto al Parlamento Europeo di nominare quattro esperti, anche non italiani, che esaminino i dati tecnici prodotti dal Tribunale di Amburgo.
Inoltre ha chiesto di ritirare una risoluzione europea votata nel
gennaio del 2015, anche da molti eurodeputati italiani, in cui
sostanzialmente si accettava l’impianto accusatorio indiano.
Reportage - Luigi Di Stefano a Bruxelles difende l'innocenza dei Marò
di Alberto Palladino - 21 APRILE 2016 fonte: http://www.ilprimatonazionale.it
Speriamo traducano, e che lo facciano presto, Un silence religieux di Jean Birnbaum,
il responsabile del supplemento libri di "le Monde". In una sua lunga
intervista su Repubblica di venerdì, parlando del suo libro lo studioso
francese spiega perché la sinistra non capisce l’islam: la rimozione
totale della dimensione religiosa dal proprio orizzonte impedisce di
capire il legame profondo fra i terroristi del Califfato e l’Islam.
“La sinistra ha rinunciato a pensare la religione e la sua forza”
perché “si è costruita nel solco della tradizione cartesiana,
illuminista e marxista, inseguendo il fantasma dello sradicamento della
religione”.
Intellettualmente onesto e poco propenso ad atteggiamenti di
buonismo, Birnbaum riconosce che “i jihadisti non vogliono cambiare il
mondo, vogliono distruggerlo”, ma al tempo stesso invita a riflettere
sul fatto che i giovani che abbracciano la causa del Califfato
all’inizio non sono mossi dall’odio. Lontanissimo dal politicamente
corretto, il giornalista francese spiega che tirare in ballo
emarginazione e povertà escludendo il fattore religioso serve solo a
“ricondurre il problema alle nostre abitudini mentali”.
“I jihadisti vogliono farla finita con la storia, con la politica, e
soprattutto con la vita. Da qui il desiderio e l’elogio della morte. Ma
tutto ciò nasce da una speranza. La sola questione che conta è quella
posta a suo tempo da Kant: che cosa ci è lecito sperare? La sinistra però
non capisce più il bisogno di speranza dei giovani e non ha nulla da
proporre loro. Di conseguenza, più la speranza radicale profana – quella
della sinistra che vuole cambiare il mondo – diserta la realtà, più si
afferma una speranza radicale religiosa, che poi produce le tragedie che
abbiamo conosciuto”.
Una speranza radicale che sfocia in tragedia, insomma, perché nel
porsi come alternativa totale a questo mondo, l’Islam si trova davanti
il problema della violenza, e con il terrorismo percorre questa strada.
Chissà se l’intellettuale francese ha letto il discorso di Benedetto a Regensburg,
quello di Emanuele il Paleologo e del rapporto fra fede e ragione:
troverebbe spunti interessanti per andare alla radice della violenza del
Califfato. Ma le sue considerazioni sulla sinistra valgono in generale
nei confronti di tutto il mainstream (che comunque da tanta sinistra
nasce) che in questi anni di crescente diffusione del terrorismo si
ostina a non capirne la natura.
Chi collega le radici della violenza del terrorismo esclusivamente a
un disagio sociale – povertà, emarginazione, mancata integrazione – è
perché, in ultima analisi, non riesce neppure a concepire un disagio che
non sia esclusivamente legato a beni materiali. Come se il benessere
economico e sociale possa essere di per sé un antidoto alla violenza;
come se le guerre potessero essere scatenate esclusivamente da poveracci
malmessi. Chi non comprende l’enorme bisogno di speranza e di
significato per la propria vita, non potrà mai capire perché proprio il
Belgio scristianizzato sia diventato il nido del terrorismo islamico in
Europa, e non sarà in grado di cogliere il nesso fra il terrorismo
islamico e la secolarizzazione profonda del nostro continente, vecchio,
sterile, e non più cristiano.
Non c’è da inventarsi un alibi per non intervenire duramente contro
il Califfato – i nazisti sono stati sconfitti da eserciti più forti, non
certo da un lungo processo di rieducazione – ma di capire le radici del
male, per poterle strappare dalla terra di cui si sta nutrendo.
Domenica 17 Aprile 2016 – Santi Elia, Paolo e Isidoro, Martiri – a casa, a Taurianova
Sì, dai, facciamoli sbarcare, sia dai canotti che dagli aerei.
Accogliamoli, infine, nelle nostre case e, anzi, consegniamo loro
devotamente una copia delle chiavi. Volessero uscire a mangiare un
kebab… Tanto, prima o poi, ce le fotteranno comunque, le case nostre
costruite col sudore dei nostri Padri. E cerchiamo, mi raccomando, di
individuare quelli fra loro che vogliamo ospitare; facciamolo
intelligentemente prima che partano dai loro Paesi, e preghiamoli di
inviarci, magari con lo smartphone di cui sono dotati anche i loro
neonati, la foto delle pietanze che vogliono trovare a tavola all’arrivo
e il disegno del tappeto per la preghiera che meglio si intona col
colore degli occhi o delle djellaba. Non sia mai ci dovessimo sbagliare
di gusto o tonalità. Potrebbero incazzarsi o, peggio, restare delusi
dell’accoglienza italiana.
Informiamoci su che marca di shampoo per chioma turbantata , smalto
per unghie nascoste e crema per le rughe sottovelate usino le signore e
quale sia il calibro di pistola o la lunghezza di lama del coltello più
gradita al marito, al nonno, allo zio e al nipotino kamikaze
salterello.
Non facciamoci riconoscere per quello che siamo: disattenti e
superficiali. Confusionari e disorganizzati. Anzi, cominciamo a studiare
tutte le loro lingue, anche quelle più sgrammaticate; leggiamo il loro
codice e memorizziamolo, soprattutto i capitoli che riguardano gli
infedeli (noi) e la giusta fine che devono fare (boom! o anche zac!).
Mettiamoli a loro agio, insomma. Come ci ordinano i nostri governanti
imposti dalla massoneria e dalle banche. Come ci impone, sputandoci
schizzi di coscienza favelera, il papa venuto dalla fine del mondo
(cristiano). Come ci consigliano le bavose associazioni (dis)umanitarie,
sempre pronte a salvare il culo e la pelle dei migranti for money,
mentre se ne strafottono dei CRISTIANI MASSACRATI IN TUTTO IL MONDO IN
QUANTO CRISTIANI!
Dai, ragazzi, andiamo a prenderceli, questi milioni di “pacifici
fraterni invasori” e porgiamo, durante il comodo viaggio, l’altra
guancia per qualche caracca (o papagno). Carichiamo
per primi i bambini, così facciamo contenti un po’ di monsignori col
vizietto; a seguire, i giovani, quelli che serviranno a far detonare le
cariche necessarie per ricostruire stazioni, aeroporti, piazze, scuole,
chiese… Non dimentichiamo le stivate di donne, di colore è meglio, per
il mercato del piacere da siepe. E, infine, gli imam! Quelli, per
favore, non manchino! Anzi, abbondiamo con gli imam. I più ortodossi.
Quelli che ci spiegano come si picchiano le mogli, ci si immola per il
profeta, si mutilino le bambine, si pieghino a suon di frusta le schiene
dei giovani refrattari.
Poi, infine dell’infine, carichiamo i vecchi. Anche gli sdentati di
cent’anni. Quelli depositari della saggezza popolare. Quelli che stanno
accovacciati per intere giornate, come per un’eterna cagata, davanti
alla porta di casa o ai giardinetti e ti guardano come se tu fossi
l’incarnazione di ogni male, e ti sputano sui piedi appena gli passi
vicino.
Su, su, diamo retta al popolarmisericordioso papa Francesco, da ieri
anche nocchiere di lusso per famiglie non già cattoliche, cristiane,
ma, si dice, autenticamente maomettane. Di quelle che ci mancavano nella
collezione. I migranti pontifici.
Accogliamoli in questa nostra casa loro, sapendo che, male che vada,
entro dieci vent’anni, faranno saltare definitivamente chiese e
monsignori, governi e palazzi, sventreranno banche e luoghi del potere.
Ma a noi, detto “papale papale” non faranno un cacchio: perché non
valiamo e non varremo niente. Al limite, ci daranno un pugno di couscous
da mangiare per farsi servire.
Una croce.
Quella di Cristo fu più pesante e insanguinata.
Fra me e me. Verso il Golgota, grazie al papa traghettatore (per chi fabbrica chiodi per le croci)
La commissione Petizioni ha deciso di «vagliare nuovamente" la risoluzione approvata nel gennaio 2015 dal Parlamento europeo
BRUXELLES - Il Parlamento europeo prova ad
aumentare la pressione sulle autorità indiane per giungere rapidamente
ad una soluzione sul caso dei due marò italiani.
La commissione Petizioni ha deciso di «vagliare nuovamente" la
risoluzione approvata nel gennaio 2015 dal Parlamento europeo, nella
quale si dava come accertato che i marò avessero sparato contro il
peschereccio indiano, e allo stesso tempo ha deciso di scrivere una
lettera alle autorità indiane e in particolare all’ambasciatore del
Paese presso l’Ue per chiedere una rapida risoluzione del caso.
«Ue, India e Italia condividono l’interesse comune di arrivare a una
rapida conclusione del caso», ha detto davanti alla commissione
Petizioni una rappresentante del Servizio europeo per l’azione esterna.
«Questi cittadini sono stati assistiti molto tardivamente e debolmente
dall’Ue. Oggi si deve cambiare registro», ha ribattuto Mario Borghezio
(Lega Nord). Massimo Castaldo (M5S) ha chiesto che l’Europa consideri
l'ipotesi di non rinnovare l’accordo di libero scambio con l'India se
questa non si impegnerà a garantire un «giudizio equo» ai due marò.
Andrea Cozzolino (Pd) ha invece proposto un’azione politica volta a
sensibilizzare i parlamentari indiani sul caso. La commissione Petizioni
ha esaminato il caso accogliendo la petizione presentata da Luigi di
Stefano, esperto di analisi giudiziarie che ha studiato i documenti resi
pubblici dal Tribunale internazionale del diritto del mare di Amburgo,
evidenziando le anomalie dalle indagini condotte dalle autorità indiane
su Massimiliano Latorre e Salvatore Girone.
Bruxelles, 20 apr – “Sui due nostri Marò l’India ha mentito“,
che lo abbia fatto in buona fede o in mala fede non importa. Le perizie
sui proiettili ritrovati nei corpi dei pescatori uccisi, i rilevamenti
sul peschereccio colpito, persino i disegni dei prospetti grafici sulla
posizione della nave Enrica Lexie sono sbagliati, creati per sostenere
una colpevolezza che non esiste, un reato di cui il personale militare
italiano imbarcato sulla Lexie non si è mai macchiato. Queste parole
risuonano chiare e forti nella grande aula delle petizioni
del parlamento europeo. A parlare è Luigi Di Stefano, già perito sul
caso Ustica e consulente tecnico su molti casi di questo tipo. Le
pronuncia mentre sul grande schermo posto sulla testa del tavolo della
presidenza scorrono le immagini dei risultati della sua analisi
sulle carte indiane, ricevute dal tribunale di Amburgo e prodotte
dall’accusa del tribunale del Kerala che ha indagato i due Marò.
In aula a sentire Di Stefano
un discreto gruppo di parlamentari europei fra cui anche una pattuglia
di italiani di vari patiti politici. Per ben quindici minuti tra
esposizione e replica Di Stefano mostra come sia lacunosa e sbagliata la
struttura portante dell’accusa indiana e infine formula la sua
richiesta alla commissione:” Chiedete al tribunale internazionale di
Amburgo i dati tecnici prodotti dagli indiani così come ho fatto io, poi
nominate quattro esperti anche non italiani per evitare accuse di
faziosità, analizzate le carte e sono certo che non potrete non
constatare gli errori madornali che hanno commesso contro i nostri
Marò”. Conclusa l’esposizione il presidente della commissione, la
deputata svedese Cecilia Wikiström ha accolto la petizione proponendo
lei stessa, di intervenire sulla commissione per i rapporti con l’India e
sull’ambasciata stessa per sollecitare un’azione conoscitiva su questo
argomento che come lei stessa ammette: “coinvolge due cittadini europei
che stavano svolgendo un lavoro” nell’ambito di una missione europea di
protezione delle navi in transito nelle zone infestate dalla pirateria.
Resta l’ombra di una risoluzione europea
votata a gennaio del 2015 in cui nei punti iniziali ( a e b)
accetta sostanzialmente la tesi accusatoria indiana che condannerebbe i
due Marò, una risoluzione, sempre secondo Di Stefano ed
ora alla luce dell’analisi tecnica dei dati, votata sulla base di
“falsità” prodotte dal tribunale indiano. Al tempo anche molti deputati
italiani votarono una tale dichiarazione e questo resta senza dubbio
una macchia sull’operato della delegazione dei parlamentari italiani
in UE ma oggi, forse, grazie all’operato di un singolo cittadino della
comunità è stata mostrata al parlamento che la rappresenta la via della
verità sul caso Marò, stà ora a questa alta istituzione
aprire un dialogo risolutivo con l’India anche in vista del tavolo
bilaterale di accordo sullo scambio commerciale tra Europa e India che
si aprirà a breve e in cui non si dovranno più anteporre ai due nostri Marò “sequestrati” meri interessi commerciali.
Alberto Palladino - 20 aprile 2016 fonte: http://www.ilprimatonazionale.it
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Come
sa chi frequenta questo blog, non ho mai amato Matteo Renzi ma la
tracotanza degli ultimi giorni me lo rende insopportabile. E mi chiedo
come facciano gli italiani a dargli ancora ascolto.
Venerdì si è segnalato per la gaffe del secolo: si è attribuito i meriti per il progetto ferroviario ad alta velocità dell’Alptransit
che scorrono sotto il San Gottardo, annoverandolo tra i grandi progetti
infrastrutturali italiani. Peccato che, come sanno i bambini delle
elementari, il San Gottardo è un monte totalmente svizzero, che dista un
centinaio di chilometri dal confine italiano. E l’Alptransit è un’opera
spettacolare, di straordinaria modernità, ma concepita e finanziata
interamente dalla Confederazione elvetica. L’Italia, semmai, si è
segnalata per l’incapacità di dar seguito alle promesse ovvero a
estendere la rete anche in Italia e infatti l’Alptransit si fermerà al
confine.
Una gaffe colossale, pronunciata in conferenza stampa mentre il
ministro Del Rio, che sedeva a fianco di Renzi, annuiva. Evidentemente
nè l’uno nell’altro sapevano dov’è il San Gottardo. In altri Paesi i
ministri che compiono passi falsi analoghi vengono ridicolizzati dai
media, in Italia invece no. La notizia sui grandi media è passata sotto
traccia, significativamente.
I grandi media hanno dato invece ampio spazio alle roboanti dichiarazioni a commento del fallito referendum sulle trivelle.
Ma con che ardire un premier afferma che “è stata sconfitta la
demagogia”? Il referendum è fallito perché l’establishment italiano (a
partire da Renzi) ha deciso di non parlarne in campagna elettorale. E la
stampa, come al solito, si è adeguata. nessun titolo in prima pagina,
speciali con il contagocce, scarse e svogliate trasmissioni in tv. La
gente non è andata a votare semplicemente perché non si è nemmeno resa
conto che ci fosse un referendum, tanto blanda era la campagna.
Il contrasto è ancor più stridente, scorrendo le paginate di oggi:
fiumi di retorica sul comportamento degli italiani e naturalmente,
“sulla lezione da trarre”. Ora che l’establishment ha ottenuto quel che
voleva, fiumi di inchiostro. Prima, neanche una riga.
E ora, solo ora, tanto spazio alle dichiarazioni di Matteuccio:
“Abbiamo salvato 11mila posti di lavoro. E per un premier è importante
anche un solo posto di lavoro”. Come se l’impiego fosse davvero al
centro del referendum. Un decoroso, compiaciuto silenzio sarebbe stato
molto più opportuno ed efficace mediaticamente.
Ma Renzi non sa cosa sia la misura. Dal San Gottardo al referendum le
spara sempre. E più grosse sono e più è contento. E’ nato “Bomba” e
morirà politicamente come un “bomba”. Anzi morirà raccontando frottole e
pensando in cuor suo, fino all’ultimo minuto, di essere l’unico vero
furbo e gli altri, tutti gli altri, una manica di fessi.
Ero andato a fare delle riprese cinematografiche nelle Isole
Marshall, a nord dell’Australia, nel bel mezzo dell’Oceano Pacifico.
Quando dico alla gente dove sono stato, mi chiedono, “ma dov’è?”. Se do
loro un indizio, facendo riferimento a “Bikini”, mi dicono, “intendi il
costume da bagno?”
Il fatto che il bikini, il costume da bagno, sia stato chiamato così
per celebrare le esplosioni nucleari che avevano distrutto l’isola di
Bikini, sembra siano in pochi a saperlo. Negli anni fra il 1946 e il
1958, nelle Isole Marshall, sono stati fatti detonare dagli Stati Uniti
sessantasei ordigni atomici, l’equivalente di 1.6 bombe come quella di
Hiroshima, tutti i giorni, per dodici anni.
Oggi Bikini è completamente silenziosa, mutata e contaminata. I
palmizi crescono in strane formazioni a griglia. Non si muove niente.
Non ci sono uccelli. Le pietre tombali del vecchio cimitero emettono
radiazioni. Le mie scarpe hanno messo in allarme il contatore Geiger.
Mentre ero sulla spiaggia, ho visto il verde smeraldo del Pacifico
svanire in un grosso buco nero. Questo è il cratere lasciato dalla bomba
all’idrogeno che avevano chiamato “Bravo”. L’esplosione ha avvelenato
la gente e il loro habitat per centinaia di miglia, forse per sempre.
Nel mio viaggio di ritorno, mi ero fermato all’aereoporto di Honolulu
e avevo notato una rivista americana chiamata “Women’s Health”. In
copertina c’era una donna sorridente, in bikini, e la didascalia diceva:
“Anche tu puoi avere un corpo da bikini”. Qualche giorno prima, nelle
Isole Marshall, avevo intervistato donne che avevano “corpi da bikini”
assai differenti; avevano tutte sofferto di cancro alla tiroide e di
altre forme tumorali letali.
A differenza della donna sorridente della rivista, tutte quante erano
povere, vittime e cavie da laboratorio di una superpotenza rapace, oggi
più pericolosa che mai.
Riporto questa esperienza come monito e per porre fine ad una
disattenzione che ha coinvolto troppi di noi. Il padre della propaganda
moderna, Edward Bernays, ha descritto il fenomeno come “la manipolazione cosciente ed intelligente di abitudini ed opinioni” delle società democratiche. Lo ha chiamato “un governo invisibile”.
Quanta gente, si rende conto che è cominciata una guerra
mondiale? Al momento è una guerra di propaganda, menzogne e confusione,
ma tutto questo può cambiare in un attimo, con il primo ordine
frainteso, il primo missile.
Nel 2009, il Presidente Obama era davanti ad una folla adorante a
Praga, nel cuore dell’Europa. Si era impegnato a “liberare il mondo
dalle armi atomiche”. La gente esultava e qualcuno piangeva. I media
vomitavano fiumi di banalità. Ad Obama è stato poi conferito il Premio
Nobel per la Pace.
Era tutta una finzione. Stava mentendo.
L’amministrazione Obama ha costruito ancora più armi atomiche, ancora
più testate nucleari, ancora più mezzi di lancio, ancora più
stabilimenti di produzione nucleare. La spesa per le testate atomiche,
da sola, è cresciuta sotto Obama più che sotto ogni altro Presidente
americano. In trent’anni si è speso più di un trilione di dollari.
Si sta progettando una mini-bomba atomica. E’ conosciuta come B61
Modello 12. Non c’è mai stato nulla del genere. Il Generale James
Cartwright, ex Vice-capo del Quartier Generale Congiunto ha detto: “Il
solo fatto di farle più piccole, rende l’uso di queste armi atomiche più
credibile”.
Negli ultimi 18 mesi, lungo il confine occidentale della
Russia, è stata messa in atto, guidata dagli Stati Uniti, la più grossa
mobilitazione militare dai tempi della Seconda Guerra Mondiale.
Era dall’invasione dell’Unione Sovietica da parte di Hitler, che truppe
straniere non rappresentavano una tale, palese, minaccia nei confronti
della Russia.
L’Ucraina, un tempo parte dell’Unione Sovietica, è diventata un parco a tema della CIA.
Dopo aver orchestrato un colpo di stato a Kiev, Washington ha di fatto
preso il controllo di un regime che sta sulla porta di casa della Russia
e che è totalmente ostile ad essa: un regime marcio fino al midollo di
Nazisti, letteralmente. I parlamentari più importanti in Ucraina sono i
discendenti politici dei ben noti fascisti dell’OUN (*) e dell’UPA (**).
Questi celebrano pubblicamente Hitler ed invocano la persecuzione e
l’espulsione della minoranza di lingua russa.
Queste sono raramente delle novità in Occidente, dove, al contrario, si nasconde la verità.
In Lettonia, Lituania ed Estonia, sull’uscio di casa della Russia,
gli Stati Uniti stanno schierando truppe, carri armati ed armi pesanti.
Di questa gravissima provocazione, nei confronti della seconda potenza
nucleare mondiale, in Occidente non si fa parola.
Quello che rende ancora più pericolosa la prospettiva di una guerra atomica è la campagna, portata avanti in modo parallelo, contro la Cina. Quasi
non passa giorno che la Cina non sia elevata al rango di “minaccia”.
Secondo l’Ammiraglio Harry Harris, comandante del US Pacific Command
(USPACOM), la Cina “sta costruendo una grande muraglia di sabbia nel Mar
Meridionale Cinese”.
Quello a cui si riferisce è che la Cina sta costruendo piste di
atterraggio nelle Isole Spratly, attualmente contese con le Filippine,
una disputa senza particolare importanza, almeno fino a quando
Washington non ha cominciato a far pressioni e a manipolare il governo
di Manila e il Pentagono ha lanciato una campagna propagandistica
chiamata “libertà di navigazione”.
Ma che cosa significa in realtà? Significa la libertà per le navi da
guerra americane di pattugliare e dominare le acque costiere della Cina.
Cercate di immaginarvi la reazione americana, se le navi da guerra
cinesi facessero la stessa cosa al largo delle coste della California.
Ho realizzato un film intitolato “La guerra che non vedete” (***), in
cui intervisto giornalisti famosi in America e in Gran Bretagna:
reporters come Dan Rather della CBS, Rageh Omar della BBC, David Rose
dell’Observer.
Tutti quanti hanno detto che, se i giornalisti e i commentatori
televisivi avessero fatto il loro lavoro e avessero messo in dubbio la
propaganda secondo cui Saddam Hussein era in possesso di armi di
distruzione di massa, se le bugie di George W. Bush e Tony Blair non
fossero state riportate ed amplificate dai giornalisti, l’invasione
dell’Iraq del 2003 non sarebbe avvenuta e centinaia di migliaia di
uomini, donne e bambini oggi sarebbero ancora in vita.
La propaganda che prepara il terreno per una guerra contro la Russia
e/o la Cina, in linea di principio, non è differente. Per quanto ne so, nessun
giornalista dei media mainstream occidentali, l’equivalente di un Dan
Rather, per dire, si è mai chiesto come mai la Cina costruisce piste di
atterraggio nel Mar Cinese Meridionale.
Il perchè sarebbe lampante. Gli Stati Uniti stanno circondando la
Cina con una rete di basi, comprendenti missili balistici, gruppi da
battaglia, bombardieri con armi atomiche. Questo arco letale si estende dall’Australia alle isole del Pacifico,
Marianne, Marshall e Guam, fino alle Filippine, alla Thailandia, alla
Corea e, attraverso l’Eurasia, fino all’Afghanistan e all’India.
L’America ha messo un cappio attorno al collo della Cina. Questo non fa
notizia. Il silenzio dei media è la guerra fatta con i media.
Nel 2015 e in gran segreto, Stati Uniti ed Australia hanno portato a
termine le più grandi manovre aero-navali della storia recente,
conosciute come “Talisman Sabre”. Lo scopo era quello di mettere a punto
un piano di guerra aero-navale, allo scopo di bloccare alcune vie
d’acqua, come gli Stretti di Malacca e di Lombok, chiudendo in questo
modo l’accesso della Cina alle risorse di petrolio, gas e materie prime
del Medio Oriente e dell’Africa.
In quel circo che va sotto il nome di campagna presidenziale
americana, Donald Trump viene presentato come matto e fascista. E’
certamente odioso, ma è anche una figura su cui si è scatenato tutto
l’odio mediatico. Già solo questo dovrebbe farci sospettare qualcosa.
Le idee di Trump sull’immigrazione sono grottesche, ma non più
bizzarre di quelle di David Cameron. Trump non è il Grande Deportatore
dagli Stati Uniti, lo è invece Obama, il vincitore del Premio Nobel per
la Pace.
Secondo un incredibile commentatore liberale, Trump sta “scatenando
le forze oscura della violenza” negli Stati Uniti. Le sta scatenando?
Questa è la nazione dove i bambini sparano alle loro madri e la
polizia conduce una guerra omicida contro gli Afroamericani. Questa è la
nazione che ha attaccato e ha cercato di rovesciare più di 50 governi,
molti dei quali erano democrazie, che ha bombardato dall’Asia al Medio
Oriente, causando la morte e l’esodo di milioni di persone.
Nessun’altra nazione può uguagliare questo meticoloso primato di violenza.
La maggior parte delle guerre dell’America (quasi tutte contro nazioni
indifese) sono state intraprese non dai presidenti repubblicani, ma da
quelli democratici e liberali: Truman, Kennedy, Johnson, Carter,
Clinton, Obama.
Nel 1947, una serie di direttive del Consiglio Nazionale di Sicurezza
dell’ONU aveva descritto l’obbiettivo primario della politica estera
americana come “un mondo costruito sostanzialmente a propria (americana)
immagine e somiglianza”. L’ideologia è quella di un americanesimo di
tipo messianico. Dobbiamo essere tutti Americani. Senza
alternative. Gli eretici devono essere convertiti, rovesciati, comprati,
diffamati o sottomessi.
Donald Trump è un sintomo di questo ma è anche un anticonformista.
Dice che l’invasione dell’Iraq è stata un crimine: non vuole entrare in
guerra con la Russia e con la Cina. Il pericolo, per tutti noi, non è
Trump, ma Hillary Clinton. Lei non è anticonformista. Incarna la
resistenza e la violenza di un sistema, il cui tanto sbandierato
“eccezionalismo”, anche se alle volte presenta un aspetto liberale, è
assolutamente totalitario.
Quando il giorno delle elezioni presidenziali sarà vicino, la Clinton
verrà acclamata come il primo presidente donna, indipendentemente dai
suoi crimini e dalle sue bugie, proprio come Barak Obama era stato
salutato come il primo presidente nero e i liberali si erano bevuti
tutte le sue stupidaggini sulla “speranza”. E intanto si continua a
sbavare.
Descritto dal cronista del Guardian, Owen Jones, come “divertente,
affascinante, con una freddezza che praticamente manca ad ogni altro
politico”, Obama ha mandato l’altro giorno i droni a massacrare 150 persone in Somalia.
Di solito ammazza la gente di martedì, secondo il New York Times,
quando gli danno l’elenco dei condannati alla pena capitale per drone.
Veramente carino.
Nella campagna per le presidenziali del 2008, Hillary Clinton aveva
minacciato di “distruggere completamente” l’Iran con le armi nucleari.
Come Segretario di Stato sotto Obama, ha partecipato al rovesciamento
del governo democratico dell’Honduras. Il suo contributo alla
distruzione della Libia nel 2011 è stato quasi giulivo. Quando il leader
libico, il Colonnello Gheddafi, era stato pubblicamente sodomizzato con
un coltello, un delitto reso possibile dalla logistica americana, la
Clinton ha esultato per la sua morte: “Siamo venuti, abbiamo visto, è
morto”.
Uno dei più stretti alleati della Clinton è Madeleine Albright,
l’ex Segretario di Stato, che ha attaccato le donne giovani, colpevoli
di non sostenere “Hillary”. Questa è la stessa Madeleine Albright che,
ignominisamente, aveva festeggiato in TV la morte di mezzo milione di bambini iracheni con un “ne valeva la pena”.
Fra i maggiori sostenitori della Clinton ci sono la lobby israeliana e
le aziende produttrici di armi che alimentano la violenza in Medio
Oriente. Lei e suo marito hanno ricevuto una fortuna da Wall Street.
Nonostante questo, sta per ricevere l’investitura di candidato delle
donne, per scacciare il demoniaco Trump, il demone ufficiale. I suoi
sostenitori comprendono femministe famose, del calibro di Gloria Steinem
negli Stati Uniti e Anne Summers in Australia..
Una generazione fa, un culto post-moderno, noto adesso come
“l’identità politica”, aveva impedito a molte persone intelligenti e di
orientamento liberale una corretta valutazione delle cause e delle
personalità da loro sostenute, come la doppiezza di Obama e della
Clinton o i finti movimenti progressisti, come Syriza in Grecia, che ha
tradito il popolo di quella nazione e si è alleato con i propri nemici.
Narcisismo, egocentrismo, sono diventati la nuova zeitgeist delle
società moderne privilegiate e questo ha segnato il declino dei grandi
movimenti collettivi contro la guerra, le ingiustizie sociali, le
ineguaglianze, il razzismo e il sessismo.
Oggi, questo lungo sonno potrebbe essere finito. I giovani si stanno
nuovamente agitando. Gradualmente. Le migliaia in Gran Bretagna che
hanno sostenuto Jeremy Corbin come leader del Partito Laburista fanno
parte di questo risveglio, così come lo sono quelli che si sono radunati
per appoggiare Bernie Sanders. La scorsa settimana, in Gran Bretagna,
il più stretto alleato di Jeremy Corbyn, il suo tesoriere-ombra John
McDonnell, ha impegnato un govero laburista a ripianare i debiti delle
banche piratesche, continuando a tutti gli effetti la politica della
cosiddetta austerità.
Negli Stati Uniti, Bernie Sanders ha promesso di sostenere la Clinton
se e quando verrà nominata. Anche lui, in questo modo, ha optato
affinchè l’America usi la violenza contro le altre nazioni, quando essa
ritenga che “sia giusto”. Anche lui dice che Obama ha fatto “un gran
lavoro”.
In Australia c’è una specie di politica funebre, in cui, davanti ai
media si fanno giochini politici abbastanza noiosi, mentre i rifugiati e
gli indigeni sono perseguitati e crescono le differenze, insieme al
pericolo di una guerra. Il governo di Malcom Turbull ha appena
annunciato che il cosiddetto bilancio della difesa sarà di 195 miliardi
di dollari, un vero e proprio invito alla guerra. Non c’è stato
dibattito. Silenzio.
Che cosa è successo alla grande tradizione dell’azione popolare
diretta, affrancata dai partiti? Dove sono il coraggio, l’immaginazione e
la dedizione necessarie per intraprendere il lungo viaggio verso un
mondo migliore, equo e pacifico? Dove sono i dissidenti nell’arte, nella
cinematografia, nel teatro, nella letteratura?
Dove sono quelli che romperanno il silenzio? O dobbiamo aspettare che venga lanciato il primo missile atomico?
Questa è una versione corretta di un discorso tenuto da John Pilger
all’Università di Sidney, dal titolo: “Una nuova guerra è iniziata”.
Nel Paese della bugia, la verità è una malattia ( Gianni Rodari )
In
attesa delle decisioni della Corte Internazionale di Giustizia e dopo
anni in cui ci si è scontrati con "muri di gomma " contro i quali a
nulla sono servite petizioni indirizzate a
Ban Ki Moon, esposti presentati alla Magistratura, manifestazioni
pacifiche nella Capitale e in molte piazze delle nostre città, gruppi di
solidarietà sui social network, e tanto altro ancora, grazie all'
interessamento del Perito Giudiziario Luigi Di Stefano si è arrivati ad
ottenere il 19 Aprile P.V. un audizione presso il Parlamento Europeo
riguardo alla petizione messa a repertorio con il nr. 2089/2014, per
completezza di informazione forniamo il link a cui seguire in diretta i
lavori : http://www.europarl.europa.eu/activities/committees/homeCom.do?%20language=EN&body=PETI
Inoltre riportiamo con piacere lo scritto del Perito stesso allegandone il materiale :
" Per
anni hanno mandato avanti i giannizzeri ad accusarci di difendere i
Marò perchè siamo razzisti, fascisti, militaristi, etc. etc. mentre
sullo sfondo i mezzibusti dell'informazione curavano di presentarli come
colpevoli, pur evocando il "volemose bene" con l'India.
Ma contro la Perizia Balistica indiana non puoi dire niente! mi scrivevano boriosi.
Questo è il documento di sintesi che mi hanno chiesto di fare e che è stato tradotto non so in quante lingue della UE e distribuito ai commissari che parteciperanno alla seduta del 19/4. E'
proprio microscopico rispetto alla analisi vera e propria, tocca solo
alcuni degli elementi principali, fornisce proprio il minimo
dell'informazione e va avanti sul concetto che ai danni dei due accusati
fin dal secondo giorno si è organizzata una montatura.
E la "Perizia Balistica" è uno dei principali elementi a discarico: ci fornisce da sola ben "due" prove che sono innocenti.
Non andremo a Bruxelles a invocare Pietà (mi sento di rappresentarvi
tutti) ma a far valere le nostre ragioni e chiedere che la U.E. le
"verifichi", e che poi agisca di conseguenza.
Però chi ancora insiste e se la sente di affrontarmi si faccia avanti,
faccia vedere di che pasta è fatto: io rispetto gli avversarsi quando
sono in buona fede. "