Alla fine, pare proprio che avranno ciò che meritano, e cioè la bocciatura.
Oddio, a ben vedere la bocciatura non è ancora certa, e le parole del
Preside non fanno pensare ad un simile epilogo. Comunque sarà deciso,
anche la bocciatura sarebbe insufficiente. E non tanto perché occorre
una pena più severa (ovvero quella penale), ma soprattutto perché non
siamo di fronte a semplici bulli inconsapevoli, così come vogliono farci
credere. Certo, siamo di fronte ad una psicopatologia, ma che è ormai
quotidiana e generalizzata, più o meno in tutti noi. Anche negli adulti.
Il problema vero sta proprio qui: questi para-studenti
sapevano molto bene quel che stavano facendo. Così bene da organizzarne
le riprese audiovisive (anche fossero state il frutto di intuizioni
mediatiche improvvise), per farle circolare e dimostrare apertamente la
brutalità del linguaggio, dei gesti, lo sprezzo verso il disvalore della
cosa in sé stessa. Il tutto aggravato dalla mancanza del pur minimo
segnale di vago pentimento o ripensamento critico di quanto compiuto. E
non parliamo della totale assenza della famiglia in tutta questa storia.
Tutto ciò dovrebbe sorprenderci. Invece, provoca ripulsa (quella sì),
ma non sorpresa. Per un motivo molto semplice. Nel clamore dei fatti e
nella giostra dei commenti che ne sono seguiti, non abbiamo sentito
spendere una sola parola da parte dei genitori di questi soggetti.
Nemmeno scuse formali (fosse solo per opportunismo), né un cenno di
sbigottimento o di dolore. Tutto ciò denuncia, forse, una distanza tra
il comportamento dei figli e l’educazione ricevuta in ambito familiare.
Ossia che i genitori siano meglio dei figli? Non saprei. Sta di fatto
che da parte loro, i genitori, abbiamo il nulla. Nessuna dichiarazione.
Un silenzio assoluto. Sarà forse quel silenzio interiore che questi delinquenti ragazzini sanno evidenziare così bene nelle loro aggressioni?
“Mi metta sei, lei non ha capito nulla, chi è che comanda?
chi è che comanda? In ginocchio!”. Questa è una delle frasi più
orribili pronunciate. Parole che ricordano l’esercizio gratuito di
potere, e considerano la sottomissione come ritualità. Non si può
attribuire la mancanza di ogni vigore morale in questi individui
esclusivamente alla famiglia, perché la situazione è grave e ad un
livello mondiale. Tutto intorno a noi è violenza, sopraffazione,
furbizia, ladrocinio, spudoratezza, stupro. Dal dopoguerra ad oggi, le
cose si sono evolute in questa direzione, senza remore, vergogna e
sentimenti di colpa.
Tuttavia, quando un ragazzino arriva a maneggiare sapientemente una
dialettica prevaricatoria, con toni e modalità da aguzzino, è necessario
che i genitori si facciano qualche domanda e si diano adeguate
risposte. Certo, se ci sono genitori all’orizzonte. E sarebbe necessario
che questi, possibilmente, esprimessero ciò che provano, qualunque
sentimento sia: rabbia, dolore, frustrazione, vergogna, sorpresa,
sbigottimento, impressione.
Ma non il silenzio.
Quello ci intimorisce più delle parole e dei toni dei loro figli.
di Alessandro Bertirotti