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Non smettete mai di protestare; non smettete mai di dissentire, di porvi domande, di mettere in discussione l’autorità, i luoghi comuni, i dogmi. Non esiste la verità assoluta. Non smettete di pensare. Siate voci fuori dal coro. Un uomo che non dissente è un seme che non crescerà mai.

(Bertrand Russell)

18/09/15

Siria. Profughi, Isis e guerra: potrebbe essere Putin a levare le castagne dal fuoco ad Obama. Ma non gratis


Putin obama faccia grande 

Il teatro siriano vede non uno ma più conflitti in corso. Alcuni sono palesi, come la sollevazione delle opposizioni contro Bashar al-Assad, la lotta dei curdi contro il Daesh (Isis), la guerra dell’esercito regolare contro al-Qaeda e contro il Daesh, ed alcuni meno evidenti, come l’atavica lotta giocata su altri scacchieri tra Qatar e Arabia Saudita, quella fra al-Qaeda e Isis, fra Turchia e curdi, fra sciiti e sunniti e fra Hezbollah e Israele, il quale ha colpito in più occasioni convogli di armi diretti dalla Siria in Libano.
Vi è poi l’attrito fra Russia e Usa. Se si immagina una linea orizzontale, gli Usa hanno proprie basi militari in tutti i paesi dal Marocco al Kirghizistan, con esclusione solo di Siria e Iran (fino a poco fa anche di Afghanistan e Iraq). Se invece ci si rifà ad una linea verticale, si trovano le basi della Russia, oltre che nel proprio territorio, in Crimea (Sebastopoli), in Egitto e a Tartus, in Siria: lì le due linee confliggono, e confliggono quindi gli interessi geostrategici delle due potenze.
Sminuito de facto il ruolo dell’Esercito libero siriano, che controlla poche porzioni di territorio a nord, la situazione in Siria è arrivata ad essere insostenibile per l’esercito di Damasco a causa del Daesh, il quale, nonostante la Turchia abbia affermato di aver chiuso le porte al transito dei foreign fighter e delle armi indirizzate allo Stato Islamico, si è andato ulteriormente irrobustendo, segno che vi è chi continua a finanziarlo e ad armarlo.
Per la Russia di Vladimir Putin è divenuto quindi improcrastinabile il soccorso all’alleato Bashar al-Assad, dal momento che le forniture di armi e gli osservatori militari non sembrano più essere un elemento sufficiente a evitare che sull’intero paese sventoli la bandiera nera dello Stato Islamico.
Se nelle logiche della Casa Bianca Bashar al-Assad rimane un dittatore da rovesciare (in un primo momento la cosa vedeva d’accordo il Cremlino), in quasi cinque anni di guerra le carte in tavola sono cambiate, e l’opinione pubblica europea si trova ad avere a che fare con il problema profughi più che con il tasso di democrazia della Siria.
Non è ancora chiaro a quale tipo di intervento il presidente russo stia pensando, anche se i segnali fanno rimandano qualcosa di più incisivo dei raid della coalizione anti-Daesh, fino ad oggi pressochè inutili. Il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov ha già fatto sapere che “Se verrà fatta (da Damasco) una richiesta, naturalmente verrà discussa e considerata nell’ambito dei contatti e del dialogo bilaterale”. In realtà la richiesta del ministro degli Esteri siriano Walid al-Muallem è già stata fatta, ma a Mosca preme non creare una situazione che porti ad un’escalation su scala globale, per cui il ministro della Difesa russo Sergei Shoigu ha sentito oggi al telefono il segretario Usa alla Difesa Ashton Carter: lo ha comunicato il portavoce del Pentagono Peter Cook, riferendo di colloqui per discutere dei rispettivi ruoli nel conflitto in Siria.
Sul fatto che il Daesh sia un esperimento finito male di Usa, Qatar e Turchia per combattere al-Assad è ormai cosa arcirisaputa, è un argomento che abbiamo già trattato su Notizie Geopolitiche: lo ha detto persino l’ex Segretario di Stato Usa Hillary Clinton, ammettendo che l’Isis “è stato un fallimento. Abbiamo fallito nel voler mettere in piedi una guerriglia anti al-Assad credibile. La forza di opposizione che stavamo creando era composta da islamisti, laici e da gente nel mezzo: l’incapacità di fare ha lasciato un grande vuoto che i jihadisti hanno ormai occupato. Spesso sono stati armati in modo indiscriminato da altre forze e noi non abbiamo fatto nulla per evitarlo”; lo ha ribadito il pluridecorato generale francese Vincent Desportes, docente presso la facoltà di Scienze politiche di Parigi, il quale fa affermato: “Chi è il dottor Frankenstein che ha creato questo mostro? Diciamolo chiaramente, perché ciò comporta delle conseguenze: sono gli Stati Uniti. Per interessi politici a breve termine, altri soggetti – alcuni dei quali appaiono come amici dell’Occidente − hanno contribuito, per compiacenza o per calcolata volontà, a questa creazione e al suo rafforzamento, ma le responsabilità principali sono degli Stati Uniti”; è sfuggito all’allora ministro dello Sviluppo tedesco Gerd Mueller, subito ripreso da una furiosa Angela Merkel, il quale è intervenuto sul canale televisivo pubblico ZDF affermando: “Un suggerimento: chi finanzia queste truppe dell’Isil? Il Qatar”; lo ha affermato il ministro degli Esteri iraniano, Mohamed Javad Zarif, all’Assemblea delle Nazioni Unite il 18 settembre 2014, quando ha definito l’Isis “un Frankestein tornato per divorare i suoi creatori”; ed al nostro giornale Hassan Ben Brik, uno dei massimi esponenti di Ansar al-Sharia e già combattente in Siria, ha spiegato che i foreign fighter sono recati in Siria grazie al via libera della Turchia (vedi).
Inoltre in primis gli Usa hanno commesso il grave errore di non preventivare che i jihadisti avrebbero approfittato della situazione proprio per strutturarsi in una forza indipendente e organizzata, potendo contare anche sui moltissimi militari e pubblici amministratori dell’ancien régime iracheno, messi da parte dopo la sconfitta di Saddam Hissein.
Una situazione ingarbugliata per Barak Obama, il quale potrebbe accettare che sia proprio l’amico-nemico Vladimir Putin a togliergli le castagne dal fuoco. Ovviamente in cambio di una Siria che resti sotto l’influenza russa e magari di chiudere definitivamente i conti per la crisi della Crimea.

di Enrico Oliari –  18 settembre 2015
fonte: http://www.notiziegeopolitiche.net

IMMIGRAZIONE "Presentata all’onu la risoluzione contro i trafficanti"

gommone affonda 
 

Una risoluzione presentata ieri all’Onu autorizzerebbe, se approvata, l’Unione Europea e i singoli paesi ad agire nelle acque territoriali libiche contro i barconi che cercano di portare migranti e rifugiati in Europa.
Il testo, diffuso dalla Gran Bretagna, autorizza l’Ue e gli stati membri a “usare tutte le misure necessarie”, nel linguaggio Onu l’azione militare, “per contrastare i trafficanti di migranti ed esseri umani”. La risoluzione condanna “le tragedie ripetute nel Mar Mediterraneo che sono sfociate nella perdita di centinaia di vite umane”.
E mette in evidenza la necessità di una “risposta internazionale per affrontare il problema alla radice, per prevenire” lo sfruttamento di esseri umani da parte dei trafficanti.


Nella bozza sono autorizzate operazioni navali da parte dell’Ue e dei singoli paesi per ispezionare barconi sospetti e sequestrarli se le ispezioni ne confermano l’uso per il “traffico di migranti dalla Libia”. La risoluzione rientra nel capitolo 7 della Carta dell’Onu, che prevede come ultima ratio l’uso della forza e autorizza le ispezioni, il sequestro e la distruzione dei barconi per un anno.
Secondo fonti diplomatiche citate dall’AP, a causa delle diverse leggi vigenti in Europa, l’Italia può già sequestrare e distruggere i barconi, ma la Germania e la Gran Bretagna, le due cui navi sono parte delle operazioni europee, hanno bisogno dell’approvazione del Consiglio di Sicurezza. La risoluzione è stata presentata al Consiglio di Sicurezza dell’Onu in un incontro a porte chiuse.


Gran Bretagna e Francia, i membri permanenti del Consiglio di Sicurezza dell’Onu, puntano ad approvare la risoluzione prima del 28 settembre, quando l’Assemblea Generale entrerà nel vivo dei lavori. Lo ha confermato all’ANSA una fonte Onu.
L’approvazione della risoluzione consentirebbe all’operazione Eunavfor Med di iniziare da ottobre le operazioni di contrasto in acque internazionali ai trafficanti, misura già approvata da Bruxelles.
A frenare sulla risoluzione è la Russia preoccupata che l’autorizzazione ad adottare “tutte le misure necessarie” per proteggere gli esseri umani in Libia apra la strada a un intervento militare su vasta scala, come accadde nel 2011 con la guerra contro il regime di Muammar Gheddafi.
Nel testo presentato al Palazzo di Vetro non si parla invece di intervento nelle acque e sulle coste della Libia come previsto invece da una precedente versione del documento, in quanto le diverse fazioni libiche si sono espresse con ostilità all’ipotesi di un’azione militare esterna.


Per sperare nel consenso della Libia occorre attendere l’eventuale esito delle trattative guidate dall’ONU per costituire un governo di unità nazionale, negoziati che sembrano però ancora lontane dal raggiungere risultati concreti. Anzi, in Libia il caos sembra dilagare ulteriormente.
Allo scontro tra i governi di Tobruk e Tripoli e alla crescente presenza dello Stato Islamico si è aggiunta ieri una nuova compagine politica e militare di tipo tribale..
I capi delle più importanti tribù si sono riuniti nel villaggio di Suluk per discutere della proposta di dare vita a un consiglio tribale nazionale.
Secondo quanto riferisce il sito informativo locale “Akhbar Libya 24″, si è discusso di dare vita ad un organismo chiamato Congresso Generale composto dai rappresentanti delle tribù di tutto il Paese in base ad una mappa tribale e sociale riconosciuta da tutti che divide la Libia in tre macro regioni con all’interno delle divisioni per tribù.
L’idea è di creare una sorta di “parlamento delle tribù” composto da 240 membri, 80 per ogni regione, con una presidenza composta da 15 persone. L’eventuale nascita di questa nuova entità rischia di aumentare il caos in un Paese che ha già 3 governi (incluso lo Stato Islamico, due parlamenti e decine di milizie.

(con fonte ANSA, AGI e AP)
Foto AP, Eunavfor Med, Marina Militare

di Redazione18 settembre 2015
fonte: http://www.analisidifesa.it

Ci siamo arresi all'islamizzazione demografica

 
Editoriale


(Il Giornale, 18/9/2015) - Nel mio nuovo libro “Islam. Siamo in guerra” (da domani in edicola con Il Giornale e in libreria), evidenzio come in parallelo al Jihad, la guerra santa islamica, scatenata dal terrorismo islamico dei tagliagole, che ci sottomettono con la paura di essere decapitati, e dei taglialingue, che ci conquistano imponendoci la legittimazione dell’islam, del Corano e delle moschee, l’arma vincente della strategia di islamizzazione dell’Europa è l’invasione demografica.
Su circa 500 milioni di abitanti dei 29 Paesi membri dell’Unione Europea, solo il 16%, pari a 80 milioni di abitanti, hanno meno di 30 anni. Viceversa su circa 500 milioni di abitanti della sponda orientale e meridionale del Mediterraneo, sommando le popolazioni dei 22 Stati arabofoni più quelle della Turchia e dell’Iran, ben il 70% ha meno di 30 anni, pari a 350 milioni di abitanti. Quando si mettono su un piatto della bilancia 80 milioni di giovani europei, cristiani in crisi d’identità con una consistente minoranza musulmana, e sull’altro 350 milioni di giovani mediorientali, al 99% musulmani, convinti che l’islam è l’unica “vera religione” che deve affermarsi ovunque nel mondo, il risultato indubbio è che gli europei sono destinati ad essere sopraffatti demograficamente e colonizzati ideologicamente dagli islamici.
Ad un certo punto i musulmani non avranno più bisogno di farci la guerra o ricorrere al terrorismo. Potranno sottometterci all’islam limitandosi ad osservare le regole formali della nostra democrazia, che premia il soggetto politico più organizzato ed influente, in grado di condizionare e di accaparrare il consenso della maggioranza, astenendosi dall’entrare nel merito dei contenuti delle ideologie e delle religioni, soprattutto dell’islam.
Già nel 1974 il presidente algerino Boumedienne previde che l’Europa sarà conquistata con il “ventre delle nostre donne”. Nel 2006 il leader libico Gheddafi disse che “50 milioni di musulmani in Europa la trasformeranno in un continente musulmano in pochi decenni”.
Ebbene sconvolge che, a fronte dell’evidenza della conquista demografica da parte degli islamici che costituiscono la stragrande maggioranza dei clandestini che ci invadono a partire dalla Libia e dalla Turchia, l’Onu, l’Unione Europea, l’Italia e la Chiesa concordono sul fatto che dobbiamo spalancare incondizionatamente le nostre frontiere. Il presidente della Commissione Europea Juncker il 9 settembre ha detto: “Gli europei devono prendersi carico di queste persone, abbracciarli e accoglierli”.  Papa Francesco il 14 settembre ha esaltato questa invasione: “Gli immigrati ci aiutano a tener viva la nonna Europa”. Il capo dello Stato Mattarella il 16 settembre ha qualificato l’invasione come “un fenomeno epocale (…) che richiede una gestione comune dell’Unione”. Emma Bonino l’8 settembre ha chiarito: “L’Europa vive un calo demografico importantissimo, per il 2050, cioè domani, avrà bisogno di 50 milioni di immigrati per sostenere il proprio sistema di welfare e pensionistico”.
Di fatto stiamo subendo la strategia di genocidio eugenetico profetizzata dal conte Richard Nikolaus di Coudenhove-Kalergi (1894 – 1972), sulla cui lapide ha voluto essere tramandato come il “Pioniere degli Stati Uniti d’Europa”: “L’uomo del lontano futuro sarà un meticcio. Le razze e le caste di oggi saranno vittime del crescente superamento di spazio, tempo e pregiudizio. La razza del futuro, negroide-eurasiatica, simile in aspetto a quella dell’Egitto antico, rimpiazzerà la molteplicità dei popoli con una molteplicità di personalità”.
Ecco perché è fondamentale conoscere la verità di ciò che sta accadendo dentro e fuori di casa nostra. Soprattutto è vitale essere consapevoli che siamo in guerra, che o combattiamo per vincere o saremo sottomessi dall’islam.

di Magdi Cristiano Allam 18/09/2015 
 
fonte: http://www.ioamolitalia.it

Palazzo Chigi regala mance. Mezzo miliardo di sussidi per tutti: a godere dei fondi pure garibaldini e giornali




La lista è interminabile. Ci sono tutti: enti, istituti, associazioni di ogni genere per progetti di ogni genere. Non c’è problema. Tanto a pagare ci pensa Palazzo Chigi. Ieri, infatti, è stata aggiornata la lunga sfilza di beneficiari di contributi e sussidi che ogni anno vengono dispensati dalla presidenza del governo. Sono, fino ad oggi, 311 che da inizio anno hanno potuto contare sui contributi di Palazzo Chigi. Per una somma, secondo i conti de La Notizia, che viaggia – tenetevi forte – sui 445 milioni di euro.
PURE I REDUCI
Partiamo, però, da un assunto. La ratio dei fondi non è affatto errata: spesso sono sussidi di cui godono enti e associazioni culturali per la realizzazione, ad esempio, di mostre o spettacoli culturali. Nulla di più lodevole, dunque. Stupisce, però, che spuntano, disseminate qua e là nella lista, tante e tante associazioni combattentistiche, le stesse che già godono di fondi pubblici messi in palio dai ministeri dell’Interno (1,8 milioni di euro nell’ultimo anno) e della Difesa (1,6 milioni). Dalla “Associazione nazionale Combattenti e Reduci” a varie sezioni dell’Anpi (come Brescia e Bologna); dall’Ancfargl, una sigla che sembra uno scioglilingua e che invece sta per “Associazione Nazionale Combattenti Forze Armate Regolari Guerra di Liberazione”, fino all’associazione nata per i “reduci garibaldini”.
DI TUTTO, DI PIÙ
Insomma, Palazzo Chigi pensa proprio a tutti. E così non poteva mancare nemmeno la marea di comuni che chiedono fondi anche per finire strade e viuzze comunali. Un esempio? Traversella, piccolo paesino arroccato della Valchiusella in provincia di Torino che conta circa 350 abitanti, ha ricevuto da Palazzo Chigi 756 mila euro per un non meglio specificato “miglioramento della fruibilità turistico –ricettiva”. Esattamente la stessa cifra di cui ha goduto anche Rassa, in provincia di Vercelli. Un borgo splendido. Ma una cifra niente male per un paesino di soli 66 abitanti. E poi, su e giù per l’Italia, ecco spuntare la risistemazione di strade, fogne, palestre e addirittura il banchinamento di una scogliera. Senza dimenticare il parcheggio da 300 mila euro a Malfa (900 abitanti in provincia di Messina). Ma non basta. Perchè tra i tanti beneficiari anche, l’associazione che riunisce i singoli comuni, l’Anci e, più specificatamente, la sezione del Veneto e quella della Lombardia: 60 mila euro in due.
VERDI E VERDONI
Ma le sorprese non finiscono mica qui. Ce n’è per tutti: dal quarto raduno nazionale di Assoarma, l’associazione che comprende tutte le “ 35 realtà associative militari”, fino al piccolo aiutino (da 772 mila euro) alla diocesi di Biella per la riparazione del sagrato della chiesa. Senza dimenticare – ci mancherebbe – il numero speciale della rivista mensile Patria indipendente. Un evento imperdibile, tanto da finanziarlo con 15 mila euro. Ma il vero guadagno si è fatto con l’anniversario dei 200 anni dalla morte di Giuseppe Verdi. Per carità: tra mostre e spettacoli, il nostro Paese gli ha garantito un più che giusto tributo. Stupisce, però, che a distanza di due anni, per dire, ancora ci troviamo a pagare la mostra “Verdi ovvero l’alfabeto del sentimento umano”, sebbene si sia conclusa a novembre 2013. Che dire, ancora, del contributo da 50 mila euro per l’importantissimo centro studi “Verdi, agricoltore innovatore”. Tanto non c’è problema: paga Palazzo Chigi. Ancora oggi.

di Carmine Gazzanni
fonte: http://www.lanotiziagiornale.it

17/09/15

CASO MARO' - "Le risposte ai tanti lati oscuri del caso Marò attraverso l'analisi del Generale Fernando Termentini"

Marò; ecco le risposte ai tanti perchè della vicenda. La strategia dei governi italiani è stata quella di tutelare gli interessi con l’India e puntare ad una breve condanna dei fucilieri da scontarsi in Italia.




marò

Molti i lati oscuri del caso Marò. Perché il Governo italiano ha ignorato l’analisi tecnica dell’Ing. Di Stefano e la perizia balistica indiana sul calibro dei proiettili? Perché, nonostante la decisione dell’allora Ministro degli esteri Giulio Terzi, il Governo Monti decise di rispedire i Marò in India in barba ad ogni legge? Perché solo adesso il Governo ha deciso di portare il caso all’Arbitrato internazionale? A tutte queste domande ci ha aiutato a rispondere Fernando Termentini, Generale di Brigata della riserva dell’Arma del Genio dell’Esercito Italiano, che ha svolto missioni di peacekeeping in Somalia, Bosnia e Mozambico, è intervenuto ai microfoni della trasmissione “Il mondo è piccolo”, condotta da Fabio Stefanelli, su Radio Cusano Campus, emittente dell’Università Niccolò Cusano per chiarire i lati oscuri della vicenda Marò.

Era già tutto chiaro da tempo… “Dal 12 aprile del 2012 –ha spiegato Termentini- l’ing. Di Stefano ha depositato alla procura di Roma un’analisi tecnica nella quale palesemente smentiva il calibro dei proiettili denunciati dagli indiani, smentiva la successione degli eventi e quant’altro, quindi i fatti erano noti, tanto da essere stati pubblicati in rete. Il 18 febbraio del 2014 io ho mandato al Ministero della Difesa le copie dell’analisi tecnica di Di Stefano, aggiornata a quella data, e il Ministero mi ha risposto ringraziandomi e dicendomi che era stata data all’Avvocatura di Stato che partecipava alla Difesa dei Marò. Ma allora l’avvocatura non l’ha letta, la buttata, perché almeno avrebbe dovuto farla acquisire agli atti. Di Stefano ha ottenuto dal Tribunale di Amburgo la perizia balistica indiana che contraddice l’esame autoptico, dimostrando che i proiettile che hanno colpito i pescatori indiani erano diverse da quelle in dotazione ai nostri fucilieri. Quindi tutto era già molto chiaro da tempo, i media e i politici fanno finta di averlo saputo solo adesso”.

Perché i Marò sono stati rispediti in India in barba a tutte le leggi? “L’11 marzo 2013 –ha affermato Termentini- fu dato un annuncio ufficiale che i due marò non sarebbero rientrati in India. Poi qualcuno (Monti, ndr) ha deciso di rimandarli in India, pur essendoci la pena di morte. Secondo due sentenze della Suprema Corte se in un Paese è prevista la pena di morte nell’ordinamento, l’estradizione è proibita. Dopo il rientro in Italia, il 22 marzo 2013, ho depositato un esposto alla Procura sottolineando l’estradizione illecita e tutti gli altri lati oscuri sull’inchiesta, ma ad oggi ancora nessuno ci ha fatto sapere nulla. Andrebbe costituita una Commissione d’inchiesta parlamentare su questa vicenda”.

La strategia dell’Italia è sempre stata chiara. “Io –ha dichiarato Termentini- non credo che tre Governi siano stati tutti e tre caratterizzati da sprovveduti. Credo che sia gente competente che ha analizzato il problema, valutando i pro e contro. C’è una costante nel governo Monti, in quello Letta e in quello Renzi: dare assicurazioni e poi sfumare nel nulla. A Gennaio 2014, Pierferdinando Casini tornando dall’India disse: “Facciamo subito l’arbitrato”. L’allora vice ministro degli esteri Lapo Pistelli, che guarda caso oggi ricopre un ruolo di prestigio nell’Eni, disse che accettava la competenza a giudicare dell’India e accettava che i Marò fossero condannati anche ad una breve pena colposa e fossero poi restituiti all’Italia in base ad una convenzione bilaterale sottoscritta un anno prima. C’è stata una vera e propria volontà di trattenerli, per interessi che non avevano nulla a che fare con la giustizia”.


di


16/09/15

L’Anci nell’affare dei migranti. Spunta una fondazione piena zeppa di trombati e amici del Pd




Un giocattolino niente male ha ormai attecchito all’interno della già affollata galassia Anci. Si tratta di una fondazione, in realtà costituita in sordina nel 2008, ma in tempi recenti messasi in evidenza con una posizione di rilievo nella gestione degli immigrati. Fenomeno a dir poco composito, all’interno del quale, cinicamente parlando, gira un mucchio di soldi. Al centro della scena c’è Cittalia, fondazione dell’Anci, l’associazione dei comuni guidata dal sindaco di Torino Piero Fassino. Ebbene, Cittalia è riuscita a ritagliarsi un ruolo di primo piano nella gestione dei circa 22 mila migranti attualmente ospitati all’interno dello Sprar, ovvero il Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati realizzato dagli enti locali. Che i gangli nei quali si è infilata la fondazione dell’Anci siano strategici, se vogliamo, è dimostrato dalla composizione dei suoi organi. Nel consiglio della fondazione, infatti, siedono due esponenti del Pd, nonché renziani di ferro, come Matteo Biffoni, sindaco di Prato, e Matteo Ricci, sindaco di Pesaro e vicepresidente dei Democratici. Accanto a loro, nel consiglio, siede anche Maria Chiara Fornasari, una della giovani leve di Fi.

LA GUIDA
Presidente di Cittalia è un altro esponente del Pd, ovvero Leonardo Domenici, sindaco di Firenze prima di Matteo Renzi. Lo stesso Domenici che è stato trombato alle elezioni europee del 2014. Ma perché Cittalia è così strategica? Per capirlo bisogna risalire a quei 22 mila migranti ospitati nell’ambito della rete degli enti locali, il cosiddetto Sprar. Il sistema è quasi interamente finanziato dal ministero dell’interno, oggi guidato da Angelino Alfano, attraverso il Fondo nazionale per le politiche e i servizi dell’asilo. In ballo ci sono circa 280 milioni di euro all’anno. Tanti ne servono per sostenere l’accoglienza dei 22 mila migranti che, secondo rilievi dello stesso Sprar, costano in media 35 euro al giorno (la spesa giornaliera sarebbe di 770 mila euro). Come entrano in gioco gli enti locali? Chi vuole proporre un progetto di accoglienza partecipa ad appositi bandi. I progetti vengono sottoposti all’esame di una Commissione di valutazione composta da un rappresentate del ministero dell’interno, da uno dell’Anci e da uno dell’Upi (l’Unione di quelle province che teoricamente dovrebbero essere scomparse). Il ministero, così, finanzia quei progetti che la stessa Anci ha contribuito a individuare come validi. Ma il ruolo dell’associazione dei comuni non finisce qui. Per coordinare tutti i servizi territoriali dell’accoglienza migranti, infatti, sempre il ministero attiva il cosiddetto Servizio centrale, che viene affidato tramite convezione all’Anci. A sua volta, però, l’associazione ha deciso di recente di farsi supportare nella gestione del Servizio centrale proprio dalla fondazione Cittalia, come abbiamo visto infarcita di sindaci renziani.

L’ATTIVITA’
Cosa fa, esattamente, questo benedetto Servizio centrale? Monitora la presenza sul territorio dei migranti, aggiorna la banca dati degli interventi, presta assistenza tecnica agli enti locali, supporta l’Anci negli adempimenti connessi alla gestione del Fer (Fondo europeo per i rifugiati). Insomma, come si vede è un ruolo di primo piano in quella filiera che serve a smistare i circa 280 milioni. I quali, naturalmente, servono a remunerare tutte quelle onlus e cooperative a cui i comuni si affidano per la materiale accoglienza dei 22 mila immigrati. I dati più aggiornati ci dicono che al momento la rete degli enti locali (Sprar) ha in gestione 434 progetti, che coinvolgono 382 enti locali. Ma i numeri sono destinati a salire. Non per niente, a luglio scorso, Fassino ha entusiasticamente commentato il nuovo bando per ampliare il sistema Sprar di altri 10 mila migranti in accoglienza, coinvolgendo comuni che ancora non aderiscono alla rete.

di Stefano Sansonetti - 16 settembre 2015

fonte: http://www.lanotiziagiornale.it

15/09/15

La Russia dà il via all’esercitazione militare più grande dalla fine della Guerra fredda

 

 

«Oggi c’è l’esigenza di unire gli sforzi nella lotta contro il terrorismo»


«La Russia continuerà ad offrire supporto militare alla Siria, perché siamo convinti che Bashar al Assad saprà gestire bene una transizione politica, portando la parte sana dell’opposizione al governo». Da Dushanbe, in Tagikistan, dove è impegnato al summit del CSTO, Vladimir Putin ha dato un assaggio di quello che potrebbe dire personalmente a Barack Obama a fine mese a New York, quando i due, a margine dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, potrebbe incontrarsi per discutere della crisi siriana. «Per ora è impossibile parlare del formato di un dialogo, non avendo alcun accordo o segnale», ha detto Dmitri Peskov, portavoce di Vladimir Putin, parlando stamattina con i giornalisti. Fonti bene informate, però, fanno sapere che l’incontro potrebbe esserci, anche perché la parte russa non esclude alcun tipo di dialogo, strumento «necessario – secondo Peskov - affinché ognuno esprima la sua posizione e cerchi il consenso, nonché la reciproca intesa».
Intesa che difficilmente arriverà già entro fine settembre, ma il percorso per un accordo potrebbe iniziare proprio da lì. «Oggi c’è l’esigenza di unire gli sforzi nella lotta contro il terrorismo», ha detto il capo del Cremlino, riferendosi neanche troppo velatamente all’Occidente, esortandolo a mettere da parte ogni ambizione geopolitica, abbandonando «i cosiddetti doppi standard e la politica di utilizzazione diretta o indiretta di alcuni gruppi terroristici per raggiungere i propri obiettivi tattici, compreso il cambiato di governo o regimi indesiderati. Senza questo – ha precisato - è impossibile risolvere altri pressanti problemi, compreso il problema dei rifugiati». Putin ha rivendicato il ruolo del suo paese nel conflitto che sta affliggendo la Siria, affermando che «senza il nostro supporto al governo di Assad, il numero di rifugiati che arriverebbero in Europa sarebbe decisamente maggiore rispetto a quello attuale».
Se da un lato, dunque, il presidente russo ha scelto la via del dialogo con l’occidente, dall’altro ha deciso di far mostrare all’orso russo i propri muscoli. Più di 95.000 soldati appartenenti alle forze armate russe, infatti, hanno iniziato un numero elevato di esercitazioni militari che si estendono dal Volga alla Siberia. «Centro-2015 – ha scritto ieri il ministero della Difesa in un comunicato diffuso alla stampa – è la fase finale di preparazione militare delle nostre forze armate. Nel mese di agosto sono state condotte quasi 80 esercitazioni, così come numerose ispezioni senza preavviso alle truppe sono avvenute la scorsa settimana». Nelle manovre militari saranno impegnati più di 7.000 pezzi di artiglieria, 170 aerei, 20 navi da guerra, 20 diversi campi di addestramento militare.
«Ciò che stiamo vedendo ora non si era mai visto dai tempi della guerra fredda, tra la fine del 1970 e l’inizio del 1980. L’esercito non sta solo testando nuovi veicoli, attrezzature e tecniche, ma utilizza sempre maggiori risorse per farlo», ha detto lo storico militare Vyacheslav Filatov, ospite della tv russa Zvezda. «Anche se queste manovre sono di natura difensiva, la Nato guarderà comunque con preoccupazione la cosa», ha detto, sempre intervistato da Zvezda, un altro esperto militare, Sergey Fedorov. «Sono stupito dal programma di queste esercitazioni, è qualcosa ci si è vista raramente». Lo scenario di questi giochi di guerra vedrà l’esercito russo, assieme agli alleati regionali, localizzare e neutralizzare una minaccia internazionale proveniente dall’Asia centrale. L’esercitazione, inoltre, prevede un numero di morti e feriti elevato, così da mettere gli uomini del proprio esercito in grado di reagire prontamente a scenari semi-apocalittici, quasi da terza guerra mondiale.
Ed è questo che molti blogger e giornalisti si stanno chiedendo. La Russia si sta preparando a questa evenienza? E’ difficile dirlo con certezza, ma la situazione può lasciarlo presumere. L’attuale crisi europea dei rifugiati, la sospensione di Schengen, la chiusura dei confini con l’esercito, sembrano scenari da guerra fredda. Tutti i politici europei si stanno accusando a vicenda per questo disastro che ha raggiunto dimensioni apocalittiche. L’impressione, a Mosca e non solo, è che molto presto accadrà qualche evento di portata storica. L’aria che si respira è da crollo dell’occidente. E la Russia si sta portando avanti. 
di Eugenio Cipolla - 15 settembre 2015
fonte: http://www.lantidiplomatico.it 

14/09/15

VICENDA MARO' - INDIA "LA PERIZIA BALISTICA INDIANA CHE ASSOLVE I MARO’"



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Marò punto e a capo. K. Sasikala, professore di medicina legale a Thiruvananthapuram, nello stato indiano del Kerala, nell’autopsia sul corpo senza vita del pescatore Valentine Jelestine descrive un proiettile molto più grosso delle pallottole calibro 5,56 in dotazione al capo di prima classe Massimiliano Latorre e al secondo capo Salvatore Girone.
Ad Amburgo l’atto è stato depositato dall’India alla cancelleria del Tribunale internazionale per il diritto marittimo al quale l’Italia si è rivolta dopo tre anni e sette mesi di inutili trattative e di procedure giudiziarie che non hanno prodotto neppure uno straccio di capo d’imputazione.




Alla pagina due del “post mortem certificate”  di Jelestine si legge che nella testa del defunto dallo spazio subdurale è stato estratto un proiettile “lungo 3,1 centimetri, con una circonferenza di 2 centimetri a un’estremità (ndr. la base) e di 2,4 centimetri sopra la base”.
Le ogive calibro 5, 56 dei marò sono lunghe 2,3 centimetri.
L’autopsia fatta il 16 febbraio sembrava rimasta sepolta nei cassetti della polizia del Kerala. Una pallottola di quelle dimensioni, secondo Luigi Di Stefano che fu consulente dell’Itavia nel lungo processo per l’abbattimento del Dc nel cielo di Ustica, potrebbe essere “una cartuccia di calibro 7 e 62 X 54 R che nell’area è molto diffusa.
La usano i pirati somali e anche la guardia costiera dello Sri Lanka a bordo delle motovedette tipo Arrow con cui lo Sri Lanka da anni contrasta gli sconfinamenti nelle sue acque territoriali dei pescatori indiani che partono dai porti del Tamil Nadu.
Un sito dello Stato indiano ha tenuto il conto dei morti, più di 400. Il comandante del peschereccio Saint Antony Freddy Bosco e diversi membri del suo equipaggio abitano, vedi caso, nel Tamil Nadu.




All’autore dell’esame balistico N.G. Nisha, vicedirettore del Laboratorio di medicina legale a Thiruvananthapuram, è toccato un arduo compito.
Doveva ridurre le dimensioni delle pallottole dal calibro 7,62 al 5, 56. Forse per questa ragione la sua perizia si conclude con un condizionale sibillino: “I proiettili di questo caso potrebbero essere pallottole ad alta velocità sparate da fucili calibro 5,56 (ndr. quello delle armi in dotazione ai marò) esplose da lontano.
La traiettoria è dall’alto verso il basso”. La sua perizia è del 19 aprile 2012. I sequestri a bordo della petroliera Enrica Lexie si sono conclusi il 25 febbraio, si legge nelle carte depositate dall’India. C’è stato tutto il tempo per sparare con i fucili dei marò e per recuperare proiettili.
Nella ricostruzione della balistica a posteriori le ogive furono distribuite con precisione, una nel corpo di ognuno dei due deceduti e due sul peschereccio Saint Antony.



I detective non sapevano però che ogni fuciliere di marina ha un’arma individuale e non di reparto. Sulla base dei numeri di matricola indicati dalla perizia balistica fatta nel Kerala l’ammiraglio Alessandro Piroli, vittima a sua volta delle manipolazioni indiane, nel maggio del 2012 ha collegato i colpi fatali con le armi del sottocapo di II classe Massimo Andronico e del sergente Renato Voglino e non con quelle di Latorre e di Girone.
Una circostanza smentita dalle dichiarazioni dello stesso Latorre e dalle testimonianze concordi del comandante della Lexie Umberto Vitelli e del secondo ufficiale Sahil Gupta. Tutti hanno dichiarato che il giorno dell’incidente sul ponte di dritta della petroliera c’erano Latorre e Girone.
I maggiori dei carabinieri Luca Flebus e Paolo Fratini, i due esperti italiani ai quali è stato  consentito di partecipare agli accertamenti come osservatori, ossia senza poter intervenire, hanno assistito solo alle prove di sparo con i fucili sequestrati a bordo della Enrica Lexie e all’apertura dei plichi che contenevano i proiettili e le armi, sei Beretta Ar 70/90 e due Herstal Minimi.



I due ufficiali non sono stati messi in condizione di avere la certezza che i proiettili al centro dell’accertamento balistico fossero stati davvero estratti dai cadaveri delle due vittime e non parteciparono ad alcun esame con il microscopio comparatore, l’unico che può stabilire quale arma ha sparato studiando le rigature.
Gli atti depositati dall’India contengono altre chicche. Sembrano fatti con il copia e incolla due affidavit dei sopravvissuti, le testimonianze scritte raccolte il 30 luglio del 2015, poco più di un mese dopo che l’Italia aveva attivato la procedura dell’arbitrato internazionale obbligatorio ovvero non concordato.
I testimoni indicano senza la più pallida ombra di dubbio e senza storpiarli i nomi e i cognomi dei due militari italiani che avrebbero ucciso i loro compagni di lavoro. Li definiscono i ‘sailors’, i marinai.
Le testimonianze sono l’allegato numero 46. Il comandante del peschereccio Freddy Bosco, 34 anni, residente nello stato meridionale del Tamil Nadu, e il marinaio Kinserian, 47 anni, dichiarano «onestamente e con la massima integrità» che alle 16,30 del 15 febbraio 2012 il natante «finì sotto il fuoco non provocato e improvviso dei marinai Massimiliano Latorre e Salvatore Girone della Enrica Lexi».



Appena arrivato in porto, la sera del 12 febbraio, Bosco aveva però detto alla televisione che l’attacco era avvenuto alle 21 della sera prima.
Entrambi i marinai aggiungono nella testimonianza che i «tiri malvagi» hanno provocato la «tragica morte dei cari amici e colleghi Valentine, alias Jelastin, e Ajesh Binke».
La loro vita dopo la presunta sparatoria è descritta nello stesso modo: «Indicibile miseria e una agonia della mente, una perdita di introiti». «La nostra ordalia – concludono – non è finita».
La certezza sulle responsabilità dei fucilieri di marina italiani di Bosco e Kinserian è condivisa dal terzo pescatore Michael Adimai, sentito il 4 agosto 2015. Anche lui parla di spari «senza preavviso e provocazione».
Denuncia «un’incommensurabile agonia mentale e un fardello finanziario che continua tuttora». Come gli altri due testimoni denuncia la sua incapacità di portare avanti «le attività quotidiane». Dalle carte depositate emerge anche l’ennesimo particolare incongruo.



Il Gps del Saint Antony non fu consegnato da Bosco alla polizia appena arrivò in porto, ma otto giorni dopo, il 23 febbraio, assieme a un computer malridotto. Insomma, volendo, ci fu tutto il tempo per manomettere i dati registrati dall’apparecchio.
Foto: Ansa, Difesa.it, Lapresse
  

LA PERIZIA INDIANA – PDF

di Lorenzo Bianchi14 settembre 2015
fonte:http://www.analisidifesa.it



Marò in India: STUPIDITA' O DILETTANTI ? di Antonio Adamo

 
Il ritrovamento tra gli atti della copia del referto dell’autopsia condotta dall’anatomopatologo K. S. Sisikala, che esaminò i cadaveri dei pescatori. Sisikala è un vero luminare della materia che ha dovuto eseguire decine di perizie necroscopiche di poveri pescatori crivellati da colpi di armi da fuoco sparati da pirati, dalla guardia costiera dello Sri Lanka o da concorrenti che ritenevano violati i propri spazi di pesca. Quel referto esclude che le ogive rinvenute nei cadaveri di Valentine Jelastine e di Ajeesh Pink fossero compatibili con i proiettili in dotazione ai Marò, tipicamente quelli di uso comune tra le truppe Nato. Per questo era stata fatto sparire, per cui si può essere certi che gli indiani si siano dimenticati di toglierlo dal mucchio di documenti depositati ad Amburgo come allegato no. 4.

“Il documento balistico esibito dagli indiani è stato palesemente e grossolanamente contraffatto”. La sua indagine parte dai “fermo immagine” scattati sui filmati trasmessi dal Tg 1 e dal Tg 2 della Rai. Per cominciare, Di Stefano aveva già fatto notare che le pagine mandate in onda si limitavano al frontespizio ed alle conclusioni, ovvero che non si fosse fornita nessuna immagine del testo. Nel passaggio riferito a Binki o Pink, una delle due vittime, si vedono addirittura due residui dello scritto originale parzialmente rimosso e sostituito. L’indicazione del mese e il nome sono sulla destra, mentre il resto del documento è ordinatamente allineato a sinistra. La stessa anomalia si ripete quando viene citato il reperto estratto dal cervello di Jelestine, l’altra vittima, a testimonianza del fatto che l’originale e la versione finale del documento non coincidono e non sono state redatte dalla stessa persona.

Il 7 e 62 lungo da 31 millimetri è il calibro delle pallottole in dotazione al mitra Pk di fabbricazione russa. L’arma è montata di serie sulle torrette delle piccole unità Arrow Boat in dotazione alla Guardia Costiera dello Sri Lanka.

Infine, nella documentazione prodotta ad Amburgo dagli indiani segnaliamo la perla più fulgida ed abbagliante prodotta dalla loro stupidità, figlia diretta della loro ottusa malafede. Non sapendo più a quale appiglio attaccarsi, gli indiani hanno cambiato impostazione e tattica circa la richiesta di giurisdizione sul caso. Per i Marò l’Italia ha chiesto il rispetto dell’immunità funzionale che taglierebbe la testa al toro e renderebbe inutile la disputa circa il riconoscimento della territorialità del luogo ove avvenne l’uccisione di Valentine Jelastine ed Ajeesh Pink. Infatti, se tale immunità funzionale fosse riconosciuta, e l’India stando alla normativa internazionale la DEVE riconoscere visto che è firmataria dell’Unclos III, il procedimento giudiziario non riguarderebbe più direttamente i Marò, ma aprirebbe un contenzioso tra i due governi e i due militari dovrebbero essere immediatamente rilasciati (si fa per dire, dopo tre anni e mezzo di sequestro). L’immunità infatti va riconosciuta ai funzionari in missione ufficiale in rappresentanza di uno Stato, i quali non sono responsabili delle conseguenze del loro operato se questo si svolge sul teatro operativo e nell’ambito di quanto disposto dal mandato per compiere la missione loro affidata.

CASO MARO' - "Da “Il segreto dei 2 Marò” all’Arbitrato internazionale: un’odissea infinita e piena di incognite"

 

Perché continuare a cianciare politicamente sulla più comoda giurisdizione anziché battersi per la loro innocenza? Perché non si fa chiarezza su chi ha impartito l’ordine alla Lexie di entrare a Kochi? Perché c’è stato nottetempo il contrordine per farli rientrare a Delhi dopo il permesso pasquale del 2013? Perché l’Arbitrato è stato avviato con quasi tre anni di ritardo? Perché i tre governi hanno proceduto senza convinzione e determinazione facendo solo entropia, con risultati nulli?  Soprattutto perché, dopo oltre tre anni, non esiste ancora uno straccio di accuse formali nei loro confronti? Perché…!?

 

marob



Dell’Arbitrato internazionale e del recente verdetto dell’ITLOS, il Tribunale del Mare di Amburgo, si è scritto ampiamente in un precedente articolo; la decisione presa da tale consesso di  “sospendere ogni qualunque azione e iniziativa da parte italiana ovvero indiana, e  ogni processo in corso per evitare di inasprire ulteriormente la situazione” e di rinviare la decisione secondaria che conteneva la richiesta italiana di far rientrare il FCM Girone in Patria, “non sussistendo motivi di urgenza”, è stata valutata nel suo complesso corretta e coerente con la situazione in atto e circoscritta all’ambito  dei poteri di quel Tribunale. La via maestra e legittima dell’Arbitrato è, in questo momento, l’unica che consentirà di chiarire il pernicioso contenzioso con l’India, con l’auspicio che il Tribunale Arbitrale attribuisca la competenza della giurisdizione all’Italia , con il rientro dei 2 FCM , per fronteggiare un giudizio ed un processo equo.
Spiace soltanto che si sia perso tanto tempo nell’attivare formalmente il predetto Arbitrato; oltre 2 anni e mezzo di tira e molla, altrimenti – forse- i nostri fucilieri sarebbero già rientrati nei ranghi del San Marco. Abbiamo perso tempo e assistito a violazioni, balletti e contraddizioni in parte importanti e influenti  sulle vicende dei 2 Fucilieri di Marina; si può credere al loro ripetuto urlo di innocenza o non credergli per questioni di principio; si può essere con loro o contro di loro per motivi ideologici, ma – come sostiene Toni Capuozzo nella sua puntuale panoramica sui 2 FCM, di cui al bel libro inchiesta “Il segreto dei 2 Marò”–   in conclusione e con la necessaria onestà intellettuale “chiedetevi com’è possibile che dopo tre anni e mezzo i due marò non siano ancora stati rinviati a giudizio?”: la risposta più ovvia è che, dopo aver letto, studiato e recepito le varie e stridenti contraddizioni, ed  i “fatti” occorsi,  i 2 FCM  siano estranei al sinistro, e quindi del tutto innocenti.
E non come conseguenza di un garantismo tout-court, nè basato su amicizia o perché italiani, piuttosto quale risultato di un approccio razionale, pragmatico, analitico e logico delle varie vicende occorse; in altri termini si tratta di  far emergere la verità vera da quella interminabile  sequela di interrogativi sollevati e approfonditi, condensati in quel tomo interessante e inquisitorio che, senza sconti  per nessuno, porta comunque a confermare  l’ipotesi  di innocenza. Che, va detto, si è  inspiegabilmente stravolta nel corso del tempo, quasi “camaleontizzata” in colpevolezza per strani interessi politici, anche individuali ed economico-industriali: è paradossale che  una “grande democrazia” qual è l’India, abbia tenacemente perseguito, anche con l’inganno, la loro detenzione con violazioni di regole di civiltà di ogni genere e disconoscendo, talvolta con disprezzo e noncuranza, le norme internazionali del Diritto delle genti: un segnale democratico anomalo, contrario ad uno Stato  di diritto, di moderna barbarie. Tanti dei dubbi, delle perplessità e delle storture della intricata odissea erano emersi a spizzichi e bocconi da una stampa distratta se non assente, ma senza una visione di insieme, senza indagare più di tanto e senza un link di collegamento che, ora, rendono chiara la loro storia anche al cittadino normale. Con un linguaggio asciutto, chiaro e scevro da ammennicoli, sono cronologicamente descritte le vicende che da oltre tre anni e mezzo coinvolgono i 2 FCM, con poche luci e tante ombre, trascurando volutamente aspetti etici e moralismi, ma basandosi su “facts and figures” e terminando ogni capitolo con interrogativi accorti e pungenti: perché continuare a cianciare politicamente sulla più comoda  giurisdizione anziché battersi per la loro innocenza? Perché non si fa chiarezza su chi ha impartito l’ordine alla Lexie di entrare a Kochi? Perché c’è stato nottetempo il contrordine per farli rientrare a Delhi dopo il permesso pasquale del 2013? Perché l’Arbitrato è stato avviato con quasi tre anni di ritardo? Perché i tre governi hanno proceduto senza convinzione e determinazione facendo solo entropia, con risultati nulli?  Soprattutto perché, dopo oltre tre anni, non esiste ancora uno straccio di accuse formali nei loro confronti? Perché…!?
L’autore si pone giustamente questi e tanti altri interrogativi che qui tralasciamo per non appesantire troppo il testo, e alla quasi globalità cerca di fornire un razionale, senza fantasie e senza illusioni, senza spinte in avanti: un giornalismo rispettabile non solo per i contenuti, ma per l’onestà intellettuale che traspare soprattutto dalla obiettività nell’indagine. Finalmente un’informazione aperta, schietta, talvolta cruda che dispensa più dubbi di certezze, senza mai pararsi dietro la facciata del “politicamente corretto”, e ben lontano dal conformismo sociale a cui siamo abituati dalla gran parte dei media nostrani. Sia ben chiaro che qui non si vuole fare una diagnosi severa e sbrigativa dei media nostrani e del loro modo di fare informazione  poiché sarebbe poco corretto e anche ingiusto, ma piuttosto elogiare chi esce dalla curva di Gauss, fuori da quel 75%, che non vogliono fare inchieste scomode,  non vanno mai contro l’establishment ma curano “le poltrone”, condividono quasi sempre le decisioni del governo, non criticano le leggi del Parlamento, né uomini politici e vertici militari.  Capuozzo non svela segreti più di tanto, ma ha il coraggio di affrontare verità scomode, corredandole delle possibili notizie pertinenti che, nel loro insieme, consentono al comune cittadino – e non solo all’elitario che conosce a fondo le problematiche- di farsi una propria autonoma opinione dei fatti; cioè fornisce al comune lettore gli strumenti metodologici e non ideologici per l’indipendente interpretazione  dell’informazione con la I maiuscola: e questo, in un mondo prono ed asservito come il nostro, non è poco! L’odissea dei 2 Fucilieri di Marina è piena di dubbi, ambiguità e reticenze per cui  chi le descrive deve “volare alto” per evitare di essere vittima delle stesse affermazioni, rischiando  pericolosamente addirittura di diventarne complice; nel caso in esame si può serenamente affermare che non si rinviene alcuna forma di partigianeria o complicità, né sul piano politico, né nei confronti dei due poveri fucilieri verso cui, tuttavia, c’è un profondo rispetto e stima dovuti anche a pregresse  esperienze sul campo, nei teatri afgani.
Gli elogi all’autore sono dovuti, meritati e senza piaggeria; di seguito vengono ora affrontati alcuni argomenti  e “momenti” dell’odissea dei 2 FCM che inducono a  riflessioni e commenti specifici, con una critica costruttiva ben lontana dalla sterile polemica, ma anche con  visioni  e tagli non sempre “soft”. Con un approccio “bottom-up”, partendo cioè dalle osservazioni meno importanti e del tutto minori, si avverte in alcuni passaggi e nell’uso di acronimi tipicamente militari, un certo scollamento semantico con quel mondo: sarebbe bastata forse una visione joint con qualche Ufficiale per eliminare quegli errori, si ripete minori, in un contesto  di tale amplitudine e complessità. E’ il caso del COI, Comando Operativo Interforze che, in alcune frasi  viene etichettato erroneamente come  Coordinamento Operativo Interforze, il cui Comandante è il Generale di Corpo d’Armata Bertolini (e non Bartolini) che svolge un incarico di grande e indubbio prestigio, mentre non è condivisibile nel mondo interforze l’assunto e la percezione che anche il  Vice del COI lo sia, come invece affermato. E’ il caso di CINCNAV, il Comando in Capo della Squadra Navale che non ha un Vice  di Capo di Stato  Maggiore; c’è  Il Capo di Stato Maggiore di CINCNAV che è il capo dello Staff e può surrogare il CINC  in certe situazioni, ma non ne è il Vice, il Vicario. Esiste poi una fregata classe Maestrale Zeffiro, e non Zaffiro, che assiste nel bacino somalo ed in pieno Oceano Indiano al sequestro della Savina Caylyn, e via dicendo. Tralasciamo ora le questioni minori per salire di livello con uno step-up  ma, per favore, iniziamo a chiamare i Fucilieri di Marina col loro giusto nome; non  più ‘Marò’, che sono ben altra cosa rispetto ai Fucilieri del San Marco, storico reggimento fatto da specialisti ad alto profilo professionale al pari delle Forze Speciali!
L’inizio dell’odissea dei 2 FCM  è incentrata sulla cd. “Inversione di rotta della Lexie” del 15 febbraio 2012; dopo palleggiamenti, dichiarazioni e ritrattazioni nostrane  sui media dell’epoca su chi aveva dato l’ordine di invertire la rotta e dirigere per il porto di Kochi – al di là di una avvertita migliore definizione dei compiti del NMP (Nuclei Militari di Protezione costituiti dai predetti FCM) –  le prefigurate ipotesi vanno meglio circoscritte, costituendo quel momento l’inizio ed il “peccato originale” della sventura dei 2 FCM.
Risulta acclarato che la catena militare CINCNAV- COI- CaSMD, vertice Difesa, come poi confermato dall’allora Ministro Di Paola, non abbia posto alcun veto all’ingresso della nave a Kochi e, stante la fluida situazione, il Comandante della Lexie –Vitielli- abbia comunque deciso di entrare, anche avendo a mente i prioritari interessi mercantili con l’India.  Risulta anche che il Miniesteri, dalle dichiarazioni di Terzi –allora Ministro pro-tempore- fosse del tutto contrario  a tale inversione di rotta che portava la nave nelle loro acque territoriali e quindi sotto la giurisdizione indiana: peccato che sia l’Unità di crisi, sia la Farnesina nella persona del Ministro, siano stati informati con circa 5 ore di ritardo (come risulta da una mail inviata), quando la frittata era ormai stata fatta, e la Lexie era già all’interno del porto di Kochi. Molto è stato scritto, soprattutto dai media nostrani, e assai di meno da quelli indiani, che la nave è stata oggetto di una ingannevole richiesta che è servita, ad ogni buon conto, a costituire un alibi ed una cortina fumogena per giustificare chi, invece e con una buona dose di ingenuità, non ha negato l’ingresso. L’ABC delle regole e dell’etica della diplomazia impone che, a prescindere da quale inconveniente o sinistro si tratti, se si verifica in spazi internazionali, MAI si debbono lasciare  quelle zone in cui vige, a tutela del personale, il Diritto internazionale, cacciandosi nelle acque territoriali;  si  prende tempo, si valuta con cura e con maggiori elementi la situazione, senza spogliarsi di quella sacrosanta e prevista “copertura”!
Non basta applicare la massima dilettantesca  ”Male non fare, paura non avere”;  può essere una condizione necessaria ma non sufficiente per entrare; tant’è! Anche se, va doverosamente riconosciuto che se la Lexie avesse avuto conoscenza e coscienza di aver commesso un duplice omicidio, nessuno mai avrebbe dato l’ordine di rientrare così ingenuamente. E se così non fosse, ma come sostiene la stampa indiana fosse vero che nessun inganno è stato perpetrato nei confronti della Lexie, e che  la stessa è stata oggetto di una vera e propria “caccia” illecita  perché in acque internazionali da parte dei mezzi aeronavali della loro Guardia Costiera, costringendola con la forza a dirigere verso Kochi? In tal caso crollerebbe il castello dell’inganno e del veto insieme, facendo naufragare l’alibi insieme con  la nostra ingenuità; sarebbe però ancor più grave l’infrazione commessa dall’India sul piano del Diritto internazionale per la cattura di una nave italiana in acque fuori dalle TTW, con un inseguimento illegittimo e con l’uso della forza!  Probabilmente sono vere entrambe le ipotesi, nel senso che gli indiani hanno inizialmente provato a convincere la Lexie anche con richieste subdole e ingannevoli  ma, visto qualche tentennamento nell’invertire la rotta, hanno inviato le motovedette e l’aereo della Guardia Costiera per “convincerli”: comunque si considerino tali fatti, sia l’inganno ovvero il  rientro coatto, siamo di fronte a comportamenti indiani meglio definibili “pirateschi” e al di fuori di ogni regola della comunità internazionale. Analogo atteggiamento piratesco indiano si rinviene quando la Lexie va all’ormeggio a Kochi il 19 febbraio e sale a bordo la polizia armata –si parla di una sessantina di poliziotti-  che,  con la forza, come se avesse da fare con delinquenti, costringeva i fucilieri a scendere, li arrestava seduta stante e sequestrava le armi del nostro Stato loro affidate: qui, caro Capuozzo, è inutile porsi il problema di chi ha dato la “luce verde da Roma”; chi poteva opporsi al “sequestro più che arresto” forzoso dei 2 FCM a cui non è stato neppure consentito di andare in bagno?  Pirati indiani e ponziopilati italiani, questo sì, senza che l’Italia abbia mosso un dito, né abbia avuto un qualsiasi rigurgito di orgoglio per tutelare l’onore dei fucilieri e, insieme, il proprio onore come Nazione!  Altro che “grande democrazia quest’India elefantiaca! Speriamo solo che i giudici del Tribunale Arbitrale ne tengano debito conto per togliere all’India ogni velleità sulla giurisdizione: questi fatti hanno una rilevanza, in termini di “gross violation” dei diritti umani universalmente riconosciuti, assai  più delle disquisizioni dei vari  azzeccagarbugli sul Diritto internazionale, sulle discussioni sulla zona contigua, e perfino sul pieno riconoscimento della  immunità funzionale! L’ipotesi dell’inganno, e della correlata ambiguità di assunzione del “comando” in situazioni del genere, ha scatenato –col senno di poi-  i politici nostrani in una serie di bagarre da osteria, trascurando la genesi sacrosanta della nascita dei NMP che, lo si ricorda, operavano già dal 2005 (Nave Granatiere, agosto 2005) a bordo delle fregate per il contrasto della pirateria nel Corno d’Africa, dopo gli attacchi ai nostri mercantili “ Cielo di Milano” e” Jolly Smeraldo”. Ricordo doverosamente che la Marina Militare, a fronte di un immobilismo statuale, e sempre più conscia di dover tutelar gli interessi nazionali, in termini di protezione degli equipaggi italiani, ha proposto l’avvio dei NMP con l’impiego naturale di  teams del San Marco, già sperimentati su unità navali militari; a parte il famoso “senno di poi”, magari andavano meglio definiti certi aspetti di comando in  situazioni critiche, e anomale come quelle occorse, ma dobbiamo anche ricordare che quella legge 130 dell’agosto 2011 fu approvata in pratica all’unanimità… La pirateria è un gran business, non tanto per quei disgraziati pirati “manovali”, quanto per i  capi delle  loro organizzazioni criminali; non lo è di meno per le compagnie di Assicurazione londinesi. Una polizza normale per mercantili che attraversano l’Oceano indiano oscilla fra i 400 e 500 mila dollari al giorno che, con il passar del tempo si raddoppiano per quei tre/quattro giorni di transito in prossimità del Corno d’Africa e di Aden, prima di imboccare Suez. In media transitano 80 navi al giorno, cioè circa 25000 in un anno: ci si rende conto del business? Nel libro si afferma che se si vuol rinunciare a passare attraverso tali forche caudine e preferire il periplo dell’Africa, il costo sarebbe incrementato dai 500  ai 750 mila euro in più per ogni nave in transito: tale valutazione appare del tutto incongrua nel senso che da tempo gli attacchi avvengono anche in pieno Oceano (basta ricordare il sequestro della Savina Caylyn  avvenuto già nel 2011 a circa 1000 km dalle coste somale!) e le polizze si sono quindi adeguate anche ben al di fuori da Aden.  Anche i costi aggiuntivi, passando per il periplo, sarebbero incommensurabili e sicuramente superiori di quelli scritti; basti pensare ai soli costi di nolo che per ogni giorno sono salatissimi e moltiplicarli per 20-25, tanti sono i giorni in più di mare per circumnavigare l’Africa, per affermare che i costi vivi sono decuplicati, con  una lievitazione sensibile anche di quelli della merce trasportata e con una tardiva, talvolta inaccettabile, disponibilità sui mercati. Ma il business non è solo quello delle compagnie di Assicurazioni o dei capi criminali che hanno gruzzoli da favola in Svizzera e alle Cayman; il business ha giocato un ruolo primario anche nelle decisioni più importanti, come nel rientro coatto dei 2 FCM dopo il permesso pasquale del 2013, con il condizionamento legato alla commessa degli elicotteri  Agusta EH-101 (poi comunque naufragato) ed altri contratti” in being”, all’export dell’amianto, all’acquisizione dell’ILVA di Taranto da parte dello spregiudicato  tycoon indiano Mittal, e via dicendo: tutto questo ha condizionato le giuste decisioni e tutto è volato sopra le teste dei 2 FCM che, evidentemente, valevano assai meno in termini monetari e industriali. Un tristissimo evento  è stato il loro rientro a Pasqua 2013, una Caporetto inattesa che è piombata sulle loro teste, e su tutti noi, come una doccia fredda: un marchio che resterà negli annali di storia come un primitivo baratto in cui il danaro ed il business hanno prevalso sulla vita di due nostri figli, indiscutibilmente fra i migliori e quasi sicuramente innocenti. Infine ci sono ancora almeno due aspetti che, per quanto delicati, richiedono alcuni commenti: il  cd. Rapporto Piroli e gli Ammiragli che hanno “fatto carriera”.
Il Rapporto Piroli, che sarebbe meglio definire in gergo militare come Inchiesta sommaria o preliminare, solleva osservazioni di merito e contenuto, ma anche di riservatezza o Wiki-Leaks, che dir si voglia. Il rapporto, stilato appena possibile subito dopo ogni sinistro, dovrebbe essere la fotografia di quanto accaduto, della sua dinamica, di fatti e non supposizioni, ove possibile qualche testimonianza “a caldo”: è simile al rapporto della Polizia in caso di grave incidente stradale. Soprattutto “se c’è il morto” ci sarà un’inchiesta approfondita, a seguire nel tempo, la cd. Inchiesta Formale, con ogni possibile dettaglio, testimonianze, interrogatori, considerazioni, fino ad arrivare alle  cause più probabili ed alle conseguenti conclusioni in termini di colpevolezza, seguite da opportune raccomandazioni affinché il caso non si ripeta: ma non in quella “sommaria”, perché lo dice la parola stessa,  sarebbe del tutto improprio. Invece, secondo l’articolo uscito improvvidamente su “Repubblica” oltre un anno dopo l’evento, a firma di Vincenzo Nigro, si riporta inopinatamente che i nostri  del San Marco hanno sparato e sono colpevoli, pur non avendo armi del calibro 7,62 ma 5,56 come risulta dalla farsesca iniziale perizia balistica indiana. Che, pur confondendo il calibro con la circonferenza, riesce a far riscontrare – con quale formula magica non si sa-  le matricole dei fucili personali  della sparatoria  individuando gli autori in due poveri volontari di truppa del team imbarcato (con tanto di nomi e cognomi: Andronico e Voglino), anziché Latorre e Girone che, quindi, sarebbero ancora una volta, innocenti ma detenuti. Ovviamente si prende, nel rapporto, per oro colato ciò che gli indiani avevano “imbastito” con la famigerata e incredibile perizia balistica, andando contro ogni  norma sulle modalità di compilazione di tale rapporto, ed anche in contrasto con  ogni più elementare logica e tutela di parte: per assurdo la difesa gioca a favore dell’accusa, prendendo atto delle affermazioni farlocche e pretestuose, indiane. Nessuno ha aperto bocca, né è stata avviata un’inchiesta per la violazione di sicurezza nell’aver pubblicato comunque un documento “riservato”, e che “ puzzava di zolfo” vista l’uscita dopo oltre un anno dalla compilazione: un Wiki-leaks che altrove sarebbe stato indagato e punito severamente, ma da noi  tutto silenzio! E, dunque, qual è stata la strategia sottesa, se c’è stata, e quale scopo recondito aveva in serbo? E’ quasi impensabile che con quel pezzo s’intendesse convincere gli indiani a “liberare” i 2 FCM Latorre e Girone, detenuti fino allora, in quanto il rapporto identificava i  veri colpevoli “sparatori”  negli altri 2 volontari di truppa: frutto di un giornalismo asservito a via XX settembre, o un pericoloso mix di autostima, ingenuità e demenzialità che si scaricano, comunque, a massa sul San Marco? Mah!
Dulcis in fundo’ , anche se vengono fatte all’inizio del libro, sono le accuse nei confronti di numerosi Ammiragli che avrebbero “fatto carriera” sfruttando la vicenda dei 2  Fucilieri, elencandoli per nome, cognome ed incarico ricoperto: ciò è solo parzialmente vero. E’ ben noto che si parla di Ammiragli arrivati all’apice della loro carriera, di tre stelle che – al momento dell’evento, il 15 febbraio 2012- ricoprivano incarichi di grande prestigio dopo una carriera in cui le Commissioni di Avanzamento gli avevano “contato i peli” prendendo atto delle loro indiscusse qualità morali, di carattere e professionali, espresse sempre in modo eminente. Quindi, se mai, si può disquisire del “perché” tale evento non abbia giocato un qualche ruolo e peso non nelle carriere di chi aveva la diretta responsabilità delle decisioni prese o non prese, che comunque si trovava ormai al massimo livello di grado, ma nelle nomine successive di Vertice che sono notoriamente “politiche”. Le nomine peraltro erano già state fatte e formalizzate da qualche tempo; una settimana dopo, il 23 febbraio l’Ammiraglio Binelli Mantelli assumeva regolarmente il compito di Capo di Stato Maggiore della Marina, provenendo da CINCNAV, dal quale dipendeva il team del San Marco imbarcato sulla Lexie; l’Ammiraglio De Giorgi lo sostituiva al Comando della Squadra Navale, provenendo dall’Ispettorato delle Scuole, quindi fuori  ed estraneo dalla linea operativa di competenza. Dunque, nessuna nomina “privilegiata” nell’ immediatezza dell’evento visto sia le competenze specifiche, ma anche la tempistica in gioco; ad onor del vero alcuni Ammiragli hanno “pagato” nelle successive valutazioni di Vertice, non tanto per specifiche colpe, ma per aver forse dimostrato  di non  aver reso al massimo livello nei diversi compiti affidatigli, non escludendo anche chi è stato coinvolto nella gestione del sinistro in questione. Se l’Italia fosse un Paese serio, nel corso dell’anno successivo a tale evento, il Governo avrebbe dovuto avviare una Commissione di Inchiesta per chiarire le cause, le decisioni  e certe responsabilità eventualmente ascrivibili a chi, nel momento del sinistro, si trovava nei posti decisionali, ed adottare i conseguenti provvedimenti correttivi, frenando o se del caso cambiando le nomine successive. Ma siccome i primi a doversi assumere precise responsabilità erano i politici del momento, nulla è stato fatto all’argomento, e il sistema è andato avanti “sull’onda lunga”, tutto  secondo il Manuale Cencelli, come  da tradizione, e come se il caso dei 2 FCM non fosse mai avvenuto: questo non va bene; è profondamente ingiusto e anche poco onorevole. Tanti sono “ i perché” sollevati molto opportunamente nel corso di questa tragedia da Capuozzo; troppe sono le incongruenze e i comportamenti ondivaghi e colpevolizzanti  mostrati dalla nostra classe politica in tre anni e mezzo dal fattaccio;  inaccettabili sono le violazioni dell’India sia nei confronti di un altro Stato, l’Italia, sia nei confronti di due soldati; infinite sono le dimostrazioni di innocenza implicita o esplicita dei 2 FCM Latorre e Girone: se è vero che finora ha prevalso l’arroganza della “grande democrazia” indiana, “il loro teorema” barbaro e incredibile  della colpevolezza sembra incrinarsi dopo il verdetto del Tribunale del Mare di Amburgo, e si spera  crolli completamente con quello Arbitrale dell’Aja  dando infine all’Italia la competenza della giurisdizione, e riporti così i nostri 2 FCM in Patria.                                                                          Infine, dovrà svolgersi il processo per stabilire giuridicamente la loro innocenza, se non la loro completa estraneità a quel maledetto sinistro;  la risposta più logica e giusta si trova, già insita, nell’ultima riflessione-statement  di Capuozzo “ come è possibile che dopo tre anni e mezzo i due marò non siano ancora rinviati a giudizio?” E, allora, a maggior ragione dovremo chiarire una volta per tutte, senza ambiguità, ma con tutte le garanzie del caso, con l’avvio parallelo al processo, di  una rigorosa Commissione Parlamentare, che faccia emergere senza melina gli errori fatti, le decisioni prese, le responsabilità politiche e tecniche: sarebbe senza dubbio una bella dimostrazione di democrazia di uno Stato di Diritto, garantista, che non ha più “segreti”, ma che privilegia soprattutto la vera informazione, aperta a tutti i suoi cittadini.

Giuseppe Lertora - 11 settembre 2015

fonte: http://www.liberoreporter.it