Dell’Arbitrato
internazionale e del recente verdetto dell’ITLOS, il Tribunale del Mare
di Amburgo, si è scritto ampiamente in un precedente articolo; la
decisione presa da tale consesso di “
sospendere ogni qualunque
azione e iniziativa da parte italiana ovvero indiana, e ogni processo
in corso per evitare di inasprire ulteriormente la situazione” e di rinviare la decisione secondaria che conteneva la richiesta italiana di far rientrare il FCM Girone in Patria,
“non sussistendo motivi di urgenza”,
è stata valutata nel suo complesso corretta e coerente con la
situazione in atto e circoscritta all’ambito dei poteri di quel
Tribunale. La via maestra e legittima dell’Arbitrato è, in questo
momento, l’unica che consentirà di chiarire il pernicioso contenzioso
con l’India, con l’auspicio che il Tribunale Arbitrale attribuisca la
competenza della giurisdizione all’Italia , con il rientro dei 2 FCM ,
per fronteggiare un giudizio ed un processo equo.
Spiace soltanto
che si sia perso tanto tempo nell’attivare formalmente il predetto
Arbitrato; oltre 2 anni e mezzo di tira e molla, altrimenti – forse- i
nostri fucilieri sarebbero già rientrati nei ranghi del San Marco.
Abbiamo perso tempo e assistito a violazioni, balletti e contraddizioni
in parte importanti e influenti sulle vicende dei 2 Fucilieri di
Marina; si può credere al loro ripetuto urlo di innocenza o non
credergli per questioni di principio; si può essere con loro o contro di
loro per motivi ideologici, ma – come sostiene Toni Capuozzo nella sua
puntuale panoramica sui 2 FCM, di cui al bel libro inchiesta “
Il segreto dei 2 Marò”– in conclusione e con la necessaria onestà intellettuale “
chiedetevi com’è possibile che dopo tre anni e mezzo i due marò non siano ancora stati rinviati a giudizio?”:
la risposta più ovvia è che, dopo aver letto, studiato e recepito le
varie e stridenti contraddizioni, ed i “fatti” occorsi, i 2 FCM siano
estranei al sinistro, e quindi del tutto innocenti.
E non come
conseguenza di un garantismo tout-court, nè basato su amicizia o perché
italiani, piuttosto quale risultato di un approccio razionale,
pragmatico, analitico e logico delle varie vicende occorse; in altri
termini si tratta di far emergere la verità vera da quella
interminabile sequela di interrogativi sollevati e approfonditi,
condensati in quel tomo interessante e inquisitorio che, senza sconti
per nessuno, porta comunque a confermare l’ipotesi di innocenza. Che,
va detto, si è inspiegabilmente stravolta nel corso del tempo, quasi
“camaleontizzata” in colpevolezza per strani interessi politici, anche
individuali ed economico-industriali: è paradossale che una “grande
democrazia” qual è l’India, abbia tenacemente perseguito, anche con
l’inganno, la loro detenzione con violazioni di regole di civiltà di
ogni genere e disconoscendo, talvolta con disprezzo e noncuranza, le
norme internazionali del Diritto delle genti: un segnale democratico
anomalo, contrario ad uno Stato di diritto, di moderna barbarie. Tanti
dei dubbi, delle perplessità e delle storture della intricata odissea
erano emersi a spizzichi e bocconi da una stampa distratta se non
assente, ma senza una visione di insieme, senza indagare più di tanto e
senza un link di collegamento che, ora, rendono chiara la loro storia
anche al cittadino normale. Con un linguaggio asciutto, chiaro e scevro
da ammennicoli, sono cronologicamente descritte le vicende che da oltre
tre anni e mezzo coinvolgono i 2 FCM, con poche luci e tante ombre,
trascurando volutamente aspetti etici e moralismi, ma basandosi su
“facts and figures” e terminando ogni capitolo con interrogativi accorti
e pungenti:
perché continuare a cianciare politicamente sulla
più comoda giurisdizione anziché battersi per la loro innocenza? Perché
non si fa chiarezza su chi ha impartito l’ordine alla Lexie di entrare a
Kochi? Perché c’è stato nottetempo il contrordine per farli rientrare a
Delhi dopo il permesso pasquale del 2013? Perché l’Arbitrato è stato
avviato con quasi tre anni di ritardo? Perché i tre governi hanno
proceduto senza convinzione e determinazione facendo solo entropia, con
risultati nulli? Soprattutto perché, dopo oltre tre anni, non esiste
ancora uno straccio di accuse formali nei loro confronti? Perché…!?
L’autore si pone giustamente questi e tanti altri interrogativi che qui
tralasciamo per non appesantire troppo il testo, e alla quasi globalità
cerca di fornire un razionale, senza fantasie e senza illusioni, senza
spinte in avanti: un giornalismo rispettabile non solo per i contenuti,
ma per l’onestà intellettuale che traspare soprattutto dalla obiettività
nell’indagine. Finalmente un’informazione aperta, schietta, talvolta
cruda che dispensa più dubbi di certezze, senza mai pararsi dietro la
facciata del “politicamente corretto”, e ben lontano dal conformismo
sociale a cui siamo abituati dalla gran parte dei media nostrani. Sia
ben chiaro che qui non si vuole fare una diagnosi severa e sbrigativa
dei media nostrani e del loro modo di fare informazione poiché sarebbe
poco corretto e anche ingiusto, ma piuttosto elogiare chi esce dalla
curva di Gauss, fuori da quel 75%, che non vogliono fare inchieste
scomode, non vanno mai contro l’establishment ma curano “le poltrone”,
condividono quasi sempre le decisioni del governo, non criticano le
leggi del Parlamento, né uomini politici e vertici militari. Capuozzo
non svela segreti più di tanto, ma ha il coraggio di affrontare verità
scomode, corredandole delle possibili notizie pertinenti che, nel loro
insieme, consentono al comune cittadino – e non solo all’elitario che
conosce a fondo le problematiche- di farsi una propria autonoma opinione
dei fatti; cioè fornisce al comune lettore gli strumenti metodologici e
non ideologici per l’indipendente interpretazione dell’informazione
con la I maiuscola: e questo, in un mondo prono ed asservito come il
nostro, non è poco! L’odissea dei 2 Fucilieri di Marina è piena di
dubbi, ambiguità e reticenze per cui chi le descrive deve “volare alto”
per evitare di essere vittima delle stesse affermazioni, rischiando
pericolosamente addirittura di diventarne complice; nel caso in esame
si può serenamente affermare che non si rinviene alcuna forma di
partigianeria o complicità, né sul piano politico, né nei confronti dei
due poveri fucilieri verso cui, tuttavia, c’è un profondo rispetto e
stima dovuti anche a pregresse esperienze sul campo, nei teatri afgani.
Gli elogi all’autore sono dovuti, meritati e senza piaggeria; di seguito
vengono ora affrontati alcuni argomenti e “momenti” dell’odissea dei 2 FCM che
inducono a riflessioni e commenti specifici, con una critica
costruttiva ben lontana dalla sterile polemica, ma anche con visioni e
tagli non sempre “soft”. Con un approccio “bottom-up”, partendo cioè
dalle osservazioni meno importanti e del tutto minori, si avverte in
alcuni passaggi e nell’uso di acronimi tipicamente militari, un certo
scollamento semantico con quel mondo: sarebbe bastata forse una visione
joint con qualche Ufficiale per eliminare quegli errori, si ripete
minori, in un contesto di tale amplitudine e complessità. E’ il caso
del COI, Comando Operativo Interforze che, in alcune frasi viene
etichettato erroneamente come Coordinamento Operativo Interforze, il
cui Comandante è il Generale di Corpo d’Armata Bertolini (e non
Bartolini) che svolge un incarico di grande e indubbio prestigio, mentre
non è condivisibile nel mondo interforze l’assunto e la percezione che
anche il Vice del COI lo sia, come invece affermato. E’ il caso di
CINCNAV, il Comando in Capo della Squadra Navale che non ha un Vice di
Capo di Stato Maggiore; c’è Il Capo di Stato Maggiore di CINCNAV che è
il capo dello Staff e può surrogare il CINC in certe situazioni, ma
non ne è il Vice, il Vicario. Esiste poi una fregata classe Maestrale
Zeffiro, e non Zaffiro, che assiste nel bacino somalo ed in pieno Oceano
Indiano al sequestro della
Savina Caylyn,
e via dicendo. Tralasciamo ora le questioni minori per salire di
livello con uno step-up ma, per favore, iniziamo a chiamare i Fucilieri
di Marina col loro giusto nome
; non più ‘Marò’, che sono ben
altra cosa rispetto ai Fucilieri del San Marco, storico reggimento fatto
da specialisti ad alto profilo professionale al pari delle Forze
Speciali!
L’inizio dell’odissea dei 2 FCM è incentrata sulla cd. “
Inversione di rotta della Lexie” del 15 febbraio 2012;
dopo palleggiamenti, dichiarazioni e ritrattazioni nostrane sui media
dell’epoca su chi aveva dato l’ordine di invertire la rotta e dirigere
per il porto di Kochi – al di là di una avvertita migliore definizione
dei compiti del NMP (Nuclei Militari di Protezione costituiti dai
predetti FCM) – le prefigurate ipotesi vanno meglio circoscritte,
costituendo quel momento l’inizio ed il “peccato originale” della
sventura dei 2 FCM.
Risulta acclarato che la catena militare
CINCNAV- COI- CaSMD, vertice Difesa, come poi confermato dall’allora
Ministro Di Paola, non abbia posto alcun veto all’ingresso della nave a
Kochi e, stante la fluida situazione, il Comandante della Lexie
–Vitielli- abbia comunque deciso di entrare, anche avendo a mente i
prioritari interessi mercantili con l’India. Risulta anche che il
Miniesteri, dalle dichiarazioni di Terzi –allora Ministro pro-tempore-
fosse del tutto contrario a tale inversione di rotta che portava la
nave nelle loro acque territoriali e quindi sotto la giurisdizione
indiana: peccato che sia l’Unità di crisi, sia la Farnesina nella
persona del Ministro, siano stati informati con circa 5 ore di ritardo
(come risulta da una mail inviata), quando la frittata era ormai stata
fatta, e la Lexie era già all’interno del porto di Kochi. Molto è stato
scritto, soprattutto dai media nostrani, e assai di meno da quelli
indiani, che la nave è stata oggetto di una ingannevole richiesta che è
servita, ad ogni buon conto, a costituire un alibi ed una cortina
fumogena per giustificare chi, invece e con una buona dose di ingenuità,
non ha negato l’ingresso. L’ABC delle regole e dell’etica della
diplomazia impone che, a prescindere da quale inconveniente o sinistro
si tratti, se si verifica in spazi internazionali
, MAI si
debbono lasciare quelle zone in cui vige, a tutela del personale, il
Diritto internazionale, cacciandosi nelle acque territoriali;
si prende tempo, si valuta con cura e con maggiori elementi la
situazione, senza spogliarsi di quella sacrosanta e prevista
“copertura”!
Non basta applicare la massima dilettantesca
”Male non fare, paura non avere”;
può essere una condizione necessaria ma non sufficiente per entrare;
tant’è! Anche se, va doverosamente riconosciuto che se la Lexie avesse
avuto conoscenza e coscienza di aver commesso un duplice omicidio,
nessuno mai avrebbe dato l’ordine di rientrare così ingenuamente. E se
così non fosse, ma come sostiene la stampa indiana fosse vero che nessun
inganno è stato perpetrato nei confronti della Lexie, e che la stessa è
stata oggetto di una vera e propria “caccia” illecita perché in acque
internazionali da parte dei mezzi aeronavali della loro Guardia
Costiera, costringendola con la forza a dirigere verso Kochi? In tal
caso crollerebbe il castello dell’inganno e del veto insieme, facendo
naufragare l’alibi insieme con la nostra ingenuità; sarebbe però ancor
più grave l’infrazione commessa dall’India sul piano del Diritto
internazionale per la cattura di una nave italiana in acque fuori dalle
TTW, con un inseguimento illegittimo e con l’uso della forza!
Probabilmente sono vere entrambe le ipotesi, nel senso che gli indiani
hanno inizialmente provato a convincere la Lexie anche con richieste
subdole e ingannevoli ma, visto qualche tentennamento nell’invertire la
rotta, hanno inviato le motovedette e l’aereo della Guardia Costiera
per “convincerli”: comunque si considerino tali fatti, sia l’inganno
ovvero il rientro coatto, siamo di fronte a comportamenti indiani
meglio definibili “pirateschi” e al di fuori di ogni regola della
comunità internazionale. Analogo atteggiamento piratesco indiano si
rinviene quando la Lexie va all’ormeggio a Kochi il 19 febbraio e sale a
bordo la polizia armata –si parla di una sessantina di poliziotti-
che, con la forza, come se avesse da fare con delinquenti,
costringeva i fucilieri a scendere, li arrestava seduta stante e sequestrava le armi del nostro Stato loro affidate:
qui, caro Capuozzo, è inutile porsi il problema di chi ha dato la “luce
verde da Roma”; chi poteva opporsi al “sequestro più che arresto”
forzoso dei 2 FCM a cui non è stato neppure consentito di andare in
bagno? Pirati indiani e ponziopilati italiani, questo sì, senza che
l’Italia abbia mosso un dito, né abbia avuto un qualsiasi rigurgito di
orgoglio per tutelare l’onore dei fucilieri e, insieme, il proprio onore
come Nazione! Altro che “grande democrazia quest’India elefantiaca!
Speriamo solo che i giudici del Tribunale Arbitrale ne tengano debito
conto per togliere all’India ogni velleità sulla giurisdizione:
questi fatti hanno una rilevanza, in termini di “gross violation” dei diritti umani universalmente riconosciuti, assai
più delle disquisizioni dei vari azzeccagarbugli sul Diritto
internazionale, sulle discussioni sulla zona contigua, e perfino sul
pieno riconoscimento della immunità funzionale! L’ipotesi dell’inganno,
e della correlata ambiguità di assunzione del “comando” in situazioni
del genere, ha scatenato –col senno di poi- i politici nostrani in una
serie di bagarre da osteria, trascurando la genesi sacrosanta della
nascita dei NMP che, lo si ricorda, operavano già dal 2005 (Nave
Granatiere, agosto 2005) a bordo delle fregate per il contrasto della
pirateria nel Corno d’Africa, dopo gli attacchi ai nostri mercantili “
Cielo di Milano” e” Jolly Smeraldo”. Ricordo doverosamente che
la Marina Militare, a fronte di un immobilismo statuale, e sempre più conscia di dover tutelar gli interessi nazionali,
in termini di protezione degli equipaggi italiani, ha proposto l’avvio
dei NMP con l’impiego naturale di teams del San Marco, già sperimentati
su unità navali militari; a parte il famoso “senno di poi”, magari
andavano meglio definiti certi aspetti di comando in situazioni
critiche, e anomale come quelle occorse, ma dobbiamo anche ricordare che
quella legge 130 dell’agosto 2011 fu approvata in pratica all’unanimità… La pirateria è un gran business,
non tanto per quei disgraziati pirati “manovali”, quanto per i capi
delle loro organizzazioni criminali; non lo è di meno per le compagnie
di Assicurazione londinesi. Una polizza normale per mercantili che
attraversano l’Oceano indiano oscilla fra i 400 e 500 mila dollari al
giorno che, con il passar del tempo si raddoppiano per quei tre/quattro
giorni di transito in prossimità del Corno d’Africa e di Aden, prima di
imboccare Suez. In media transitano 80 navi al giorno, cioè circa 25000
in un anno: ci si rende conto del business? Nel libro si afferma che se
si vuol rinunciare a passare attraverso tali forche caudine e preferire
il periplo dell’Africa, il costo sarebbe incrementato dai 500 ai 750
mila euro in più per ogni nave in transito: tale valutazione appare del
tutto incongrua nel senso che da tempo gli attacchi avvengono anche in
pieno Oceano (basta ricordare il sequestro della Savina Caylyn avvenuto
già nel 2011 a circa 1000 km dalle coste somale!) e le polizze si sono
quindi adeguate anche ben al di fuori da Aden. Anche i costi
aggiuntivi, passando per il periplo, sarebbero incommensurabili e
sicuramente superiori di quelli scritti; basti pensare ai soli costi di
nolo che per ogni giorno sono salatissimi e moltiplicarli per 20-25,
tanti sono i giorni in più di mare per circumnavigare l’Africa, per
affermare che i costi vivi sono decuplicati, con una lievitazione
sensibile anche di quelli della merce trasportata e con una tardiva,
talvolta inaccettabile, disponibilità sui mercati. Ma il business non è
solo quello delle compagnie di Assicurazioni o dei capi criminali che
hanno gruzzoli da favola in Svizzera e alle Cayman; il business ha
giocato un ruolo primario anche nelle decisioni più importanti, come nel
rientro coatto dei 2 FCM dopo il permesso pasquale del 2013, con il
condizionamento legato alla commessa degli elicotteri Agusta EH-101
(poi comunque naufragato) ed altri contratti” in being”, all’export
dell’amianto, all’acquisizione dell’ILVA di Taranto da parte dello
spregiudicato tycoon indiano Mittal, e via dicendo: tutto questo ha
condizionato le giuste decisioni e tutto è volato sopra le teste dei 2
FCM che, evidentemente, valevano assai meno in termini monetari e
industriali.
Un tristissimo evento è stato il loro rientro a Pasqua 2013, una Caporetto
inattesa che è piombata sulle loro teste, e su tutti noi, come una
doccia fredda: un marchio che resterà negli annali di storia come un
primitivo baratto in cui il danaro ed il business hanno prevalso sulla
vita di due nostri figli, indiscutibilmente fra i migliori e quasi
sicuramente innocenti. Infine ci sono ancora almeno due aspetti che, per
quanto delicati, richiedono alcuni commenti
: il cd. Rapporto Piroli e gli Ammiragli che hanno “fatto carriera”.
Il
Rapporto Piroli, che sarebbe meglio definire in gergo militare come
Inchiesta sommaria o preliminare, solleva osservazioni di merito e
contenuto, ma anche di riservatezza o Wiki-Leaks, che dir si voglia. Il
rapporto, stilato appena possibile subito dopo ogni sinistro, dovrebbe
essere la fotografia di quanto accaduto, della sua dinamica, di fatti e
non supposizioni, ove possibile qualche testimonianza “a caldo”: è
simile al rapporto della Polizia in caso di grave incidente stradale.
Soprattutto “se c’è il morto” ci sarà un’inchiesta approfondita, a
seguire nel tempo, la cd. Inchiesta Formale, con ogni possibile
dettaglio, testimonianze, interrogatori, considerazioni, fino ad
arrivare alle cause più probabili ed alle conseguenti conclusioni in
termini di colpevolezza, seguite da opportune raccomandazioni affinché
il caso non si ripeta: ma non in quella “sommaria”, perché lo dice la
parola stessa, sarebbe del tutto improprio. Invece, secondo l’articolo
uscito improvvidamente su “Repubblica” oltre un anno dopo l’evento, a
firma di Vincenzo Nigro, si riporta inopinatamente che i nostri del San
Marco hanno sparato e sono colpevoli, pur non avendo armi del calibro
7,62 ma 5,56 come risulta dalla farsesca iniziale perizia balistica
indiana. Che, pur confondendo il calibro con la circonferenza, riesce a
far riscontrare – con quale formula magica non si sa- le matricole dei
fucili personali della sparatoria individuando gli autori in due
poveri volontari di truppa del team imbarcato (con tanto di nomi e
cognomi: Andronico e Voglino), anziché Latorre e Girone che, quindi,
sarebbero ancora una volta, innocenti ma detenuti. Ovviamente si prende,
nel rapporto, per oro colato ciò che gli indiani avevano “imbastito”
con la famigerata e incredibile perizia balistica, andando contro ogni
norma sulle modalità di compilazione di tale rapporto, ed anche in
contrasto con ogni più elementare logica e tutela di parte: per assurdo
la difesa gioca a favore dell’accusa, prendendo atto delle affermazioni
farlocche e pretestuose, indiane. Nessuno ha aperto bocca, né è stata
avviata un’inchiesta per la violazione di sicurezza nell’aver pubblicato
comunque un documento “riservato”, e che “ puzzava di zolfo” vista
l’uscita dopo oltre un anno dalla compilazione
: un Wiki-leaks
che altrove sarebbe stato indagato e punito severamente, ma da noi
tutto silenzio! E, dunque, qual è stata la strategia sottesa, se c’è
stata, e quale scopo recondito aveva in serbo? E’ quasi
impensabile che con quel pezzo s’intendesse convincere gli indiani a
“liberare” i 2 FCM Latorre e Girone, detenuti fino allora, in quanto il
rapporto identificava i veri colpevoli “sparatori” negli altri 2
volontari di truppa: frutto di un giornalismo asservito a via XX
settembre, o un pericoloso mix di autostima, ingenuità e demenzialità
che si scaricano, comunque, a massa sul San Marco? Mah!
‘
Dulcis in fundo’ , anche se vengono fatte all’inizio del libro, sono
le accuse nei confronti di numerosi Ammiragli che avrebbero “fatto carriera”
sfruttando la vicenda dei 2 Fucilieri, elencandoli per nome, cognome
ed incarico ricoperto: ciò è solo parzialmente vero. E’ ben noto che si
parla di Ammiragli arrivati all’apice della loro carriera, di tre stelle
che – al momento dell’evento, il 15 febbraio 2012- ricoprivano
incarichi di grande prestigio dopo una carriera in cui le Commissioni di
Avanzamento gli avevano “contato i peli” prendendo atto delle loro
indiscusse qualità morali, di carattere e professionali, espresse sempre
in modo eminente. Quindi, se mai, si può disquisire del “perché” tale
evento non abbia giocato un qualche ruolo e peso non nelle carriere di
chi aveva la diretta responsabilità delle decisioni prese o non prese,
che comunque si trovava ormai al massimo livello di grado, ma nelle
nomine successive di Vertice che sono notoriamente “politiche”. Le
nomine peraltro erano già state fatte e formalizzate da qualche tempo;
una settimana dopo, il 23 febbraio l’Ammiraglio Binelli Mantelli
assumeva regolarmente il compito di Capo di Stato Maggiore della Marina,
provenendo da CINCNAV, dal quale dipendeva il team del San Marco
imbarcato sulla Lexie; l’Ammiraglio De Giorgi lo sostituiva al Comando
della Squadra Navale, provenendo dall’Ispettorato delle Scuole, quindi
fuori ed estraneo dalla linea operativa di competenza. Dunque, nessuna
nomina “privilegiata” nell’ immediatezza dell’evento visto sia le
competenze specifiche, ma anche la tempistica in gioco; ad onor del vero
alcuni Ammiragli hanno “pagato” nelle successive valutazioni di
Vertice, non tanto per specifiche colpe, ma per aver forse dimostrato
di non aver reso al massimo livello nei diversi compiti affidatigli,
non escludendo anche chi è stato coinvolto nella gestione del sinistro
in questione. Se l’Italia fosse un Paese serio, nel corso dell’anno
successivo a tale evento, il Governo avrebbe dovuto avviare una
Commissione di Inchiesta per chiarire le cause, le decisioni e certe
responsabilità eventualmente ascrivibili a chi, nel momento del
sinistro, si trovava nei posti decisionali, ed adottare i conseguenti
provvedimenti correttivi, frenando o se del caso cambiando le nomine
successive. Ma siccome i primi a doversi assumere precise responsabilità
erano i politici del momento, nulla è stato fatto all’argomento, e il
sistema è andato avanti “sull’onda lunga”, tutto secondo il Manuale
Cencelli, come da tradizione, e come se il caso dei 2 FCM non fosse mai
avvenuto: questo non va bene; è profondamente ingiusto e anche poco
onorevole.
Tanti sono “ i perché” sollevati molto
opportunamente nel corso di questa tragedia da Capuozzo; troppe sono le
incongruenze e i comportamenti ondivaghi e colpevolizzanti mostrati
dalla nostra classe politica in tre anni e mezzo dal fattaccio;
inaccettabili sono le violazioni dell’India sia nei confronti di un
altro Stato, l’Italia, sia nei confronti di due soldati; infinite sono
le dimostrazioni di innocenza implicita o esplicita dei 2 FCM Latorre e
Girone: se è vero che finora ha prevalso l’arroganza della “grande
democrazia” indiana,
“il loro teorema” barbaro e incredibile
della colpevolezza sembra incrinarsi dopo il verdetto del Tribunale del
Mare di Amburgo, e si spera crolli completamente con quello Arbitrale
dell’Aja dando infine all’Italia la competenza della
giurisdizione, e riporti così i nostri 2 FCM in
Patria.
Infine,
dovrà svolgersi il processo per stabilire giuridicamente la loro innocenza,
se non la loro completa estraneità a quel maledetto sinistro; la
risposta più logica e giusta si trova, già insita, nell’ultima
riflessione-statement di Capuozzo “ come è possibile che dopo tre anni e
mezzo i due marò non siano ancora rinviati a giudizio?” E, allora, a
maggior ragione dovremo chiarire una volta per tutte, senza ambiguità,
ma con tutte le garanzie del caso,
con l’avvio parallelo al processo, di una rigorosa Commissione Parlamentare,
che faccia emergere senza melina gli errori fatti, le decisioni prese,
le responsabilità politiche e tecniche: sarebbe senza dubbio una bella
dimostrazione di democrazia di uno Stato di Diritto, garantista, che non
ha più “segreti”, ma che privilegia soprattutto la vera informazione,
aperta a tutti i suoi cittadini.