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Non smettete mai di protestare; non smettete mai di dissentire, di porvi domande, di mettere in discussione l’autorità, i luoghi comuni, i dogmi. Non esiste la verità assoluta. Non smettete di pensare. Siate voci fuori dal coro. Un uomo che non dissente è un seme che non crescerà mai.

(Bertrand Russell)

04/12/15

MARO' IN INDIA "Il buon Natale ai marò: «Rifaremo di tutto»"


Intanto, oltre alle tantissime domande senza risposta che gli Italiani si pongono già dal febbraio 2012, qualcuno dovrebbe spiegarci perchè "ci avvarremo" e  non, sarebbe stato confortante sentirlo, "ci siamo avvalsi" o "ci stiamo avvalendo"; il motivo, che appare inspiegabile, del notevole ritardo con il quale è stato avviato l'arbitrato internazionale; perchè non si sono mai volute abbracciare le "ragioni dell'innocenza";  e soprattutto perchè Salvatore Girone è ancora in India.
Questa vicenda sta per tagliare il traguardo del 4° anno, e, fino a quando sentiremo parlare solo di "intenzioni", prevarrà la sgradevole sensazione che  su questa allucinante farsa il sipario non debba mai calare. 

e.emme

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Girone agli arresti in India, Latorre in convalescenza. Il ministro Pinotti assicura: "Ci avvarremo di tutti gli strumenti"

Rai - trasmissione Porta a porta

Siamo da capo: a 1387 giorni dall’inizio della crisi dei Marò il governo italiano torna a promettere che «faremo di tutto» per riportarli a casa. «L'Italia si avvarrà di tutti gli strumenti previsti dal diritto internazionale per concludere positivamente la vicenda», ha detto ieri il ministro della Difesa, Roberta Pinotti, nel corso del Question Time alla Camera, rispondendo a un’interrogazione di Forza Italia sulla vicenda di Latorre e Girone.
«Si conferma che le iniziative che il Governo intende intraprendere per consentire il rapido rientro in patria definitivo dei nostri due fucilieri di Marina si collocano nell'alveo della procedura giurisdizionale internazionale già avviata - ha spiegato la Pinotti - Lo scorso 24 agosto, il Tribunale per il diritto del mare di Amburgo ha confermato quanto sostenuto dall'Italia, rinviando alla competenza di un tribunale, costituito ai sensi dell'annesso VII della Convenzione, la vicenda dei fucilieri che pertanto deve essere sottoposta ad un tribunale arbitrale».
«Lo stesso Tribunale - ha proseguito il ministro - ha di conseguenza ordinato alle parti, che si sono conformate, la sospensione immediata di tutte le procedure giudiziarie a carico dei fucilieri. In particolare, ai sensi dell'articolo 290, primo comma, della Convenzione per il diritto del mare, le parti possono chiedere nelle more della determinazione del caso, la concessione di misure provvisorie a tutela dei rispettivi diritti qualora questi siano pregiudicati dalla durata della controversia».
«L'Italia ritiene tra l'altro - ha aggiunto - che il perdurante stato di privazione della libertà personale dei fucilieri Latorre e Girone pregiudichi il diritto italiano all’esercizio della giurisdizione esclusiva sulla controversia e la loro immunità funzionale di militari in servizio. Al momento in cui il tribunale arbitrale chiamato a giudicare la controversia fra Italia e India sarà pienamente operativo, l'Italia si avvarrà di tutti gli strumenti previsti dal diritto internazionale per concludere positivamente la vicenda», ha concluso il ministro .

Ant. Amg. - 3 dicembre 2015
fonte: http://www.iltempo.it

03/12/15

CASO MARO' : " IL SEQUESTRO DEI FUCILIERI DI MARINA LATORRE E GIRONE - TRA PENA E SPERANZA "




Come da attese, il giudice TS Thakur è stato nominato alla presidenza della Corte Suprema indiana e ha oggi prestato giuramento.
A questo punto la farsa dell'arbitrato internazionale sul caso Enrica Lexie potrà muovere i primi passi di natura procedurale nella speranza che nel frattempo, grazie al nuovo indirizzo di TS Thakur, sia proprio la Corte Suprema indiana a cambiare l'orientamento fin qui tenuto.
La speranza è quindi che la Corte Suprema nelle prossime settimane possa consentire il rientro in Italia anche di Salvatore Girone.
Nella certezza che i tempi infiniti e le brume dei tribunali internazionali cercheranno di aiutare a far scendere una cortina d'oblio sui comportamenti criminali e fallimentari dei tanti politici e funzionari indiani ed italiani coinvolti in questa vicenda-scandalo.
Naturalmente nulla è scontato, perché con il ricorso al Tribunale Arbitrale sulla giurisdizione l'Italia ha confermato, in linea con il comportamento tenuto da quasi quattro anni a questa parte, di voler lasciare interamente in mano indiana la decisione sui tempi del rientro dell'ostaggio innocente Salvatore Girone.
D'altra parte i risultati di una politica estera, che il premier italiano Renzi affronta sempre e comunque con l'atteggiamento del 'furbetto del quartierino', non possono essere che quelli fallimentari che abbiamo visto in questi due anni di suo governo.
L'Italia rimane come sempre emarginata ad ogni livello. Il continuo sotterfugio teso a nascondere i veri termini dei problemi (in questo caso l'innocenza dei due fucilieri di marina) e la ricerca della 'genialata' attraverso accordi sotto-banco non possono essere i cardini di una politica estera di un Paese credibile.
Naturalmente, come ho spiegato più volte, a copertura di questa sua politica fallimentare, il governo Renzi può contare sull'assoluta inconsistenza di tutte le forze politiche parlamentari italiane.
Per quanto riguarda l'area del centro-destra, i pochi esponenti che si sono degnati di dare una qualche attenzione alla 'vicenda Marò' per due anni hanno avuto la possibilità di mettere i governi in carica con le spalle al murò affinché rivendicassero l'innocenza in ogni sede l'innocenza di Girone e Latorre portata alla luce dal lavoro mio, di Capuozzo e di Di Stefano.
Gli stessi hanno invece purtroppo continuato a spingere per l'avvio di un arbitrato internazionale sulla giurisdizione.
Ora che tale arbitrato non ha dato i risultati immediati erroneamente attesi e che il governo si è con esso coperto le spalle rimandando alle calende greche ogni accertamento sulla verità dei fatti, gli stessi esponenti del centro-destra spingono per la rivendicazione dell'innocenza.
Come commentare ….... 'genio' e sregolatezza?
Se l'orso Yoghi assumesse la leadership del centro-destra italiano sicuramente quello schieramento ne avrebbe un grande giovamento in termini di maggiore intelligenza sia strategica che tattica, nonché di serietà.
Per quanto riguarda il Movimento 5 Stelle invece la sua linea su tutte le questioni che coinvolgono aspetti di politica internazionale risulta come sempre 'non pervenuta' (risultano solo opinioni dei vari esponenti, opinioni quasi sempre tra di loro assolutamente inconciliabili).
Questo è il desolante panorama politiico italiano su cui hanno potuto contare in questi anni i nostri fucilieri di marina.
Speriamo davvero che la nomina di un nuovo giudice indiano alla Presidenza della Corte Suprema possa mettere fine a questa pena quanto meno decidendo presto a favore del rientro di Salvatore Girone in Italia.

3 Dicembre 2015
Stefano Tronconi

fonte: https://www.facebook.com/stefano.tronconi.79?fref=ts

Giubileo: arrivano i 'rinforzi', ma dormono in auto


Il sindacato di polizia: 'Basta trattarci come mandrie' - La sicurezza - malgrado i proclami del governo - continua a fare acqua, Vaticano sempre a rischio

Giubileo: arrivano i 'rinforzi', ma dormono in auto

I numeri contano, eccome se contano. Soprattutto per la sicurezza del Giubileo, che potrà contare inizialmente su 400 poliziotti trasferiti e un centinaio di aggregati, molti dei quali giunti da fuori Roma. Ebbene 250 agenti non hanno ancora un alloggio. Non hanno soluzioni, solo due strade: una più scomoda, l’altra onerosa. Dormire in macchina o mettere la mano nel portafoglio per affittarsi almeno una stanza. E’ l’ultimo cavillo del sistema Italia, incapace di assicurare almeno un alloggio ai poliziotti provenienti dal resto della Penisola per garantire la sicurezza dell’Anno Santo.  
Il morale dei poliziotti è a pezzi. Checché se ne dica, il Viminale e i vertici della Polizia, è l’accusa mossa dal Sap per voce di Fabio Conestà,  erano a conoscenza delle lacune da tamponare. Malgrado l’impegno dell’ufficio tecnico logistico della Questura capitolina, lo Stato non è però riuscito a soddisfare le circa 450 richieste pervenute dai poliziotti trasferiti. Non è un obbligo, sia chiaro. Ma è altrettanto paradossale non mettere a disposizione di chi rischia la vita ogni giorno, lontano dall’affetto dei loro cari, almeno un materasso e una coperta per recuperare le energie dopo una pesante giornata di lavoro. Sì, perché con l’avvento del Giubileo della Misericordia non sarà certamente una passeggiata mantenere alta la concentrazione, come se non bastassero le difficoltà di una città complessa qual è Roma.   
E per i “beneficianti” non è certamente tutto rose e fiori. Gli aggregati, infatti, vivono il disagio di raggiungere il posto di lavoro con i mezzi pubblici. Nessun mezzo a disposizione, impiegando, in alcuni casi, qualche ora per arrivare in commissariato. 
Un disagio vissuto, ad esempio, dai poliziotti aggregati al commissariato Trevi - Campo Marzio. L’alloggio è situato presso (una rarità) l’Hotel Ergife, in zona Aurelia, praticamente dall’altra parte della città. Le mense più vicine si trovano al Reparto Volanti o alla stazione Termini, di cui spesso è impossibile usufruire a causa dei turni di servizio, con il rischio di perdere circa tre ore per mettere qualcosa sotto i denti. 
La soluzione sarebbe mangiare in albergo ai seguenti orari: 11:00 - 15:00, 17:00 - 20:00, dove d’altra parte il piatto unico è di soli 10 euro. 
Allora gli agenti hanno sin qui pranzato e cenato con dei panini, è la precisazione, assicurati dal commissariato Trevi - Campo Marzio, nemmeno dal ministero dell’Interno. 
Dal Centro al Vaticano. Se i rinforzi non sono sufficienti per colmare le criticità, già denunciate dal Giornale d’Italia, persiste la mancanza di sottufficiali durante il turno notturno, coperto da una decina di poliziotti e coordinati da un assistente capo. 
“E’ ora di smetterla di trattare i poliziotti come delle mandrie senza garantire i servizi”, lamenta Conestà, segretario provinciale del Sap, al Giornale d’Italia.
“Il vuoto sugli alloggi è la raffigurazione dell’affetto del Viminale verso i suoi dipendenti - continua il sindacalista - L’amministrazione era a conoscenza dei servizi da garantire ai poliziotti non residenti nella Capitale e nell’hinterland romano”. Dalla denuncia alla proposta: “Come mai non hanno messo a disposizione una struttura e i mezzi necessari come avvenuto per l’Expo di Milano?”.
Quanto al Vaticano, Conestà è furioso perché una soluzione, a suo dire, ci sarebbe: “All’occorrenza i sottufficiali escano dagli uffici dell’Ispettorato e coordinino la sicurezza di Piazza San Pietro anche durante il turno notturno!”.

I numeri contano, eccome se contano. Soprattutto per la sicurezza del Giubileo, che potrà contare inizialmente su 400 poliziotti trasferiti e un centinaio di aggregati, molti dei quali giunti da fuori Roma. Ebbene 250 agenti non hanno ancora un alloggio. Non hanno soluzioni, solo due strade: una più scomoda, l’altra onerosa. Dormire in macchina o mettere la mano nel portafoglio per affittarsi almeno una stanza. E’ l’ultimo cavillo del sistema Italia, incapace di assicurare almeno un alloggio ai poliziotti provenienti dal resto della Penisola per garantire la sicurezza dell’Anno Santo.  
Il morale dei poliziotti è a pezzi. Checché se ne dica, il Viminale e i vertici della Polizia, è l’accusa mossa dal Sap per voce di Fabio Conestà,  erano a conoscenza delle lacune da tamponare. Malgrado l’impegno dell’ufficio tecnico logistico della Questura capitolina, lo Stato non è però riuscito a soddisfare le circa 450 richieste pervenute dai poliziotti trasferiti. Non è un obbligo, sia chiaro. Ma è altrettanto paradossale non mettere a disposizione di chi rischia la vita ogni giorno, lontano dall’affetto dei loro cari, almeno un materasso e una coperta per recuperare le energie dopo una pesante giornata di lavoro. Sì, perché con l’avvento del Giubileo della Misericordia non sarà certamente una passeggiata mantenere alta la concentrazione, come se non bastassero le difficoltà di una città complessa qual è Roma.   
E per i “beneficianti” non è certamente tutto rose e fiori. Gli aggregati, infatti, vivono il disagio di raggiungere il posto di lavoro con i mezzi pubblici. Nessun mezzo a disposizione, impiegando, in alcuni casi, qualche ora per arrivare in commissariato. 
Un disagio vissuto, ad esempio, dai poliziotti aggregati al commissariato Trevi - Campo Marzio. L’alloggio è situato presso (una rarità) l’Hotel Ergife, in zona Aurelia, praticamente dall’altra parte della città. Le mense più vicine si trovano al Reparto Volanti o alla stazione Termini, di cui spesso è impossibile usufruire a causa dei turni di servizio, con il rischio di perdere circa tre ore per mettere qualcosa sotto i denti. 
La soluzione sarebbe mangiare in albergo ai seguenti orari: 11:00 - 15:00, 17:00 - 20:00, dove d’altra parte il piatto unico è di soli 10 euro. 
Allora gli agenti hanno sin qui pranzato e cenato con dei panini, è la precisazione, assicurati dal commissariato Trevi - Campo Marzio, nemmeno dal ministero dell’Interno. 
Dal Centro al Vaticano. Se i rinforzi non sono sufficienti per colmare le criticità, già denunciate dal Giornale d’Italia, persiste la mancanza di sottufficiali durante il turno notturno, coperto da una decina di poliziotti e coordinati da un assistente capo. 
“E’ ora di smetterla di trattare i poliziotti come delle mandrie senza garantire i servizi”, lamenta Conestà, segretario provinciale del Sap, al Giornale d’Italia.
“Il vuoto sugli alloggi è la raffigurazione dell’affetto del Viminale verso i suoi dipendenti - continua il sindacalista - L’amministrazione era a conoscenza dei servizi da garantire ai poliziotti non residenti nella Capitale e nell’hinterland romano”. Dalla denuncia alla proposta: “Come mai non hanno messo a disposizione una struttura e i mezzi necessari come avvenuto per l’Expo di Milano?”.
Quanto al Vaticano, Conestà è furioso perché una soluzione, a suo dire, ci sarebbe: “All’occorrenza i sottufficiali escano dagli uffici dell’Ispettorato e coordinino la sicurezza di Piazza San Pietro anche durante il turno notturno!”.
gsarra@ilgiornaleditalia.org

Giuseppe Sarra - 3 DICEMBRE 2015
fonte: http://www.ilgiornaleditalia.org

BONUS 80 EURO NON CONTEGGIATO AI FINI DELLA PENSIONE. DURERA’ SOLO UN ANNO




"Polizia di Stato, Polizia Penitenziaria, Guardia Forestale e Vigili del fuoco. Tutti sotto casa del premier il 3 dicembre a Pontassieve, per protestare per una situazione ormai insostenibile. I Sindacati CONSAP, SAP e COISP (Polizia di Stato), SAPPE (Polizia Penitenziaria), SAPAF (Corpo Forestale) e CONAPO (Vigili del Fuoco), in rappresentanza della maggioranza del personale sindacalizzato di 4 Corpi in divisa dello Stato.

Le balle del premier
Le dichiarazioni del premier, qualche giorno fa dal Campidoglio, che il Governo avrebbe investito un miliardo in sicurezza del Paese sono state di grande effetto.
Ma facciamo due conti. Nel bilancio 2016 la dotazione di Polizia e Sicurezza aumenterà complessivamente di 400 milioni di euro, passando da 18,5 miliardi a 18,9 miliardi, mentre per quanto riguarda la difesa c’è stata una diminuzione di 300 milioni, perché si passa da 13,7 a 13,4 miliardi di euro. Quindi, complessivamente, tra difesa e sicurezza non c’è nessun miliardo in più, ma una eccedenza di 100 milioni. A volere essere ancora più pignoli, però, questo miliardo non è un investimento, in senso stretto, ma un risparmio fatto con lo slittamento del taglio dell’Ires. Che in Italia è al 27,5 e che sarebbe dovuto diminuire già dal 2016.

Stipendio da fame per i poliziotti
Ma vediamo nello specifico come verrà investito questo Miliardo. Bonus di 80 euro/ malus di 130 euro per tagli agli straordinari. Le forze dell’ordine hanno i contratti bloccati da 6 anni. Inoltre, fino a tutto il 2014 hanno subito anche il blocco del tetto salariale. E quindi chi avanzava di grado, e vedeva aumentate le proprie responsabilità, non aveva al contempo un aumento di stipendio. Il blocco è stato poi dichiarato illegittimo dalla Corte Costituzionale anche se i soldi degli anni passati non sono stati restituiti, perché la sentenza non aveva effetto retroattivo. Piuttosto che l’annuncio di un Bonus, ci saremmo aspettati che il Premier proponesse un nuovo contratto per le forze dell’ordine che andasse oltre i 10 euro mensili che verranno riconosciuti con gli spiccioli stanziati nella legge di stabilità. Nuovi contratti con gli adeguamenti giusti, anche nell’ottica degli standard europei. Questo bonus non verrà conteggiato ai fini della pensione e siccome non è strutturale sparirà alla mezzanotte del 31 dicembre del 2016, proprio come Cenerentola. Addirittura, ad oggi manca formale conferma del Governo circa la concessione di tale bonus anche ai Vigili del Fuoco!
 
Straordinari non pagati per 37 milioni di euro
Ma attenzione. Nel frattempo con la stessa mano con cui concede, il Governo toglie 12 milioni di euro dal monte ore straordinari dei Poliziotti: all’incirca 130 euro all’anno meno a poliziotto! E circa 25 milioni di euro vengono tolti ai Carabinieri. Questi 80 euro a fronte dei circa 10.000 euro pro capite che abbiamo perso in questi sei anni, e dei due o trecento euro in più al mese che avremmo dovuto avere se i contratti ci fossero stati rinnovati in maniera congrua, ci sembrano comunque un regalino! Ecco perché protestiamo.

Un nuovo paio di scarpe per combattere il terrorismo (?!?!)
50 milioni per le dotazioni delle forze dell’ordine? In realtà si tratta di 44 milioni di euro, dato che dal bilancio di previsione del 2016 il governo aveva già decurtato, proprio per questa, voce 6 milioni di euro. Il problema è che si parte da una base penosa: parchi auto funzionanti al 50%; giubbotti antiproiettile scaduti, ponti radio che non funzionano, situazioni logistiche da film horror, divise che mancano,scarpe che mancano. Questa somma è davvero una inezia, rispetto alle esigenze forti, fortissime, che hanno oggi le forze dell’ordine. Ma ancor più è esigua la somma, se consideriamo che, così ha dichiarato il Premier, che verrà stanziata a fronte del processo di riorganizzazione in corso delle polizie. E il governo chiama riorganizzazione la soppressione della Forestale. Sappiate che la sola militarizzazione del Corpo Forestale dello Stato, che sarà assorbito dai Carabinieri, comporterà dei costi aggiuntivi per complessivi 25 milioni di euro! Quindi cosa resterebbe di questi, già di per se pochi, 50 milioni iniziali per destinazioni concrete? Rischiano di restare 19 milioni residui, tolti i 6 decurtati da prima e i 25 della Forestale. Cioè la media di 54 euro ad operatore. Ecco dunque le dotazioni per la lotta al terrorismo: un paio di scarpe nuove per tutti!
 
La polizia postale chiude
150 milioni di euro per la lotta Cyber Crime. Ma vorremmo capire perché nel frattempo decine di sezioni della polizia postale stanno chiudendo, nel nome della spending review. Presidi territoriali di polizia postale che, fino ad oggi, hanno proceduto alla denuncia di migliaia di persone, rispondendo a migliaia di richieste di aiuto che riguardano soprattutto truffe online, clonazione carte di credito e cyberbulismo. Combattiamo il Cyber Crime, chiudendo gli uffici della Postale?
 
Servono investimenti, non bonus elettorali
500 milioni riguardano la Difesa e i militari ma, come detto sopra, il Governo aveva già tagliato 300 nel bilancio a tale voce. Quindi di fatto, al netto di quanto tolto, si tratta di uno stanziamento reale di 200 milioni di euro che attendiamo di sapere come verrà impiegato. Anzi, pensiamo già di sapere come lo impiegheranno: per finanziare i trattamenti e le spese di missioni internazionali, anche in vista di un nostro possibile ingresso nello scenario che si paventa contro l’Isis. Ben venga ogni euro in più investito in sicurezza, ma che sia un investimento strutturale. Basta con i provvedimenti straordinari, vogliamo interventi con strategie per il futuro. Non si può sempre agire per reazione a qualche cosa, in questo caso la paura del terrorismo.
 
Una riforma seria della sicurezza
La sicurezza in Italia ha bisogno di una immediata e seria riforma, grazie alla quale potremmo ottenere una maggiore efficienza operativa e risparmiare fino a 5 miliardi di euro, ottimizzando risorse che ci sono e vanno solo amministrate con maggiore accortezza. Bisogna ridisegnare completamente il comparto sicurezza per renderlo moderno, efficiente e senza sprechi. E senza bisogno di ricorrere ai bonus!" 
 
2 dicembre 2015

Igor Gelarda, Dirigente Nazionale Consap
fonte: http://www.infodifesa.it

02/12/15

L'AMBASCIATORE DANIELE BOSIO, UNA PERSONA PERBENE "Bosio e un Paese affetto da codardia di Stato"







Bosio e un Paese affetto da codardia di Stato

Qualcuno ci spieghi se può avere dignità un Paese come il nostro, affetto da codardia di Stato, un Paese che non tende la mano ai suoi figli detenuti all’estero ingiustamente, e che non si preoccupa di strapparli via da certi inferni di corpi e anime straziati e compressi dentro la cella di un carcere sovraffollato dal peggio del peggio, che non si preoccupa di abbracciarli in processi-farsa, a spregio di quei valori in cui diciamo tanto di credere. Il caso dei Marò è forse il più noto, ma non l’unico. Oggi Daniele Bosio, ambasciatore blasonato, racconta al nostro Andrea Ossino una storia che trasuda orrore da ogni parola, la sua storia. Già ambasciatore in Turkmenistan, da sempre dedito al volontariato, Bosio mentre era in vacanza nelle Filippine finì risucchiato in uno di quei frullati montati con ingredienti ben combinati a creare tutti i sapori mediaticamente appetitosi: il mostro, la depravazione, il pruriginoso. Bosio, infatti, fu accusato di un abominio, abusi su minori, mentre cercava di fare ciò che è sua vocazione: aiutare gli altri, e nello specifico alcuni bambini che rivendicavano il diritto di un bagno in piscina e di vivere qualche ora nel sollievo da una povera esistenza di fame, droghe precoci e sporcizia.

La cruda nemesi del bene, però, l’ha cacciato in venti mesi da incubo, tra l’ignominia di un processo con un’accusa gravissima e l’orrore di cinquantacinque giorni in una galera da girone dantesco, tra l’inerzia del nostro governo e l’indifferenza del suo mondo, quello diplomatico, che si è rifiutato di tutelarlo e assisterlo. Bosio ha dovuto attendere che la giustizia delle Filippine facesse il suo corso, e lo scagionasse con pieno riconoscimento della correttezza dell’operato. Ora che è tornato in Italia dovrà ricostruire la sua vita. Ci riuscirà. Molto più difficile riesca a farlo, con la propria anima, questa Italia, malata com’è di ipocrisia allo stato terminale. Tanto da credere che le libertà degne di protezione oramai siano solo quelle degli altri.

Di Gian Marco Chiocci Pubblicato il: 02/12/2015 11:17
fonte: http://www.iltempo.it

Un’europa allo sbando in balìa di nemici e (ex) alleati

 


Nel mese di febbraio scorso George Friedman (fondatore del Centro di Analisi Strategiche “Stratfor”, docente presso l’US Army War College, analista alla National Defense University e alla Rand Corporation) in un suo intervento presso il Chicago Council on Global Affairs, ha espresso con estrema franchezza la sua opinione in ordine alla strategia che gli USA dovranno seguire nel prossimo futuro se vorranno continuare a mantenere il predominio mondiale. In tale contesto non ha risparmiato giudizi poco lusinghieri e discutibili nei confronti dell’Unione Europea, che non viene mai riconosciuta come un’unica entità politica o come partner paritetico.
Anzi la considera solo come un “ammasso” di Stati, ciascuno con proprie caratteristiche, proprie ambizioni, propri differenti interessi nazionali divergenti che presto o tardi torneranno a provocare guerre.
Ha aggiunto, inoltre, che l’estremismo islamico, anche se è un problema, non costituisce una minaccia seria per gli Sati Uniti perché prima o poi finirà. Nel merito gli USA cercano di finanziare le opposte fazioni per metterle le une contro le altre e farle scontrare destabilizzandone il territorio, come avvenuto in Iraq ed in Afghanistan. Qui ammette, però, che per ingenua stupidità, è stato commesso l’errore di voler edificare una democrazia.

 

Ha concluso sostenendo che l’unico vero problema per gli Stati Uniti è la rinata potenza economica e militare russa che, qualora riuscisse a realizzare un asse d’intesa con la Germania, sarebbe davvero perniciosa per oltre oceano. Nel merito, facendo specifico riferimento alla questione ucraina ha dichiarato:
“La questione sul tavolo per i Russi è: si creerà una zona cuscinetto, una zona neutra? O l’Occidente penetrerà così in profondità nell’Ucraina che si troverà a 100 chilometri da Stalingrado e a 500 km da Mosca?”. Per la Russia la situazione ucraina è una minaccia alla sua stessa esistenza. E i Russi non possono lasciar fare! Per gli USA, nel caso che la Russia si impadronisca dell’Ucraina, il punto è: si fermeranno lì? Dunque, non è un caso che il generale Hodges parli di pre-posizionamento di truppe in Romania, Bulgaria, Polonia e nei Paesi Baltici. Si tratta di una Federatio intermarium, dal Mar Nero fino al Baltico, sognata da Pilsudski. Questa è la soluzione per gli USA. Il tema per il quale non abbiamo la risposta è: che cosa farà la Germania?

 

La vera incognita in Europa è rappresentata dal fatto che mentre gli USA costruiscono il loro “cordone sanitario”, non in Ucraina ma ad ovest di essa, e mentre i Russi cercano di escogitare un modo per far leva sugli ucraini, noi non conosciamo la posizione del tutto particolare della Germania.
Il suo ex cancelliere, Gerhard Schroeder, fa parte del Consiglio di Amministrazione della Gazprom e in Germania hanno una relazione molto complessa con i Russi. Per gli USA la paura più forte è data dal capitale russo-tedesco, dalla tecnologia russo-tedesca, che assieme alle risorse naturali e alla manodopera russa rappresentano l’unica combinazione che da secoli spaventa gli Stati Uniti. Come andrà a finire?

 

Gli USA hanno già messo le carte in tavola: si tratta del “corridoio” dal Baltico al Mar Nero. Per quanto riguarda i Russi, le loro carte sono da sempre sul tavolo: come minimo devono avere un’Ucraina neutrale, certo non un’Ucraina filo-occidentale. .Tuttavia, purtroppo, i Tedeschi non hanno ancora preso una decisione e questo è, da sempre, il problema della Germania: avere un’economia molto potente, una geopolitica molto fragile e non sapere mai quanto occorra per riconciliarle entrambe. Fin dal 1871, questo è stato il problema tedesco.
Pensate attentamente a questo problema, perché si sta ripresentando ora. E’ questo il prossimo problema che dobbiamo sistemare”
Una rapida sintesi delle enunciazioni di Friedman, induce a sottolineare che:
a.    l’Europa non esiste né come partner né come realtà politica, ma è solo un’aggregazione di Stati con interessi contrastanti;

 

b.    la Germania sta dimostrando di essere un colosso economico ma un nano politico;
c.    l’eventuale intesa strategica “Russia – Germania” può minacciare il dominio americano;
d.    il momento è propizio per ricorrere alla russofobia dei Paesi dell’est europeo e realizzare un “cordone sanitario” fra Mar NeroO e Baltico senza coinvolgere la NATO;
e.    la destabilizzazione deve diventare la strategia principale delle operazioni USA all’estero secondo l’assioma: Destabilizzato = “Mission accomplished” e tornare a casa.

 Non era necessario che qualcuno dall’estero venisse a dirci che la chimera dell’Unione Europea non esiste perché abbiamo costatato da soli che:
a.    l’inizio del sogno europeo è stato ben presto infranto da un “guardiano” anglo-sassone messo sulla sua porta continentale che ha ostacolato ogni tentativo di compattazione politica auspicata nel Trattato di Roma del 1957, tant’è che ancora non esiste un’unione monetaria perfetta (la Sterlina va ancora per conto suo) né una Banca Centrale Europea;

 

b.    la crisi economica, che ha investito l’area europea nel 2008, è stata esportata (ma sarebbe meglio dire inoculata -Panorama: ”L’euro stangata” del 11/03/2010) nella Comunità Europea, per evitare un rafforzamento della UE nel settore economico: appariva chiaro il pericolo di una possibile sostituzione dell’Euro al Dollaro, nelle transazioni commerciali.In tale contesto, la Grecia è stata oggetto di mercanteggiamenti per evitarne il default del debito sovrano, tenendo a guinzaglio gli interventi del Fondo Monetario Internazionale e spremendo al massimo gli aiuti degli Stati membri dell’Unione. La crisi, che ancora perdura, si sta attenuando solo ora che si è quasi raggiunta la parità Dollaro/Euro;
c.    l’Italia, è stata abbandonata a sè stessa per fronteggiare sia la crisi libica, peraltro accelerata da interessi petroliferi di partner europei, sia gli sbarchi di una marea di profughi, i cui flussi si sono poi in buona parte riversati sull’Est europeo. Qui sono state innalzate disumane barricate di fronte all’invasione terrestre che prima giungeva via mare;

 

d.    il Mediterraneo è stato trascurato per anni, dimenticandone l’importanza geopolitica (Dicembre 2014: Centralità geopolitica del Mediterraneo – Analisi Difesa.), per ripercorrere con scarso successo e spargimento di sangue di vittime innocenti – anche nel “home ground” – i mai conosciuti sentieri del “Grande Gioco”. Poi, improvvisamente, l’area mediterranea è tornata di nuovo al centro dell’attenzione, ma anche questo rinato interesse è stato sprecato dal “ritorno della stupidità”. Si è cercato di influenzare i cambiamenti sulla sponda sud del Mediterraneo con “l’esportazione della democrazia” nell’illusoria speranza di neutralizzare gli estremismi jihadisti con aspirazioni governative di gruppi e partiti islamici ritenuti più “manovrabili” (Limes, 7 luglio 2014: “Metodo Belgrado”.). Riteniamo che la mancanza di un’approfondita conoscenza culturale di quell’area, ha provocato il fallimento delle primavere arabe incubate, la nascita di uno stato terrorista che ha inorridito l’opinione pubblica con le sue esecuzioni sanguinarie e l’esasperazione di una conflittualità religiosa fra sciiti e sunniti che dura da millenni e nella quale si è rimasti impantanati;

 

e.    la Russia, tanto esecrata e temuta, è tornata utile in questo momento per una soluzione radicale del mostruoso ed irrazionale stato islamico, le cui cellule embrionali, filiazioni di Al Qaeda in Iraq (22-11-2014: Più intelligence contro il Califfato- Analisi Difesa.), sono state inizialmente favorite per destabilizzare il regime siriano di Assad.
Ma a quanto pare tutto ciò non basta perché dopo i recenti attentati di Parigi è stato pubblicamente denunciato che l’ex ministro degli esteri saudita – il defunto principe Saud al-Faisal – nell’estate del 2014 avrebbe detto al segretario di Stato Usa John Kerry: «Daesh è la nostra risposta sunnita (20-11-2015: Le regie occulte dietro lo Stato Islamico – Analisi Difesa.) al vostro appoggio in Iraq agli sciiti dopo la caduta di Saddam».

 

Le dichiarazioni di Friedman, sopra riportate, unitamente a quelle del defunto principe, dovrebbero svegliare dal torpore coloro che finora hanno preferito eludere la realtà, lasciando ad altri la soluzione di problemi geo-economici e geopolitici, senza rendersi conto di abdicare alla salvaguardia dell’”interesse nazionale”, nell’illusoria speranza che il tecnicismo normativo dell’UE potesse almeno tutelarne una parte.
Costoro:
a.    sono rimasti a guardare il disegno incompiuto di un’Europa che avrebbe dovuto affrontare un’economia globale con unitaria competitività ed avrebbe dovuto esprimere, tramite i suoi ambasciatori di recente istituzione, la difesa del proprio “interesse nazionale” sui vari tavoli della strategia mondiale;

 

b.    hanno abdicato ad una capacità dell’UE di affermare il proprio interesse strategico e di individuare un “interesse nazionale” europeo da trasfondere in una dimensione sovranazionale, lasciando che questa funzione collettiva venisse esercitata solo da due prime donne: Francia e Germania. Le ataviche rivali, per soddisfare i rispettivi “interessi nazionali”, hanno esteso le rispettive proiezioni geo-economiche l’una verso sud, l’altra verso est, con gli strumenti dell’allargamento della NATO e delle rivoluzioni colorate, spingendosi fino in Ucraina e rimettendo in discussione i confini tracciati a Yalta.
Questo intento è stato pervicacemente perseguito a dispetto della saggezza storica e delle “lesson learned” della 2^ guerra mondiale, chiusa con il Trattato di Yalta, che avrebbero dovuto consigliare di non insistere su imprese smisurate, anche nella considerazione che l’interesse dell’UE non è certo quello di entrare in conflitto con la Russia. Cosicché la presenza di Paesi NATO alle porte di Mosca ha generato una reazione analoga a quella dell’installazione dei missili sovietici a Cuba nel 1962, provocando la crisi ucraina e l’invasione russa della Crimea con tutti gli strascichi che ne sono conseguiti. Tutto ciò, in termini economici, è costato ai contribuenti europei un miliardo ed ottocento milioni di Euro  oltre i danni incalcolabili provocati dall’embargo delle esportazioni verso la Russia;

 

c.    hanno consentito la diffusione di violenza e orrore su tutte le reti televisive nazionali, ivi comprese quelle dedicate a bambini e ragazzi, riproducendo programmi elaborati in paesi terzi che fondano la loro cultura su principi etici diversi, se non opposti ai nostri, che si ispirano all’etica laica greca ed a quella religiosa cristiana. L’assuefazione al “così fan tutti” non ci ha consentito di percepire che venivamo condizionati per essere predisposti ad accettare e giustificare comportamenti illeciti, disonesti, assurdi, incoerenti ed amorali;
d.    hanno sottovalutato l’aspetto dirompente del terrorismo che, sfruttando e utilizzando il bisogno, la povertà e l’emarginazione – che generano frustrazione e nichilismo inteso come sensazione generale di disperazione secondo la quale l’esistenza non ha alcuno scopo e, pertanto, non vi è necessità di norme, regole e leggi – spingono i giovani verso il baratro dell’irrazionale e del mostruoso, ammantandolo con vesti politiche laiche e religiose. Infatti, in tutte le condizioni di degrado e sottosviluppo, ivi comprese quelle sorte nelle periferie degli odierni grandi centri urbani, lo scontento per le misere condizioni di vita trova facile allettamento nelle lusinghe delle “sirene politiche”, chiamate ieri “avanguardie rivoluzionarie” e oggi “islamisti”.

 

Purtroppo le responsabilità della mancata unificazione e dei nefasti avvenimenti europei sono anche colpa nostra poiché nell’era della globalizzazione non abbiamo saputo leggere ed interpretare correttamente, attraverso l’Intelligence, che è lo strumento più internazionale che esista, gli eventi accaduti nel mondo. Avremmo dovuto comprendere che quel che succede a Kiev, a Damasco, a Il Cairo, a Tripoli, a Tunisi, ecc.  investe la responsabilità diretta dell’UE non perché queste aree siano parte dell’Unione, ma perché incidono sulla sua sicurezza.

Foto: Ansa, AP, Reuters, DPA, EPA, Difesa.it, EMA, Aeronautica Russa

di Luciano Piacentini - 2 dicembre 2015,
e Claudio Masci 

Luciano PiacentiniLuciano Piacentini

Brevettato incursore, è stato Comandante di Unità Incursori nel grado di Tenente e Capitano. Assegnato allo Stato Maggiore dell'Esercito, ha in seguito comandato il 9. Battaglione d'Assalto Paracadutisti "Col Moschin" e successivamente ricoperto l'incarico di Capo di Stato Maggiore della Brigata Paracadutisti "Folgore". Ha prestato la sua opera negli Organismi di Informazione e Sicurezza con incarichi in diverse aree del continente

fonte: http://www.analisidifesa.it

La Turchia è il peggior partner per combattere il terrorismo

01/12/15

I jihadisti di Isis e Boko Haram stanno convergendo sulla Libia


I combattenti dell'Isis si stanno trasferendo a Sirte. In arrivi anche i miliziani di Boko Haram. La Libia rischia di diventare il nuovo fulcro dello Stato islamico


Sirte la nuova Raqqa. Il califfo Abu Bakr al Baghdadi e la sua cerchia più stretta vogliono trasformare la città nel nordest della Libia nella nuova capitale dello Stato islamico.


In questo modo potranno continuare a seminare terrore, a due passi dall'Europa, anche se dovessero essere cacciati via dalla Siria e dall'Iraq. I servizi di intelligence libici hanno riferito dell'arrivo "a Sirte di vari combattenti jihadisti, tra cui alcuni leader dell’Isis, giunti sulla città costiera libica dall’Iraq e dalla Siria attraverso il Mediterraneo". Le stesse fonti hanno parlato di "diverse decine di Boko Haram provenienti dal Mali, Ciad e Nigeria e arrivati a Sirte per sostenere" lo Stato islamico.

La Libia è il primo Stato, al di fuori di Iraq e Siria, dove i tagliagole governano davvero. Qui hanno il controllo di una vasta area nell'est del Paese: quella di Sirte appunto, città natale di Gheddafi e roccaforte dell'ex rais. Una regione che gli uomini dello Stato islamico non solo hanno in pugno grazie alla a presenza di oltre 5.000 combattenti (fino a pochi mesi fa si parlava di alcune centinaia), ma che amministrano attraverso l'azione di "emiri" che impongono le brutali regole del Califfato (dal divieto di fumare o ascoltare la musica all'obbligo del velo integrale per le donne) e gestiscono le risorse. Queste ultime provenienti soprattutto dal petrolio, di cui il Paese nordafricano è ricco. Ma anche dal traffico di profughi. Al momento i jihadisti controllerebbero oltre 250 chilometri di costa libica, dalla città di Abugrein a ovest di Sirte (non lontano da Misurata) a quella di Nawfaliya a est. Ma le milizie dell'Isis puntano ora ancora più a est, minacciando Harawa, Nufaliya e Bin Jawad, con l’obiettivo di piantare le sue bandiere nere nell’area di Ajdabiya, la porta verso i campi della mezzaluna petrolifera, a metà strada tra Bengasi e Sirte. "I terroristi stanno trasportando armi pesanti e veicoli blindati verso est", fanno sapere fonti locali a Alwasat spiegando che "elementi della formazione pattugliano armati le strade principali, accompagnati dalla polizia islamica". Il controllo delle risorse energetiche del Paese è strategico per i tagliagole del Califfo, proprio come nel nord dell’Iraq, dove i terroristi ne utilizzano i proventi vendendoli al mercato nero per autofinanziarsi.

Sirte rischia di diventare il nuovo fulcro dello Stato islamico. "Dalla Siria e dall'Iraq - spiega Omar Adam, a capo di una delle principali milizie di Misurata - è in corso un grande esodo della leadership dell'Isis che si sta stabilendo in Libia". "Sirte non sarà meno di Raqqa" è intanto il mantra ripetuto incessantemente dai leader jihadisti libici che in queste settimane, secondo fonti militari del Paese, starebbero accogliendo in città un vero e proprio fiume di reclute straniere insieme alle loro famiglie. "Del resto proprio la Libia - spigano fonti di intelligence - viene sempre più indicata negli ultimi tempi come la meta da preferire a Siria e Iraq". Un invito martellante da parte dei massimi responsabili dello Stato islamico e dei suoi reclutatori in tutto il mondo occidentale e arabo. Il quadro è dunque allarmante.

Sergio Rame - 01 dicembre 2015
fonte: http://www.ilgiornale.it

RUSSIA/TURCHIA -" Perché le accuse di Putin alla Turchia di comprare petrolio dall’Isis sono fondate "


Erdogan ha sfidato la Russia a fornire le prove. Un’indagine del Financial Times punta il dito contro Ankara, che da anni favorisce i jihadisti in Siria





A margine della Conferenza sul clima di Parigi, il presidente russo Vladimir Putin doveva incontrare il suo omonimo turco, Recep Tayyip Erdogan, per favorire la riconciliazione tra i due paesi dopo l’abbattimento di un jet russo da parte di Ankara. Putin invece, dopo aver rifiutato l’incontro, ha rincarato la dose: «Sospettiamo che il Su-24 sia stato abbattuto per assicurare forniture illegali di petrolio dall’Isis alla Turchia. Il petrolio proveniente dalle zone controllate dall’Isis viene consegnato in Turchia su scala industriale».

«VEDIAMO LE PROVE». Erdogan ha subito ribattuto alzando ulteriormente i toni: «È immorale accusare la Turchia di comprare il petrolio dall’Isis. Se ci sono i documenti, devono mostrarli, vediamoli. Se questo viene dimostrato, io non rimarrò nel mio incarico. E lo dico a Putin: lui manterrà il suo incarico?». È difficile che Mosca abbia delle prove documentali, ma anche se le avesse cambierebbe poco. E in fondo, non servono proprio.  

BUSINESS DEL PETROLIO. Il business del petrolio, secondo un’indagine del Financial Times, frutta allo Stato islamico 1,53 milioni di dollari al giorno. I jihadisti producono circa 34-40 mila barili di petrolio al giorno, che vengono venduti a un costo che varia dai 20 ai 45 dollari l’uno, a seconda della qualità. Su 10.600 bombardamenti aerei condotti dalla coalizione guidata dagli Stati Uniti, solo 196 hanno colpite le infrastrutture petrolifere. Il petrolio, sempre secondo l’indagine del Ft, viene venduto dagli intermediari non solo a tutte le formazioni ribelli e jihadiste, ma anche alla Turchia. Nel paese i barili di petrolio «entrano su camion o a dorso di mulo».

VIA LIBERA AI FOREIGN FIGHTERS. Ma il rapporto tra Isis e Turchia non si limita al petrolio. Per anni Ankara ha fatto di tutto per favorire le milizie jihadiste che combattono contro Assad, consentendo a centinaia di combattenti stranieri di unirsi alle fila dei ribelli e dell’Isis passando attraverso i suoi porosi confini.

L’ESEMPIO DI KOBANE. A cavallo tra il 2014 e il 2015, durante i circa quattro mesi di assedio della città di Kobane da parte dell’Isis, vicina al confine con la Turchia, Erdogan ha fatto di tutto per ostacolare la milizia curda che difendeva la città: prima ha schierato i suoi carri armati sul confine senza però andare ad aiutare Kobane da cui sono fuggite oltre 200 mila persone, poi ha cercato di impedire ai soldati del Kurdistan di andare in aiuto dei curdi siriani, infine ha tentato di bloccare il rifornimento di armi americane ai nemici dell’Isis perché «i curdi sono come lo Stato islamico». E anche quando ha bombardato, sono più le bombe che hanno colpito i curdi di quelle che hanno preso di mira i jihadisti.

LE ARMI E IL PROCESSO. Così come ha smentito di importare petrolio dall’Isis, Erdogan ha sempre negato di aver armato terroristi islamici in Siria. Insieme a Doha e Riyad, in realtà, Ankara appoggia la milizia Jaish Al-Fatah, Esercito di conquista, che comprende anche gruppi di Al-Nusra (la milizia qaedista siriana) ed è operativa nel nord della Siria. Inoltre il direttore di Cumhuriyet, con uno scoop internazionale, ha pubblicato le foto e un video delle armi turche inviate in Siria in un’area controllata da Al-Qaeda. Per questo, Can Dündar si ritrova a processo per spionaggio e terrorismo. La prima udienza si è tenuta il 27 novembre ed Erdogan, invece che dimettersi, l’ha denunciato personalmente chiedendo per il giornalista l’ergastolo più 42 anni aggiuntivi di carcere.

Foto Ansa/Ap

dicembre 1, 2015 Leone Grotti
fonte: http://www.tempi.it
 

La Ue, la Turchia e il compromesso al ribasso


merkel erdogan 


Unio­ne eu­ro­pea
e Tur­chia si­gla­no un ac­cor­do per fer­ma­re il flus­so di mi­gran­ti che, par­ten­do dal­l’A­na­to­lia, sta som­mer­gen­do il Vec­chio Con­ti­nen­te. A que­sto scopo ad An­ka­ra sa­ran­no ver­sa­ti 3 mi­liar­di di euro l’an­no. Non solo: la Ue apre ul­te­rior­men­te le porte sul fu­tu­ro in­gres­so della Tur­chia nel­l’U­nio­ne.

In que­sto modo An­ge­la Mer­kel porta a com­pi­men­to la pro­mes­sa fatta a Er­do­gan alla vi­gi­lia delle re­cen­ti ele­zio­ni po­li­ti­che tur­che, quan­do, con il ri­sul­ta­to an­co­ra for­mal­men­te in bi­li­co (anche se la stret­ta sulle op­po­si­zio­ni non la­scia­va molto spa­zio a pos­si­bi­li al­ter­na­ti­ve), si recò in Ana­to­lia ad of­fri­re il suo so­ste­gno, e quel­lo del­l’Eu­ro­pa tutta, al pre­si­den­te turco, fa­vo­ren­do così il suc­ces­so elet­to­ra­le del suo par­ti­to.

Ciò av­vie­ne men­tre la Tur­chia di Er­do­gan è preda di una de­ri­va au­to­ri­ta­ria senza pre­ce­den­ti. In un’in­ter­vi­sta ri­la­scia­ta alla Re­pub­bli­ca del 29 no­vem­bre, Yavuz Bay­dar, gior­na­li­sta turco che vive a New York, ha ri­cor­da­to i 23 cro­ni­sti rin­chiu­si nelle se­gre­te di An­ka­ra per «lesa mae­stà». A que­sti si ag­giun­go­no Can Dun­dar e Erdem Gul, ri­spet­ti­va­men­te di­ret­to­re e gior­na­li­sta di Cu­m­hu­riyet, im­pri­gio­na­ti con l’ac­cu­sa di spio­nag­gio per aver do­cu­men­ta­to i ri­for­ni­men­ti di armi ai mi­li­zia­ni ji­ha­di­sti si­ria­ni.

Pro­prio que­sti ul­ti­mi hanno scrit­to una let­te­ra in­di­riz­za­ta ai ver­ti­ci della Ue nella quale si legge: «Vor­rem­mo anche spe­ra­re che il vo­stro de­si­de­rio di porre fine alla crisi [dei mi­gran­ti ndr.] non osta­co­le­rà la vo­stra sen­si­bi­li­tà verso i di­rit­ti umani, la li­ber­tà di stam­pa e di espres­sio­ne come va­lo­ri fon­da­men­ta­li del mondo oc­ci­den­ta­le».
Mis­si­va che è stata di fatto oblia­ta, in con­tra­sto con quei va­lo­ri ai quali i due cro­ni­sti si erano ap­pel­la­ti: a quan­to pare l’on­da lunga della re­to­ri­ca sulla li­ber­tà di in­for­ma­zio­ne che seguì alla stra­ge di Char­lie Hebdo è già in piena ri­sac­ca…

Non è solo la li­ber­tà di in­for­ma­zio­ne a ri­schio nella Tur­chia di Er­do­gan: men­tre Ue e Tur­chia fir­ma­va­no l’in­te­sa, ve­ni­va uc­ci­so Tahir Elci, av­vo­ca­to che di­fen­de­va i di­rit­ti della mi­no­ran­za curda. Non un av­vo­ca­to qual­sia­si, ma una fi­gu­ra ca­ri­sma­ti­ca nel­l’am­bi­to del va­rie­ga­to mo­vi­men­to po­li­ti­co curdo.
L’op­po­si­zio­ne ha par­la­to di omi­ci­dio di Stato, lo Stato ha ne­ga­to. Resta che da tempo i curdi, e in ge­ne­re i par­ti­ti di op­po­si­zio­ne, sono al cen­tro del mi­ri­no: non solo le stra­gi di Soruc e alla Sta­zio­ne fer­ro­via­ria di An­ka­ra, che hanno fatto cen­ti­na­ia di vit­ti­me, ma anche sva­ria­ti omi­ci­di mi­ra­ti.

In­fi­ne, sul­l’ac­cor­do pesa il so­ste­gno, più o meno na­sco­sto, di An­ka­ra allo ji­ha­di­smo ar­ma­to in­ter­na­zio­na­le, da tempo og­get­to di con­tro­ver­sia sui media e nel di­bat­ti­to po­li­ti­co. Una con­tro­ver­sia che non ha tro­va­to spa­zio nel dia­lo­go tra Ue e Tur­chia av­ve­nu­to a Bru­xel­les.
Par­ti­co­la­re che stri­de, e non poco, sia con l’or­ro­re delle stra­gi di Pa­ri­gi che con i pro­cla­mi e le ini­zia­ti­ve eu­ro­pee con­tro il ter­ro­ri­smo.

Sem­pre sul fron­te ester­no, va in­fi­ne ri­cor­da­to che la Tur­chia si è lan­cia­ta in un duro con­fron­to con la Rus­sia. A Putin, giu­sta­men­te in­di­gna­to per l’ab­bat­ti­men­to del bom­bar­die­re russo da parte del­l’a­via­zio­ne di An­ka­ra, Er­do­gan ha ri­spo­sto con la boria del bullo di quar­tie­re, af­fer­man­do: «Mosca non scher­zi con il fuoco».

Un bullo, tra l’al­tro, che non ha i mezzi per un con­fron­to vero e pro­prio, dal mo­men­to che la Rus­sia po­treb­be in­ce­ne­ri­re l’an­ta­go­ni­sta in due mi­nu­ti, ma che pren­de la sua forza dal­l’ap­par­te­nen­za al bran­co, nel caso spe­ci­fi­co l’am­bi­to Nato.
Così, in­ve­ce di ri­por­ta­re il bullo alla ra­gio­ne (ché nella con­tro­ver­sia con Mosca ha torto mar­cio), il bran­co, la Ue nel caso spe­ci­fi­co, fir­man­do ac­cor­di ed elar­gen­do lauti fi­nan­zia­men­ti, lo spal­leg­gia, ac­cre­scen­do i ri­schi glo­ba­li in­si­ti in que­sto ir­ra­gio­ne­vo­le con­fron­to.

È in que­sta tem­pe­rie che la Ue si ac­cor­da con il Ca­lif­fo di An­ka­ra. Anzi la Mer­kel, la quale, ar­ro­gan­do­si senza al­cu­na le­git­ti­mi­tà il ruolo di do­mi­nus d’Eu­ro­pa, ha por­ta­to a com­pi­men­to l’in­te­sa rag­giun­ta in pre­ce­den­za con Er­do­gan.
Al­tret­tan­to tra­gi­co che quan­to av­ve­nu­to a Bru­xel­les sia in­qua­dra­to nel­l’ot­ti­ca della real­po­li­tik.

In real­tà la real­po­li­tik è ben altra cosa: è alta po­li­ti­ca che vive della ri­cer­ca del com­pro­mes­so in ra­gio­ne di un bene su­pe­rio­re. Nel caso spe­ci­fi­co si trat­ta di una po­li­ti­ca di bassa lega, dove si è ot­te­nu­to un mi­ni­mo be­ne­fi­cio (che pe­ral­tro si po­te­va ot­te­ne­re in altri modi) ce­den­do a un ri­cat­to. Un com­pro­mes­so al ri­bas­so che raf­for­za Er­do­gan sia sul fron­te in­ter­no che in­ter­na­zio­na­le, a danno dei di­rit­ti del po­po­lo turco e della si­cu­rez­za e del­l’e­qui­li­brio del mondo.

30 nove,bre 2015
fonte: http://piccolenote.ilgiornale.it

Turchia terrorista e guerrafondaia? L’Ue la premia con tre miliardi


Bruxelles, 30 nov – Dopo i drammatici eventi della scorsa settimana che hanno visto la Turchia violare le regole d’ingaggio non scritte della Nato e abbattere un jet russo, insieme all’assalto ai diritti civili e d’espressione attraverso l’arresto di due giornalisti che avevano rivelato il contrabbando di armi alla Siria, e culminato nell’assassinio del capo degli avvocati curdi in diretta televisiva, chiunque si sarebbe aspettato che i paesi occidentali tanto democratici e umanitari almeno condannassero aspramente il comportamento del padre-padrone di Ankara, Erdogan.
Al contrario, quello che è accaduto è che l’Unione Europea, dopo il tavolo di confronto bilaterale ai massimi livelli con la controparte turca, ha deciso di pagare alla Turchia stessa tre miliardi di euro per aiutarla a interrompere il flusso di rifugiati dal conflitto in Siria, 2,2 milioni dei quali si trovano attualmente in Turchia, e per impedire che la peggiore crisi immigratoria europea peggiori ulteriormente.
Inoltre, sono stati riavviati i colloqui per l’adesione della cleptocrazia islamica – involuzione della Turchia laica nell’era del clan Erdogan – alla stessa Unione Europea, che oggi sembra più vicina. Tanto che nel frattempo è prevista la facilitazione dei visti per l’ingresso di cittadini turchi nell’area Schengen.
In una conferenza stampa congiunta con il primo ministro turco Ahmet Davutoglu, il presidente della Ue – il polacco molto filo-americano Donald Tusk – ha dichiarato: “Il nostro accordo definisce un piano molto chiaro per il tempestivo ristabilimento dell’ordine alle nostre frontiere comuni. Inoltre, aumenteremo la nostra assistenza ai rifugiati siriani in Turchia attraverso nuove infrastrutture”.
Più in dettaglio, l’accordo prevede che la Turchia chiuda i propri confini ai veri o presunti rifugiati siriani, inoltre che accetti gli immigrati deportati dall’Europa, impegnandosi altresì a organizzare il ritorno degli immigrati non aventi diritto alla protezione internazionale ai rispettivi paesi d’origine.
La somma già ingente di tre miliardi di euro potrà anche essere rivista al rialzo in base agli sviluppi della situazione.


turkey pathway


Infografica della AFP sulla via turco-greca dell’immigrazione in Europa
Dal canto suo, l’inviato di Erdogan, quel Davutoglu che dovrebbe rappresentare il volto pacifico e accomodante di Ankara, ha sostenuto che l’accordo servirà ad accelerare l’adesione della Turchia alla Ue, aggiungendo che si tratta “di un giorno storico, del primo meeting di questo tipo in 11 anni”, avvertendo al contempo che “nessuno può garantire alcunché sul futuro della questione siriana… ma posso assicurare che la Turchia soddisferà le promesse del piano congiunto [con la Ue]. Un obiettivo [comune] con la Ue è quello di impedire nuove ondate di rifugiati dalla Siria e di gestire la crisi esistente”.
Rimandando per ogni dettaglio ulteriore al testo completo della dichiarazione ufficiale congiunta Ue-Turchia, scaturita dalla riunione dei capi di Stato o di governo del 29 novembre, non si può fare a meno di notare che si tratta del più classico caso di compensazione illecitamente corrisposta a un soggetto che ha attivamente e proditoriamente contribuito a creare lo stesso problema che i tre miliardi di euro che i cittadini europei saranno costretti a sborsare intenderebbero risolvere.
In altre parole, la Turchia si è fatta beffe di un’Europa inetta e colpevole, prima creando il problema e poi guadagnando a piene mani a fronte di una mera promessa di risolverlo.
Che dire, poi, sull’affidabilità del partner turco?
Vogliamo ricordare, a monte e all’origine del disastro siriano, gli interessi vitali della Turchia rispetto alla questione del gasdotto qatariota che avrebbe dovuto attraversare il territorio di Damasco contro la volontà del legittimo governo di Assad?
Oppure, a valle del conflitto siriano, la vera e propria mafia dedita al contrabbando del petrolio dell’Isis, che vedrebbe coinvolti la stessa Turchia con ruolo di primo piano (e in testa il clan Erdogan), il Kurdistan iracheno, Israele e perfino l’Italia?
Ma tutto questo non ha evidentemente avuto alcuna importanza per Donald Tusk come per Renzi, Merkel, Cameron e compagnia brutta, incluso quell’Hollande cui i recenti fischi diretti alle vittime di Parigi nello stadio turco non devono aver fatto nemmeno sollevare un sopracciglio.
Speriamo soltanto che i tre miliari di euro che ci tiriamo fuori di tasca non siano immediatamente sottratti alla causa ufficiale per – chi lo sa – finire nell’acquisto di nuove navi petroliere da parte dei figli di Erdogan, oppure in nuovi caccia F-16 di fabbricazione americana, o perfino nell’estensione della reggia dell’autocrate di Ankara.

Francesco Meneguzzo - 30 novembre 2015
fonte: http://www.ilprimatonazionale.it