Esattamente
40 anni fa, nel giugno del 1975, i politici italiani (quelli di una
volta) ebbero un’idea seria e brillante. Talmente buona e innovativa da
riuscire a imporla al resto del mondo. Tutto nacque da una cena privata
sulla terrazza romana, a Piazza Costaguti, nell’appartamento di un
importante esponente socialista, Giolitti, e i quattro commensali che
lanciarono l’idea erano Aldo Moro, Ugo La Malfa, Enrico Berlinguer e
Francesco Cossiga. Allora ci si trovava al centro della guerra fredda
tra Usa e Urss, in un momento molto delicato. A Mosca e a Washington
erano insediati due bei grossi falchi, Richard Nixon e Leonid Breznev,
due mastini che amavano trascorrere i loro week end circondati dai loro
generali e così volevano essere fotografati, tanto per spiegare al mondo
come si stavano mettendo le cose. Dal loro punto di vista.
I
nostri politici si fecero interpreti delle preoccupazioni collettive
europee (e giapponesi) perché c’era in atto una grossa crisi economica,
innescata dal caro petrolio che aveva triplicato il suo prezzo e valore
di mercato. Tre importanti nazioni, totalmente prive di oro nero
-Germania, Giappone e Italia- erano quelle che stavano pagando il conto
più salato. E al loro interno, al culmine della guerra fredda, avevano
tutte e tre una fortissima sinistra antagonista, turbolenze sindacali,
con il rischio di deflagrazioni sociali incontrollabili.
Allora,
le comunicazioni erano lente e faticose. Le visite ufficiali tra capi di
Stato erano eventi pomposi, molto formali, che avevano più una funzione
di propaganda che sostanziale, e finivano sempre nello stesso modo, con
piatte dichiarazioni congiunte di grande amicizia collaborativa e
niente di più. L’Italia, sia come nazione che come Paese, era al centro
dell’attenzione planetaria perché la nostra repubblica (a mio avviso
giustamente e correttamente) era stata identificata come il laboratorio
sociale e politico più evoluto e avanzato di tutto l’occidente. In quel
momento, forse, addirittura di tutto il mondo. C’era un enorme
stimolante brulichio e un perenne confronto tra soggetti diversi e
antagonisti; ai pacifisti e a tutti coloro che combattevano contro i
guerrafondai era piaciuta molto l’idea di Enrico Berlinguer, nata come
reazione ai criminali colpi di stato della Cia in Sudamerica: è arrivato
il momento di incontrarsi tra forze politiche democratiche che
appartengono a storie e nature diverse, i movimenti socialisti e le
forze democristiane devono trovare la cifra giusta e realistica per
siglare un compromesso storico nel nome del bene comune dell’intera
collettività. Così come era stata accolta con favore la fortissima
intesa che Aldo Moro stava iniziando a costruire con i comunisti.
Bisognava, dunque, parlarsi, incontrarsi, conoscersi meglio. In Europa
già lo si faceva. Decisero, quindi, (i quattro) di lanciare
ufficialmente, e soprattutto “formalmente” il G7, con il dichiarato
obiettivo di allargarlo sempre di più per arrivare a fondare la grande
utopia e mettere intorno a un tavolo americani, sovietici, asiatici ed
europei: la strada migliore per evitare ogni rischio di conflitto
armato.
Quando ci si conosce, si discute, ci si confronta, ci si
abitua l’un l’altro, l’aggressività, inevitabilmente, scema, diluisce.
La rigidità nazionalistica che alimenta sempre le menti degli ottusi
generali di ogni paese nasce dalla paura e dalla misconoscenza di etnie,
nazioni, gruppi diversi. Quanto più ci si conosce e quanto più ci si
incontra, tanto più diminuiscono le possibilità di una guerra.
E
così, nel 1976, Francia, Gran Bretagna, Germania, Italia coinvolgono
anche gli Usa, Giappone e Canada e lanciano il primo G7 della Storia
moderna.
Da allora, sono trascorsi 40 anni.
Ci spiega wikipedia:
Il
Gruppo dei Sette (di solito abbreviato in G7) è il vertice dei ministri
dell’economia delle sette nazioni sviluppate con la ricchezza netta più
grande al mondo. Esso è nato nel 1976, quando il Canada aderì al Gruppo dei Sei (Francia, Germania, Giappone, Italia, Regno Unito e Stati Uniti). Anche il rappresentante dell’UE ed il Presidente del FMI sono sempre presenti agli incontri. Dal 1997 è stato affiancato dal G8, il vertice dei capi di Stato dei già menzionati allargato alla Russia…..
Ancora oggi, statutariamente, è così: si tratta di un vertice dei ministri dell’economia delle sette nazioni sviluppate con la ricchezza netta più grande al mondo.
Anche un bambino o una persona distratta che non segue i teatri della
geo-politica, si rende conto, quindi, che nella riunione che si apre
formalmente domani a Emau, in Germania, c’è qualcosa che non funziona.
Le nazioni che vi partecipano, infatti, non sono quelle che dovrebbero
parteciparvi.
Angela Merkel farà gli onori di casa nel più surreale spettacolo mai offerto dalla politica.
Le nazioni che vi partecipano, infatti, sono le stesse del primo G7 nel 1976.
Una follia. O un falso. O volontà di disinformazione. Scegliete voi la definizione.
Adottando
i criteri dello statuto del G7, sottoscritto da tutti i contraenti nel
giugno del 1975, se avessero dovuto rispettare sia i parametri che la
legalità, la riunione sarebbe stata, nell’ordine, tra Usa, Cina, Giappone, Germania, Russia, Gran Bretagna, India.
Queste sette nazioni summenzionate, infatti, aderiscono alla
definizione del 2015 corrispondente a “…economie con la ricchezza netta
più sviluppata al mondo”.
Tra sei mesi ci sarà il G8 che include anche la Francia.
Tra nove mesi il G10 che include anche il Brasile e la Corea del Sud.
Il vero elenco del G10, infatti è: Usa, Cina, Giappone, Germania, Russia, Gran Bretagna, India, Francia, Brasile, Corea del sud.
Tutte
queste nazioni, messe insieme, sono in grado di poter emettere un
comunicato comune che corrisponde per davvero alla leadership
planetaria.
Questa riunione del G7 nel castello di Schloss Emau mi
sembra un incontro tra mitomani che hanno completamente perso il senso
della realtà, della misura, e hanno l’arroganza prepotente e sfacciata
di comunicarla anche al resto del mondo.
Perché lo fanno? Per
depistare. Per farci vivere l’emozione di una realtà fittizia, per
dimostrare che sono in grado di poter intervenire nel cuore dell’Europa
alterando i codici della relazionalità logica, facendo ciò che vogliono,
nel disprezzo del buon senso? L’Europa non può permettersi -intendo
dire l’Europa a trazione teutonica- che l’Italia non sia più nel G7, nel
G8, nel G10. Se lo facessero, diventerebbe “pubblicamente ufficiale” la
notizia relativa allo stato reale dell’economia italiana: il nostro
Paese, dal 2009 al 2015 ha perso, in termini di produzione di ricchezza,
circa 250 miliardi di dollari, retrocedendo tra le nazioni considerate
tecnicamente “Paese che si sta de-industrializzando”.
Questa
potrebbe essere la umana, banale, semplice ragione per cui l’India non
ci restituisce i due marò. Gli indiani sono inviperiti e io li capisco,
hanno ragione. Dal punto di vista della sovranità nazionale indiana, non
si capisce perché alle riunioni dei grandi ci vada una economia come
quella italiana (definita dall’India “un’economia miope, decisamente
regressiva, con una classe politica dirigente che non situa quel paese
tra le nazioni che possono determinare il trend planetario oggi”) e non
ci vada l’India che produce il 24% in più dell’Italia. Si sentiranno
vittime di un affronto. E anche i brasiliani e i sudcoreani saranno
inviperiti.
In geo-politica, la forma equivale alla sostanza.
Il
G7 che si apre domani a Emau è un evento surrealista. Qualunque cosa
decidano, basta che la Cina, o la Russia, o l’India, o la Corea del Sud,
o il Brasile rispondano “non rispetteremo nessuna delle vostre
decisioni” che i 7 non possono replicare. Con l’aggravante che, se per
caso, la Cina, la Russia, l’India, la Corea del Sud e il Brasile,
decidono di far fronte comune ed emettono un comunicato congiunto,
allora da una frittata piccolo-borghese si passa all’anteprima di una
tragedia socio-politica internazionale.
Se il fine del G7 è aiutare la pace, è già fallito.
Non ci può essere nessuna pace se si dice il falso.
di Sergio Di Cori Modigliani - 6 giugno 2015
fonte: http://www.libero-pensiero.net