Questo blog non rappresenta una testata giornalistica in quanto viene aggiornato senza alcuna periodicità . Non può pertanto considerarsi un prodotto editoriale ai sensi della legge n° 62 del 7.03.2001. L'autore non è responsabile per quanto pubblicato dai lettori nei commenti ad ogni post. Verranno cancellati i commenti ritenuti offensivi o lesivi dell’immagine o dell’onorabilità di terzi, di genere spam, razzisti o che contengano dati personali non conformi al rispetto delle norme sulla Privacy. Alcuni testi o immagini inserite in questo blog sono tratte da internet e, pertanto, considerate di pubblico dominio; qualora la loro pubblicazione violasse eventuali diritti d'autore, vogliate comunicarlo via email all'indirizzo edomed94@gmail.com Saranno immediatamente rimossi. L'autore del blog non è responsabile dei siti collegati tramite link né del loro contenuto che può essere soggetto a variazioni nel tempo.


Non smettete mai di protestare; non smettete mai di dissentire, di porvi domande, di mettere in discussione l’autorità, i luoghi comuni, i dogmi. Non esiste la verità assoluta. Non smettete di pensare. Siate voci fuori dal coro. Un uomo che non dissente è un seme che non crescerà mai.

(Bertrand Russell)

28/03/18

Marò: prossima fermata L’Aia. Ecco perché va scongiurato un processo farsa


Marò L'Aia

Roma, 28 mar – Sapevamo che al Tribunale Arbitrale dell’Aia (che deve decidere la “giurisdizione” sul caso, processo in Italia o India) l’India aveva depositato un documento, ancora una volta secretato e che abbiamo inutilmente tentato di ottenere. Ora grazie a un articolo di Panorama sappiamo almeno della sua natura: “Dall’ultima ordinanza, la numero 4 del 12 febbraio, firmata dal presidente, il giudice russo Vladimir Golitsyn, si scopre che gli indiani hanno presentato ulteriori ’66 testimonianze e 133 documenti aggiuntivi’ per sostenere la richiesta di processare i marò a Delhi”. Si tratta evidentemente non di un documento relativo a questioni di “Diritto del Mare” quanto piuttosto (le 66 testimonianze) del voler ribadire la “colpevolezza” già presentata in un documento di agosto 2015 al Tribunale di Amburgo sul diritto del Mare. Come si ricorderà questo documento di Amburgo borioso e insultante (in questa vicenda l’Italia cerca compassione) aveva in allegato i documenti giudiziari indiani (autopsie, perizia balistica etc).

Il sottoscritto li ha chiesti e ottenuti da Amburgo, e proprio da questi è emersa l’innocenza dei due accusati, cosa nota alle autorità indiane fin dal giorno stesso dei fatti, e a quelle italiane da pochi giorni dopo. E questi documenti erano rimasti secretati dalle autorità indiane per quasi quattro anni, negati anche alla Magistratura italiana che ne aveva fatto formale richiesta. Forte di questa “apertura della cassaforte” il sottoscritto è potuto andare ad aprile 2016 alla Commissione Petizioni della U.E. a Bruxelles a illustrare le evidenze di innocenza e il comportamento falso e pregiudiziale delle autorità del Kerala contro i due accusati, e questa presentazione aveva causato una reazione della stessa Commissione nei confronti dell’India in rappresentanza di 450 milioni di Europei.

Fatta la reazione (due lettere) dopo 8 giorni anche Salvatore Girone era in volo verso l’Italia. Ora ci risiamo con le accuse montate ad arte per millantare una falsa “colpevolezza” al Tribunale Arbitrale dell’Aia ed ottenere così l’assegnazione della giurisdizione e celebrare in India un processo già scritto. Poiché non è neanche dato sapere se e con quali argomenti gli avvocati di parte italiana hanno reagito all’ennesimo tentativo indiano di avere assegnato il processo e di scrivere a priori la sentenza, non mi resta che chiedere di essere audito dal Tribunale dell’Aia, per dimostrare che l’India “non può” celebrare il processo contro i due militari italiani, avendo tenuto fin dall’inizio un atteggiamento falso e pregiudizievole di colpevolezza, con una condanna già scritta che prevede anche la pena di morte in base alla legge Sua Act indiana. Quindi mi attivo da subito per essere a L’Aia il prima possibile al fine di essere ascoltato dai Giudici internazionali.
E chiedo alle persone, gruppi e associazioni italiane che hanno sostenuto le “ragioni dell’innocenza” di attivarsi per evitare che questo nuovo atto di prepotenza indiana produca i suoi effetti. Per ora non abbiamo neanche un governo, e non sappiamo come e se il nuovo ministro degli Esteri vorrà intervenire sulla vicenda (la Bonino aveva già dichiarato che la soluzione del caso passava per un processo “Fast & Fair” in India). Per cui tocca nuovamente a noi cittadini.

Luigi Di Stefano


25/03/18

Peculato e pe(R)culati

X PAVANELIL SENATORE E IL MAGISTRATO
Che differenza c’è tra un senatore e un magistrato di fronte ad un’accusa di peculato provata?
La differenza è che il primo viene condannato (da un magistrato e dalla stampa); il secondo viene perdonato (da un magistrato e dalla stampa).
Il senatore in questione è Paolo Romani forzista della prima ora, ex ministro di Berlusconi e uomo di punta del centrodestra.
Il magistrato in questione è Nicolò Zanon, togato illustre della Corte Costituzionale scelto direttamente nel 2014 dall’allora Presidente Napolitano.
Il primo finisce nei guai per un telefonino. Il secondo per un auto blu.

IL CASO ROMANI
Romani, nell’Ottobre del 2017, è stato condannato in via definitiva per peculato; l’inchiesta, scaturita da uno scoop giornalistico del 2011, rivelò che il senatore, allora Ministro del Governo Berlusconi ma anche assessore all’Expo di Monza, aveva fatto utilizzare il telefonino di servizio del Comune alla figlia quindicenne. Romani si è sempre difeso affermando che non era a conoscenza dell’uso di quella Sim da parte della ragazza avendo lui un’altra utenza di servizio (quella del Ministero); e quando ha preso coscienza del guaio l’ex Ministro si è recato immediatamente in Comune a risarcire di tasca propria l’intero ammontare delle utenze telefoniche (circa 12 mila euro) tanto che l’amministrazione di centrosinistra di Monza non si è costituita neppure parte civile. Per il giudice invece Romani era a conoscenza dell’utilizzo che ne fece la figlia e anzi ne diede “pieno consenso” e per questo è stato condannato.

In questi giorni il caso è tornato alla ribalta essendo stata questa condanna alla base della decisione del M5S di non appoggiare la candidatura di Romani alla Presidenza del Senato.

La-Corte-di-CassazioneIL CASO ZANON
Il Giudice Zanon nei giorni scorsi è stato invece costretto ad auto-sospendersi poiché è emersa una vicenda più imbarazzante: dalle risultanze del suo autista di servizio si è scoperto che il magistrato ha fatto utilizzare una delle due auto blu di cui sono dotati i giudici della Consulta, ai suoi parenti per scopi del tutto privati.
La storia è emersa perché l’autista ha dovuto motivare le troppe ore di straordinario accumulate durante il servizio: ore che ovviamente paga lo Stato, cioè noi. E a quel punto si è scoperto l’uso non proprio d’ufficio dell’automobile con in più una nota curiosa: e cioè che spesso era la moglie del magistrato a chiamare direttamente il carabiniere-autista per dargli disposizioni di come usare l’auto blu del marito; insomma, era un “auto di servizio familiare” a tutti gli effetti.

La Procura di Roma ha aperto un’inchiesta che è stata velocemente archiviata due giorni fa. Il motivo? Semplice: l’utilizzo “dell’auto di servizio a persone terze” è previsto dal Regolamento che i giudici si sono fatti da soli. È quindi del tutto lecito che l’auto blu del giudice Zanon sia stata utilizzata dalla moglie (esponente del Pd milanese) per recarsi più volte nella loro casa al mare in Versilia, per andare a prendere la cognata alla stazione o per accompagnare la figlia nei suoi giri privati. Incredibile vero?
La cosa è molta strana per due ragioni.
Primo, perché se fosse così, non si capirebbe il motivo per cui la Procura avrebbe aperto un’inchiesta; bastava leggere il Regolamento in vigore.
Secondo, perché questo significa che anche altri giudici della “Corte suprema” utilizzano le auto di servizio pagate dai cittadini magari per scorrazzare in giro parenti, amici, vicini di casa o per “ragioni istituzionali” di shopping, vacanza, cene fuori o serate a teatro.

Questo significa, tra le altre cose, che a differenza del Senatore Romani (che ha rimborsato il danno causato di tasca sua ancora prima dell’inchiesta), il Magistrato non pagherà lui le ore in cui il suo autista ha fatto da autista a moglie, figlia e cognata

Ma il vero problema è che è stato applicato il principio giuridico della “autodichia” che prevede che la Consulta è un organo “autogiudicante”; e cioé il magistrato Zanon può essere giudicato solo dai suoi colleghi della Consulta, che ovviamente (potendo per “Regolamento” fare la stessa cosa) difficilmente riscontreranno un abuso nel suo operato.

Ora alla Corte Costituzionale spiegano che stanno cambiando il Regolamento, ma finché il nuovo non entrerà in vigore, l’auto blu rimane un diritto inalienabile per i magistrati e i loro parenti.
Ovviamente la storia del senatore Romani ha trovato maree di editoriali scandalizzati (compreso quello dell’immancabile Travaglio) mentre quella del giudice Zanon, no (neppure uno dell’immancabile Travaglio).

LA VERA CASTA
Le due storie sono l’ennesima riprova di quale sia la vera casta intoccabile nel nostro Paese; e di come ai magistrati sia concesso fare ciò che per qualsiasi altro cittadino (politici compresi) sarebbe reato.
Perché in Italia la vera differenza che c’è tra un magistrato e un cittadino normale è la stessa che passa tra il peculato e i pe(r)culati.

di Giampaolo Rossi - 25 marzo 2018