Kawtar
Barghout (nella foto) è una giovane italiana di origini marocchine. Ad
essere precisi, Kawtar è giunta in Italia al seguito della famiglia
quando aveva appena 2 anni. Solo di recente, a 24 anni, ha chiesto e
ottenuto la cittadinanza nel nostro Paese. La sua è una storia
d’immigrazione risolta felicemente con la piena integrazione, sociale e
culturale, nella comunità nazionale che la ha accolta. Da una come lei i
benpensanti nostrani avrebbero gradito ricevere un entusiastico
appoggio alla battaglia “civile” ingaggiata, finora senza successo,
dalla sinistra multiculturalista sul cosiddetto “Ius soli”. Invece,
Kawtar sorprende e spiazza per la sua determinazione nel sostenere che
quella riforma, presentata dai progressisti come condizione
indispensabile per rimettere in pari la bilancia della giustizia sociale
in Italia, sia un’idiozia. Non serve a nulla. Kawtar, a sostegno del
suo giudizio, mostra, in diretta dagli studi televisivi de “La7”, la
documentazione cartacea raccolta con ragionevole facilità nel suo Paese
d’origine per ottenere la cittadinanza italiana.
Diventare italiani, dunque, si può. Basta volerlo nel modo giusto, non occorrono automatismi legislativi per conferire a qualcuno qualcosa di prezioso che va guadagnata e non, come vorrebbe la sinistra, regalata. Ascoltare la giovane musulmana neo-italiana ricorda un po’ la favola del bambino e del re nudo. C’era bisogno della sincerità di una giovane donna per scoprire ciò che era palese ma che per opportunismo o conformismo molti hanno voluto testardamente negare. Cioè che lo Ius soli è una forzatura ideologica dei fautori del multiculturalismo che non risponde ad alcun criterio reale di giustizia sociale. Su questo fronte la sinistra ha mostrato la sua disarmante nudità.
Ma non è tutto. Kawtar Barghout ci ha donato un’autentica perla di saggezza quando ha definito il comportamento prone verso le autorità islamiche delle signore della politica italiana ed europea: Laura Boldrini, Emma Bonino e Federica Mogherini, un oltraggio alla causa delle donne musulmane che combattono per l’emancipazione nei loro Paesi. Quelle teste velate al cospetto dei potenti degli Stati islamici alla giovane Kawtar non sono piaciute. Peggio, hanno provocato rabbia e frustrazione per un’ostentata sudditanza delle occidentali che nuoce principalmente alla causa delle donne musulmane. Come combattere il radicalismo che è un portato delle interpretazioni più restrittive della religione islamica, si è chiesta Kawtar, se le prime a prostrarsi al maschilismo, anche violento, di certe culture sono proprio quelle donne europee che si spacciano per campionesse della parità di genere e del riconoscimento della dignità femminile? Che forza questa Kawtar! Non l’ha mandato a dire alle nostre vestali del politicamente corretto. Si è occupata di persona di far sapere a tutte le loro, progressiste a corrente continua, che certe debolezze e ammiccamenti ai potenti di turno dell’islamismo sono una pugnalata piantata alla schiena di chi, in contesti complicati e repressivi, combatte per affermare i propri diritti di libertà. È vero, quelle teste velate fanno a pugni con un’altra immagine che i più anziani di noi portano nel cuore ricordando con grande ammirazione una piccola grande donna italiana.
Oriana Fallaci, differentemente dalle suffragette dell’odierna politica nostrana, ebbe il coraggio di sfidare l’oscurantismo degli ayatollah. Il 26 settembre 1979, durante un’intervista-confronto con l’ayatollah Khomeini che da poco aveva rovesciato il trono dello Scià di Persia, quello scricciolo di donna si tolse improvvisamente il chador, che le avevano costretto a indossare come condizione per tenere l’intervista, definendolo uno stupido “cencio da Medioevo” e un simbolo della segregazione femminile. La Fallaci che non ebbe paura di dare del tiranno e del fascista alla massima guida spirituale del nuovo Iran, gli contestò che costringeva le donne “a nascondersi come fagotti sotto un indumento scomodo e assurdo con cui non si può lavorare né muoversi”. A quarant’anni quasi di distanza da quello straordinario pezzo di giornalismo abbiamo compiuto un bel salto all’indietro precipitando dalle altezze di una Fallaci che sfida l’oscurantismo misogino di un Islam retrogrado scoprendosi il capo, alla pusillanimità di una Mogherini o di una Boldrini che si coprono la testa per compiacere i nuovi padroni.
Sapevamo bene della codardia di una cultura progressista che pur di non contraddire i suoi presupposti ideologici è pronta a farsi complice delle peggiori espressioni della tirannia, ma c’è voluta Kawtar Barghout, una semplice ragazza musulmana innamorata della terra che l’ha accolta, a ricordarcelo. Ce ne vorrebbero altre cento, mille Kawtar Barghout per risvegliare dal sonno della ragione, nel quale sono sprofondati per effetto del sortilegio multiculturalista, quegli italiani che hanno ancora la mente intorpidita.
Diventare italiani, dunque, si può. Basta volerlo nel modo giusto, non occorrono automatismi legislativi per conferire a qualcuno qualcosa di prezioso che va guadagnata e non, come vorrebbe la sinistra, regalata. Ascoltare la giovane musulmana neo-italiana ricorda un po’ la favola del bambino e del re nudo. C’era bisogno della sincerità di una giovane donna per scoprire ciò che era palese ma che per opportunismo o conformismo molti hanno voluto testardamente negare. Cioè che lo Ius soli è una forzatura ideologica dei fautori del multiculturalismo che non risponde ad alcun criterio reale di giustizia sociale. Su questo fronte la sinistra ha mostrato la sua disarmante nudità.
Ma non è tutto. Kawtar Barghout ci ha donato un’autentica perla di saggezza quando ha definito il comportamento prone verso le autorità islamiche delle signore della politica italiana ed europea: Laura Boldrini, Emma Bonino e Federica Mogherini, un oltraggio alla causa delle donne musulmane che combattono per l’emancipazione nei loro Paesi. Quelle teste velate al cospetto dei potenti degli Stati islamici alla giovane Kawtar non sono piaciute. Peggio, hanno provocato rabbia e frustrazione per un’ostentata sudditanza delle occidentali che nuoce principalmente alla causa delle donne musulmane. Come combattere il radicalismo che è un portato delle interpretazioni più restrittive della religione islamica, si è chiesta Kawtar, se le prime a prostrarsi al maschilismo, anche violento, di certe culture sono proprio quelle donne europee che si spacciano per campionesse della parità di genere e del riconoscimento della dignità femminile? Che forza questa Kawtar! Non l’ha mandato a dire alle nostre vestali del politicamente corretto. Si è occupata di persona di far sapere a tutte le loro, progressiste a corrente continua, che certe debolezze e ammiccamenti ai potenti di turno dell’islamismo sono una pugnalata piantata alla schiena di chi, in contesti complicati e repressivi, combatte per affermare i propri diritti di libertà. È vero, quelle teste velate fanno a pugni con un’altra immagine che i più anziani di noi portano nel cuore ricordando con grande ammirazione una piccola grande donna italiana.
Oriana Fallaci, differentemente dalle suffragette dell’odierna politica nostrana, ebbe il coraggio di sfidare l’oscurantismo degli ayatollah. Il 26 settembre 1979, durante un’intervista-confronto con l’ayatollah Khomeini che da poco aveva rovesciato il trono dello Scià di Persia, quello scricciolo di donna si tolse improvvisamente il chador, che le avevano costretto a indossare come condizione per tenere l’intervista, definendolo uno stupido “cencio da Medioevo” e un simbolo della segregazione femminile. La Fallaci che non ebbe paura di dare del tiranno e del fascista alla massima guida spirituale del nuovo Iran, gli contestò che costringeva le donne “a nascondersi come fagotti sotto un indumento scomodo e assurdo con cui non si può lavorare né muoversi”. A quarant’anni quasi di distanza da quello straordinario pezzo di giornalismo abbiamo compiuto un bel salto all’indietro precipitando dalle altezze di una Fallaci che sfida l’oscurantismo misogino di un Islam retrogrado scoprendosi il capo, alla pusillanimità di una Mogherini o di una Boldrini che si coprono la testa per compiacere i nuovi padroni.
Sapevamo bene della codardia di una cultura progressista che pur di non contraddire i suoi presupposti ideologici è pronta a farsi complice delle peggiori espressioni della tirannia, ma c’è voluta Kawtar Barghout, una semplice ragazza musulmana innamorata della terra che l’ha accolta, a ricordarcelo. Ce ne vorrebbero altre cento, mille Kawtar Barghout per risvegliare dal sonno della ragione, nel quale sono sprofondati per effetto del sortilegio multiculturalista, quegli italiani che hanno ancora la mente intorpidita.