Le
 responsabilità etiche e civiche degli attori della 
vicenda: dall’ingresso della Lexie nelle acque territoriali indiane al 
rientro dei 2 Fcm nel marzo 2013, dopo il permesso pasquale. Che fare 
ora?

 
Pian
 piano, ma con la forza di uno tsunami, vengono alla luce documenti 
illuminanti e sconvolgenti sulla vicenda che ha coinvolto da oltre tre 
anni i due nostri Fucilieri del San Marco, i sottufficiali Latorre e 
Girone, in quella odissea iniziata il 15 Febbraio 2012, quando erano 
imbarcati sulla nave E. Lexie per proteggerne l’equipaggio da attacchi 
dei pirati. Nell’analisi che segue, saranno richiamati alcuni aspetti 
salienti per evitare che si perdano nella nostra “memoria corta”; non 
saranno tralasciate verità note, anche se amare e sgradevoli, ben 
lontani dai soliti panegirici, e cercando di mettere insieme dei quadri 
d’insieme chiari e intelligibili, non fuorviati da personalizzazioni, ma
 neppure lasciati scolorire dal tempo trascorso: anche perché i 2 FCM 
non sono ancora “usciti” da questo fosco quadro che ha pennellate 
talvolta incredibili e angosciose, nell’ambito di una tremenda serie di 
esperienze che dura da oltre tre anni di detenzione.
Non tutto 
quello scritto in proposito è risultato poi corretto dal punto di vista 
fattuale e anche storico; in alcuni casi sono emerse opinioni fortemente
 partigiane, viziate ideologicamente, stupidamente giustizialiste, con 
conseguenti pre-giudizi che, invece, non possono essere accettati, se 
non con notevoli riserve. Col passar del tempo si potrà conseguire un 
affinamento dei primitivi, e talvolta falsati, apprezzamenti, per 
disporre, alla fine, dell’autentica verità storica anche sulle decisioni
 importanti prese dai responsabili tecnici e politici, nei vari momenti 
topici di quell’odissea. Ciò richiede pertanto un’attenta rilettura di 
una delicata pagina di storia italica imperniata sui Fucilieri, con 
un’obiettiva meditazione sull’intera vicenda, sullo scenario 
internazionale, sul diritto delle genti, ma soprattutto sui 
comportamenti e sull’etica della responsabilità, più di quella della 
convinzione, di quei personaggi che hanno avuto un ruolo decisivo nella 
vicenda, attraverso il setaccio di una approfondita analisi 
professionale e morale. Dicendo, che piaccia o meno, “pane al pane e 
vino al vino” senza schieramenti preconcetti e con la massima possibile 
trasparenza intellettuale, avendo a mente prima di tutto un approccio 
giuridico liberale e garantista, senza mai ergersi a giudici, tantomeno 
giustizionalisti, che -in qualche caso- hanno sputato sentenze 
definitive di condanna, ancor prima del processo.
Scorrendo il film dell’odissea, la storia inizia come ben noto, con il “presunto incontro”
 della nave Lexie con un peschereccio indiano, il Saint Anthony che, 
incrociando in un’area infestata da pirati, dirige in rotta di 
collisione, a puntare contro il mercantile italiano, senza mai alterare 
la rotta nonostante gli allertamenti ottici e audio, e perfino dopo 
alcuni colpi sparati in acqua. Presunto e tutto da dimostrare;
 infatti non torna nulla – né le posizioni relative dei punti 
nave-peschereccio, né l’orario dell’accadimento. Dalla disamina dei 
documenti e dalle testimonianze di chi era a bordo, ma anche dalle 
ammissioni a caldo dello stesso padrone del St. Anthony, gli orari e le 
posizioni non tornano. Infatti, la Lexie, in precedenza, ben 5 ore prima
 rispetto all’orario del sinistro, era stata oggetto di incursione di un
 peschereccio sospetto di pirateria, caratterizzato da colori diversi 
dello scafo e della tattica seguita per l’avvicinamento rispetto a 
quelli del predetto St.  Anthony; tale evento risulta segnalato dalla 
nave al Comando della Squadra Navale, con un breve rapporto che –
 da successive indagini – risulta inviato dal Comandante della Nave alle
 19,00 con un GDO (gruppo data orario) che dimostra come sussisteva tale precedente “encounter” avvenuto alle 16 e 30 del giorno stesso, e non torna con quello incriminato delle 21 e 30 circa.
 Dall’analisi dei documenti emerge tale fatto, così come che, nel 
sinistro presunto successivamente occorso alle 21 e 30, le posizioni 
cristallizzate a quel tempo vedono la Lexie a circa 20 miglia nautiche 
dal porto di Kochi, ben distante -oltre 25 miglia- dal Saint Anthony, 
mentre c’erano unità mercantili limitrofe (la Olympic Flair, greca, ecc)
 vicino a circa 2 miglia. Dal presunto sinistro risulta che due dei 
pescatori imbarcati sul predetto St. Anthony siano deceduti, colpiti da arma da fuoco il cui calibro non torna, assolutamente, con quello in dotazione ai FCM del San Marco. Quindi sotto
 il profilo tecnico e ambientale risulterebbe che i 2 FCM siano del 
tutto estranei al sinistro che gli viene imputato dalle autorità indiane;
 resta impregiudicato il fatto che, comunque la si rigiri, l’Enrica 
Lexie -ammesso e non concesso che sia stata coinvolta nel sinistro- si trovava anche alle 21 e 30 indiscutibilmente in acque internazionali,
 ben al di fuori di quelle territoriali indiane, in cui vige sull’unità 
navale in navigazione -per qualunque inconveniente o incidente- il 
diritto dello Stato di bandiera, cioè italiano fino a prova contraria. 
Ergo, la nave Lexie ed il team degli FCM imbarcati sono del tutto 
estranei al sinistro, successivamente attribuito loro; le autorità 
indiane, dopo, con una spregevole menzogna e con l’inganno li invitavano
 ad entrare in porto a Kochi per il riconoscimento di una barca di 
presunti pirati: gli indiani si sono comportati da farabutti e gli italiani, pur consci della propria innocenza, da ingenui dilettanti.
 Ma allora com’è potuto accadere che la nave italiana sia entrata nelle 
acque territoriali indiane, svestendosi da ogni tutela del diritto 
internazionale? Come noto il team del San Marco imbarcato era alle 
dirette dipendenze del Comando della Squadra Navale (CINCNAV) cui 
riferiva degli eventi salienti occorsi con telegrammi o mail ad elevata 
priorità su eventuali occasioni di incontro con pirati o sospetti tali 
–come nel caso dell’evento delle 16 e 30 inviato alle 19,00 dal 
Comandante, quando il sinistro in parola era di là a venire, per 
richiedere eventuali autorizzazioni a specifici comportamenti seppure 
già regolati dalle esistenti ROE della missione. Il Comandante della 
Nave, invece, manteneva la dipendenza operativa dal suo armatore quale 
datore di lavoro e, indirettamente, dal Minitrasporti, per quanto 
attiene alla condotta della navigazione e alla sicurezza del bastimento 
affidatogli in comando. La responsabilità di autorizzare la nave ad 
aderire alla farisea richiesta indiana è stata rimbalzata a destra e 
manca, adducendo innanzitutto a una scarsa chiarezza del decreto 
d’imbarco dei team del San Marco per tali missioni, mentre in realtà sia
 la linea di comando Difesa nella sua interezza che l’armatoria/ 
Minitrasporti hanno posto in atto una decisione “buonista e di 
convenienza” che è risultata –che piaccia o meno- la causa primaria 
dell’innesco di tutta questa nefanda vicenda. Come giustamente 
sostiene il Ministro Terzi, pro-tempore degli Esteri, la Farnesina fu 
avvisata del sinistro e dell’eventualità di aderire alla richiesta 
indiana di entrare a Kochi, soltanto 5 ore più tardi per un parere, 
allorquando la Lexie era già stata autorizzata dai predetti ad entrare, 
ed era entrata: la risposta immediata e documentata di Terzi, ma
 purtroppo tardiva, vietava in ogni modo l’ingresso, in quanto l’ABC 
della diplomazia prescrive che allorquando capiti un qualunque 
evento in acque o territori internazionali, le bocce si fermano e si 
deve restare comunque fuori, senza mai entrare nel territorio della 
Nazione limitrofa, pena la perdita di ogni facoltà e privilegio connessi
 con il diritto internazionale. Un errore madornale, la cui paternità è 
stata rimbalzata fra il comparto Difesa e quello armatoriale, con delle 
accese e antipatiche note anche sul piano mediatico dell’epoca, e solo 
parzialmente giustificato giacché -si diceva- “ nulla da temere, entrando a Kochi, perché non avevano commesso alcun misfatto”.
 Peccato che non sia stata allertata per tempo l’unità di crisi della 
Farnesina, e lasciata la gestione alla Difesa-Trasporti che hanno 
combinato la frittata, accusandosi reciprocamente della responsabilità 
finale: per dirla tutta, CINCNAV, il COI e gli Alti Vertici Difesa se 
non hanno dato una luce verde, non hanno neppure posto un veto 
all’ingresso della nave, e in assenza di contrordini l’armatore, per 
questioni d’interesse commerciale, ha condiviso l’approccio glissatorio 
della Difesa.
Le responsabilità sono ovvie e qualcuno, alla 
fine, dovrà essere chiamato a risponderne, visto il patatrac combinato, 
seppure con le attenuanti del caso; invece di una seria 
inchiesta governativa che dirimesse i dubbi e facesse chiarezza sulle 
specifiche responsabilità, sembra che al solito finisca tutto “a 
tarallucci e vino”: nella melassa nessuno -più in alto- ha preso la 
decisione di chiarire chi ha sbagliato e in tale melma nuotano così 
colpevoli e innocenti, attori e comparse, senza distinguo. In compenso, 
come giustamente rileva uno dei pochi giornalisti degni di quel nome, 
Tony Capuozzo che ha seguito in modo puntuale ed appassionato la 
vicenda, a prescindere dalle responsabilità ancora formalmente non 
acclarate, alcuni alti gradi hanno “fatto carriera” e, come quasi sempre
 capita nel nostro Paese, nonostante tutto, sono stati distribuiti 
“premi e cotillon” ai partecipanti, anche con nomine successive di 
assoluto rilievo! Mah!
Con un volo d’uccello di oltre un anno 
dall’evento, dimenticandosi per un attimo dei reiterati voltagabbana, 
prese di posizione e sgarbi indiani, e degli sgradevoli slittamenti del 
processo da parte della loro Corte Suprema, ma rammentando che nel 
periodo la giurisdizione era stata trasferita dal Kerala a New Delhi e 
passata la mano alla NIA (sorta di nostra DIGOS che tratta casi di 
terrorismo…) per rifare le indagini e ricostruire gli eventi, la nostra 
diplomazia era riuscita ad ottenere un permesso per i 2 FCM , in 
occasione della Pasqua 2013, motivato dalla necessità di votare ( ? ) in
 Italia (cosa ovviamente non necessaria, in quanto il personale 
all’estero poteva legittimamente votare in Ambasciata…). Lo scopo era 
quello, architettato dalla nostra diplomazia e confermato da Terzi, di 
farli giungere in Italia in qualche modo, e poi trattenerli usando i 
legittimi strumenti giuridici esistenti; ciò, pur a fronte di una sorta 
di promessa del rientro, avendo firmato un “affidavit” che tuttavia non poteva infrangere il nostro dettato Costituzionale, né i diritti fondamentali dell’uomo.
 Una volta in Patria, i 2 FCM sarebbero stati “presi in forza” dalle 
nostre Procure e giudicati in Italia secondo il diritto internazionale, 
senza farli quindi rientrare in India, ma bloccandoli doverosamente da 
parte della nostra magistratura per le indagini e le incombenze del 
caso. Al loro arrivo a Roma, tutte le voci governative dei “tecnici” 
dell’ineffabile Monti, suonavano all’unisono e tuonavano, anche 
formalmente, che i 2 FCM non sarebbero rientrati in India, avendo pieno 
titolo, l’Italia, ad esercitare le norme del diritto internazionale e, 
in aggiunta, quelle sacrosante dell’immunità funzionale di cui sono 
destinatari tutti i soldati al mondo inviati istituzionalmente ad 
operare in suolo straniero o internazionale: sembrava l’alba di una 
ritrovata sovranità nazionale e della dignità. Quelle voci roboanti, 
quasi elettoralistiche, hanno urlato all’unisono fino alla vigilia del 
previsto rientro; nottetempo, fra il 22 ed il 23 marzo, la 
decisione -inattesa ed incredibile- di farli rientrare, è stato un 
fulmine a ciel sereno, devastante : tranquilli italiani; i 2 FCM sono rientrati “spontaneamente” tenendo fede alla “parola data” e, da parte indiana “ abbiamo avuto assicurazione che non sarà applicata la pena di morte, prevista in India, e loro rientreranno presto in Italia!” Quante menzogne imbastite per giustificare tale decisione e quanto “asincronismo” nella nostra magistratura!
Ricorderete che ci fu un po’ di ruzza nelle file del governo, col 
silenzio consenziente dei più alti colli, e con accuse malevoli nei 
confronti del Ministro Terzi, ancora ministro degli Esteri, che rassegnò
 seduta stante le dimissioni di fronte ad una situazione così indecorosa
 ed incoerente, mentre i tecnici Passera, Riccardi e Di Paola, per 
motivazioni e interessi personali e di bottega diversi, furono i 
sostenitori farisei -se non gli artefici del cambiamento- della mutata 
linea Monti. Le opinioni correnti che la nostra stampa prezzolata, ora, 
ci forniva si erano ri-orientate “all’onore sacro di mantenere la parola
 data con gli indiani”, che avevamo firmato col sangue una specifica 
carta per il loro rientro, stante comunque “l’assicurazione che non 
verrà applicata la pena capitale” e ancora “che presto, dicono gli 
indiani, ritorneranno in Patria”.
Và anche ricordato che nel periodo
 immediatamente precedente la decisione, non sono mancate le rimostranze
 indiane, con pressioni di ogni genere e con vere e proprie rappresaglie
 sia nei confronti del locale Ambasciatore a cui venne ristretta la 
libertà di movimento, sia da parte di quella “signora piemontese, la 
Sonia Ghandi” la quale ci ricordava che con l’India non si scherza e che
 dovevamo riconsegnare i 2 FCM al più presto, altrimenti…! Presi 
evidentemente da strizzoni non tanto morali, quanto connessi alla paura 
di perdere i vari business con l’India (che poi abbiamo perso, 
rientrando con le pive nel sacco su tutti i fronti…) e per altre ragioni
 ancora oscure, l’Italia si genufletteva al volere indiano e rigettava a
 mare per la seconda volta, questa volta in modo più ragionato e del 
tutto vergognoso, i due poveri militari. Beninteso, oggi si scopre che 
non era questa la loro volontà, e il loro rientro è stato “spintaneo più che spontaneo”
 anche se qualcuno ha voluto farci credere il contrario; voglio vedere 
chi, da sempre dichiaratosi innocente e comunque avendo obbedito a 
ordini istituzionali del proprio Paese, va volentieri verso il patibolo!
 Anche se va ripetuto che i 2 Fucilieri hanno sempre dimostrato una 
dedizione ed un senso del dovere altissimo, fuori della norma. Solo 
degli imbonitori falsi che mentono sapendo di mentire, possono tentare 
di far credere certe panzanate a degli ignari e sprovveduti cittadini, 
cercando pure il consenso mediatico di una stampa allineata e coperta. 
Alcuni ingenui, anche in buona fede, avevano sostenuto la bontà finale 
della scelta governativa, soprattutto per aver rispettato la parola 
“data”; allocchi, fuorviati o prezzolati?
Ma, di là delle categorie 
di appartenenza e di credenza, avrebbe dovuto prevalere un concetto 
machiavellico; chi è tenuto a rispettare la parola data con dei 
mentitori, dei gaglioffi o peggio, dei pirati, che oltre a non 
rispettare norme del diritto internazionale che loro stessi avevano 
sottoscritto, detenevano illegittimamente 2 nostri figli che operavano 
soprattutto nell’interesse indiano, visto che combattevano la pirateria 
lungo le loro coste?
Sta di fatto che le opinioni, vista 
l’ermeticità delle informazioni e la devianza della realtà, si 
dividevano in buona misura fra favorevoli e contrari al rientro; per 
fortuna il tempo è galantuomo, mentre è ormai assodato che “le bugie 
hanno le gambe corte” ed il rischio che “ il diavolo faccia le pentole 
senza i coperchi” esiste davvero: bisogna solo aver pazienza che il vaso
 di Pandora si apra. Già le dichiarazioni dell’ex ministro Terzi, con 
dati alla mano avendo vissuto gli eventi di quel Caporetto in prima 
persona, ci avevano illuminato su come erano andate a finire le cose, 
mentre erano state pre-pianificate e tessute con grande diplomazia, in 
modo esattamente contrario. Da tempo è emerso che i 2 FCM sono stati 
fatti rientrare sotto la forte spinta dell’allora ministro Passera, 
convincendo anche Monti che la sorte di 2 poveri militari non valeva 
certo il business con gli indiani; ciò con l’avvallo di Di Paola, che in
 quanto Ministro della Difesa, era l’unico che poteva ordinare 
gerarchicamente ai 2 fucilieri di restare o partire, seguito da Riccardi
 che, curando la cooperazione “clericale”, aveva interesse a non creare 
dissidi con gli indiani.
Dal vaso di Pandora è fuoriuscito in questi giorni un documento “bomba” dell’allora ministro della Giustizia Severino,
 in cui si diffidava il governo di restituire i 2 FCM in quanto ciò era 
contrario alla nostra Costituzione, contro quella Europea e quella dei 
Diritti dell’uomo, la CEDU firmata a Roma oltre mezzo secolo fa. E che, 
comunque, estradare i nostri 2 FCM verso un Paese in cui vigeva e vige 
tuttora la pena capitale, non doveva aver luogo per nessuna ragione; 
tant’è: il governo li ha restituiti, fregandosene del parere formale del
 nostro Guardasigilli.
Se prima le opinioni potevano divergere, ora, con la “dischiusura” di tale documento non ci sono più dubbi : loro, i ministri, hanno agito in modo illegale e contro la Costituzione, per cui devono pagarne le conseguenze chiarendo ogni aspetto con una autentica Commissione di Inchiesta che faccia chiarezza su queste nefandezze.
 Chissà quali altri scheletri sono custoditi in segreto e che altro 
uscirà fuori da quel vaso prima dell’epilogo di questa odissea!
Un 
altro anno abbondante, anzi due, sono trascorsi da quella data infausta,
 con tante promesse di riportarli a casa; ogni nuovo Miniesteri che 
s’insedia promette loro libertà e gli fa una telefonata di prammatica, 
ma il tempo corre e nel frattempo uno, Latorre, è stato colpito da ictus
 ed ora è degente in Italia, mentre Girone -a cui sono stati negati 
altri permessi- si trova in Ambasciata a Delhi. Una situazione d’impasse
 che nonostante le promesse di “internazionalizzare” la faccenda e 
avviare “l’arbitrato obbligatorio”, già sventolato dal duo 
Mogherini-Pinotti, e poi dal neo- Gentiloni, i tentativi diplomatici di 
trovare una soluzione accettabile sono miseramente naufragati. Forse è 
meglio così, piuttosto che aderire a quelle vergognose forme di scambio,
 basate su ignominiosi baratti, con fantasticherie di alcuni onorevoli 
che sono servite solo a calpestare l’onore di quei soldati (da Lapo 
Pistelli, al duo Manconi-Malan…), oppure dover assistere agli sproloqui 
dei pro-indios che già li hanno condannati quali assassini, e ancora per
 ultimo, di ieri, a quelle indecenti e allo stesso tempo demenziali 
affermazioni del rifondarolo comunista che vorrebbe vederli impiccati 
(Pantaleoni…).
Ora, dopo oltre 2 anni, vista l’inefficacia delle 
azioni condotte e dai silenzi imposti “per non disturbare gli indiani…” 
viene riproposto quell’arbitrato internazionale, già avanzato da Terzi 
nel 2013 che, gestito dal tribunale di Amburgo in accordo con la 
Convenzione sul Mare, serve proprio a dirimere questioni del genere, con
 un giudizio terzo e “liberando” i 2 FCM dalle grinfie indiane. Nella 
consueta deficienza d’informazioni italica, attenderemo di leggere i 
giornali indiani, per capire se è stato avviato l’arbitrato obbligatorio, oppure quello classico-consensuale:
 se fosse stato avviato il secondo, ancora una volta per non disturbare 
gli indiani, dovremo attendere altri 2 o 3 anni prima di arrivare ad una
 qualche conclusione. Speriamo che invece sia stato avviato il primo e 
che nel giro di qualche mese si giunga a un giudizio finale, altrimenti 
sarebbe un’inaccettabile nuova farsa.
In definitiva, ora bisogna puntare con ogni possibile determinazione all’arbitrato obbligatorio che prevede il giudizio, anche se l’altra parte -l’India- è contumace; trattenere qui, quindi, Latorre
 in attesa dell’esito del predetto istituto; infine, se gli indiani 
continuano nella loro pervicacia contro le norme internazionali, 
sentirsi ampiamente autorizzati a dar corso ad un intervento di forze speciali per riportare a casa Girone: degli indiani ne abbiamo pieni gli “zebbedei”!
Ma prima che sia avviato un giusto processo che chiarisca 
definitivamente i dubbi ancora esistenti, e non farsi scoppiare la testa
 a forza di “pensarci troppo e parlarne mai” secondo le direttive 
governative date a una stampa sempre prona al potere, silente e ormai avulsa da quel ruolo essenziale del “cane da guardia”sociale”, sarebbe cosa saggia e giusta soddisfare la necessità di informare il cittadino comune di ciò che si sta facendo senza la solita fuffa, e come stanno davvero le cose; l’opinione pubblica, di là delle finalità teleologiche dei governanti, ha diritto di sapere chi ha sbagliato nel gettare ripetutamente in mano agli indiani, i nostri figli Fucilieri: l’avvio
 di Commissioni di Inchiesta per dirimere i dubbi sull’etica e sui 
tradimenti perpetrati nei loro confronti è un dovere ormai ineludibile, 
che uno Stato di diritto deve porre in atto. Subito!
Giuseppe Lertora - 13 luglio 2015
fonte: http://www.liberoreporter.it