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Non smettete mai di protestare; non smettete mai di dissentire, di porvi domande, di mettere in discussione l’autorità, i luoghi comuni, i dogmi. Non esiste la verità assoluta. Non smettete di pensare. Siate voci fuori dal coro. Un uomo che non dissente è un seme che non crescerà mai.

(Bertrand Russell)

21/09/17

La moralista Boschi punta i nostri risparmi


La moralista Boschi punta i nostri risparmi


L’italiano medio è ormai abituato a tutto. Che i centri trasfusionali siano affidati ai vampiri, che i fantasmi lavorino alle Urp pubbliche (uffici relazioni pubbliche di Asl e ministeri) e, udite udite, che Maria Elena Boschi (rampolla dei cattivi banchieri) ci dispensi lezioni di trasparenza bancaria. Obiettivo della furba toscana sarebbe permettere alle banche di guadagnare di più con le transazioni, e perché la “ministra” intende tassare (o multare) un determinato numero di pagamenti che il cittadino effettui per contanti, e per invogliarlo ad usare bancomat, carta di credito e moneta elettronica varia. È evidente che la Boschi stia obbedendo ad ordini superiori, ovvero a quelle consorterie che lavorano alla moneta unica (elettronica mondiale) e che vorrebbero la gestione della moneta del pianeta nelle mani di pochissime persone. E, per ammantare d’onesta la macchina del fango contro il contante, quelli dell’attuale governo si sono inventati che la moneta elettronica servirebbe per combattere l’evasione fiscale e il lavoro nero.
Così spunta il nuovo intervento governativo (firmato Boschi) per spingere all’emersione dei contanti da pavimenti e materassi. Una sorta di nuova “voluntary” sul denaro cash è così allo studio della prossima legge di bilancio. Nel caso decidessero di portare avanti questo intervento, la misura verrebbe inserita nel “decreto collegato alla manovra”, che dovrebbe contenere anche la “rottamazione bis delle cartelle”.
Tra le ipotesi che permetterebbero al governo di agguantare i risparmi sotto il mattone, ci sarebbe un obbligo (per chi beccato a non mettere i soldi in banca) ad investirne metà della somma emersa in titoli di Stato. Di fatto il conto corrente in banca non è più una sorta di cassetta di sicurezza in cui depositare i soldi. Un tempo potevamo prendere e versare quanto denaro ci pareva, oggi è solo un lontano ricordo. Su ogni risparmiatore viene puntata una sorta di telecamera che controlla cosa facciamo del nostro danaro e quanto ne accantoniamo. Dall’altra parte di questa telecamera c’è il socio delle banche, ovvero l’Agenzia delle entrate: il Fisco, pur sapendo quali sono le nostre possibilità economiche, osserva se i conti quadrano e se facciamo un uso non gradito al sistema dei nostri risparmi. Il controllore (ovvero lo Stato) vuole sapere se facciamo un prelievo troppo elevato, o ne facciamo tre o quattro più ridotti in pochi giorni. Se depositiamo dei soldi vuole sapere da dove arrivano. È una sorta di vicina di casa curiosa, vuole sapere tutto e capire se ci godiamo la vita. L’Agenzia delle entrate sarà sempre più costretta a farsi gli affari tuoi: compito dello Stato sarà anche scoprire se si hanno amanti o divertimenti notturni. Lo Stato sarebbe già pronto ad entrare (a mo’ di Grande Fratello) nell’uso etico e morale dei nostri risparmi. Ben presto si dovrà spiegare se si è andati al ristorante con la moglie o con l’amica. Lo Stato sta celermente arrivando a questo.
Altro discorso è se si prelevano dei soldi dal conto per darli ad altra persona: c’è un limite di 2.999,99 euro. Dai 3mila euro in poi si dovranno giustificare al fisco la transazione con altro soggetto: spiegando il motivi dettagliati di questo gesto, che non ammette generosità e/o aiuti agli amici. Per il fisco non c’è beneficenza che tenga. Se si viola questo divieto si subisce una sanzione amministrativa che va dai 3mila ai 50mila euro (a partire dal 4 luglio 2017 non vale più la vecchia pena compresa tra l’uno e il 40 per cento dell’importo trasferito).
Pare strano che ad erigersi a censore sia proprio la Boschi, che insieme a compare Matteo Renzi e sodali di genitori, amici e parenti dovrebbero dirci nel dettaglio come e perché sono stati usati per oscure finalità politiche i soldi delle banche di Arezzo e Siena.

20/09/17

Bambini super-impegnati: lo stress comincia da piccoli ?

Giornate colme di impegni che si dividono fra studio, sport, hobbies e attività extrascolastiche. Riempire l'agenda di bambini è consuetudine di molti genitori, ma bisogna fare attenzione a non esagerare


In tempi in cui le innovazioni tecnologiche e l'estrema varietà negli interessi scolastici e sportivi sono all'ordine del giorno, in cui la vita diventa spesso una corsa continua fra un impegno e l'altro prima di poter arrivare a fine serata, ecco che, anche le giornate dei ragazzi e dei bambini "moderni", si allineano sempre più frequentemente a questo trend, attraverso un mix di impegni, attività scolastiche ed extrascolastiche.

Ma quanto è salutare tutto ciò per la crescita, lo sviluppo e la serenità dei nostri figli? "Sicuramente offrire dei validi stimoli fin da piccoli può essere importante per lo sviluppo cognitivo ed affettivo di un bambino" risponde la Dott.ssa Giorgiana Ciocci, psicologa per l'infanzia, adolescenza e famiglia "ma se si eccede si rischia di procurare un certo stress nell'individuo seppur piccolo. Ciò può esprimersi attraverso l'insorgere di paure, di modalità aggressive o di una forte stanchezza che non influisce di certo positivamente sul rendimento scolastico."

Non dimentichiamo infatti che i bambini passano gran parte del loro tempo a scuola e necessitano per questo di una buona dose di energia. "Essere impegnati costantemente può influire sull'intero sistema mente-corpo e sui processi cognitivi, primi tra tutti sull'attenzione e sulla concentrazione" continua la dottoressa, che sottolinea un altro aspetto da non sottovalutare: riempire l'agenda di bambini o ragazzi comporta inevitabilmente un minore accesso al gioco spontaneo, determinando, di conseguenza, una gestione poco spontanea del tempo libero. "E' importante lasciare i propri figli liberi di scegliere come passare il tempo a disposizione e non pretendere che assecondino ritmi frenetici o mille attività come se fossero già adulti."
La psicologa mette in guardia sul rischio che i bambini possano perdere la capacità di abbandonarsi ad un mondo ricco di fantasia ed immaginazione che nessuna attività strutturata ed organizzata e nessun compito guidato possono in alcun modo fornire. Spesso, dietro bambini super impegnati sono presenti genitori ansiosi di vedere i propri figli competere e primeggiare rispetto ad altri, sottoponendoli a richieste di sfide o di desideri di "essere all'altezza", non appropriati all'età. "Il rischio che si corre è di crescere affiancati ad un ideale troppo elevato, verso cui il confronto risulta spesso carente. Di ciò non può che risentirne l'evoluzione di una adeguata autostima a vantaggio di una futura ansia da prestazione. E ancora, dietro bambini super impegnati, ci sono genitori che vorrebbero vedersi realizzati attraverso i propri figli, chiedendo per essi ciò che loro non hanno avuto o raggiunto. Questo è sì l'espressione dell'amore di un genitore per un figlio, ma non dimentichiamo che i desideri passati di un genitore non necessariamente coincidono con quelli di un figlio, il quale ha il diritto di scoprire i propri sogni".

Un bambino ha bisogno di sperimentarsi, di scegliere quale attività svolgere, di sbagliare, di cambiare. Ha bisogno di essere aiutato a comprendere il tempo che ha a disposizione e a gestirlo, non solo ad impegnarlo. Conclude infine la dottoressa Ciocci: "Un bambino deve giocare: da solo, con i propri coetanei, con i propri genitori, deve dare libero sfogo alla propria creatività per iniziare a tessere la tela delle proprie capacità ed inclinazioni. L'infanzia è una fase fondamentale nella vita di ogni individuo e sarebbe ingiusto confinarla a continui condizionamenti imposti dall'adulto e dalla società."

di Daniela Raspa   (a cura di Nexta) 

Fonte: http://www.lastampa.it

Viktor Orban: bisogna resistere sino alle elezioni (Il Governo è pronto a difendere il futuro dell’Ungheria cristiana. )


Ringraziamo il nostro amico Andras Kovacs, che ci ha inviato la traduzione di questo articolo di Ignác Károly, pubblicato sul sito aktualis.blogstar.hu

 


Dobbiamo imporci contro il progetto di Soros che vuole trasformare i paesi dell’Europa Centrale in paesi di immigrati e di cultura mista – ha detto il primo ministro Viktor Orbán sabato al 9° congresso dell’Associazione degli Intellettuali Cristiani, nel Parlamento.
L’ideologia dei “paesi per l’immigrazione” è il liberalismo, mentre l’ideologia dei “paesi contro l’immigrazione” è la sovranità e l’insegnamento sociale cristiano – ha spiegato il capo del governo. Ha continuato: l’acquisizione del liberalismo dell’odierna Europa Occidentale da parte degli europei del centro sarebbe un suicidio intellettuale e alla fine entro breve tempo anche noi diventeremmo un paese di immigrati con delle culture miste. Anche da noi esisterebbe il terrorismo, non ci sarebbe la difesa dei confini e al posto dell’aiuto alle famiglie, bilancerebbe la decadenza demografica “un’importazione di popoli”.
“Il programma della creazione dei paesi di immigrati è un progetto che nel linguaggio comune viene chiamato piano Soros, e si tratta di un piano di azione che descrive nei dettagli come e in che modo bisogna trasformare i paesi dell’Europa centrale – che si oppongono – in paesi di immigrati.” – ha detto il capo del governo.
Secondo Viktor Orbán “è vietato aprire una fessura sullo scudo”, bisogna resistere fino alle prossime elezioni, perché il governo è pronto a difendere il futuro dell’Ungheria cristiana. “Devono accettare tutti, anche a Bruxelles, che noi non saremo un paese di immigrati” – ha sottolineato.
Il primo ministro ha spiegato che oggi è ancora tabù nella politica europea dire che c’è una tensione tra i paesi pro immigrazione e quelli contro l’immigrazione ed è la sfida storica dei leader europei la creazione della convivenza tra questi gruppi di paesi.
“Se non ci riescono, allora questa tensione può creare un distacco ancor più forte di quello odierno, un distacco definitivo nella storia della politica europea.” – ha sottolineato.
Secondo il punto di vista dell’Ungheria – ha continuato – i paesi pro immigrazione svolgono una politica estera sbagliata, hanno perso il controllo sui propri confini e senza difendersi da una migrazione dell’epoca moderna hanno scelto una nuovissima direzione di sviluppo.
Ha aggiunto che all’Occidente i diritti civili degli immigrati hanno una priorità maggiore rispetto alla volontà dei cittadini europei che non vogliono farli entrare come immigrati illegali.
Secondo le sue parole i “paesi pro immigrazione” sono il pericolo maggiore ai valori europei, perché è in pericolo la libertà di religione, la parità tra uomini e donne, e anche la lotta contro l’antisemitismo perché degli immigrati nell’Europa Occidentale possiamo dire che “non sono per niente in alleanza con il popolo dell’Antico Testamento”.
Noi seguiamo la vecchia legge secondo la quale un paese senza confini è come un uovo senza guscio – ha detto, precisando: l’Ungheria non dimentica che durante la costruzione del recinto i tedeschi, gli austriaci e i media occidentali ci giudicavano con arroganza e a livello mondiale hanno diffuso delle calunnie – che non erano altro che una campagna ordinata a livello centrale – contro il nostro paese.
Viktor Orbán ha sottolineato: il governo vuole un’Ungheria ungherese e un’Europa europea, il che è possibile solo se vogliamo un’Ungheria cristiana in un’Europa cristiana, perché solo questo ha un futuro.
Ha spiegato ancora il suo punto di vista, secondo il quale nel caso di una migrazione, i paesi in difficoltà vanno aiutati dove sussiste il problema e non ha senso far migrare loro qua, perché in quel modo ci prendiamo sulle spalle anche i problemi.
Ha aggiunto che proprio con la partecipazione dei grandi paesi europei è stata bombardata la Libia, che fino ad allora tratteneva l’ondata degli immigrati e anche la Siria è stata rovinata grazie all’intervento occidentale.
Circa i partiti ispirati dal cristianesimo il primo ministro ha detto: il compito della politica cristiana non è la difesa dal cristianesimo bensì la difesa delle forme di vita umana da esso derivanti, come per esempio la dignità umana, la famiglia, la nazione e le chiese. Secondo lui questo rende possibile che i partiti democristiani ottengano più voti del numero dei fedeli nella società.
È una legge millenaria che l’Ungheria non può esistere senza dignità umana, senza famiglie sane, senza forti legami nazionali e senza solidi legami di fede – ha detto sottolineando: “Il governo è convinto che ciò che è buono ai cristiani ungheresi sia buono anche all’Ungheria”.
Per quanto riguarda gli intellettuali cristiani Viktor Orbán ha detto: “noi siamo quelle persone della società ungherese che ci vediamo per ciò che Dio ci ha creato ed il nostro interesse non è opporci alla volontà del Creatore, ma contrariamente, è nostro dovere osservare la sua precisa esistenza.”
Il cristianesimo è l’eredità dell’Europa che si deve tutelare – ha detto alla conferenza Péter Erdő, Cardinale Primate, Arcivescovo di Esztergom-Budapest.
Péter Erdő ha sottolineato: quest’eredità può essere sprecata “come fa il discendente stupido con l’eredità preziosa dei nonni”, ma può anche essere rispettata e messa nel centro della nostra vita sotto una “nuova luce”.
János Latorcai, il vicepresidente del Parlamento ha detto: l’Ungheria di nuovo è diventata paese di frontiera. La questione dei prossimi decenni è se cadiamo e affondiamo nelle onde della migrazione della nuova era, oppure saremo capaci di costruire delle fortezze che non saranno trasportate dalla corrente.

https://www.riscossacristiana.it By On · 2 Comments

di Ignác Károly

Contatto: kovacs.andras.viktor@gmail.com

Fonte:  http://aktualis.blogstar.hu/2017/09/16/orban-ki-kell-tartani-a-valasztasokig-/42515/

19/09/17

La democrazia radical chic e la loro par condicio


La democrazia radical chic e la loro par condicio


La scenetta televisiva che qualche sera fa ha coinvolto Nicola Porro, ospite di Corrado Formigli a “Piazza Pulita” su La7, non è altro che la conferma di come il mondo della sinistra radical chic intenda la democrazia. Oltretutto, di situazioni analoghe di qui al voto, quando sarà, ne vedremo tante, perché l’informazione, dalla Rai a La7 fino a Sky, in barba alla par condicio, è schierata contro il centrodestra.
Del resto è diventata prassi nei talk-show invitare tre o quattro personaggi di cui, quasi sempre, uno solo è orientato diversamente dal centrosinistra. Non è casuale e, anche se non c’è un protocollo scritto nel mondo dell’informazione non solo televisiva, fanno così di continuo: uno del centrodestra contro tutti gli altri radical chic. Lo fanno, praticamente, da sempre. Perché storicamente il mondo della cultura, dello spettacolo, del giornalismo, sta a sinistra. Ovviamente, non è un caso che sia così, come non è un caso che la corrente maggioritaria in magistratura sia quella di sinistra, al pari della scuola e dell’università.
Insomma, in Italia la gran parte del mondo che può orientare l’opinione pubblica, determinare fatti politici, influenzare il pensiero della gente, è, sostanzialmente, schierata a sinistra. Sia chiaro, nulla di abusivo, anzi, si tratta di un lungo percorso studiato a tavolino che nasce da lontano e in qualche modo coincide con l’essenza cattocomunista della nostra Costituzione. In fondo, dalla nascita della Repubblica in poi, la storia è stata scritta a sinistra, raccontata a sinistra, per non parlare di quello che è successo dal 1968 in avanti nella società. Nella stessa magistratura, a pensarci bene, ci si accorge che, forse, non fu per caso che Palmiro Togliatti nel 1946, volle fermamente il ministero di Grazia e Giustizia.
Insomma, l’Italia è cresciuta per decenni nella morsa culturale cattocomunista. Fra Dc e Pci c’è stata una sorta di spartizione delle aree d’influenza politiche, culturali, economiche e sociali. Con la caduta del comunismo e del muro di Berlino si è compiuta poi la più scaltra operazione di sincretismo possibile. Due posizioni solo apparentemente antagoniste, democristiana e comunista, si sono andate progressivamente fondendo in un solo partito, una sola area di riferimento, una sola riva di pensiero, quella radical chic. I comunisti dovevano scrollarsi di dosso la catastrofe dell’Est, i democristiani quella di una gestione della cosa pubblica opaca, obliqua, affaristica.
Ecco perché assieme a Tangentopoli nasce in Italia un apparentemente nuovo modello di centrosinistra, di cattocomunismo, di progressismo radical chic in grado di permeare ogni ganglio del sistema. Informazione, giornali, scuola, università, sindacato, grandi imprese pubbliche e private, burocrazia e quant’altro, tutto orientato e schierato contro il centrodestra. Un fronte compatto che, in nome di una falsa democrazia, della superiorità morale, di una pseudo libertà di pensiero, si è sempre scagliato con una veemenza inaudita contro chiunque non la pensasse così. I radical chic, infatti, non avendo argomenti, con arroganza e prepotenza si rifugiano sempre nell’offesa e nell’insulto dell’altrui pensiero. Da quando poi l’invenzione geniale di Silvio Berlusconi portò il centrodestra alla vittoria contro la “gioiosa macchina da guerra” di Achille Occhetto, apriti cielo.
Nell’armamentario dei radical chic sono rientrati, a tutta voce, il pericolo fascista, razzista, illiberale, estremista di destra, pericolo democratico, insomma l’olio di ricino dietro l’angolo. In buona sostanza, da quando nel Paese si è affacciata l’ipotesi che un’altra democrazia fosse possibile, liberale, laica repubblicana, democratica e alternativa, è partito l’appello a sotterrarla e soffocarla. È come se, in un ordine non scritto ma compiuto, fosse scattato l’incipit a togliere voce, spazio, tribuna a tutto ciò che non fosse in linea con il radical chic pensiero. Tivù, grandi testate, conferenze, salotti, tutti ad avventarsi contro chi non fosse allineato. È il loro modo di essere democratici, di predicare la libertà e il primato del diritto, dare del fascista, del manganellatore, dell’estremista pericoloso a chiunque non sia in sintonia con la rive gauche.
Ecco perché a Nicola Porro è capitato quel che abbiamo visto, né più né meno di quello che succede nella stragrande parte dei talk-show, alla faccia della par condicio e della pari dignità democratica. Ecco perché bisogna tenere alta e ferma la voce e il pensiero di centrodestra senza timori e senza titubanze, ovunque. Ecco perché non bisogna demordere nell’affermare sempre che la democrazia si chiama così anche quando non sta a sinistra e che forse la vera minaccia viene proprio dal pensiero unico radical chic che non accetta antagonismi. Ecco perché la prossima sarà una lunga campagna elettorale dove i cattocomunisti non daranno spazio e tregua, ma in fondo per i liberali e i democratici veri è proprio questo il sale della libertà e della democrazia.

17/09/17

“IO, STRANIERO D’ITALIA, CONTRO LO IUS SOLI”






Paolo Diop è un ragazzo di ventinove anni di origine africana. Nato in Senegal, è emigrato in Italia con la famiglia quando aveva appena due mesi. Vive a Macerata, dove studia giurisprudenza e lavora in una multinazionale. Ha la cittadinanza italiana ed è innamorato del Belpaese.
Sarebbe un perfetto testimonial dello Ius soli. Un bellimbusto dalla pelle nera, da dare in pasto all’opinione pubblica in una eventuale pubblicità progresso di partito per promuovere la controversa legge in discussione in Senato.
Sarebbe, se non fosse che Paolo è invece energicamente contrario allo Ius soli, anche alla versione cosiddetta “temperata”. Lui la cittadinanza italiana l’ha presa a ventidue anni, cioè in ritardo rispetto a quando gli sarebbe spettata. Con la legge attuale, infatti, si può fare la richiesta al compimento della maggiore età, a patto che si sia vissuti in Italia legalmente e ininterrottamente. Per Paolo, tuttavia, l’italianità è appartenenza culturale e non iter burocratico, come spiega in un’intervista a In Terris.
Perché è contro lo Ius soli?
Perché ritengo che la legge attuale sia ottima e che non ci sia bisogno di sostituirla con un’altra. Con la legislazione vigente la persona straniera ha modo di potersi integrare veramente, di guardare alla cittadinanza come al compimento di un percorso culturale. Invece con lo Ius soli si renderebbe tutto talmente più facile e scontato da svuotare di senso l’appartenenza alla comunità nazionale.
Eppure i fautori di questa legge sostengono che favorisca l’integrazione…
La mia esperienza personale dimostra che l’integrazione sia una realtà alla portata di noi emigrati già oggi. Ma di situazioni analoghe alla mia ce ne sono innumerevoli in tutta Italia: tempo fa i giornali si sono occupati di un ragazzo indiano entrato nell’Arma dei Carabinieri. La sua storia testimonia che in questo Paese chi merita e chi davvero ha il desiderio di integrarsi può farlo.
Lei parla di merito. Crede che lo Ius soli svilisca questo concetto?
Lo Ius soli si pone in contraddizione con la meritocrazia. Mi spiego: se un ragazzo d’origine straniera e nato in Italia acquisisce automaticamente la cittadinanza, non si sente più in dovere di affrontare un percorso culturale per raggiungere la piena appartenenza nazionale. La sua unica cultura rimarrebbe quella tramandata dai propri genitori. E, nel caso di famiglie radicali islamiche, si tratta di una cultura estranea all’Italia. Se passa lo Ius soli, tra dieci o quindici anni sarebbe pieno di ragazzi di seconda o terza generazione con cittadinanza italiana ma cultura non italiana.
E questo può anche favorire l’adesione ad idee fondamentaliste e al terrorismo?
Certamente. Basti pensare che molti dei terroristi che hanno compiuto attentati in Europa sono ragazzi di seconda generazione, evidentemente rimasti legati soltanto alla propria cultura d’origine. Oggi in Italia, grazie alla legislazione attuale, è possibile espellere i soggetti pericolosi. Se questi avessero avuto la cittadinanza, non sarebbe stato possibile.
Ma la legge attuale, basata sullo Ius sanguinis, è migliorabile?
Come ho già detto, è un’ottima legge. Ma io la renderei ancora più restrittiva: al termine del percorso dei diciotto anni per i nati in Italia, metterei un esame di Stato per verificare la loro reale adesione alla cultura italiana. Inoltre valuterei in maniera ancora più rigida il percorso storico giudiziario del ragazzo: bisogna stare attenti a dare la nazionalità a chi ha già commesso reati, perché – ripeto – poi un domani non potrebbe più essere espulso.
Insieme allo Ius soli la legge in discussione introdurrebbe lo Ius culturae, cioè la cittadinanza ai minori nati in Italia o arrivati qui prima dei 12 anni che abbiano frequentato un corso di cinque anni di scuola. Che ne pensa?
Lo Ius culturae è una formula accettabile, ma non nei termini previsti dalla legge in questione. Anche qui, manca un esame di Stato che attesti l’effettiva appartenenza alla cultura italiana. Aver studiato in Italia, di per sé non è una garanzia di italianità.
Ritieni che lo Ius soli possa minare l’unità familiare di nuclei stranieri che vivono in Italia?
Si verrebbero a creare dei paradossi per cui i figli avrebbero la cittadinanza italiana e i genitori no. Così si distorce il diritto di famiglia e laddove si mina l’unità familiare si creano degli insipidi culturali che disgregano la società.
Che effetto le fa vedere suoi coetanei, magari di origine africana come lei, scendere in strada per reclamare lo Ius soli?
Credo che  soffrano di sudditanza psicologica.
In che senso?
Nel senso che la discriminazione avviene solo nelle loro teste. In Italia non ho mai riscontrato alcun problema, questo è un Paese tollerante che accoglie e rispetta tutti. Non capisco perché si consideri l’acquisizione della cittadinanza un “diritto divino”. La cittadinanza è il compimento di un percorso. E poi ritengo che questi ragazzi siano pure strumentalizzati.
Da chi?
Le dico francamente: credo che dietro questa legge ci sia una manovra di opportunismo politico. La sinistra spinge per lo Ius soli per crearsi un bacino di voti da parte dei cosiddetti “nuovi italiani”. Niente di più di un mero voto di scambio.
Ti imbarazza che tra i contrari allo Ius soli ci sia anche chi usa argomentazioni razziste? Penso all’uso del termine ‘negro’ per identificare gli africani…
Se vengo chiamato negro, personalmente non mi offendo. Sono di “razza” negroide e ne sono orgoglioso. Poi, ovviamente, il discorso cambia se oltre al termine negro, a seguire vengono aggiunte delle ingiurie. Ma posso dire che si tratta di situazioni molto rare. Più che razzismo, si riscontra patriottismo da parte di chi è contro lo Ius soli.
Lo Ius soli per ora è un capitolo chiuso. Ma Gentiloni ha affermato che si farà entro l’autunno, magari con la fiducia…
E io mi unirò a quanti andranno in piazza per esprimere il proprio dissenso. Lo Ius soli è una minaccia nei confronti della cultura di provenienza e di quella di acquisizione. Se passa questa legge, tra vent’anni ci troveremo con un immenso numero di ragazzi disgregati, consumatori perfetti di una società senza identità.


Somari della lingua, guappi del diritto



Chiunque propaganda le immagini o i contenuti propri del partito fascista o del partito nazionalsocialista tedesco, ovvero delle relative ideologie, anche solo attraverso la produzione, distribuzione, diffusione o vendita di beni raffiguranti persone, immagini o simboli a essi chiaramente riferiti, ovvero ne richiama pubblicamente la simbologia o la gestualità è punito con la reclusione da sei mesi a due anni. La pena di cui al primo comma è aumentata di un terzo se il fatto è commesso attraverso strumenti telematici o informatici».

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Questo il testo licenziato dalla Camera dei Deputati. Come insegnano nella facoltà di Giurisprudenza fin dal primo anno di corso, quando si studiano i principi generali del diritto, la prima regola d’interpretazione della norma è l’analisi del significato letterale delle parole che la compongono.
Dunque, cominciamo ad analizzarne la prima parte: “chiunque PROPAGANDA le IMMAGINI o i CONTENUTI PROPRI del PARTITO fascista o del partito nazionalsocialista tedesco ovvero delle relative ideologie…”.
Cominciamo dai complementi oggetti e di specificazione: cosa significa “immagini del partito”? Che cos’è l’immagine del partito? La fotografia della sua sede? Le foto ricordo del suo congresso? La fotografia del suo fondatore o dei suoi dirigenti? C’è di che far viaggiare la propria fantasia. Una cosa è certa: non può riferirsi ai simboli, perché questi sono richiamati in seguito e, in tal caso, dovendo forzatamente presumersi che il legislatore abbia voluto dare un senso a ciò che ha scritto, bisogna che un altro significato a quell’ipotesi di condotta lo si dia. La verità è che ci troviamo di fronte ad una prosa involuta, che fa leva non su una catena sensata di concetti, ma sull’efficacia suggestiva delle parole, “propaganda”, “immagini”, “partito fascista e nazionalsocialista”, senza curarsi se il collegamento fra loro esprima dei concetti sufficientemente percepibili e chiari, cosa che nel diritto penale, dove vige il principio di necessaria determinatezza del precetto, è decisiva.
Sembra di assistere ad una nuova versione del film E.T. E.T. ….casa…telefono”, “Propaganda…immagini… partito fascista…”, con la differenza che il simpatico extraterrestre almeno si fece capire e riuscì a comunicare coi suoi lontani parenti.
Stando dunque all’interpretazione letterale che si riesce a estrarre da codeste parole sconnesse, una foto ricordo della gitarella fuori porta di un capomanipolo con moglie e pupi vestiti da giovani italiani e da balilla, o il ritratto del nonno vestito da maresciallo della milizia, potrà costituire una condotta punibile con la galera e meritevole di essere addirittura inserito nei delitti contro la personalità dello (parola grossa se riferita al nostro) Stato.
Passiamo al secondo complemento oggetto: i contenuti propri del partito. Cosa sono, di grazia? La prima cosa che viene in mente al comune mortale (dopo il vivido ricordo della prosa sgangherata di Peppone, pazientemente corretta, per pietà cristiana, da Don Camillo), è “le idee tipiche del partito, le sue concezioni politiche”; questa interpretazione è però da respingere perché alle “ideologie” (espressione che corrisponde ai concetti su richiamati) si fa riferimento subito dopo. Se sintassi e grammatica hanno un senso e l’italiano non è un’opinione, l’apprendista legislatore ha pure previsto un “contenuto del partito”; dunque, a seconda dei gusti, il partito può essere, a scelta, una lattina, una vasca da bagno, una bacinella, una bottiglia, un bidet, una tanica o, per i più raffinati, una scarpetta femminile tacco dodici dove versare un po’ di champagne.
Bene, anzi benissimo.
Passiamo all’ultima combinazione tra complemento oggetto e di specificazione: “le immagini… delle relative ideologie” (del partito fascista e di quello nazionalsocialista).
Come si fa a dare l’immagine, in senso stretto, di una nozione astratta? Pare che qualcuno sia riuscito persino a fotografare i fantasmi, ma un’idea, un sentimento, una passione, una virtù finora nessuno è mai riuscito a ritrarla. Forse che l’onorevole Fiano, guardandosi allo specchio, abbia colto l’immagine dell’intelligenza e abbia ritenuto che anche l’ideologia ne possieda una? Dubitiamo fortemente della premessa maggiore di questo traballante sillogismo, ma in ogni caso si tratterebbe di un simbolo e, per la contraddizione (interpretativa) che non lo consente, visto che la “simbologia” è già richiamata in seguito, non resta che relegare anche quest’ulteriore ipotesi di condotta vietata nello sgabuzzino dello stupidario semantico.
Passiamo all’inciso successivo: “…anche solo attraverso la produzione, distribuzione, diffusione o vendita di beni raffiguranti persone, immagini o simboli a essi chiaramente riferiti ovvero ne richiama pubblicamente la simbologia o la gestualità …
Queste ulteriori modalità di condotta si riferiscono al “propagandare” le immagini e i contenuti eccetera eccetera.
Perché “anche solo attraverso” ? La congiunzione “anche” era più che sufficiente ad esprimere un valore concessivo, analogico, aggiuntivo alla nozione (si fa per dire, vista la sua fumosità, incomprensibilità, inutilità, idiozia) che si richiama.  “Anche attraverso” non esprimeva forse lo stesso concetto?
Certamente sì, ma poiché questi somari dubitano del significato di quello che scrivono, visto che non lo capiscono bene neanche loro (pretendendo però che i destinatari dei loro strafalcioni lo comprendano), allora aggiungono delle parole inutili con cui pensano di rafforzare il valore dei loro ragli.
Compare, inoltre, un’altra contraddizione d’ordine semantico, che vale la pena sottolineare. Qui entra in gioco il predicato verbale : “propagandare”. L’espressione richiama l’idea di uno scopo, di una finalità, come osserva il vocabolario Treccani che lo definisce: “diffondere a fine di propaganda”.
Se, dunque, la portata della prima parte della norma pare, alla luce di questo significato, attenuata dalla necessità di una finalità “propagandistica” (delle ideologie fascista o nazionalsocialista), con l’esclusione della punibilità di coloro che “diffondono” semplicemente “immagini e contenuti” senza scopi di propaganda, ossia di raccolta del consenso (salvo poi capire come questa indagine sull’elemento piscologico potrà mai compiersi), questa interpretazione liberale viene immediatamente smentita dall’inciso che abbiamo iniziato prima a esaminare.
Infatti, la “propaganda” può anche (solo) realizzarsi con la produzione, distribuzione, diffusione o vendita di beni, o anche col semplice “richiamo” alla simbologia. Il che sta a significare che si considera propaganda qualsiasi forma di diffusione, anche a fine di lucro, di oggetti riferiti all’ideologia fascista o nazionalsocialista, o la semplice esposizione (“richiamo”) dei relativi simboli.
Il bello è che questi manipolatori della lingua e dei suoi comuni significati – la loro propensione al controllo del linguaggio viene da lontano – avrebbero potuto usare, fin dall’inizio il verbo “diffondere”, ma l’hanno introdotto, sostantivandolo, successivamente come formula di chiusura volta ad allargare lo spettro delle condotte vietate.
Si inizia introducendo il verbo “propagandare” – espressione orribile, quindi adatta alla loro prosa scadente (riflesso di una povertà di pensieri), ma capace di esprimere un’idea di pericolo, di epidemia, di agguato e che parrebbe limitare il quadro a condotte finalisticamente orientate – ma si finisce poi per tradirne il concetto.
La destrutturazione del linguaggio e dei suoi comuni significati si accompagna ad un’ipocrita quanto schizofrenica tecnica di redazione. “Il legislatore è un cane!”, esclamava il mio compianto professore di procedura penale, uomo di sinistra ed eccellente, onesto, studioso di diritto, riferendosi alle norme emanate negli anni Ottanta e Novanta in occasione delle cosiddette legislazioni di emergenza. Quale animale potrebbe oggi rappresentare il livello di competenza tecnico-giuridica dei nostri legislattori comici?
Non sono però soltanto dei somari della lingua e del diritto. Sono pure dei guappi.  Sbattono i pugni sul tavolo, ringhiano e si fanno beffe, forti della propria arroganza – loro, i democratici, i difensori della costituzione – delle interpretazioni che la Corte costituzionale ha, da decenni, fornito alle norme sulla legge Scelba, precisando che qualsiasi atto di propaganda, apologia, gestualità, richiamo, esaltazione può trovare punizione solo se concretamente idoneo a ricostituire il disciolto partito fascista.
Soltanto in questo modo, ebbero a precisare i giudici costituzionali, seguiti poi dalla giurisprudenza di legittimità, quelle norme possono sopravvivere al confronto con le – gerarchicamente superiori – disposizioni della costituzione, che prevedono la più ampia libertà di pensiero e di manifestazione delle idee.
Questi somari prepotenti pretendono invece, introducendo nuove disposizioni di legge in contrasto con quell’autorevole interpretazione, visto che le hanno partorite loro, di passarla liscia, come se i principi di diritto emessi dalla Corte costituzionale in relazione alla legge Scelba – di cui la proposta di legge Fiano è una banale scopiazzatura – non possiedano un valore assoluto e non li riguardino. Infatti, sono dei guappi proprio per questo; fanno la voce grossa e credono che nei quartierini che bazzicano siano loro a comandare. L’antifascismo è “cosa loro”. Somari della lingua. E guappi del diritto.

di Gianni Correggiari
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https://www.riscossacristiana.it - 14 SETT 2017