“Chiunque
 propaganda le immagini o i contenuti propri del partito fascista o del 
partito nazionalsocialista tedesco, ovvero delle relative ideologie, 
anche solo attraverso la produzione, distribuzione, diffusione o vendita
 di beni raffiguranti persone, immagini o simboli a essi chiaramente 
riferiti, ovvero ne richiama pubblicamente la simbologia o la gestualità
 è punito con la reclusione da sei mesi a due anni. La pena di cui al 
primo comma è aumentata di un terzo se il fatto è commesso attraverso 
strumenti telematici o informatici».
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Questo il testo licenziato dalla Camera dei Deputati. Come insegnano 
nella facoltà di Giurisprudenza fin dal primo anno di corso, quando
 si studiano i principi generali del diritto, la prima regola 
d’interpretazione della norma è l’analisi del significato letterale 
delle parole che la compongono.
Dunque, cominciamo ad analizzarne la prima parte: “chiunque 
PROPAGANDA le IMMAGINI o i CONTENUTI PROPRI del PARTITO fascista o del 
partito nazionalsocialista tedesco ovvero delle relative ideologie…”.
Cominciamo dai complementi oggetti e di specificazione: cosa significa “immagini del partito”? Che cos’è l’immagine del partito? La fotografia della sua sede? Le foto ricordo del suo congresso? La fotografia del suo fondatore o dei suoi dirigenti? C’è di che far viaggiare la propria fantasia. Una cosa è certa: non può riferirsi ai simboli, perché questi sono richiamati in seguito
 e, in tal caso, dovendo forzatamente presumersi che il legislatore 
abbia voluto dare un senso a ciò che ha scritto, bisogna che un altro 
significato a quell’ipotesi di condotta lo si dia. La verità è che ci 
troviamo di fronte ad una prosa involuta, che fa leva non su una catena 
sensata di concetti, ma sull’efficacia suggestiva delle parole, 
“propaganda”, “immagini”, “partito fascista e nazionalsocialista”, senza curarsi se il collegamento fra loro esprima dei concetti sufficientemente percepibili e chiari, cosa che nel diritto penale, dove vige il principio di necessaria determinatezza del precetto, è decisiva.
Sembra di assistere ad una nuova versione del film E.T. “E.T. ….casa…telefono”, “Propaganda…immagini… partito fascista…”, con la differenza che il simpatico extraterrestre almeno si fece capire e riuscì a comunicare coi suoi lontani parenti.
Stando dunque all’interpretazione letterale che si riesce a estrarre 
da codeste parole sconnesse, una foto ricordo della gitarella fuori 
porta di un capomanipolo con moglie e pupi vestiti da giovani italiani e
 da balilla, o il ritratto del nonno vestito da maresciallo della 
milizia, potrà costituire una condotta punibile con la galera e 
meritevole di essere addirittura inserito nei delitti contro la personalità dello (parola grossa se riferita al nostro) Stato.
Passiamo al secondo complemento oggetto: i contenuti propri del partito.
 Cosa sono, di grazia? La prima cosa che viene in mente al comune 
mortale (dopo il vivido ricordo della prosa sgangherata di Peppone, 
pazientemente corretta, per pietà cristiana, da Don Camillo), è “le idee tipiche del partito, le sue concezioni politiche”;
 questa interpretazione è però da respingere perché alle “ideologie” 
(espressione che corrisponde ai concetti su richiamati) si fa 
riferimento subito dopo. Se sintassi e grammatica hanno un senso e 
l’italiano non è un’opinione, l’apprendista legislatore ha pure previsto
 un “contenuto del partito”; dunque, a seconda dei gusti,
 il partito può essere, a scelta, una lattina, una vasca da bagno, una 
bacinella, una bottiglia, un bidet, una tanica o, per i più raffinati, 
una scarpetta femminile tacco dodici dove versare un po’ di champagne.
Bene, anzi benissimo.
Passiamo all’ultima combinazione tra complemento oggetto e di specificazione: “le immagini… delle relative ideologie” (del partito fascista e di quello nazionalsocialista).
Come si fa a dare l’immagine, in senso stretto, di una nozione 
astratta? Pare che qualcuno sia riuscito persino a fotografare i 
fantasmi, ma un’idea, un sentimento, una passione, una virtù finora nessuno è mai riuscito a ritrarla.
 Forse che l’onorevole Fiano, guardandosi allo specchio, abbia colto 
l’immagine dell’intelligenza e abbia ritenuto che anche l’ideologia ne 
possieda una? Dubitiamo fortemente della premessa maggiore di questo 
traballante sillogismo, ma in ogni caso si tratterebbe di un simbolo e, 
per la contraddizione (interpretativa) che non lo consente, visto che la
 “simbologia” è già richiamata in seguito, non resta che relegare anche quest’ulteriore ipotesi di condotta vietata nello sgabuzzino dello stupidario semantico.
Passiamo all’inciso successivo: “…anche solo attraverso la 
produzione, distribuzione, diffusione o vendita di beni raffiguranti 
persone, immagini o simboli a essi chiaramente riferiti ovvero ne 
richiama pubblicamente la simbologia o la gestualità …”
Queste ulteriori modalità di condotta si riferiscono al “propagandare” le immagini e i contenuti eccetera eccetera.
Perché “anche solo attraverso” ? La congiunzione “anche”
 era più che sufficiente ad esprimere un valore concessivo, analogico, 
aggiuntivo alla nozione (si fa per dire, vista la sua fumosità, 
incomprensibilità, inutilità, idiozia) che si richiama.  “Anche attraverso” non esprimeva forse lo stesso concetto? 
Certamente sì, ma poiché questi somari dubitano del 
significato di quello che scrivono, visto che non lo capiscono bene 
neanche loro (pretendendo però che i destinatari dei loro strafalcioni 
lo comprendano), allora aggiungono delle parole inutili con cui pensano 
di rafforzare il valore dei loro ragli.
Compare, inoltre, un’altra contraddizione d’ordine semantico, che 
vale la pena sottolineare. Qui entra in gioco il predicato verbale : “propagandare”. L’espressione richiama l’idea di uno scopo, di una finalità, come osserva il vocabolario Treccani che lo definisce: “diffondere a fine di propaganda”.
Se, dunque, la portata della prima parte della norma pare, alla luce di questo significato, attenuata dalla necessità di una finalità “propagandistica”
 (delle ideologie fascista o nazionalsocialista), con l’esclusione della
 punibilità di coloro che “diffondono” semplicemente “immagini e 
contenuti” senza scopi di propaganda, ossia di raccolta del consenso 
(salvo poi capire come questa indagine sull’elemento piscologico potrà 
mai compiersi), questa interpretazione liberale viene immediatamente smentita dall’inciso che abbiamo iniziato prima a esaminare.
Infatti, la “propaganda” può anche (solo) realizzarsi con la
 produzione, distribuzione, diffusione o vendita di beni, o anche col 
semplice “richiamo” alla simbologia. Il che sta a significare che si 
considera propaganda qualsiasi forma di diffusione, anche a fine di lucro, di oggetti riferiti all’ideologia fascista o nazionalsocialista, o la semplice esposizione (“richiamo”) dei relativi simboli.
Il bello è che questi manipolatori della lingua e dei suoi comuni significati – la loro propensione al controllo del linguaggio viene da lontano – avrebbero potuto usare, fin dall’inizio il verbo “diffondere”,
 ma l’hanno introdotto, sostantivandolo, successivamente come formula di
 chiusura volta ad allargare lo spettro delle condotte vietate.
Si inizia introducendo il verbo “propagandare” – 
espressione orribile, quindi adatta alla loro prosa scadente (riflesso 
di una povertà di pensieri), ma capace di esprimere un’idea di pericolo,
 di epidemia, di agguato e che parrebbe limitare il quadro a condotte 
finalisticamente orientate – ma si finisce poi per tradirne il concetto.
La destrutturazione del linguaggio e dei suoi comuni significati si 
accompagna ad un’ipocrita quanto schizofrenica tecnica di redazione. “Il legislatore è un cane!”,
 esclamava il mio compianto professore di procedura penale, uomo di 
sinistra ed eccellente, onesto, studioso di diritto, riferendosi alle 
norme emanate negli anni Ottanta e Novanta in occasione delle cosiddette
 legislazioni di emergenza. Quale animale potrebbe oggi rappresentare il livello di competenza tecnico-giuridica dei nostri legislattori comici?
Non sono però soltanto dei somari della lingua e del diritto. Sono 
pure dei guappi.  Sbattono i pugni sul tavolo, ringhiano e si fanno 
beffe, forti della propria arroganza – loro, i democratici, i difensori 
della costituzione – delle interpretazioni che la Corte costituzionale 
ha, da decenni, fornito alle norme sulla legge Scelba, precisando che
 qualsiasi atto di propaganda, apologia, gestualità, richiamo, 
esaltazione può trovare punizione solo se concretamente idoneo a 
ricostituire il disciolto partito fascista.
Soltanto in questo modo, ebbero a precisare i giudici costituzionali,
 seguiti poi dalla giurisprudenza di legittimità, quelle norme possono 
sopravvivere al confronto con le – gerarchicamente superiori – 
disposizioni della costituzione, che prevedono la più ampia libertà di 
pensiero e di manifestazione delle idee.
Questi somari prepotenti pretendono invece, introducendo nuove 
disposizioni di legge in contrasto con quell’autorevole interpretazione,
 visto che le hanno partorite loro, di passarla liscia, come se i 
principi di diritto emessi dalla Corte costituzionale in relazione alla 
legge Scelba – di cui la proposta di legge Fiano è una banale 
scopiazzatura – non possiedano un valore assoluto e non li 
riguardino. Infatti, sono dei guappi proprio per questo; fanno la voce 
grossa e credono che nei quartierini che bazzicano siano loro a 
comandare. L’antifascismo è “cosa loro”. Somari della lingua. E guappi 
del diritto.
di Gianni Correggiari 
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https://www.riscossacristiana.it - 14 SETT 2017