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(Bertrand Russell)

07/11/14

Il “muro” bulgaro per frenare i flussi di rifugiati siriani

 

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Nel 2013 oltre 11 mila persone, per lo più in fuga dalla Siria, hanno presentato richiesta di asilo alla Bulgaria mettendo a dura prova la capacità delle autorità bulgare di gestire l’emergenza. In un primo momento, infatti, il Governo Oresharski si è mostrato del tutto impreparato e incapace ad accogliere un flusso di questa portata soprattutto a causa delle problematiche interne legate alla crisi economica, alla mancanza di fondi sufficienti e di strutture di accoglienza per i rifugiati. In seguito, la mobilitazione di una fetta consistente dell’opinione pubblica, che non ha risparmiato gli atteggiamenti xenofobi nei confronti degli immigrati, e le pressioni ricevute dall’opposizione al governo e da formazioni politiche nazionaliste come il partito Ataka hanno portato all’adozione di misure più rigide per il contenimento del flusso di rifugiati.





A questo proposito, il “Piano per la gestione della situazione di crisi”, adottato dal Parlamento nel novembre del 2013, si basa su tre punti cardine: l’incremento del presidio della polizia (circa 3.000 agenti) al confine con la Turchia, il respingimento degli immigrati illegali oltre frontiera e la costruzione di una rete di 32 km lungo il confine bulgaro-turco per bloccare l’ingresso illegale attraverso i distretti bulgari più difficili da controllare.
È evidente, quindi, che il repentino cambio di posizione di Oresharski, che solo il 3 ottobre affermava che “la Bulgaria non può chiudere le proprie frontiere poiché firmataria di convenzioni internazionali”, non sia stato provocato solo dalle pressioni esterne ma rappresenti una chiara affermazione, a livello internazionale, della sovranità dello Stato bulgaro. Infatti, benché esista una progressiva comunitarizzazione della materia dei rifugiati, spetta ancora ai singoli Stati membri dell’Unione Europea adottare le misure del caso.




La costruzione della rete, conclusa lo scorso mese di febbraio, ha comunque rappresentato una scelta difficile a fronte dei 7,7 milioni di leva (3,9 milioni di euro) spesi per la sua realizzazione e del danno all’immagine della Bulgaria che le violente critiche da parte dell’UNHCR e dell’UE le hanno provocato. In questo senso, anche Michele Cercone portavoce del Commissario europeo agli affari interni, Cecilia Malmstr?m, aveva affermato che “è vietato respingere [i rifugiati].
Questi rinvii, non sono infatti conformi agli obblighi europei e internazionali”. Tuttavia, egli aveva anche ammesso che gli Stati membri sono sovrani e liberi di adottare le misure necessarie per la protezione delle proprie frontiere e dunque, di costruire dei muri. Appare quindi facilmente comprensibile perché, nonostante le rimostranze, l’UE non abbia imposto o potuto imporre alcuna sanzione alle misure prese dalla Bulgaria a protezione dei propri confini.





A difesa della chiusura del tratto di confine bulgaro-turco è poi intervento l’ex Ministro degli Interni, Tsvetelin Yovchev, giustificando la scelta non come la necessità di respingere i richiedenti asilo oltre confine ma di incanalare l’afflusso verso il valico di frontiera a Svilengrad, bloccando gli ingressi illegali nel Paese. In questo senso, la presenza di immigrati illegali che hanno sfruttato i flussi di rifugiati per entrare in Bulgaria ha costituito una seria minaccia alla sicurezza nazionale.
La polizia ha infatti sventato alcuni fallimentari tentativi di costituire cellule qaediste all’interno del maggiore centro di identificazione bulgaro di Harmanli. Inoltre, anche i dati diffusi dell’Agenzia statale per i rifugiati sembrano confermare la tesi di Yovchev rivelando una riduzione di oltre la metà (3.200) dei richiedenti asilo siriani rispetto ai 7.000 del 2013.





Appare doveroso sottolineare come al momento le frontiere siano state eliminate solo tra gli Stati della zona Schengen, di cui la Bulgaria non fa parte. Qualsivoglia altro confine tra due Stati è chiuso a priori, posto sotto il controllo e la protezione della polizia di confine e può essere attraversato solo tramite i punti di controllo al varco di confine.
Non esistono, al momento, principi o convenzioni internazionali che siano in grado di vincolare uno Stato a tenere i propri confini aperti o che gli vietino di tenerli “chiusi” al fine di impedire gli ingressi illegali.
A questo proposito, gli immigrati illegali, che quest’anno non hanno ottenuto lo status di rifugiato dalla Bulgaria, sono stati espulsi in uno Stato terzo (respinti in Turchia) o nel proprio Paese di origine (Siria/Iraq) in forza della Direttiva 2008/115/CE sulla deportazione.





Questo caso specifico, che ha riguardato circa 15.000 richiedenti asilo in Bulgaria lo scorso anno, costituisce la dimostrazione di come Sofia non abbia violato i principi internazionali per la tutela dei rifugiati come quello di “non respingimento” sancito dalla Costituzione di Ginevra del 1951 o la Direttiva 2004/83/CE sullo status di rifugiato.
Le espulsioni hanno infatti riguardato gli stranieri che hanno cercato di entrare nel Paese in maniera illegale, perdendo di conseguenza il diritto di asilo e commettendo un reato. A questo proposito, l’ex Ministro della Difesa Angel Naydenov ha affermato che la maggioranza degli immigrati siriani, anche illegali, richiedono lo status di rifugiato nella speranza di ottenere la cittadinanza bulgara e di emigrare nei Paesi europei più sviluppati.





 La verità è che una minima parte di loro risponde ai criteri per ottenere l’asilo, trattandosi spesso di giovani fuggiti per evitare il richiamo nelle Forze Armate siriane.
Anche quando questi abbiano ottenuto la protezione temporanea, che viene accordata nei casi di conflitti armati, non hanno alcuna possibilità di ottenere il passaporto bulgaro poiché non esiste un accordo tra i due Stati che preveda la doppia cittadinanza, e Damasco vieta di rinunciare alla cittadinanza siriana. L’unica possibilità che hanno è, quindi, di ottenere il permesso di soggiornare a tempo indeterminato in Bulgaria e i documenti che diano loro il diritto di viaggiare in altri Paesi europei, che è il loro obiettivo finale.





Sono molti i siriani e gli iracheni, inclusi i curdi di entrambi gli Stati, che guardano alla Bulgaria come a una via di transito verso altri Paesi economicamente più sviluppati come la Svezia, la Germania o la Svizzera. E questo ruolo rimanda inevitabilmente al nocciolo della questione: la difesa del confine bulgaro con la Turchia. Se Sofia non proteggesse le proprie frontiere non potrebbe essere accettata all’interno della zona Schengen e, d’altro canto, lascerebbe volontariamente il via libera a un incontrollato flusso illegale di persone.
Nel frattempo, mentre a livello internazionale si disquisisce sulla legalità del “muro bulgaro”, il confine tra Grecia e Turchia resta chiuso. La Bulgaria rimane quindi l’unica porta a est verso l’Europa per i siriani in fuga e l’ultimo baluardo orientale della UE che gli Stati membri mostrano però di avere poco a cuore nonostante ne costituisca il confine esterno.

Foto: AP, Flickr/Stanimir.Stoyanov,You Reporter, Reuters, Anadolu, Francesco Martino OBC,

di di Anna Miykova - 4 novembre 2014


Anna Mijkova - Nata a Kazanlak (Bulgaria), si è laureata con lode in Scienze Internazionali e Diplomatiche a Gorizia. Ha frequentato il Master in Peacekeeping and Security Studies a Roma Tre e ha conseguito il titolo di Consigliere qualificato per il diritto internazionale umanitario. Ha fatto parte del direttivo del Club Atlantico Giovanile del Friuli VG e nel 2013 è stata in Libano come giornalista embedded. Si occupa di analisi geopolitica e strategica dei Paesi della regione del "Grande Mar Nero" e dell'Europa Orientale e ha trattato gli aspetti politico-giuridici delle minoranze etniche e dei partiti etnici.

fonte: http://www.analisidifesa.it

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