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Non smettete mai di protestare; non smettete mai di dissentire, di porvi domande, di mettere in discussione l’autorità, i luoghi comuni, i dogmi. Non esiste la verità assoluta. Non smettete di pensare. Siate voci fuori dal coro. Un uomo che non dissente è un seme che non crescerà mai.

(Bertrand Russell)

02/12/14

Boldrini & C. raccontano bugie: in Parlamento solo finti tagli


La riduzione degli stipendi entrerà a regime solo nel 2018. E anche in futuro si guadagnerà di più a Palazzo Madama o a Montecitorio  che al Bundestag o alla Camera dei Comuni


Tanto rumore per poco. Sugli stipendi dei funzionari di Camera e Senato le polemiche sono state nei mesi scorsi infuocate.




In nome del principio della cosiddetta autodichia (autonomia giuridica) non sono stati toccati dal provvedimento sul tetto ai dipendenti pubblici. Ma le retribuzioni di Palazzo Madama e Montecitorio sono da record mondiale: il segretario generale del Senato Elisabetta Serafin è a 427mila euro, l'omologo della Camera Ugo Zampetti è a quota 406mila euro, i suoi due vice Guido Letta e Aurelio Speziale a 304mila, i consiglieri parlamentari di Montecitorio (in organico ce ne sono 167) con 30 anni di carriera possono toccare i 300mila. E anche a livelli più bassi i numeri sono diventati quasi proverbiali delle distorsioni del sistema di remunerazione in campo pubblico: alla Camera un centralinista entrava in servizio con un assegno di oltre 30mila euro l'anno ma con 30 anni di anzianità poteva guadagnarne più di 120mila. Cifre politicamente insostenibili in tempi di crisi. Così i vertici hanno provato a darci un taglio. Il braccio di ferro, accompagnato dalle sdegnate proteste delle numerose sigle sindacali, ha portato a un compromesso che in realtà annacqua abbondantemente le richieste iniziali di moderazione salariale. I tagli saranno il più possibili indolori ed entreranno a regime solo nel 2018. Ma soprattutto: anche con il nuovo corso ai piani alti di Montecitorio si guadagnerà molto ma molto di più di quanto si incassa negli altri Parlamenti dei Paesi più avanzati. 
Il principio di base della riduzione concordata è semplice: anche per i dipendenti del Parlamento viene fissato un tetto a quota 240mila euro. Da qui in poi però il percorso si fa complicato. Prendiamo l'esempio della Camera: dal conteggio sono esclusi gli oneri previdenziali (fino a 50mila euro). Non contano nemmeno le indennità di funzione (fino a 15mila lorde). Non vale nemmeno un premio di produttività fissato al 10% dello stipendio che verrà erogato a partire dal 2016. Per averne diritto bisogna essere stati presenti l'80% dei giorni di lavoro e avere fatto almeno 100 ore di straordinario l'anno. Di qui al 2018 è prevista un'entrata in vigore graduale con un sistema di scaglioni e aliquote crescenti. «Il risultato - sostiene il deputato grillino Riccardo Fraccaro, componente dell'ufficio di presidenza della Camera - è quello di dare il tempo ai funzionari con gli stipendi più alti di raggiungere l'età della pensione mantenendo un assegno ai massimi livelli». 
Alla fine, prudentemente, si può valutare che i burocrati top vicino alla presidente Laura Boldrini porteranno a casa 300mila euro e più. Un sacrificio? Tutto dipende dai punti di vista. In Gran Bretagna, patria del parlamentarismo, il numero uno della Camera dei Comuni, costretto a vivere in una Londra il cui costo della vita è ben più alto di quello italiano, guadagna 274mila euro l'anno. Il suo collega berlinese, numero uno del Bundestag, equiparato a un Segretario di Stato, si accontenta di 220mila euro circa. In fondo alla classifica il più alto funzionario del Senato americano: 140mila euro. Lui sì farebbe carte false per avere diritto a uno stipendio italiano.

Angelo Allegri 01 dicembre 2014
fonte: http://www.ilgiornale.it

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