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Non smettete mai di protestare; non smettete mai di dissentire, di porvi domande, di mettere in discussione l’autorità, i luoghi comuni, i dogmi. Non esiste la verità assoluta. Non smettete di pensare. Siate voci fuori dal coro. Un uomo che non dissente è un seme che non crescerà mai.

(Bertrand Russell)

02/11/14

Berlusconi dissolto nel renzismo. Romanzetto pop di un ex Cavaliere innamorato del “Partito della nazione” (che però è il Pd, non Forza Italia)




Dietro le quinte della svolta “democrat” dell’ex premier, «sinceramente infatuato di Renzi» e leader senza delfini di un centrodestra che non sa più di esserlo


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Forza Italia perderà nove a zero le prossime elezioni regionali. E c’è il rischio che venga giù anche la Lombardia dell’alleato Maroni. È comprensibile che alle viste di tanta rovina, allo scoccare dei suoi 78 anni, l’ex Cavaliere abbia elaborato il lutto e oggettivato la sensazione che non ci sarà un quinto governo Berlusconi. Già, chi glielo fa fare di tenere in piedi la narrazione di un’alternativa alla sinistra che non c’è, tanto più quando ha fatto fuori più comunisti Renzi e parla così meravigliosamente del “sogno italiano” che neanche il leader di Forza Italia?
E poi ci sono le aziende, certo. Con i figli saldamente al comando di un impero – tv ed editoria, Mediaset e Mondadori – che però non è più la macchina da soldi di una volta. Secondo la lettura riduttiva di cui si è fatto portavoce Franco Bechis, «la ragione che spinge Silvio Berlusconi all’abbraccio con Matteo Renzi che si sta rivelando mortale nei sondaggi su Forza Italia sarebbe stata esposta da Diego Della Valle: “Affari, è un matrimonio di affari”. Berlusconi avrebbe bisogno di Renzi per realizzare un sogno molto prosaico e redditizio: la fusione fra Mediaset e Telecom Italia».
Naturalmente queste sono solo illazioni fieramente respinte dall’ex Cavaliere come “menzogne”. Però impensierisce che provengano da un giornale (Libero) non propriamente antiberlusconiano. La tempra del leader resta all’apparenza baldanzosa. Come si vede dai siparietti organizzati alla bisogna. Ragazzini che si strappano i capelli al montare del capo in predellino. Scuole di formazione politica a tambur battente. Promesse di fondare sedi azzurre in ogni comune d’Italia. Sherpa che seguitano a sfornare programmi. Come se Fi esistesse sul serio come soggetto politico e articolazione popolare. Come se Berlusconi stesso, il tenutario di maison, non offrisse più l’impressione di essere adagiato sullo schema “a me il ruolo di Ad, per i consiglieri fate come vi pare”.
Ieri sedevano in Cda falchi e colombe? Oggi ci sono (o forse c’erano) Francesca e le amiche. Domani? Si vedrà. Magari tutto finisce nel Partito della Nazione. E perché no? Con un Papa argentino si può sempre sperare nella benedizione a un peronismo all’italiana. E se arriva la rupture a sinistra? Tanto meglio. Sarà ancora lui, Silvio, al centro della politica. Oggi Fi è quotata al 14 per cento ma il consenso potrebbe anche dimezzarsi. L’importante è controllare il pacchetto azionario. Per contro, i Gasparri e le Santanchè non sanno più a che equilibrismi votarsi.

Il doppio tricolore di Silvio
Politici e militanti di Forza Italia, siete spaesati? Fatevene una ragione. Giuliano Ferrara vi invita a spremervi le meningi e a promuovere, se ci riuscite, un’alternativa al partito personale. «Ma per fare questo bisogna essere autonomi, non protestare in famiglia e pretendere l’eredità del babbo in anticipo». Parole sante. Anche perché dette da uno che l’autonomia se la prese di schianto (con una pazza lista contro l’aborto) e se la prese non quando la popolarità del Re Sole declinava, ma quando era allo zenit. Nell’anno 2008, anno record di consensi per il centrodestra e anno di battesimo del governo Berlusconi IV. Che strepitosamente mancò alle promesse e miseramente fallì. Berlusconi finì immolato sulla pira del Generale Spread (16 novembre 2011). Quindi defenestrato (governo Monti) e dimesso da senatore e da Cavaliere (governo Letta). La fine di un’epoca fu suggellata dalla scissione del Pdl, dalla nascita di Ncd da una parte e dal ritorno a Fi dall’altra. Infine, come i cavalieri di Wallenstein, venne la Leopolda di Matteo Renzi. Il ragazzo del 41 per cento e del “patto del Nazareno”.


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Di lì in avanti, scoperto il verso di Brecht – «Sappiamo di essere effimeri/ e dopo di noi ci sarà: niente degno di nota» –, il lato effimero di Silvio Berlusconi comprese che poteva restare in politica, e bene, intestandosi la medaglia di “garante delle riforme” e lo stigma di “oppositore responsabile”. «Io naturalmente non sono renziano», dice Silvio nella sua “intervista strategica” al Foglio del 28 ottobre. E naturalmente ogni persona dotata di buon senso capisce e approva l’orizzonte di responsabilità delineato da Berlusconi all’Elefantino. Il felice feeling personale e il realistico patto istituzionale che legano i due fuoriclasse della scena politica italiana sono infatti elementi decisivi (e forse anche provvidenziali) a dare timone e stabilità a una barca sbattuta tra i flutti dell’iperimperialismo dell’Europa germanizzata e la superdisabilitazione del sistema-Italia operato dal combinato disposto recessione-corporazioni statali attive nella conservazione di posizioni dominanti e, per conseguenza, nel sabotaggio di ogni riforma. Però nessuno immaginava che l’uno arrivasse a identificarsi con l’altro fino al punto di dissolvere il tricolore in campo azzurro nel drappo democrat in foglioline d’ulivo.

La liceale e l’amore per Matteo
Galeotto fu il selfie con Vladimiro Guadagno, alias Luxuria. E soprattutto il grottesco post con cui il reginetta/o di Gay Village accompagnò lo scatto del faccino di Silvio timidamente affacciato sullo sgabello dei sorrisini di Francesca e alias Luxuria. (In sintesi: Berlusconi si sarebbe iscritto da un pezzo all’Arcigay se quei retrogradi e omofobi di ciellini che aveva in casa non glielo avessero impedito). I ben informati sostengono che dietro la scena al posteggio vip sotto il Meazza, quando le telecamere di Sky hanno inquadrato la signorina Pascale divincolarsi con stizza dalla presa a braccetto del cavalier galante, ci sarebbe stato un litigio proprio sulle giornate in cui Villa San Martino sembrò la Milanello della nazionale rainbow. Fatto sta che, ripensandoci, Silvio si sarebbe sentito usato come piedistallo della signora/e del gay Village (non propriamente l’elettore tipo di Forza Italia).


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Sia come sia, è bastato l’ultimo week-end per capire tutto l’imbarazzo di Silvio e il suo sforzo di far macchina indietro. Il Giornale ha sapientemente ignorato la notizia di una svolta pro matrimonio e adozioni gay del leader di Fi. E lo stesso Berlusconi ha ribadito al Foglio «che il matrimonio tra uomo e donna deve continuare a essere il fulcro di politiche pubbliche per la famiglia, è ovvio». Purtroppo, però, la frittata è stata fatta. Non restava che invocare le muse temporaneamente lasciate in disparte e metterci una pezza. Così, Mariastella Gelmini si è presentata davanti alle telecamere con gli stessi identici argomenti di Camillo Ruini. «Forza Italia è per l’apertura ai diritti, ma non accetteremo mai che la famiglia venga equiparata alle unioni dello stesso sesso».
Frittata a parte, resta l’incantamento per Matteo. «Il presidente ne è sinceramente infatuato», dice una voce di corte. «È per lui come un figlio, il delfino che ha sognato e non ha trovato in Forza Italia. Per adesso soffriamo in silenzio». Che Berlusconi tenda a dissolversi nel profilo di Matteo, questo lo registrammo noi, qui, per primi, mesi orsono. Quando, ospiti a cena, il tenutario di Villa San Martino ci sorprese con un’anteprima. «Mi ritiro dalla scena politica». Poi, al dessert, invece no, «scherzavo». Però, «Renzi dice le cose bene, le dice meglio di me e ha quarant’anni meno di me».

L’estate dell’ammuina e di Dudù
A un anno esatto dalla sua estromissione barbarica dal Senato, dalla chiusura del Pdl e dal conseguente rilancio del brand forzista, ecco in cosa si è risolto lo scouting di Berlusconi per portare sangue fresco e “facce nuove” al partito personale. In una grande ammuina. In un generale mescolare e rimescolare di carte per tornare sempre alla stessa identica casella: Silvio Berlusconi.
Che ne è del generale Giovanni Toti, preso direttamente dalle scuderie Mediaset e messo a capolista alle europee? Il ragazzo che ha vinto la “lotteria Europa” sembra già un vecchio arnese, un vestito passato di stagione. Il “non pervenuto” dopo l’indimenticabile scatto che lo ritrasse, ripreso su un balconcino da cui s’affacciava sorridente e pacioso, in completo tuta bianca. Altra “faccia nuova” di cui si è persa traccia è il buon Alessandro Cattaneo da Pavia. Ex “sindaco più amato d’Italia”. Ed ex sindaco tout court. Fatto incredibile a immaginarsi se non fosse l’immagine dell’attuale Forza Italia, dopo aver trionfato al primo turno, Cattaneo venne sonoramente battuto al ballottaggio.


Roma, Francesca Pascale lascia la sua residenza con il cagnolino


Fu così che, passate le europee e ottenuto quel 15 per cento di consensi legati al solo nome dell’assente giustificato (per condanna ai servizi sociali) Silvio Berlusconi, l’estate trascorse serenamente sotto il segno di Francesca e Dudù. Il cagnolino che per una stagione, in assenza di intercettazioni e di altro materiale giudiziario da copia-incollare, è stato al centro del gossip intorno al signore di Arcore. In effetti è sbagliato pensare che il “caso Dudù” non abbia avuto a che vedere con Forza Italia. Infatti, secondo i sondaggi di Silvio, al mercato del consenso il barboncino valeva quanto la fronda di Fitto invocante le famose “primarie”. Silvio, ancora una volta, male ha preso la petulanza con cui il leader pugliese è tornato alla carica durante gli ozi estivi. E così ha deviato sul migliore amico dell’uomo l’ennesima richiesta di mettere ai voti la sua leadership.
Per un attimo sembrò che anche Michela Brambilla ritrovasse lo smalto e un ruolo di punta nel berlusconismo d’antan. Poi, il batuffolo bianco che scorrazzava su e giù per l’augusta dimora abbaiando a ogni ombra e passo stranieri, si eclissò in qualche angolino di guardaroba. Perché va bene che «Dudù è intelligente» (Silvio Berlusconi) e «forse è pure gay» (Francesca Pascale). Però che si metta a cavare l’erba del prato inglese, questo no. Il pollice verde del signore di Arcore questo non l’ha mai sopportato. Tant’è che quando il batuffolo intelligente e forse gay venne pizzicato in flagranza di buchetta scavata in giardino, si vide il padrone afferrarlo per la collottola così come il contadino afferra la gallina e gli tira il collo.


Senato - dl PA 


Meno male che Verdini c’è
E siamo all’autunno pieno. Con il povero Brunetta così disperato da dichiarare che avrebbe preferito andare al corteo della Cgil piuttosto che alla Leopolda. Berlusconi capisce l’antifona. Avverte che il morale delle truppe è alle ginocchia. E prova a sterzare con una raffica di dichiarazioni e presenzialismo di stampo antico. «Resto in campo». «Siamo convintamente all’opposizione». «Non c’è nessuna svolta. Forza Italia è viva e vegeta». «La famiglia tradizionale rimane alla base dei nostri valori». Questo per il libro dei sogni. Quanto alla realtà, guardare la faccia di Verdini e capire che con tutto il bene che ha fatto al partito personale, adesso sarà dura tenere la barra di una legge elettorale che non emargini Forza Italia.
Se infatti passa il modello con premio di maggioranza alla lista piuttosto che alla coalizione vincente, a meno di un ennesimo suicidio a casa Bersani, il Pd diventa la Dc del secondo millennio. E Forza Italia? Tra Alfano e Vendola c’è un posticino anche per il Cda di Berlusconi. «In effetti (l’attribuzione del premio di maggioranza alla lista, ndr) può essere una grande opportunità, perché si farebbe un deciso passo avanti verso il bipolarismo». Questa la prima versione di Silvio in risposta alla domanda dell’inviato del Giornale. Poi, marchiando di “patacca” lo scoop (Tommaso Labate, Corriere della Sera) di un presunto passo indietro di Verdini, Berlusconi lascia intendere che quel che piace a Renzi in effetti può nuocere a Fi. Infatti, gli rammenta il fido Denis, «noi siamo per il premio di maggioranza alla coalizione per non autocondannarci all’opposizione per i prossimi vent’anni».

novembre 2, 2014 Luigi Amicone
fonte: http://www.tempi.it

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