Manifesto del partito del Congresso
con Sonia Gandhi e il figlio Rahul
I nove milioni di seggi indiani aperti per le elezioni parlamentari della più grande democrazia del mondo stanno per chiudersi (il 12 maggio) e decreteranno con molta probabilità la fine dell'era del dominio della famiglia più potente dell'India moderna, la dinastia Nehru-Gandhi che sin dall'Indipendenza del 1947 ha gestito il partito del Congresso, da dieci anni al governo. Una gestione finita sul banco degli imputati per aver infranto le promesse di crescita da Bric (5%
circa nel 2013, una percentuale ben lontana dal 9% di inizio 2011, ora
insufficiente ad assorbire l'aumento di una popolazione che conta oltre 1,1 miliardi di persone di cui 841 milioni continuano a vivere con meno di 2 dollari al giorno) e per aver lasciato il Paese in un bisogno urgente di infrastrutture, in balia della corruzione rampante e bloccato da una burocrazia che si rafforza invece di lasciare spazio all'iniziativa privata.
In una campagna elettorale cominciata anzitempo e che ha visto l'ascesa del principale partito (di destra) di opposizione, il Bharatiya Janata Party (Bjp) e del suo candidato premier Narendra Modi (nella foto sotto), controverso leader induista artefice del boom economico del Gujarat (uno degli Stati più business friendly e meglio amministrati di tutto il Subcontinente), l'azione di governo del partito di Sonia e del figlio Rahul Gandhi si
è fatta condizionare da un dibattito politico interno intriso di
nazionalismo e di populismo. Strumentalizzazioni senza freni in cui sono finiti triturati anche due casi che riguardano da vicino l'Italia: la vicenda dei due marò e la rescissione unilaterale del contatto di fornitura dei 12 elicotteri AgustaWestland per il ministero della Difesa a causa di una presunta maxi-tangente da 51 milioni di euro. Stecca che è costata la poltrona all'ex amministratore delegato di Finmeccanica, Giuseppe Orsi, per 20 anni alla guida di Agusta. Orsi, finito in carcere nel febbraio dello scorso anno, è accusato di corruzione internazionale dalla Procura di Busto Arsizio. Vicenda per cui ora, a più di due anni dall’inizio delle indagini (in Italia è in corso il processo di primo grado, mentre in India è stato aperto un arbitrato), nessuna accusa di corruzione nei confronti di AgustaWestland ha ancora trovato definitivo fondamento nei due Paesi. E il danno reputazionale, al netto delle responsabilità oggettive del gruppo italiano tutte da dimostrare, rischia di compromettere le sue gare future per le redditizie commesse dei Paesi emergenti, soprattutto asiatici.soprattutto asiatici.
Se il primo caso, e cioè il processo che vede i due
fucilieri della Marina tricolore accusati di aver ucciso due pescatori
al largo delle coste di Kerala, come anche quello delle ripicche
diplomatiche con gli Stati Uniti, è stato letto come l'ambizione frustrata di una ex tigre della crescita di voler contare ancora sullo scacchiere internazionale ristabilendo le gerarchie e rilanciando nell'immaginario collettivo nazionale la figura della vecchia potenza Bric, la vicenda di Agusta è finita invece nel frullatore di un regolamento di conti tutto interno al partito di maggioranza e della retorica anti-corruzione di Modi. Per il Congress Party, già zavorrato dalle ricadute d'immagine per una serie di scandali nei settori delle telecomunicazioni e del carbone, e per i Gandhi l'argomento corruzione è sempre stato come la criptonite per Superman. Tema su cui i discendenti del Mahatma sono ipersensibili.
Oltre a quello del momento, che ha coinvolto il gruppo controllato da Finmeccanica con sede nel Varesotto, un altro scandalo ha pesato infatti per anni sulla reputazione dei Gandhi,
fin da quando nella seconda metà degli anni '80 un uomo d'affari
italiano amico della famiglia più potente d'India e in stretti rapporti
con Sonia e il marito Rajiv (poi assassinato), Ottavio Quattrocchi, fu accusato di aver intermediato una tangente (sempre
per contratti militari). Le accuse poi non sono mai state provate fino
in fondo: ciò nonostante, da allora le relazioni di Sonia Gandhi (Maino
da nubile) con la terra natia sono sotto lo scrutinio occhiuto della stampa e degli avversari politici.
Tanto da spingere la donna alla guida della gloriosa dinastia indiana
addirittura a non parlare italiano in pubblico e a limitare al massimo
il numero di rapporti con il Paese d'origine. Insomma, materia da maneggiare con estrema cautela.
IL CASO AGUSTAWESTLAND
L’ARRESTO DI ORSI. La vicenda degli elicotteri VVIP,
commessa da 560 milioni di euro per cui il gruppo italiano ha incassato
solo 250 milioni, consegnando 3 veivoli (altri 3 sono in attesa di
consegna) comincia il 12 febbraio 2013, quando a seguito di indagini
condotte dalla magistratura italiana, Giuseppe Orsi, amministratore
delegato di Finmeccanica, viene messo in custodia cautelare e Bruno
Spagnolini, a.d. di AgustaWestland, agli arresti domiciliari. Entrambi
sono accusati di corruzione internazionale nell’ambito del contratto con
l’India. Orsi trascorre 80 giorni in carcere prima di tornare in
libertà, ma subito alle prese nel processo con rito immediato che lo
vede imputato per corruzione internazionale, concussione e peculato. A
guidare le indagini su uno dei manager più potenti del Paese niente di
meno che Sergio De Caprio, alias Capitano Ultimo, il famoso ufficiale
noto per aver arrestato il capo dei capi di Cosa Nostra, Totò Riina.
LE ACCUSE. Su Orsi si alza subito un’aria pesante.
Viene accusato di aver ottenuto l’appalto per la vendita di 12
elicotteri AgustaWestland tramite il pagamento di una maxi tangente da
51 milioni di euro. Secondo i magistrati di Busto Arsizio nella vendita
degli elicotteri all'India "vi fu corruzione di pubblici ufficiali
indiani posta in essere dagli intermediari italo svizzeri" Haschke e
Gerosa "con l'assenso della dirigenza dell'Agusta Westland, in
particolare di Orsi” e di Bruno Spagnolini, ad di AgustaWestland. Le
"somme" sarebbero state conferite "mediante un iniziale fittizio
contratto di scouting per elicotteristica civile" e poi con "altrettanti
fittizi contratti di ingegneria stipulati con le società Ids India e
Ids Tunisia, che facevano sempre capo a detti intermediari". In
particolare Orsi e Spagnolini "quali corruttori" e Haschke, Gerosa e
Cristian Mitchell (titolare della 'Global Service Fze con sede a Dubai e
consulente di AgustaWestland) "quali intermediari", avrebbero
corrisposto “per il tramite dei fratelli Tyagi somme di denaro, non
esattamente quantificate nella complessiva entità, al maresciallo Sashi
Tyagi, capo di Stato maggiore dell'Indian Force dal 2004 al 2007 per
compiere e per aver compiuto un atto contrario ai doveri d'ufficio". Il
potente Orsi diventa subito un diseredato. Gli altri potenti gli voltano
subito la schiena. Secondo quanto riportato nell'ordinanza d'arresto,
le indagini su Finmeccanica avrebbero determinato "un palese imbarazzo
da parte dei più importanti esponenti governativi per la condotta di
Orsi". Il Gip nell'ordinanza cita un colloquio intercettato in cui un
manager "sembra riporti le parole di Monti" che direbbe: "Non gli
stringo la mano, capirà che si deve dimettere". Dimissioni che in
effetti arrivano il 16 febbraio 2013, tre giorni dopo che il Cda di
Finmeccanica affida le sue deleghe ad Alessandro Pansa.
BEGHE POLITICHE INDIANE. Con l’avvicinarsi delle
elezioni nel Subcontinente, il caso degli elicotteri VVIP finisce
nell'arena politica. Da una parte, il Bjp party usa il caso
Agusta per criticare il Governo su come questa vicenda, come altre, sia
stata mal gestita dal Congress party. Dall’altra parte, vi è il ministro
della Difesa indiano AK Anthony, uno dei più importanti rappresentanti del Congress party,
alla guida del dicastero da 8 anni e con l’ambizione di occupare
posizioni di rilievo con le elezioni politiche. Parte della sua
reputazione si basa sulla sua risolutezza nei confronti di casi di
corruzione e violazioni. Di conseguenza, ha sempre mostrato la massima
intransigenza nella vicenda degli elicotteri VVIP, arrivando ad
annunciare, dopo averlo congelato, la terminazione del contratto
nonostante l’assenza di alcuna prova di illecito. Anthony aspira a una
forte indigenizzazione del mercato della difesa indiano e questo è uno
degli argomenti su cui fa leva in campagna elettorale. Al momento le
società straniere possono partecipare con non più del 26% in società
indiane, con possibili deroghe fino al 49% in casi eccezionali. Ma i
prodotti indiani per la difesa mancano di qualità e affidabilità, e in
tempi recenti ci sono stati diversi incidenti. Le forze di difesa
indiane hanno un’urgente necessità di ammodernamento, ma molte gare
restano bloccate per questioni amministrative. La condotta del Ministero
della Difesa in questo come in altri casi è stata considerata dai
commentatori ingiusta, per lo meno da un punto di vista legale,
compromettendo l’affidabilità dell’India come partner commerciale a
livello internazionale. Nonostante ciò, AgustaWestland continua a
vincere gare e a ottenere ordini in tutto il mondo, in particolare con
l’AW101, l’elicottero che era stato selezionato per la fornitura
all’India di elicotteri VVIP e che è stato recentemente scelto dalla
Norvegia per svolgere attività di ricerca e soccorso. Una commessa che
ha fruttato ad Agusta oltre 1,1 miliardi di euro.
LA REAZIONE DEL GOVERNO DI NEW DEHLI. Alla notizia
dell'arresto dell'a.d. di Finmeccanica, il Ministero della Difesa
indiano fa subito aprire diverse indagini interne. Allo stesso tempo
però sospende tutti i pagamenti destinati ad AgustaWestland,
procedimento non previsto da alcuna clausola contrattuale, congelando di
fatto il contratto in vigore in attesa di far luce sul caso. Due giorni
dopo, lo stesso Ministero, in un lungo e dettagliato comunicato stampa
asserisce che la gara si è svolta correttamente durante tutto il
processo di assegnazione. AgustaWestland, da parte sua, dichiara fin da
subito di non avere alcuna evidenza di qualunque forma di illecito né
tantomeno di corruzione nell’ambito del contratto.
IL PROCESSO. A giugno 2013 è cominciato il processo con
rito immediato ai due dirigenti Finmeccanica. Un processo nel quale per
ora, secondo alcuni, l’accusa si è un po’ cristallizzata alla fase
iniziale. Non ha affondato il colpo uno dei principali testimoni, vale a
dire Haschke. In udienza l’intermediario ha parlato di una cena a
Lugano nel quale Orsi non avrebbe pagato il conto con la carta di
credito per non lasciare tracce del suo passaggio in Svizzera, ma allo
stesso tempo ha parlato di un contratto di ingegneria e non di
interventi sulla gara per alterarne il risultato. Agli atti c'è anche
una intercettazione di Orsi che, secondo il procuratore Fusco,
dimostrerebbe la sua consapevolezza del pagamento di mazzette a pubblici
funzionari indiani. Il 13 ottobre il presidente e ad di Finmeccanica è
al telefono con un collaboratore. Si parla di quello che i giornali
hanno pubblicato sull'inchiesta che lo riguarda. A un certo punto i due
fanno riferimento a un articolo del Sole 24 Ore che elenca i nomi degli
indagati. "Non mette i nomi degli indiani?" chiede preoccupato Orsi.
"No", gli risponde il collaboratore. "E il Fatto Quotidiano non mette i
nomi?", chiede ancora Orsi. "Ho paura che Il Fatto Quotidiano mi mette
in linea quel documento". E il collaboratore risponde: "No, però parla
di...". Orsi: "Dell'Indiano!?". Il collaboratore: "No, di un generale
dello 0,5". Orsi: "Ah cazzo! Ah... lo dice?". In attesa di capire se i
giudici crederanno all'interpretazione dell'accusa, nelle ultime
settimane la difesa ha registrato un punto a favore con la testimonianza
del professor Stefano Sandri, ex direttore della ricerca del centro
militare studi strategici del ministero della Difesa, che ha spiegato
che l’allora capo di Stato maggiore indiano Sashi Tagy non avrebbe
potuto avere in alcun modo un ruolo decisivo nell’assegnazione
dell’appalto. Proprio quel Tagy che secondo l’accusa sarebbe il
terminale delle tangenti per l’appalto da 560 milioni. Peccato che
secondo Sandri “Tiagy non poteva decidere niente”, spiegando che la
nuova normativa indiana sulla trasparenza delle gare d’appalto prevede
una serie di “organi collegiali misti militari-civili che presiedono con
competenze diverse alle decisioni sulle gare d’appalto”. Sandri ha
anche aggiunto che Tiagy è entrato in carica nel gennaio 2005, mentre il
report sull’appalto era stato elaborato dalla commissione parlamentare
già un anno prima. Invece secondo il principale accusatore di Orsi,
Lorenzo Borgogni (ex responsabile delle relazioni esterne di
Finmeccanica), dal contratto per la vendita di elicotteri all’India
sarebbe stata ricavata proprio una tangente da 10 milioni che sarebbe
stata girata alla Lega e a Comunione e Liberazione, ma soprattutto al
Carroccio, per favorire la nomina di Orsi ad amministratore delegato di
Finmeccanica. Borgogni è stato querelato da Roberto Maroni per le sue
affermazioni considerate diffamatorie e i riferimenti alla Lega sono
stati considerati dal gip penalmente irrilevanti tanto che l'ipotesi
iniziale di finanziamento illecito non ha trovato nessuno spazio
nell'ordinanza di custodia cautelare del febbraio 2013.
LA DIFESA. In attesa delle sentenza su Orsi e
Spagnolini, attesa per il prossimo luglio, la difesa continua a battere
il tasto della calunnia. Orsi ha denunciato Lorenzo Borgogni, l’ex
responsabile delle relazioni esterne di Finmeccanica. Secondo Orsi
Borgogni, il suo principale accusatore, avrebbe mentito per vendetta
dopo che lui aveva scalzato Pier Francesco Guarguaglini, di cui Borgogni
era stato a lungo tempo il braccio destro. L’intero processo si basa
principalmente sulle accuse di Borgogni. Accuse che la difesa di Orsi,
rappresentata dal legale Ennio Amodio, si basano, appunto, su una
calunnia. “Non si capisce perché i magistrati di Napoli e Busto Arsizio
non hanno ancora voluto chiudere con un tratto di penna, nonostante due
anni di indagini in cui non è emerso il benché minimo riscontro”,
afferma Amodio. Secondo la difesa i magistrati si sono fermati alle
prime accuse di Borgogni, senza però aver mai trovato rilievi davvero
compromettenti sulla presunta tangente. “Sembra quasi che la corruzione
internazionale abbia subìto una mutazione genetica per rimanere
racchiusa nel recinto delle mura italiane”. AgustaWestland ha perso
svariate centinaia di milioni di euro. Orsi ha trascorso 80 giorni in
carcere e ha perso il suo ruolo e il suo potere. Tutto, secondo la
difesa dell’ex ad di Finmeccanica, per una guerra intestina alla seconda
industria italiana.
DUE ANNI DOPO. A 15 mesi di distanza dall’arresto di
Orsi, però, parte della faccenda sembra non quadrare. Fino adesso,
infatti, le accuse di corruzione nei confronti di AgustaWestland non
sono ancora state provate né in Italia né in India. Nonostante tutto
ciò, viene comunque stracciato il contratto di fornitura e sospeso il
pagamento delle rate destinate ad AgustaWestland, un procedimento non
previsto da alcuna clausola. Una vertenza in attesa di una soluzione che
però sembra lontana dall’arrivare. Per il momento, l'India ha accettato
solo di confrontarsi con la compagnia italiana in un arbitrato con sede
a New Delhi e per il quale le parti hanno già scelto i loro
rappresentanti legali fra gli ex giudici della Corte Suprema: B.N.
Srikhrishna per AgustaWestland e Jeevan Reddy per il ministero della
Difesa indiano. Esiste invece ancora un forte dissenso sul terzo giudice
che integrerà il tribunale dell'arbitrato. E per questo, il gruppo
guidato ora da Mauro Moretti si è rivolto alla International Chamber of Commerce di Parigi
fonte:http://www.affaritaliani.it
Giovedì, 8 maggio 2014 - 15:58:00
Giovedì, 8 maggio 2014 - 15:58:00
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