Roma,
1 giu – La Battaglia di Punta Stilo (9 Luglio 1940, subito dopo
l’entrata in guerra) si risolse in alcune ore di inutili cannonate fra
due poderose flotte, italiana e inglese (nessun colpo andò a segno), ma
servì a testare la catena di comando italiana, dove i
comandanti in mare dovevano obbedire agli ordini di Supermarina che
guidava l’azione tattica via radio, da un palazzo a migliaia di km di
distanza su Lungotevere Flaminio a Roma. La necessità di crittografare
le comunicazioni radio rese subito evidente che gli ordini arrivavano al
comandante in mare con anche qualche ora di ritardo. Inoltre la Battaglia di Punta Stilo, servì a testare il coordinamento fra le due armi, Marina e Aereonautica,
ancora più farraginoso. E infatti i bombardieri italiani decollarono
dalla Sicilia a battaglia finita e trovandosi di fronte la flotta
italiana che rientrava la scambiarono per quella inglese bombardandola per oltre un’ora
mentre le navi italiane “si difendevano”, fortunatamente senza che
nessuno, Aereonautica e Marina italiane, mettere nessun colpo a segno. La guerra cominciava male.
Sono passati 76 anni, abbiamo le e-mail, i satelliti, la crittografia automatica, ma a quanto risulta da un servizio del Tg La7 sulla catena di comando che ordinò alla Enrica Lexie di rientrare nel porto indiano di Kochi, dove ebbe inizio la annosa vicenda dei due Marò, la lezione non è stata imparata. In questi quattro anni è rimasto infatti un mistero su chi abbia consentito alla Enrica Lexie di entrare nelle acque territoriali indiane, ma se stiamo al servizio del Tg La7 ora è tutto chiaro, e spiegano i vari tentativi di addossare questa responsabilità al comandante del team Massimiliano Latorre, e spiegano lo sfogo dell’altro accusato Salvatore Girone: “abbiamo obbedito agli ordini!”. Quali ordini? Di chi? Da quanto si apprende nel servizio del Tg La7 il Capitano della Enrica Lexie, Com. Vitelli, chiese all’armatore che acconsentì al rientro in India, ma non poteva decidere per il team militare. Quindi Latorre chiese al suo superiore diretto Cap. Baldari nella Caserma Santa Rosa di Roma, che a sua volta chiama l’Ammiraglio Marzano, che a sua volta interpella l’Ammiraglio Binelli Mantelli, e quindi a Latorre arriva l’ordine di far rotta su Kochi. E non basta, perché casualmente durante le quasi tre ore di contatti i big di Marina, Esercito e Aereonautica sono in videoconferenza: almeno trenta fra Colonnelli e Generali seguono l’evolversi dei fatti – dice il servizio di La7 – ma nessuno interviene per impedire che la nave entri in acque indiane.
Storture, superficialità e negligenze,
ci dice il servizio, e si può condividere. Fortunatamente l’Aereonautica
era fuori portata, altrimenti magari avrebbe avuto l’ordine di bombardare la Enrica Lexie
e facevamo la fine di Punta Stilo. Prima di lasciarsi andare alla
disperazione (è d’obbligo) dobbiamo freddamente analizzare il resto, l’autoassoluzione. “Nessuno sarà condannato per il lungo tormento”, riporta il servizio, e il ministro della Difesa Pinotti dichiara che una inchiesta “non serve”.
E no! Dobbiamo sapere quale è stato il “ruolo politico” in questa
stolta vicenda, se le “greche” abbiano fatto tutto da sole o se come più
probabile sia stato interpellata l’autorità politica e
se questa abbia partecipato alla decisione: chi, per nome e cognome.
Abbiamo avuto quattro anni di sequestro in India di due militari in
servizio, un contenzioso aperto in un Tribunale Internazionale, almeno
due anni di “campagna colpevolista” dei media governativi (Caporetto
1917, le decimazioni dei “soldati vigliacchi” per coprire l’ordine alle
artiglierie di sparare solo tre colpi l’ora per “risparmiare”, Badoglio,
sempre lui).
Luigi Di Stefano - 1 GIUGNO 2016
fonte: http://www.ilprimatonazionale.it
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