Il primato nella triste classifica è stato divulgato da Oms che sottolinea come il 91% delle egiziane è obbligata a sottoporsi all’operazione. L’Africa è il continente in cui la mutilazione genitale è più diffusa, con 91,5 milioni di ragazze colpite
Secondo gli ultimi dati Unicef l’Egitto
è lo stato al mondo con la più alta concentrazione di interventi di
mutilazione genitale femminile: il 91% della popolazione è stato
obbligato a sottoporsi alla pratica dell’infibulazione.
Eppure dal 2008 una legge definisce la mutilazione genitale femminile
come un reato punibile con una pena detentiva da tre mesi a due anni o
una multa da 1.000 a 5 mila sterline egiziane (fra i 100 e i 500 euro
circa).
Il problema di questa normativa è che stabilisce un'eccezione al
generico divieto di infibulazione ammettendo la “ablazione totale o
parziale degli organi genitali esterni femminili” in caso di necessità
medica. Di fatto questa clausola della normativa ha legittimato una
prosecuzione indisturbata delle pratiche di Mutilazione.
Infatti nel novembre scorso si è tenuto il primo processo contro un operatore sanitario e contro il padre della vittima. Peccato che i due uomini, Raslan Fadl e Mohamed al Bata’s, siano stati assolti dall’accusa di aver procurato la morte, avvenuta nel giugno 2013, della ragazzina di 12 anni sottoposta all’intervento.
In tutto il mondo sono circa 125 milioni le donne che convivono con una mutilazione genitale femminile. La pratica consiste nell’asportazione o nell’incisione parziale o totale dei genitali femminili esterni con successive conseguenze non solo dal punto di vista psicologico, ma anche con danni irreversibili per la salute delle donne.
Infatti nel novembre scorso si è tenuto il primo processo contro un operatore sanitario e contro il padre della vittima. Peccato che i due uomini, Raslan Fadl e Mohamed al Bata’s, siano stati assolti dall’accusa di aver procurato la morte, avvenuta nel giugno 2013, della ragazzina di 12 anni sottoposta all’intervento.
In tutto il mondo sono circa 125 milioni le donne che convivono con una mutilazione genitale femminile. La pratica consiste nell’asportazione o nell’incisione parziale o totale dei genitali femminili esterni con successive conseguenze non solo dal punto di vista psicologico, ma anche con danni irreversibili per la salute delle donne.
Praticata per ridurre o soggiogare la sessualità della donna, per
ragioni sociologiche o anche religiose, si crede infatti che la MGF sia
prevista dal Corano, la mutilazione genitale femminile non è mai
giustificabile e rimane una pratica disumana.
Secondo gli ultimi dati OMS,
con 91,5 milioni di ragazze vittime di mutilazione genitale, l’Africa
si configura come il continente dove la pratica è più diffusa e al dato
già drammatico ogni anno si aggiungono alla statistica circa tre milioni
di bambine sotto i 15 anni.
In 7 Stati (Egitto, Eritrea, Gibuti, Guinea, Mali, Sierra Leone e
Somalia) e nel Nord del Sudan il fenomeno tocca praticamente l'intera
popolazione femminile. In altri 4 paesi (Burkina Faso, Etiopia, Gambia,
Mauritania) la diffusione è maggioritaria ma non universale. In altri 5
(Ciad, Costa d'Avorio, Guinea Bissau, Kenya e Liberia) il tasso di
prevalenza è considerato medio tra il 30 e il 40% della popolazione
femminile, mentre nei restanti paesi la diffusione delle MGF varia dallo
0,6 al 28,2.
Oltre che umilianti, le mutilazioni genitali sono
estremamente dolorose. Le bambine che vi sono sottoposte possono morire
per cause che vanno dallo shock quello neurogenico (provocato dal dolore
e dal trauma), all'infezione generalizzata (sepsi).
Le conseguenze di lungo periodo sono la formazione di ascessi, calcoli e
cisti, infezioni e ostruzioni croniche del tratto urinario e della
pelvi, forti dolori nelle mestruazioni e nei rapporti sessuali, maggiore
vulnerabilità all'infezione da HIV/AIDS, epatite e altre malattie
veicolate dal sangue, infertilità, incontinenza, maggiore rischio di
mortalità materna per travaglio chiuso o emorragia al momento del parto.
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