In questi giorni, dopo la negazione indiana di far rientrare
Salvatore Girone in Italia per un permesso natalizio e di prolungare le
cure per Massimiliano Latorre dopo l’ictus che lo ha colpito, la vana e
perfino ridicola direttiva di “pensarci sempre ma non parlarne mai!” è
stata cassata, e numerose sono le reazioni di “contrarietà” per la
posizione “non umanitaria” del rifiuto indiano. Ma davvero c’era
qualcuno di buon senso e dabbene che credeva e confidava in una diversa
risposta di Delhi? Già ci avevano concesso permessi natalizi nel 2012, e
poi pasquali nel 2013 in occasione delle votazioni nazionali, in modo
del tutto strano e irrituale, almeno sotto il profilo giuridico, per
degli imputati in attesa di processo: ciò nonostante, in entrambe le
licenze, siamo riusciti a mandare all’aria qualunque strategia per
trattenerli in Patria, restituendoli agli indiani, con dei voltagabbana
vergognosi. E, ora, ci mostriamo arrabbiati e contrariati per le loro
ultime decisioni? Ma perché non guardiamo innanzitutto ai nostri
comportamenti che hanno gettato a mare i 2 fucilieri almeno tre volte,
con spregiudicatezza e senza fare alcuna azione responsabile per
tutelarli e, quindi, toglierli da quella nefasta situazione di indebita
prigionia indiana?
Non essendo stati capaci di far valere i principi del diritto
internazionale e della loro immunità funzionale, né di avviare le azioni
legittime e più opportune per la risoluzione del caso, nell’arco di ben
tre governi e cinque ministri degli esteri che si sono avvicendati, ora
mostriamo contrarietà poiché anche sul piano umanitario, dopo le ovvie
sconfitte sul terreno giuridico, ci hanno risposto “picche”.
Gli indiani, sotto questo profilo, sono assai più “duri” di
“noantri”; risulta che neppure a un indagato sotto processo abbiano
consentito il permesso di un paio d’ore per assistere al funerale del
proprio genitore: figurarsi per due stranieri, per di più militari!
Qualcosa allora non torna; c’è da chiedersi come mai, soprattutto in
quel Marzo 2013, avrebbero concesso loro una lunga licenza “per andare a
votare”, quando si sa bene che il diritto di voto per il personale
all’estero, poteva essere espletato nell’Ambasciata locale. Senza
machiavellismi, ma anche senza passare per fessi, c’è da supporre che
gli intendimenti del governo indiano avessero messo a conto, se non
gradito, che una volta in Italia, avessimo trattenuti i 2 fucilieri per
un processo italico e la magistratura avesse fatto la propria parte
ritirando loro i passaporti, atteso che il loro rientro configurava una
insolita e illegittima estradizione di due nostri cittadini verso un
Paese in cui vigeva, e vige, la pena di morte. Troppi hanno glissato sui
loro specifici doveri, dal politico di turno ai magistrati competenti,
militari e civili; troppa è stata l’enfasi data a quel rientro con
l’allora premier Monti –in pompa magna elettorale- nel riceverli a
Ciampino, e abnorme è stato il trattamento loro riservato come eroi, da
parte del Colle. Senza tante cerimonie e senza le voltagabbane
governative a cui abbiamo assistito, con ministri che hanno cambiato
idea dalla sera alla mattina ( Monti, Passera, Di Paola, Riccardi, a
eccezione di Terzi), passando da un sbandierato fermo “non rientreranno”
fino alla sera del 22 marzo, ad un altrettanto perentorio ordine -non
certo su base volontaria come qualcuno ha voluto farci credere- di
rientro in India, il mattino successivo. Viene da dire che tutto era
previsto; fin dall’inizio, fin dalla scellerata decisione di far entrare
la nave Enrica Lexie -seppure con un maledetto inganno- nelle acque
territoriali del Kerala, fin dal sequestro di armi di uno Stato
(teoricamente) sovrano, fin dalla risibile perizia balistica e posizione
relativa delle due imbarcazioni che risultavano anacronistiche anche
ad un profano, fin dalle prime “stizze” dei nostri capi che non volevano
essere infastiditi, né coinvolti nella questione, anche per non
disturbare gli indiani e i rapporti economici-industriali da mantenere
con loro, costi quel che costi, anche la vita di due figli (forse meglio
dire figliastri, militari sbadati, che si sono ficcati nei guai!).
L’odissea dei 2 fucilieri di Marina, a distanza di quasi tre anni dal loro arresto truffaldino, ha assunto i paradossali contorni dell’incredibile, sia per il continuo disconoscimento del diritto internazionale e la mancanza di accuse formali, che per le vicende assai penose e spesso poco dignitose che l’hanno caratterizzata. Le intenzioni della classe politica si sono rivelate poco incisive e sempre in bilico fra mantenere una certa dignità diplomatica e buone relazioni economico-industriali con l’India, mettendo in secondo piano la sovranità nazionale, e sorvolando su inganni e soprusi scarsamente accettabili istituzionalmente, oltreché moralmente: in questa odissea quasi triennale sembra valere ancor più l’adagio che “le strade dell’Inferno sono lastricate di buone intenzioni”; ma sempre all’Inferno portano, ahimè! se manca la volontà politica autentica di metterle in pratica.
E questo è il punto! Dall’insediamento di questo governo sembrava che fossimo davanti ad una svolta: battersi per il riconoscimento del diritto internazionale e della nostra sola titolarità a processarli; avviare comunque un processo di internazionalizzazione con l’attivazione dell’arbitrato obbligatorio, avevano ribadito le ministre della Difesa e degli Esteri: ma che fine hanno fatto? Silenzio assoluto, e ora un ulteriore schiaffo in faccia da parte di quel Modi, neo-premier indiano, su cui avevano riposto le più rosee aspettative di soluzione del contenzioso, che non si è lasciato commuovere neppure da rappresentazioni umanitarie del caso.
L’odissea dei 2 fucilieri di Marina, a distanza di quasi tre anni dal loro arresto truffaldino, ha assunto i paradossali contorni dell’incredibile, sia per il continuo disconoscimento del diritto internazionale e la mancanza di accuse formali, che per le vicende assai penose e spesso poco dignitose che l’hanno caratterizzata. Le intenzioni della classe politica si sono rivelate poco incisive e sempre in bilico fra mantenere una certa dignità diplomatica e buone relazioni economico-industriali con l’India, mettendo in secondo piano la sovranità nazionale, e sorvolando su inganni e soprusi scarsamente accettabili istituzionalmente, oltreché moralmente: in questa odissea quasi triennale sembra valere ancor più l’adagio che “le strade dell’Inferno sono lastricate di buone intenzioni”; ma sempre all’Inferno portano, ahimè! se manca la volontà politica autentica di metterle in pratica.
E questo è il punto! Dall’insediamento di questo governo sembrava che fossimo davanti ad una svolta: battersi per il riconoscimento del diritto internazionale e della nostra sola titolarità a processarli; avviare comunque un processo di internazionalizzazione con l’attivazione dell’arbitrato obbligatorio, avevano ribadito le ministre della Difesa e degli Esteri: ma che fine hanno fatto? Silenzio assoluto, e ora un ulteriore schiaffo in faccia da parte di quel Modi, neo-premier indiano, su cui avevano riposto le più rosee aspettative di soluzione del contenzioso, che non si è lasciato commuovere neppure da rappresentazioni umanitarie del caso.
Abbiamo assistito invece, in silenzio, e con un’assenza pelosa dei
media, a manovre nichiliste, condite con dichiarazioni di facciata per
perdere tempo, per privilegiare l’inazione, per non “disturbare” gli
indiani, ma destinate a lasciare abbandonati nel pantano i nostri poveri
del San Marco. Migliaia, ma inascoltate, sono le istanze presentate da
semplici cittadini sui social network per dimostrare da un lato la
vicinanza agli sfortunati fucilieri, e dall’altro per sottolineare le
ingiustizie perpetrate dagli indiani e l’insofferenza mista a forte
disagio per l’inazione dei tre governi che si sono succeduti dall’inizio
della triste vicenda.
Nulla risulta in concreto sia stato posto in essere, se non qualche vacua dichiarazione estemporanea; l’internazionalizzazione si è persa fra i meandri di Bruxelles, la neo-Mrs Pesc (Mogherini) non si è più fatta sentire sull’argomento, e le occasioni perdute delle riunioni dei “big” da Davos, a Glasgow per arrivare a Brisbane in cui l’ineffabile Modi, che già aveva avuto modo di dire che “il processo indiano(!!) sarà giusto e rapido!” , non ha lasciato che il nostro omologo potesse manco controbattere all’affermazione del “loro processo!!”, altro che “nostro”!
Nulla risulta in concreto sia stato posto in essere, se non qualche vacua dichiarazione estemporanea; l’internazionalizzazione si è persa fra i meandri di Bruxelles, la neo-Mrs Pesc (Mogherini) non si è più fatta sentire sull’argomento, e le occasioni perdute delle riunioni dei “big” da Davos, a Glasgow per arrivare a Brisbane in cui l’ineffabile Modi, che già aveva avuto modo di dire che “il processo indiano(!!) sarà giusto e rapido!” , non ha lasciato che il nostro omologo potesse manco controbattere all’affermazione del “loro processo!!”, altro che “nostro”!
E dell’arbitrato obbligatorio promesso, previsto proprio per
dirimere casi controversi del genere, qualcuno ne ha sentore? No, perche
nonostante le dichiarazioni iniziali, mai è stato avviato! E allora
che fare, visto che il tempo stringe e Latorre dovrebbe rientrare in
India il 13 gennaio 2015 dopo le cure del caso, a seguito del malore
subito? Dobbiamo forse attendere che lo stress giochi uno stesso scherzo
anche al Girone ancora in India a cui è stato rigettato il permesso di
rientro? Non lo vogliamo, né glielo auguriamo. Dobbiamo ancora
sopportare ulteriori ingiustizie e angherie indiane, ormai insostenibili
per la grave vergogna già sofferta in mille e più giorni?
Oltre a richiamare il nostro Ambasciatore a Delhi per consultazioni, bisogna allora allontanare il loro a Roma in quanto “non gradito per il non rispetto di qualsivoglia diritto…”, avviando subito, e senza ulteriori tentennamenti, l’arbitrato obbligatorio internazionale già avviato nel marzo 2013 dallo stesso ministro degli Esteri pro-tempore (Terzi) , ma poi inopinatamente bloccato dal premier Monti. Ciò potrebbe consentire al Tribunale di Amburgo, competente per dirimere simili controversie fra Stati firmatari la Convenzione del Mare di Montego Bay (UNCLOS 82), di avviare un giudizio in materia nel breve volgere di qualche settimana, in modo che entrambi i fucilieri siano spostati in un Paese terzo, comunque fuori dall’India. Al tempo stesso, volendo perseguire canali formali, e nell’ottica di evitare ritorsioni indiane su Girone, si dovrebbe sottoporre la questione al Consiglio di Sicurezza dell’ONU e al Consiglio Atlantico, ponendo con estrema chiarezza e determinazione -se del caso battendo i pugni e facendo chiaramente capire il veto per far entrare l’India in tale consesso quale membro permanente- il grave nocumento al contrasto della pirateria. Che, non va dimenticato, viene svolto sotto l’egida e specifiche Risoluzioni delle NU, con una precisa tutela e garanzia dell’immunità funzionale dei propri militari giudicabili dai soli paesi di appartenenza, in palese contrasto con il nefasto caso dei due fucilieri di Marina ancora sotto processo in India. Ma, se tutto ciò, non sortisce gli effetti sperati entro la data del 13 gennaio 2015, di previsto rientro coatto del povero Latorre, bisogna che il sottufficiale Girone sia comunque liberato e fatto rientrare in Patria; i ministri competenti, il premier, ed il PdR ancora in carica per gli ultimi giorni del suo mandato, dovranno prendere una decisione grave, ma essenziale, se si vuole riportarlo a casa: un’«ultima spiaggia» dando l’ordine alle nostre Forze speciali che, in primis, è quella più idonea, fattibile e, a questo stato delle cose, anche la più accettabile. Se le contrarietà, nel dramma dei 2 fucilieri, appaiono scontate, mai e poi mai dobbiamo cedere il passo alla rassegnazione: sarebbe una soluzione moralmente inaccettabile!
Oltre a richiamare il nostro Ambasciatore a Delhi per consultazioni, bisogna allora allontanare il loro a Roma in quanto “non gradito per il non rispetto di qualsivoglia diritto…”, avviando subito, e senza ulteriori tentennamenti, l’arbitrato obbligatorio internazionale già avviato nel marzo 2013 dallo stesso ministro degli Esteri pro-tempore (Terzi) , ma poi inopinatamente bloccato dal premier Monti. Ciò potrebbe consentire al Tribunale di Amburgo, competente per dirimere simili controversie fra Stati firmatari la Convenzione del Mare di Montego Bay (UNCLOS 82), di avviare un giudizio in materia nel breve volgere di qualche settimana, in modo che entrambi i fucilieri siano spostati in un Paese terzo, comunque fuori dall’India. Al tempo stesso, volendo perseguire canali formali, e nell’ottica di evitare ritorsioni indiane su Girone, si dovrebbe sottoporre la questione al Consiglio di Sicurezza dell’ONU e al Consiglio Atlantico, ponendo con estrema chiarezza e determinazione -se del caso battendo i pugni e facendo chiaramente capire il veto per far entrare l’India in tale consesso quale membro permanente- il grave nocumento al contrasto della pirateria. Che, non va dimenticato, viene svolto sotto l’egida e specifiche Risoluzioni delle NU, con una precisa tutela e garanzia dell’immunità funzionale dei propri militari giudicabili dai soli paesi di appartenenza, in palese contrasto con il nefasto caso dei due fucilieri di Marina ancora sotto processo in India. Ma, se tutto ciò, non sortisce gli effetti sperati entro la data del 13 gennaio 2015, di previsto rientro coatto del povero Latorre, bisogna che il sottufficiale Girone sia comunque liberato e fatto rientrare in Patria; i ministri competenti, il premier, ed il PdR ancora in carica per gli ultimi giorni del suo mandato, dovranno prendere una decisione grave, ma essenziale, se si vuole riportarlo a casa: un’«ultima spiaggia» dando l’ordine alle nostre Forze speciali che, in primis, è quella più idonea, fattibile e, a questo stato delle cose, anche la più accettabile. Se le contrarietà, nel dramma dei 2 fucilieri, appaiono scontate, mai e poi mai dobbiamo cedere il passo alla rassegnazione: sarebbe una soluzione moralmente inaccettabile!
Giuseppe Lertora - 19 DICEMBRE 2014
FONTE: http://www.liberoreporter.it
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