TAGLIO PROVINCE/ 1. Il giurista: il grande bluff di una legge che aumenta enti e spese
Quale "pseudo-titolo" potrebbe essere
attribuito – secondo la moda del momento - al cosiddetto disegno di
legge Delrio appena approvato dalle due Camere? Non si aboliscono le
Province, e dunque non si può chiamarla legge "elimina-Province". Non si
tolgono del tutto le attuali competenze delle Province, e perciò non si
può chiamarla legge "svuota-Province". Non si riducono in modo
apprezzabile – come attestato dalla stessa Corte dei conti – le spese
pubbliche connesse all'amministrazione provinciale, né si diminuisce il
personale amministrativo delle Province, e dunque non si può neppure
chiamarla legge "taglia-spese" o "anti-sprechi". Non si riduce il numero
degli enti intermedi, dato che le uniche Province soppresse sono quelle
che saranno sostituite dalle ben più consistenti Città metropolitane
(che ne erediteranno il patrimonio e ne vedranno accresciute le
competenze), e pertanto non si può chiamarla legge "taglia-Province".
Infine, non si eliminano, né si riducono gli enti di area vasta di
dimensione subregionale, e dunque non si può chiamarla legge
"semplifica-enti".
In breve, allora, cosa si fa? Si eliminano
le elezioni popolari degli organi di governo delle Province, e dunque si
può parlare di legge "taglia-democrazia". Si crea un nuovo livello
ordinamentale intermedio, mediante un numero non disprezzabile di Città
metropolitane distribuite per di più in modo irrazionale sul territorio
nazionale, e dunque si può parlare di legge "accresci-enti". Si prevede
la frantumazione del livello territoriale dell'amministrazione
decentrata dello Stato, che non sarà più obbligatoriamente collocata a
livello provinciale, e dunque si può parlare di legge "aumenta-uffici".
Si ridefiniscono le competenze funzioni delle Province,
e contemporaneamente si innesta un nuovo processo di attribuzione delle
preesistenti funzioni provinciali secondo esiti allo stato
imprevedibili, e dunque si può parlare di legge "accresci-confusione".
Il cittadino avrà di fronte la stessa Provincia, talora sostituita dalla
Città metropolitana, ma non saprà più a chi rivolgersi per le
preesistenti funzioni provinciali: dovrà aspettare l'avvento di future
leggi statali e regionali. Sono passati anni di studio, di dibattiti, di
riflessioni, di commissioni di indagini, ma il legislatore ancora non
sa a chi assegnare che cosa.
Le tasse locali di livello provinciale,
però, si dovranno pagare lo stesso, ma saranno decise da organi non
eletti direttamente dai cittadini, e diretti probabilmente dal sindaco
più forte all'interno dell'ambito provinciale. Egli governerà l'intero
ambito provinciale in permanente conflitto di interessi con il proprio
Comune, e dirigerà tutte le attività di programmazione e gestirà le
attività di servizio di competenza provinciale, anche quelle che
riguarderanno la sua comunità locale (forse privilegiandola?) e quelle
dei Comuni limitrofi (forse danneggiandole?).
I Commissari, che sino all'elezione dei
nuovi organi di secondo grado governeranno le Province, saranno trattati
ben diversamente: i Commissari di provenienza governativa saranno
pagati per quello che faranno, mentre i titolari degli organi elettivi
prorogati, se vorranno proseguire in questo ruolo attribuitogli con il
consenso popolare, dovranno farlo gratuitamente. E ciò in spregio al
principio costituzionale proprio di ogni democrazia non censitaria,
secondo cui chi è chiamato all'esercizio di cariche pubbliche ha diritto
all'indennità che consenta l'adempimento di tali funzioni in ragione
del fatto che gli è precluso, almeno in parte, lo svolgimento di altra
attività professionale o lavorativa. I cittadini delle Città
metropolitane, infine, potranno continuare ad eleggere i propri
governanti di area vasta, mentre i cittadini delle Province non potranno
farlo.
Chi guadagnerà da questa cosiddetta
riforma? Non l'ordinamento costituzionale, leso in alcuni fondamentali
principi di democrazia rappresentativa; non le casse dell'erario, che
saranno certo alleggeriti dai soli costi degli organi di direzione
politica, ma che subiranno tutti gli oneri di una riforma affrettata,
monca, e dallo sviluppo incerto; non i cittadini, che vedranno da subito
limitati i loro diritti politici, e che si troveranno a vagare tra gli
uffici pubblici alla ricerca di quello competente a risolvere i loro
problemi. In questa sede, si può solo ricordare che una legge dello
Stato non può sopprimere la forma rappresentativa degli enti
territoriali che sono garantiti dalla Costituzione nella loro
autonomia.
Si potrebbe dire in sintesi: giuste le
premesse, buone le intenzioni, ma confusa la strategia, limitati o
irrisori gli effetti finanziari, e pericolosi gli esiti. Gli appelli di
chi invocava l'applicazione di principi di ragione sono stati scambiati
per difesa strumentale di una delle tante "caste" da abbattere in fretta
e senza scrupoli. Si elimina un'intera classe politica, abbandonandola
a rancori che non aiutano certo quel poco che resta della stabilità del
quadro partitico.
Non possiamo, però, assistere in silenzio e compiaciuti, come le tricoteuses davanti
alla ghigliottina della Bastiglia. Occorre sollecitare gli organi
costituzionali di garanzia a intervenire prima che sia troppo tardi, a
partire dal Capo dello Stato cui spetta valutare il testo legislativo ai
fini della promulgazione, sino alla Corte costituzionale che potrà
essere chiamata a pronunciarsi sui vizi di legittimità costituzionale.
Sino a quando la Costituzione non sarà cambiata, essa deve essere
rispettata nella sua interezza.
Le riforme servono, ma devono essere
ponderate. I risparmi di spesa vanno conseguiti, ma considerando gli
effetti complessivi degli interventi. E quando un ramo della democrazia
viene tagliato, l'intero albero ne soffre.
GIULIO M. SALERNO :
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