Come si è arrivati all'elezione di «Sergiuzzo» al Colle, il ruolo di Guerini, Fioroni e Valiante
E’
forse stancante ripetere che la Democrazia Cristiana è tornata al
potere dopo l’elezione di Sergio Mattarella alla presidenza della
Repubblica italiana. Eppure le modalità con cui si è arrivati sabato 31
gennaio a eleggere un capo dello Stato dal passato nella sinistra Dc
sanno molto di prima repubblica, di plastica rappresentazione del
potere, che, come diceva Giulio Andreotti, «logora chi non ce l'ha».
Eppure i protagonisti di questa storia hanno dimostrato di averlo, forti
anche dalle esigenze di riportare un presidente nelle grazie di un
Vaticano diverso, dove siede Papa Francesco e dove la Cei ha sempre meno
influenza. Sono state manovre in «odore di santità», in sostanza. Sono
stati soprattutto i cattolici, di entrambi gli schieramenti, sia nel
centrodestra sia nel centrosinistra, a convincere il premier Matteo
Renzi a portare avanti la candidatura di Mattarella. I retroscena
raccontano di cene e incontri in corso da settimane per lavorare ai
fianchi il segretario del Partito Democratico, che in un primo momento
pareva essere orientato di più su Giuliano Amato, un laico, ex
socialista, nelle grazie del leader di Forza Italia Silvio Berlusconi.
Lo stesso si può dire di Napolitano, del resto: anche lui preferiva il
Dottor Sottile, anche lui si è fatto convincere a puntare su Mattarella
Bisogna quindi tornare al 14 gennaio per capire come si è snodata la
strategia dei cattolici piddini, perché «Sergiuzzo» è uno di loro, è una
«loro» vittoria. Il 14 gennaio è mercoledì. Renzi a palazzo Chigi è
ancora convinto di stringere un accordo con Berlusconi, per tenere fede
al patto del Nazareno. La sera, al ristorante “Scusate il ritardo” in
piazza della Rotonda, viene organizzata una cena dal pivot del gruppo
degli ex popolari, il portavoce di Amicidem Simone Valiante. Partecipano
in 57, anche se di questi quattro almeno arriveranno in ritardo. Nasce
lì, a pochi metri dal Pantheon il primo tentativo di far eleggere un ex
democristiano al Quirinale, il primo dopo vent'anni: l'ultimo fu Oscar
Luigi Scalfaro. Il piatto vero di quella cena è che per arrivarci serve
la benedizione di Beppe Fioroni e Lorenzo Guerini, in particolare del
secondo, il Gianni Letta 3.0 del presidente del Consiglio. A questo
punto l'azione di Fioroni e degli ex popolari si fa più forte. Palazzo
San Macuto, sede della commissione d'inchiesta sul caso Moro (presieduta
appunto da Fioroni) diventa il punto di riferimento e snodo per gli ex
dc. Nel via vai di quei giorni si rivedono facce apparentemente
dimenticate come l'ex ministro siciliano Totò Cardinale, «l’uomo senza
cariche che tiene in mano il Pd siciliano».
Iniziano così a muoversi i colonnelli ex Dc del Pd. Sondano gli umori
anche della sinistra sul nome di Mattarella. È un strategia combinata.
Perché nel frattempo, messaggi diretti e indiretti da parte di Fioroni,
AmiciDem e l'area ex popolare giungono a palazzo Chigi: "Caro Matteo,
Amato non è il candidato tuo e di Berlusconi ma il candidato di
Berlusconi, D'Alema e Bersani. Se lo fai eleggere non avrai garanzie.
Occorre qualcuno più autonomo, sia nei confronti dell'opposizione
interna del Pd sia nei confronti di Berlusconi. Amato non è l'uomo
giusto. Sergiuzzo sì". In questo quadro risultano decisivi il rapporto
di fiducia totale che unisce Guerini e Renzi, la regia di Fioroni e la
mobilitazione di Valiante. Siamo a lunedì scorso, lunedì 26. Nel
frattempo anche Dario Franceschini, dopo la famosa cena allo "Scusate il
ritardo", si è convinto e decide di cambiare orientamento e di non
sostenere più la candidatura di Amato (inizialmente presa in
considerazione da Renzi). Promuove anche lui con Fioroni, Valiante e
Guerini il nome di Mattarella.
Intanto Renzi incomincia a pensarci seriamente, tanto da chiamare
Mario Mauro di Popolari per l'Italia per farsi raccontare un po' del
passato del giudice costituzionale. Il vento sta cambiando. La mossa
viene intercettata dai cattolici di Nuovo Centrodestra e quindi di
rimando dallo stesso Silvio Berlusconi. «Gira voce che Renzi potrebbe
virare su Mattarella». C’è scompiglio a palazzo Grazioli. Tanto che con
l’ex Cavaliere si fanno subito sentire due vecchie volpi della politica
italiana come Claudio Scajola e Altero Matteoli. «Silvio, vota
Mattarella dalla prima chiama, rendilo il tuo candidato e spariglia le
carte o almeno farlo dalla quarta votazione». Ma Silvio non ci sente. Il
resto è storia di questi giorni. Con l’incontro tra Renzi e Berlusconi
che finisce con il Rottamatore vincente e determinato, quindi le
giravolte di giovedì e infine la capitolazione di sabato 31 gennaio.
Ora, tra l’ex Cavaliere e Ncd c’è solo da leccarsi le ferite. La
spaccatura tra gli alfaniani è molto più larga di quanto non si pensi.
Alfano ha ceduto per timore di perdere il dicastero dell'Interno, ma si è
alla fine fatto persuadere anche da due argomenti che lo hanno
convinto: la sicilianità (conterraneo di Mattarella, primo capo dello
stato espresso dall'Isola) e la democristianità. Avrebbe potuto farlo
prima, ma l’abbraccio di Berlusconi anche in vista delle prossime
tornate elettorali deve aver avuto la meglio in un primo momento. I
malumori adesso sono tutti provenienti dall'area ex socialista ed
ex Alleanza Nazionale, da Maurizio Sacconi fino a Sergio Pizzolante.
E infine si fa sempre più delicata la situazione dentro Forza Italia.
Raffaele Fitto potrebbe avere buon gioco ad accelerare ogni operazione
per raccogliere la maggioranza del gruppo parlamentare e sul territorio
in vista delle regionali. C'è chi parla con insistenza di una saldatura
tra i parlamentari fittiani e deputati e senatori lombardi che provano
malessere per la conduzione Gelmini-Toti. Se ciò fosse confermato, Fitto
controllerebbe più del 50% dei gruppi parlamentari azzurri e di fatto
diventerebbe lui il leader di Forza Italia in Parlamento. Ma questa è
un'altra storia.
Alessandro Da Rold - 1 febbraio 2015
fonte: http://www.linkiesta.it
Nessun commento:
Posta un commento