Per essere dei professionisti del terrore, dei veri “mastini della
guerra” avvezzi a ogni brutalità, i fratelli franco-algerini Said e
Cherif Kouachi si sono rivelati dei veri e propri “pivelli” lasciando i
propri documenti su una delle auto utilizzate per fuggire dal luogo
della strage alla redazione di Charlie Hebdo.
Sulla Citroen sembra abbiano dimenticato persino un guanto. Quasi
volessero offrire alla polizia francese la prova completa del loro
coinvolgimento nel sanguinoso blitz. Possibile che all’estrema sicurezza
e freddezza dimostrata nelle azioni a fuoco e nelle esecuzioni sommarie
di poliziotti, giornalisti e vignettisti i fratelli Kouachi abbiano
abbinato una così dilettantesca dose di ingenuità e sbadataggine?
Forse
i due hanno voluto spavaldamente farsi conoscere al mondo come i
vendicatori del Profeta insultato dalle vignette del giornale satirico?
Che fossero pronti a farsi identificare correndo maggiori rischi di
essere catturati pur di ostentare le loro gesta? Oppure è possibile che
la polizia abbia detto di aver identificato in questo modo i terroristi
per screditarli agli occhi dei loro numerosi fans o per coprire e
proteggere altre fonti?
Diciamolo subito, se queste ipotesi non trovassero conferma la
vicenda del più grave atto terroristico islamico compiuto in Europa dai
tempi delle bombe su un bus e nella metropolitana di Londra (7 luglio
2005) assumerebbe colori molto torbidi lasciando più di un dubbio circa i
retroscena, i mandanti e i veri obiettivi dell’azione terroristica.
Perplessità
a parte, i cosiddetti “combattenti stranieri” rappresentano una grave
minaccia per tutta l’Europa e l’Occidente che ne ha però favorito la
diffusione armando e sostenendo i gruppi sunniti che combattono contro
il regime siriano di Bashar Assad e di cui fanno parte i volontari
stranieri.
Che essi siano 12 mila come sostiene la CIA o 15 mila (provenienti da
75/81 Paesi, più di quanti fornirono manovalanza alla “legione
straniera” di al-Qaeda” in Afghanistan) come valutavano nei mesi scorsi
fonti dell’ONU, i numeri complessivi di coloro che tornano dalla guerra
addestrati e pronti a esportare il jihad a casa nostra (che abbiamo
fatto diventare anche “casa loro”) sono troppo elevati per pensare che i
servizi di sicurezza possano controllarli tutti a tempo pieno.
Tra
i “foreign fighters” gli europei potrebbero essere almeno 3 mila
europei secondo valutazioni risalenti al novembre scorso ma oggi sono
probabilmente molti di più grazie a un reclutamento sempre più massiccio
necessario anche a rimpiazzare le perdite in battaglia.
Solo i jihadisti con passaporto britannico potrebbero essere 2 mila,
poco meno i francesi mentre Germania, Belgio e Danimarca avrebbero
offerto ognuno alla guerra del Califfato tra i 400 e i 500 combattenti.
Numeri leggermente inferiori per Olanda e Svezia mentre i combattenti
italiani censiti dai nostri servizi di sicurezza sono 53 secondo il
ministro dell’Intero, Angelino Alfano.
Numeri messi insieme grazie soprattutto alla collaborazione del
“nemico” (cioè i servizi segreti siriani che informano i colleghi
europei su presenze, catture e uccisioni di jihadisti stranieri) e
necessariamente imprecisi o approssimati. Probabilmente per difetto.
Foto: AFP e EMA
di Gianandrea Gaiani - 8 gennaio 2015
fonte: http://www.analisidifesa.it
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