Negli altri ordinamenti europei di civil law (quelli di common law non conoscono l’istituto della prescrizione) vigono regole profondamente diverse dall’Italia. In Francia qualsiasi atto di istruzione o di accusa interrompe la prescrizione e il reato si estingue dopo che siano trascorsi 10 anni dal compimento dell’ultimo atto interruttivo. In Spagna la prescrizione si interrompe quando il procedimento penale è “diretto” nei confronti del colpevole e il termine viene congelato durante tutta la durata del processo e fino ad una sentenza di condanna. In Germania, esistono 12 atti tipici con funzione interruttiva della prescrizione, e questa, dopo ogni atto interruttivo, comincia decorrere ex novo con un termine massimo rappresentato dal doppio dei termini di prescrizione ordinari. Tuttavia se viene pronunciata una sentenza di primo grado prima della scadenza del termine di prescrizione ordinario o prorogato, il termine resta sospeso sino alla definizione del processo “con forza di giudicato”.
Dunque altre soluzioni sono possibili, e in Italia
l’interruzione definitiva della prescrizione con l’esercizio dell’azione
penale (o con la sentenza di primo grado) o l’esclusione dal
computo della prescrizione dei tempi e termini che prima ricordavo, o,
comunque, l’introduzione di un “modello europeo” di interruzione della
prescrizione, avrebbe, a mio modesto avviso, almeno sei importanti
effetti positivi.
Primo, eviterebbe scelte processuali difensive – compresa la mancata opzione per i riti alternativi
– meramente dilatorie, con conseguente snellimento dei tempi
processuali del primo grado; poi eviterebbe impugnazioni finalizzate ad
ottenere la prescrizione del reato, con conseguente diminuzione del
carico dei procedimenti pendenti in appello ed in cassazione;
consentirebbe il recupero di risorse umane (parlo di magistrati) per una
più rapida definizione dei procedimenti penali e per far fronte al
crescente numero delle cause civili; ridurrebbe in modo drastico il
numero delle prescrizioni normalmente dichiarate (attualmente circa
150.000 all’anno); restituirebbe al nostro Paese un impianto processuale
finalizzato al rispetto dei principi della efficienza e della
ragionevole durata del processo; renderebbe la nostra disciplina del
tutto coerente con fonti sovranazionali di origine pattizia,
recentemente recepite dallo Stato italiano.
Ci si riferisce, in particolare, alla Convenzione
dell’Organizzazione delle Nazioni Unite contro la corruzione, adottata
dall’Assemblea generale dell’ONU il 31 ottobre 2003 con risoluzione n.
58/4, firmata dallo Stato italiano il 9 dicembre 2003 e
ratificata dall’Italia con la L. 3 agosto 2009. La Convenzione, infatti,
raccomanda il rafforzamento, da parte degli Stati firmatari, delle
misure sostanziali e processuali volte a prevenire e combattere la
corruzione in modo sempre più efficace. Ma ci si riferisce anche al
rapporto redatto dal Gruppo di Stati contro la corruzione che agisce
nell’ambito del Consiglio d’Europa (Greco), che ha recentemente valutato
le politiche anticorruzione poste in essere dall’Italia. Il rapporto
adottato il 2 luglio 2009 si sofferma sul dato relativo alla eccessiva
durata dei processi, sottolineando il fatto che in Italia i processi per
corruzione sovente non arrivano ad una decisione di merito, in
considerazione del maturare del termine di prescrizione del reato, prima
di una pronuncia definitiva. Nel Rapporto si osserva che detta
evenienza scardina l’efficienza e la credibilità del diritto penale,
poiché in tali casi, pur in presenza di un forte quadro probatorio, il
giudice deve pronunciare il non luogo a procedere per estinzione del
reato. Ed il predetto rapporto si conclude con una raccomandazione
all’Italia, ove si auspica l’individuazione di soluzioni che consentano
di addivenire ad una pronuncia di merito, in un tempo ragionevole.
Claudio Curreli - 9 gennaio 2015
Sostituto Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Pistoia
fonte: http://www.interris.it
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