La democrazia costituzionale è morta. Questa è la situazione in cui si trova il nostro paese.
L’unica
strada per uscire dalla violenta crisi economica in atto è comprenderne
le cause, che ovviamente non sono affatto quelle che tutti i giorni ci
vengono propinate da media che, nella grande maggioranza, definire di
regime pare addirittura eufemistico.
Se
ciò che dico vi sembra una dichiarazione troppo forte cominciamo da una
semplicissima osservazione di uno dato di fatto innegabile. In questo paese non votiamo secondo legalità Costituzionale dal 2006, ovvero da tale data il nostro voto non è eguale, libero e personale.
Solo nel 2014 la Corte Costituzionale ha dichiarato incostituzionale la precedente legge elettorale denominata “porcellum”. Tuttavia la composizione del Parlamento è rimasta immutata.Come
chiamereste uno Stato dove non si vota secondo legalità da quasi dieci
anni? Se non si trattasse dell’Italia non vi sarebbe alcun dubbio:
dittatura.
Gli effetti dell’incostituzionalità della legge elettorale sono stati catastrofici per la nostra Repubblica, in particolare il
premio di maggioranza, ed un Parlamento composto da nominati scelti dai
partiti, hanno sovvertito l’equilibrio tra i tre fondamentali poteri
dello Stato, esecutivo, legislativo e giudiziario.
Mentre la nostra Costituzione prevede che il Parlamento debba essere il
luogo ove, previo dibattito, si legifera (art. 70 Cost.), con il
“porcellum” si è invece fatto in modo che il Parlamento diventasse
semplicemente il luogo in cui vengono ratificate le decisioni già prese
dal Governo. Decisioni peraltro usualmente rese vincolanti a colpi di
decreto legge, emessi andando ben oltre i requisiti di cui agli artt. 76
e 77 Cost., utilizzando anche il cosiddetto strumento della fiducia al
momento della conversione.
Trascriviamo queste due norme costituzionali totalmente dimenticate:
-art. 76 Cost.: “L’esercizio della funzione legislativa non può essere delegato al Governo se non con determinazione di principi e criteri direttivi e soltanto per un tempo limitato e per oggetti definiti”;
-art. 77 Cost.: “Il Governo non può, senza delegazione delle Camere, emanare decreti che abbiano valore di legge ordinaria.
Quando,
in casi straordinari di necessità e d’urgenza, il Governo adotta, sotto
la sua responsabilità, provvedimenti provvisori con forza di legge,
deve il giorno stesso presentarli per la conversione alle Camere che,
anche se sciolte, sono appositamente convocate e si riuniscono entro
cinque giorni.
I
decreti perdono efficacia sin dall’inizio, se non sono convertiti in
legge entro sessanta giorni dalla loro pubblicazione. Le Camere possono
tuttavia regolare con legge i rapporti giuridici sorti sulla base dei
decreti non convertiti”.
Tornando al tema delle conseguenze di un
Parlamentare “nominato” appare ovvio che esso sa perfettamente che se
non vota la fiducia ad un provvedimento del Governo tornerà a casa poiché,
in caso di scioglimento delle Camere, il partito non lo inserirebbe
nuovamente nelle liste elettorali impedendogli di proseguire nel suo
incarico con buona pace anche dell’assenza di vincolo di mandato
costituzionalmente prevista (Art. 67 Cost.).
Il
Governo, a sua volta, è poi divenuto il mero esecutore dei
provvedimenti di Bruxelles ovvero dei provvedimenti di quella UE che
oggi è semplicemente il braccio armato di una strisciante dittatura
finanziaria ordoliberista. Ma cos’è successo in concreto? Per capirlo basta partire dalla semplice lettura di una frase, una frase di Mario Monti, un traditore della nostra Patria e della nostra Costituzione.
Monti in particolare ha detto qualcosa di davvero sconcertante che come sempre amo riportare testualmente: “Io ho una distorsione che riguarda l’Europa ed è una distorsione positiva, anche l’Europa, non dobbiamo sorprenderci che l’Europa abbia bisogno di crisi e di GRAVI crisi per fare passi avanti. I passi avanti dell’Europa sono per definizione cessioni di parti delle sovranità nazionali a un livello comunitario . E’ chiaro che il potere politico, ma anche il senso di appartenenza dei cittadini, ad una collettività nazionale possono
essere pronti a queste CESSIONI solo quando il costo politico e
psicologico di non farle diventa superiore al costo del farle perché c’è
una crisi in atto visibile conclamata. Certamente occorrono delle autorità di enforcement (n.d.s. Costrizione, esecuzione traducendo in Italiano) rispettate
che si facciano rispettare che siano indipendenti e che abbiano risorse
e mezzi adeguati oggi abbiamo in Europa troppi Governi che si dicono
liberali e che come prima cosa hanno cercato di attenuare la portata la
capacità di azione le risorse l’indipendenza delle autorità che si
sposano necessariamente al mercato in un’economia anche solo liberale”. (video)
Questo
discorso è la pura e semplice ammissione che la crisi è un atto
necessario al fine di ottenere cessioni di parti di sovranità nazionale
affinché i Governi si sposino compiutamente con i mercati, a tale fine
servono strumenti di costrizione ed esecuzione (avete mai sentito
parlare, ad esempio, di MES o ERF?).
Monti dunque ha certificato ed approvato un atto ostile verso il nostro paese.
Ebbene come si è creata questa crisi, quali sono le sue basi giuridiche? Molto semplice, la
crisi è codificata nelle norme contenute nei Trattati Europei ed in
particolare da Maastricht in poi, norme non compatibili, anzi
diametralmente opposte, rispetto al dettato della nostra Costituzione.
Si deve necessariamente approfondire l’aspetto tecnico della questione e
dunque chiederci come, soprattutto i criteri di stabilità e convergenza
europei, abbiano potuto mettere in ginocchio le nostre economie. Il
problema della crisi economica è tutto qui, nulla a che vedere con il pur deprecabile fenomeno della corruzione che è semplicemente una “falsa bandiera” per distrarre le masse. Nulla
a che vedere anche con l’evasione fiscale che anzi, oggi,
paradossalmente ostacola le illegali politiche UE volte alla distruzione
della domanda interna.
La crisi è dunque codificata nelle cessioni di sovranità monetaria ed economica previste da Maastricht in poi.
In particolare assumono rilievo il Protocollo n. 12 del Trattato sulle
procedure di disavanzo eccessivo e la cessione completa della sovranità
monetaria. Questi rappresentano le due facce della moneta Euro che dunque diventa un metodo di Governo come più volte dichiarato anche dal Presidente dell’associazione Riscossa Italiana, ovvero il Prof. Antonio Maria Rinaldi.
Il
protocollo n. 12 allegato al Trattato di Maastricht fissa un limite
massimo al debito pubblico complessivo nel rapporto col PIL pari al 60%
ed introduce il famoso vincolo del 3% del deficit annuo, ovvero la quota
di indebitamento massimo rispetto al PIL consentita ad una nazione.
Cosa succede ad uno Stato se deve rispettare tale parametro? Molto semplice.
Il
3% del PIL annuo non è sufficiente a coprire neppure gli interessi
passivi sul debito pubblico, ergo lo Stato è costretto a tassare più di
quanto spende.
Dal
1992 in poi l’Italia ha collezionato una serie record di avanzi primari
che hanno portato il paese nell’attuale drammatica situazione economica. L’Italia muore perché ha i conti troppo in ordine!
Benché sia un concetto non menzionato di frequente e quindi inizialmente contro intuitivo, è assolutamente chiaro che se lo Stato tassa più di quanto spende la differenza dovrà venire direttamente dalle nostre tasche. Visto che noi cittadini, come meglio si argomenterà infra, non
possiamo stampare moneta è ovvio, proprio come è ovvio che la Terra sia
piatta, che pagheremo la differenza utilizzando i risparmi accantonati
negli anni precedenti e se non abbiamo più liquidità pagheremo in beni
reali oppure con la perdità della libertà.
Unica
alternativa sarebbe quella di ottenere la differenza attraverso un
saldo positivo della bilancia dei pagamenti, ovvero attraverso le
esportazioni. Cioè ottengo moneta dalle altre nazioni esportando ivi i
miei prodotti.
Tale
politica non può essere attuata nel lungo periodo, lo rilevava già
Keynes, in quanto le aziende di un paese, in questa situazione, non
hanno risorse sufficienti per investire ed inoltre perché non è mai
possibile recuperare competitività deflazionando i salari dei lavoratori
all’infinito (In ogni caso con le esportazioni il risparmio non sarebbe
mai diffuso ma al massimo si concentrerebbe nelle imprese esportatrici
in violazione dell’art. 47 Cost. come meglio si dirà infra). Nel lungo
periodo tale ipotesi di politica economica è semplicemente demenziale.
Normalmente
è la politica monetaria, meglio la svalutazione della moneta, a
consentire una bilancia dei pagamenti positiva. Così faceva l’Italia
quando aveva l’amata Lira. Oggi invece la competitività si può
ottenere solo deflazionando i salari, azione incostituzionale in una
Repubblica fondata sul lavoro (Art. 1 Cost.) e dai costi umani immensi (si pensi solo al numero dei suicidi già avvenuti in Italia ed in Europa).
Le
obiezioni a tali considerazioni sono sempre le solite e, spiace dirlo,
dimostrano unicamente una palese ignoranza giuridica ed economica.
Eccone una classica: ma dove
prendiamo allora i soldi per finanziare la spesa a deficit? Facile,
andrebbero finanziati con la piena sovranità monetaria e dunque
stampando direttamente moneta oppure avvalendosi di una banca centrale
pubblica in grado di acquistare i titoli di Stato che sovranamente la
nazione emetterà per finanziare la propria spesa senza alcun limite. Laspesa pubblica dunque come mezzo per immettere nuova moneta nel sistema.
Vi garantisco che per immettere nuova moneta (ovvero moneta aggiuntiva
rispetto a quella reperibile con le tasse) è meglio la spesa pubblica
degli elicotteri! Il moltiplicatore è decisamente migliore.
Ecco
che risposta alla prima contestazione scatta la seconda obiezione
ovvero quella secondo cui immettendo moneta nel sistema si avrebbero
spinte inflazionistiche non controllabili. Falso. Clamorosamente falso!
L’inflazione
è più uno spauracchio che un vero nemico sotto il profilo scientifico.
Anzi, ricordiamo sempre che secondo il noto principio della “Curva di
Phillips”, la piena occupazione è in realtà raggiungibile solo aumentando l’inflazione. Peraltro oggi
non vi sono spinte inflazionistiche quindi non vi è ragione di
praticare austerità invece che politiche monetarie ed economiche
espansive. Non ha senso preoccuparsi di un’inflazione che non esiste. Invece avrebbe senso occuparsi del problema opposto, la deflazione.
Se ho la pressione troppo bassa assumo farmaci idonei ad alzarla, non
penso di non curarmi per evitare di averla troppo alta. Mi porrò questo
problema solo laddove si dovesse verificare.
Chiaro che in
deflazione serve maggior moneta nel sistema, anche per tornare a
livelli occupazionali accettabili, in assenza dei quali ovviamente non è
ipotizzabile alcuna spinta inflazionistica. Nonostante ciò, invece
che immettere moneta (per tramite la spesa pubblica), ovvero abbassando
le tasse, si continua ad imporre agli Stati l’austerità: si provoca
rarefazione monetaria, maggiore deflazione e conseguente disoccupazione.
Sul punto è semplice anche osservare che, come
afferma il Presidente della V Sez. del Consiglio di Stato, Luciano
Barra Caracciolo, il ritorno alla sovranità monetaria non vuol affatto
dire che si potrà finanziare direttamente ogni tipo di spesa senza
limiti oggettivi. Caracciolo nel suo libro, “Euro e (o?) democrazia costituzionale”,
edizioni Dike, (vivamente consigliato), fa un esempio suggestivo,
quello del finanziamento di una missione spaziale su Marte. Il paradosso
viene evidenziato proprio per sottolineare che a tutto c’è un limite e
come la troppa moneta immessa per mezzo della spesa pubblica potrebbe
essere distruttiva quanto la troppo poca moneta. In sostanza una
politica monetaria sbagliata è sempre “cattiva” e l’austerità eterna è
per definizione una politica sbagliata, anzi demenziale e (o?)
criminale. Ovviamente solo con la piena sovranità monetaria ed
economica uno Stato potrà porre in essere un’equilibrata strategia
volta, come prevede la nostra Costituzione, alla piena occupazione e non
già alla stabilità dei prezzi.
Tuttavia
tale possibilità di determinarsi sovranamente in materie di politiche
monetarie è espressamente esclusa dai Trattati UE. Dobbiamo quindi
necessariamente esaminare il testo di alcune delle principali norme in
materia perché, solo con la loro lettura, è possibile la piena
comprensione di quanto ivi si afferma, ecco dunque l’incubo europeo:
-Articolo 127 (versione consolidata TFUE – Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea – Lisbona 2007)
(ex articolo 105 del TCE).
“1. L’obiettivo
principale del Sistema europeo di banche centrali, in appresso
denominato “SEBC”, è il mantenimento della stabilità dei prezzi. Fatto
salvo l’obiettivo della stabilità dei prezzi, il SEBC sostiene le
politiche economiche generali nell’Unione al
fine di contribuire alla realizzazione degli obiettivi dell’Unione
definiti nell’articolo 3 del trattato sull’Unione europea. Il SEBC
agisce in conformità del principio di un’economia di mercato aperta e in
libera concorrenza, favorendo una efficace allocazione delle risorse e
rispettando i principi di cui all’articolo 119.
2. I compiti fondamentali da assolvere tramite il SEBC sono i seguenti:
− definire e attuare la politica monetaria dell’Unione, 6655/7/08 REV 7 RS/ff 136
JUR IT
− svolgere le operazioni sui cambi in linea con le disposizioni dell’articolo 219,
− detenere e gestire le riserve ufficiali in valuta estera degli Stati membri,
− promuovere il regolare funzionamento dei sistemi di pagamento.
3.
Il paragrafo 2, terzo trattino, non pregiudica la detenzione e la
gestione da parte dei governi degli Stati membri di saldi operativi in
valuta estera.
4. La Banca centrale europea viene consultata:
− in merito a qualsiasi proposta di atto dell’Unione che rientri nelle sue competenze,
− dalle
autorità nazionali, sui progetti di disposizioni legislative che
rientrino nelle sue competenze, ma entro i limiti e alle condizioni
stabiliti dal Consiglio, secondo la procedura di cui all’articolo 129,
paragrafo 4.
La
Banca centrale europea può formulare pareri da sottoporre alle
istituzioni, agli organi o agli organismi dell’Unione competenti o alle
autorità nazionali su questioni che rientrano nelle sue competenze.
5.
Il SEBC contribuisce ad una buona conduzione delle politiche perseguite
dalle competenti autorità per quanto riguarda la vigilanza prudenziale
degli
enti creditizi e la stabilità del sistema finanziario.
6.
Il Consiglio, deliberando all’unanimità mediante regolamenti secondo
una procedura legislativa speciale, previa consultazione del Parlamento
europeo e della Banca centrale europea, può affidare alla Banca centrale
europea compiti specifici in merito alle politiche che riguardano la
vigilanza prudenziale degli enti creditizi e delle altre istituzioni
finanziarie, escluse le imprese di assicurazione”
-Articolo 128 (versione consolidata TFUE)
(ex articolo 106 del TCE)
“1. La
Banca centrale europea ha il diritto esclusivo di autorizzare
l’emissione di banconote in euro all’interno dell’Unione. La Banca
centrale europea e le banche centrali nazionali possono emettere
banconote. Le banconote emesse dalla Banca centrale europea e dalle
banche centrali nazionali costituiscono le uniche banconote aventi corso
legale nell’Unione”.
Ratificando
questo abominio giuridico lo Stato ha rinunciato a poter stampare
direttamente moneta, cosa che non faceva già anche prima del 1981 ma
certamente ciò che allora era una libera scelta, su cui il popolo poteva
sovranamente intervenire, è diventato un obbligo a seguito del cd.
“divorzio”.
Se
qualcuno non lo sapesse, il “divorzio” del 1981 a cui ci si riferisce è
quello avvenuto tra Banca d’Italia ed il Ministero del Tesoro.
Andreatta, l’allora Ministro, con una semplice lettera, pose fine
all’acquisto illimitato dei titoli di Stato da parte della nostra banca
centrale. La conseguenza? Un’impennata degli interessi sul debito che
portarono in dieci anni al raddoppio dello stesso. Ecco il clima in cui
nel 1992 si arrivò a Maastricht, ieri come oggi una crisi
(artificialmente indotta) del debito, fu la leva per strapparci fette di
sovranità. Torniamo all’esame delle norme del Trattato di Lisbona in
versione consolidata.
-Articolo 130
(ex articolo 108 del TCE)
“Nell’esercizio
dei poteri e nell’assolvimento dei compiti e dei doveri loro attribuiti
dai trattati e dallo statuto del SEBC e della BCE, né la Banca centrale
europea né una banca centrale nazionale né un membro dei rispettivi
organi decisionali possono sollecitare o accettare istruzioni dalle
istituzioni, dagli organi o dagli organismi dell’Unione, dai governi
degli Stati membri né da qualsiasi altro organismo.
Le istituzioni, gli organi e gli organismi dell’Unione nonché i governi
degli Stati membri si impegnano a rispettare questo principio e a non
cercare di influenzare i membri degli organi decisionali della Banca
centrale europea o delle banche centrali nazionali nell’assolvimento dei
loro compiti”.
Questa
è la dottrina della Banca Centrale indipendente, dottrina ovviamente
contraria alla Costituzione ed in definitiva alla democrazia, con
particolare riferimento agli artt. 1, 11 e 47 Cost. di cui si dirà
infra.
-Articolo 123 (versione consolidata TFUE)
(ex articolo 101 del TCE)
“1. Sono
vietati la concessione di scoperti di conto o qualsiasi altra forma di
facilitazione creditizia, da parte della Banca centrale europea o da
parte delle banche centrali degli Stati membri (in appresso denominate
“banche centrali nazionali”), a istituzioni, organi od organismi
dell’Unione, alle amministrazioni statali, agli enti regionali, locali o
altri enti pubblici, ad altri organismi di diritto pubblico o a imprese
pubbliche degli Stati membri, cosìcome
l’acquisto diretto presso di essi di titoli di debito da parte della
Banca centrale europea o delle banche centrali nazionali.
2.
Le disposizioni del paragrafo 1 non si applicano agli enti creditizi di
proprietà pubblica che, nel contesto dell’offerta di liquidità da parte
delle banche centrali, devono ricevere dalle banche centrali nazionali e
dalla Banca centrale europea lo stesso trattamento degli enti creditizi
privati”.
Questo
articolo rappresenta l’ulteriore certificazione documentale ed
incontestabile dell’avvenuta cessione della sovranità monetaria ad un
sistema di banche che, in definitiva, sono proprio le banche private e
commerciali che tutti noi conosciamo, visto che BCE è composta dalle
Banche Centrali Nazionali che a loro volta sono composte in larghissima
maggioranza da banche private. Raramente si è visto un simile e
manifesto conflitto d’interesse posto che tenere
stabile il livello dei prezzi e dell’inflazione ovviamente agevola i
creditori e non certo i debitori che hanno un interesse diametralmente
opposto, dunque la rarefazione monetaria è utile solo alla finanza
speculativa.
Il
modello Costituzionale tuttavia è molto diverso, esaminandolo, anche
per sommi capi, si evidenzia, davvero con grande facilità, la totale
incompatibilità tra esso ed i Trattai
UE che, come recentemente confermato anche dalla sentenza della Corte
Costituzionale n. 238/14, non sono sovraordinati ai principi
fondamentali ed ai diritti inviolabili dell’uomo sanciti nella nostra
Carta, fatto che ha consentito allo scrivente di promuovere una causa
attualmente pendente nanti al Tribunale di Genova proprio per portare le
leggi di ratifica dei Trattati all’attenzione della Corte
Costituzionale.
In particolare la Corte ha potuto affermare che: “Non v’è dubbio, infatti, ed è stato confermato a più riprese da questa Corte, che
i principi fondamentali dell’ordinamento costituzionale e i diritti
inalienabili della persona costituiscano un «limite all’ingresso[…] delle
norme internazionali generalmente riconosciute alle quali l’ordinamento
giuridico italiano si conforma secondo l’art. 10, primo comma della
Costituzione»(sentenze
n. 48 del 1979 e n. 73 del 2001) ed operino quali “controlimiti”
all’ingresso delle norme dell’Unione europea (ex plurimis: sentenze n.
183 del 1973, n.170 del 1984, n. 232 del 1989, n. 168 del 1991, n. 284
del 2007), oltre che come limiti all’ingresso delle norme di esecuzione
dei Patti Lateranensi e del Concordato (sentenze n. 18 del 1982, n. 32,
n. 31 e n. 30 del 1971). Essi
rappresentano, in altri termini, gli elementi identificativi ed
irrinunciabili dell’ordinamento costituzionale, per ciò stesso sottratti
anche alla revisione costituzionale (artt. 138 e 139 Cost.: così nella
sentenza n. 1146 del 1988)”.
Ed ancora, confermando anche il concetto di limitazione fatto proprio dallo scrivente, la Corte afferma: “Anche
in una prospettiva di realizzazione dell’obiettivo del mantenimento di
buoni rapporti internazionali, ispirati ai principi di pace e giustizia,
in vista dei quali l’Italia consente a limitazioni di sovranità (art.
11 Cost.), il limite che segna l’apertura dell’ordinamento italiano
all’ordinamento internazionale e sovranazionale (artt. 10 ed 11 Cost.) è
costituito, come questa Corte ha ripetutamente affermato(con
riguardo all’art. 11 Cost.: sentenze n. 284 del 2007, n. 168 del 1991,
n. 232 del 1989, n. 170 del 1984, n. 183 del 1973; con riguardo all’art.
10, primo comma, Cost.: sentenze n. 73 del 2001, n. 15 del 1996 e n. 48
del 1979; anche sentenza n. 349 del 2007), dal
rispetto dei principi fondamentali e dei diritti inviolabili dell’uomo,
elementi identificativi dell’ordinamento costituzionale”.
In claris non fit interpretatio.
Ma veniamo alla nostra amata Costituzione.
L’art. 1 Cost. recita: “L’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”.
La
fondazione della Repubblica sul lavoro impone precisi obblighi allo
Stato in merito alla rimozione delle condizioni di ordine economico e
sociale che rendano effettivo questo diritto in capo a tutti i
lavoratori per consentendogli, appunto, di partecipare alla vita
economica e sociale del paese (artt. 3 e 4 Cost.). All’uopo la
Costituzione disegna un preciso modello economico, diretta emanazione e
specificazione dei principi fondamentali, palesemente Keynesiano e
dunque completamente opposto al modello dei trattati. Nella Costituzione
l’iniziativa privata è certamente garantita ma sempre subordinata la
stessa all’interesse pubblico che deve sempre prevalere. Il bene di molti è sempre preferibile al profitto dei singoli. L’Italia
è una democrazia basta sulla solidarietà economica, politica e sociale e
non già sulla forte competitività come prevedono i Trattati UE (Art. 2
Cost.). Lo
stesso concetto di competitività tra nazioni è ampiamente contrario ad
ogni valore proprio dell’integrazione europea ed in definitiva a quei
valori di pace e giustizia costantemente invocati (completamente a sproposito) anche da Giorgio Napolitano, sfortunatamente nostro Presidente della Repubblica.
L’incostituzionalità
dei Trattati è palese nella sostanza, ma altresì lo è a monte, ovvero
laddove costituiscono, in ogni caso, una illegittima e pacificamente
ammessa, anche dagli stessi organismi europei, cessione di sovranità.
Sul punto occorre esaminare l’art. 11 Cost. ovvero la norma che disciplina i limiti richiamati dal citato art. 1: “La
Repubblica consente in condizioni di parità con gli altri Stati alle
LIMITAZIONI di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la
pace e la giustizia tra i popoli”.
Orbene la parola “cessione” non esiste nella nostra Carta
fondamentale. La Repubblica consente semplicemente le limitazioni di
sovranità a condizioni ben precise (reciprocità ed adesione ad un
ordinamento che promuova la pace e la giustizia tra i popoli e non certo
la forte competitività tra i medesimi). Lapalissiano, quindi, che
cedere sovranità è cosa ben diversa dal limitarla.
Limitare
significa omettere di esercitare una prerogativa sovrana ma non
consegnare quella prerogativa sovrana ad un soggetto terzo rispetto
all’ordinamento italiano a titolo definitivo. Un esempio: eliminare
le frontiere costituisce pacificamente una mera limitazione. Se invece
si decidesse di far gestire le stesse ad un ordinamento esterno si
dovrebbe parlare a pieno titolo di cessione.
Altresì, fermo
il divieto pacifico di cessioni, anche per le mere limitazioni la
Costituzione pone, come detto, ulteriori condizioni ovvero quella di
parità tra le nazioni (esiste oggi questa condizione? Certamente no,
basta solo pensare alle differenze con cui ogni Stato si finanzia sui
“democratici” mercati) e quella del fine esclusivo dell’adesione ad un ordinamento che tuteli la pace e la giustizia tra i popoli.
Per
un approfondimento sul tema è sufficiente la piana lettura dei verbali
dell’assemblea costituente che come noto costituiscono e rappresentano
quella che si può definire come l’interpretazione autentica della
Costituzione. Ebbene nulla di quanto approvato con i Trattati è stato
anche semplicemente ipotizzato nel dibattito dei padri costituenti. Mai
si è anche solo pensato ad un’Italia priva di sovranità, tanto meno
priva di sovranità in materia monetaria ed economica, campi che nulla
afferiscono alla promozione della pace e della giustizia tra i popoli.
La domanda interna di un paese ed il suo sviluppo sono per definizione
fatti privati per uno Stato, anzi più l’economia interna è solida più
sarà facile collaborare con le altre nazioni in pace ed armonia. La
miseria invece, come ampiamente dimostrato dalla storia, porta alla
guerra.
La cessione di sovranità peraltro non è solo un illecito Costituzionale ma, come più volte ho denunciato, ha conseguenze penali, con particolare con riferimento agli artt. 241 e 243 c.p., per ragioni argomentabili con estrema semplicità. Certamente è
più agevole argomentare circa la violazione del precetto penale che non
tentare di dimostrare la compatibilità tra Trattati e Costituzione che invece richiederebbe vere acrobazie giuridiche che nessuno ha mai neppure tentato. I liberisti infatti hanno
sempre schivato il tema, non esiste alcun testo giuridico che argomenta
compiutamente in merito alla legittimità delle cessioni di sovranità
nazionale.
Nello
specifico della responsabilità penale in tema di cessioni di sovranità
(ovviamente laddove volontariamente compiute) si rammenta quanto segue. La
sottrazione della sovranità e dell’indipendenza nazionale era
pacificamente reato ex art. 241 c.p. fino all’anno 2006 (guarda caso
l’anno del “porcellum”) allorquando la fattispecie incriminatrice,
nonostante non fosse mai stata applicata, fu stranamente modificata
inserendo un requisito oggettivo in più per la consumazione del reato,
ovvero che la cessione avvenisse per mezzo di “atti violenti”. Tuttavia la
norma resta a mio avviso ampiamente applicabile in quanto, per
giurisprudenza costante ed oltremodo consolidata, la violenza è anche
costituita dall’inganno e dalla cooptazione e qui torniamo pienamente
alla frase di Mario Monti: se la crisi economica è volontaria e
finalizzata a obbligarci a cedere sovranità siamo di fronte ad un palese
inganno se non ad una vera violenza.
Non aderendo a ciò resta comunque l’ipotesi
delittuosa dell’art. 243 c.p. laddove vengono puniti anche i semplici
atti d’intelligenza con lo straniero (dunque i soli accordi) diretti a
compiere atti ostili contro lo Stato. Riuscireste
ad immaginarvi un atto più ostile contro una nazione che la
cancellazione della Sua sovranità? Se si perde la sovranità si perde la
personalità giuridica di uno Stato, il suo potere d’imperio.
La
sovranità una volta si perdeva con i carri armati oggi con lo spread ma
questo, se frutto di accordi con lo straniero, rimane un atto ostile
contro la personalità giuridica di uno Stato, e l’art. 243 c.p.
ovviamente fa parte proprio di quei reati che il codice penale chiama:
“dei delitti contro la personalità dello Stato”.
Ma
come vi dicevo l’incompatibilità tra Trattati e Costituzione non si
ferma alla questione, pur fondamentale, della cessione illecita di
sovranità ma si pone anche in riferimento al modello economico
Costituzionale che fonda la Repubblica sul lavoro. Modello che non può essere accantonato in quanto
diretta esplicazione dei principi fondamentali dell’ordinamento e non
soggetto a revisione costituzionale ex artt. 138 e 139 Cost.
In particolare assume un rilievo davvero fondamentale l’art. 47 Cost. che dispone: “La Repubblica incoraggia e tutela il risparmio, in tutte le sue forme, disciplina coordina e controlla il credito.
Favorisce
l’accesso del risparmio popolare alla proprietà dell’abitazione, alla
proprietà diretta coltivatrice e al diretto investimento azionario nei
grandi complessi produttivi del paese”.
Il tema del risparmio è costantemente dimenticato nel nostro ordinamento, benché sia un diritto costituzionalmente tutelato.
La definizione di risparmio, peraltro, è assai semplice: trattasi di quella parte del reddito non utilizzata e quindi accantonata da ogni cittadino.
Nel
nostro paese, nel nome di una falsa emergenza di cassa di cui si è
detto, il risparmio viene oggi pesantemente aggredito, sia attraverso
una sostanziale tassazione che lo comprime in tutte le sue forme (basti
ad esempio pensare all’illegittima tassazione sulla casa, per
definizione il bene rifugio degli italiani), sia (soprattutto) per
tramite la messa al bando delle politiche di deficit nazionale.
Tutelare il risparmio “in tutte le sue forme” e garantire, come prevede il comma secondo dell’art. 47, un risparmio necessariamente “diffuso”, comporterebbe un approccio completamente diverso alla politica economica. Siamo
in presenza di una sostanziale abrogazione del precetto costituzionale
causato da quello che possiamo a tutti gli effetti chiamare “un vincolo
esterno” proveniente dall’UE.
Come
sempre quando si parla di Costituzione è utile leggere i verbali
dell’assemblea costituente. Da essi si evince con forza quanto fosse
chiaro e limpido il concetto della tutela
del risparmio nelle intenzioni dei padri costituenti e ciò come
conseguenza diretta ed immediata della stessa fondazione della
Repubblica sul lavoro e del diritto del lavoratore ad una retribuzione
adeguata a garantirgli un’esistenza libera e dignitosa (art. 36 Cost.).
Addirittura vi era chi sosteneva che fosse superfluo inserire il
risparmio tra i valori costituzionali essendo un concetto pleonastico
(allora evidentemente nessuno pensava che la moneta crescesse
spontaneamente nei campi).
Il risparmio è necessario per la realizzazione della democrazia.
Occorre
in primo luogo avere ben chiaro come si verifica il fenomeno
dell’accantonamento del risparmio entrando necessariamente in una logica
di politica economica e monetaria, appunto le materie in cui non
abbiamo più sovranità.
Ovviamente il risparmio privato è per definizione il risultato di una politica di deficit dello Stato. In sostanza se
lo Stato recupera a tassazione ogni singolo euro immesso nel sistema,
chiaramente lo stesso concetto di risparmio diventerà una mera utopia
non essendo più realizzabile matematicamente.
Uno
Stato che fin dalla sua nascita adotta il principio del pareggio in
bilancio è uno Stato che non tutela il risparmio diffuso in tutte le suo
forme ma lo rende impossibile ex lege.
Un
lavoratore che non può risparmiare non potrà avere un’esistenza libera e
dignitosa e avrà un ostacolo insormontabile alla propria partecipazione
alla vita politica, economica e sociale del paese (così violando anche
l’art. 3 Cost.).
Il
concetto, come dicevamo, sembra contro intuitivo, anche per i giuristi.
Ciò accade in quanto anche noi professionisti siamo soggetti a forme
di condizionamento mediatico e culturale che trovano terreno fertile
laddove le nostre competenze non sono sufficienti ad avere un pensiero
del tutto autonomo e fondato su solide basi in fatto ed in diritto: non siamo dunque in
grado di comprendere il significato giuridico-costituzionale del
concetto di deficit pubblico, concetto che necessariamente (ed
urgentemente!) dovrà prima o poi essere trattato dai giudici della Corte
Costituzionale.
Deve
essere chiarito, fino a rendere il concetto pacifico per tutti,
esattamente come è oggi pacifico affermare che la Terrà non è piatta,
che ad uno Stato non possono applicarsi logiche economiche di stampo
aziendale e dunque logiche proprie della microeconomia.
Un’azienda
crea risparmio quando le attività superano le passività, lo Stato
invece può creare attività patrimoniali per i propri consociati
unicamente attraverso il passivo, ovvero immettendo più moneta di quanta
ne preleva. Lo
Stato secondo il modello costituzionale dunque, è la figura che
regolamenta le principali variabili macroeconomiche del paese, lo Stato
appunto deve: “disciplinare, coordinare e controllare il credito” (Art.
47 Cost.).
Lo Stato, in definitiva, deve immettere moneta nel circuito economico.
Una
moneta può essere immessa in circolo unicamente attraverso la stampa
diretta, attraverso la spesa pubblica in deficit (meccanismo oggi
adottato), oppure attraverso le esportazioni.Oggi
sia la stampa diretta di moneta che la spesa pubblica a deficit sono
precluse dai Trattati UE e dunque ci rimane solo la via
dell’esportazione.
La
base monetaria può essere aumentata unicamente drenando liquidità da
altre nazioni (esattamente in questo contesto si spiega l’attivo della
bilancia dei pagamenti della Germania, forte grazie alle esportazioni).
Viene
altresì facile intuire che non potendo svalutare la moneta il nostro
paese potrà tornare a crescere unicamente con le esportazioni e dunque
per farlo dovrà acquisire la tanto decantata (ancora una volta Monti
insegna) maggiore competitività, ottenibile solo passando dalla
svalutazione salariale, ovvero facendo esattamente l’opposto di quanto
prevede il modello costituzionale.
I salari si svalutano unicamente distruggendo la domanda interna e causando una spirale deflazionistica (destroy internal demand – ancora Mario Monti, un nemico del paese ma evidentemente un nemico molto sincero). Tutto secondo pronostico, ma palesemente contrario al dettato Costituzionale che fonda la Repubblica sul lavoro.
Il
deficit costituisce reddito indiretto e differito per tutti i cittadini
(reddito che i privati non potranno mai sostituire con la sola leva
dell’esportazione) e tagliandolo si avrà, sic et simpliciter, una
contrazione del PIL.
Azzerando la spesa pubblica si azzererebbe anche l’economia che non
potrebbe mai ripartire perché non vi sarebbe moneta per pagare gli
scambi di beni o di servizi, salvo un improbabile “boom” della
professione di falsario.
Dunque la tutela del risparmio si pone in evidente contrapposizione ai vincoli d’indebitamento dei Trattati UE ed al pareggio
in bilancio in Costituzione che costituisce la certificazione
definitiva del fatto che la Repubblica non si occuperà più della tutela
del lavoro e del sostegno all’economia ma solo della stabilità dei
prezzi. Anzi la Repubblica si adopererà per smantellare questi diritti in attesa che si arrivi ad un nuovo ordine mondiale
(su cosa sarà basata non è dato sapere ma di sicuro se fosse un
progetto benevolo ed illuminato non si utilizzerebbero strumenti
criminali per ottenerlo).
Tale sistema, come detto, è palesemente incompatibile anche con l’altro brocardo inserito nell’art. 47 Cost. ovvero: “La Repubblica disciplina, controlla e coordina il credito”.
Oggi non solo la Repubblica non coordina e non controlla il credito ma
addirittura è il settore creditizio ad imporre le politiche economiche
allo Stato come pacificamente avvenuto nel 2011 allorquando un parere di
BCE aprì la porta all’austerità che sta devastando la nostra economia,
strumentalizzando la falsa crisi dello spread che era stata in realtà
direttamente provocata da BCE con l’annuncio di non sostenere il debito
italiano neppure sul mercato secondario.
Coordinare
e controllare il credito implica detenere la sovranità monetaria e non
cederla ad una banca indipendente da cui lo Stato, ovviamente, dipende.
La Costituzione è pacificamente tradita: il modello dei Trattati, con la
citata dottrina della banca centrale indipendente, è addirittura
opposto.
Concludiamo
la panoramica evidenziato come la drammatica situazione prospettata,
che già condanna il nostro paese alla recessione eterna, va
ulteriormente peggiorando e ciò in forza del Trattato Fiscal Compact del
2012, della conseguente modifica dell’art. 81 Cost. e della messa a
punto proprio di quei meccanismi di “enforcement” che Mario Monti tanto
invocava nel discorso che ha aperto il presente articolo (ovvero ad
esempio MES e soprattutto il prossimo venturo ERF di cui potete leggere
compiutamente in questo articolo: clicca qui).
Nel
novembre 2011 avviene l’inasprimento del patto di stabilità e crescita,
già teorizzato anni prima con il mai applicato Regolamento della
commissione europea 1466/97 (non
è dunque corrispondente al vero la tesi del Prof. Guarino, ovvero
quella secondo la quale l’Euro attuale non è quello previsto nei
Trattati ma quello del regolamento 1466/97, purtroppo un Euro buono non esiste), con una serie di nuovi Regolamenti meglio noti con i nomi di six
pack e two pack, ivi si codifica ciò che vedete avvenire in questi
giorni, ovvero il controllo esterno sulla legge di stabilità ad opera di
Bruxelles, l’applicazione del limite dello 0,5% nel rapporto fra
disavanzo e pil annuo (con il 3% avevamo già una crescita troppo
vigorosa…) e l’obbligo di ridurre il debito di 1/20 l’anno fino ad
arrivare ad un rapporto pari al 60% del PIL. Inoltre si
attua un semi automatismo sanzionatorio. La commissione applica le
sanzioni agli Stati ed il Consiglio può solo respingerle con voto a
maggioranza qualificata.
Viene
altresì introdotto il controllo esterno della nostra legge di Stabilità
con presentazione della stessa a Bruxelles e possibilità per la
commissione, entro due settimane dalla ricezione, di chiedere una
revisione della stessa.
Il successivo Trattato
sulla stabilità il coordinamento e la governance nell’unione economica e
monetaria (cd. Fiscal Compact) ratificato con Legge LEGGE 23 luglio
2012, n. 114 non
fa altro che ribadire tale disciplina prevedendo la raccomandazione per
gli Stati di inserire, preferibilmente in Costituzione, il pareggio in
bilancio cosa che l’Italia ha immediatamente fatto con la modifica
dell’art. 81 del 2012.
L’Italia
sotto la spinta del Governo collaborazionista del sempre citabile Mario
Monti, con legge Costituzionale n. 1 del 20 aprile 2012, ha
immediatamente cancellato la sovranità dello Stato Italiano in favore
dell’Unione Europea. Il nuovo art. 81 Cost. recita: “Lo
Stato assicura l’equilibrio tra le entrate e le spese del proprio
bilancio, tenendo conto delle fasi avverse e delle fasi favorevoli del
ciclo economico.
Il
ricorso all’indebitamento è consentito solo al fine di considerare gli
effetti del ciclo economico e, previa autorizzazione delle Camere
adottata a maggioranza assoluta dei rispettivi componenti, al
verificarsi di eventi eccezionali.
Ogni legge che importi nuovi o maggiori oneri provvede ai mezzi per farvi fronte”.
Ogni
politica di espansione monetaria è stata così messa definitivamente al
bando nel nome della stabilità dei prezzi si è verificata l’abrogazione
dell’art. 47 Cost. Con la riforma costituzionale si è verificato
addirittura un contrasto interno tra norme di rango costituzionale che
ovviamente deve essere risolto in favore dei principi fondamentali
rendendo illegittimo proprio l’art. 81 Cost. che non può essere
applicato anche in assenza di qualsivoglia revisione della norma.
La salvezza nazionale nasce dunque dalla consapevolezza delle cause della crisi su cui oggi vi ho informato. Quanto accade non è un evento imponderabile ma un’azione volontaria di cui non tutti i politici possono vantarsi di essere ignari ed inconsapevoli, a cui abbiamo
il dovere di ribellarci informando e denunciando e perché no,
riempiendo le piazze pacificamente, affinché lo stupro della
Costituzione cessi e tutto questo in ossequio del diritto/dovere di
tutti noi di difendere la patria (Art. 52 Cost.).
Di Marco Avv. Mori -
fonte: http://www.salviamogliitaliani.it
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