Insieme ai tagli al comparto sicurezza e all'invasione incontrollata, un cocktail micidiale che getta la popolazione in un clima di profonda insicurezza, che condanna l'Italia a un Far West con possibili disastrose conseguenze.
Ancora una volta, invece di affrontare e risolvere l'emergenza criminalità assicurando il diritto alla legalità, si preferisce voltare le spalle e guardare in altre direzioni alla ricerca della via più semplice, e se poi questa penalizza e getta nell'angoscia un popolo intero .... chi se ne frega !!
Ancora una volta, invece di affrontare e risolvere l'emergenza criminalità assicurando il diritto alla legalità, si preferisce voltare le spalle e guardare in altre direzioni alla ricerca della via più semplice, e se poi questa penalizza e getta nell'angoscia un popolo intero .... chi se ne frega !!
Un popolo che ha sempre meno diritti e più doveri, diventato il bancomat dello Stato. Una Nazione... che torni ad esserlo quanto prima... i cui governanti, nonostante gli annunci ad effetto del rottamatore-capo Renzi, sono ancora principalmente impegnati a curare interessi di partito e personali, lontani anni luce dai reali problemi dei cittadini.
e.emme
e.emme
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Pochi
giorni fa, il governo ha dato il via libera allo schema di decreto
legislativo, in attuazione della legge delega № 67/2014, in materia di
giustizia penale. Viene previsto, nello specifico, che possa essere
richiesta l’archiviazione in qualsiasi fase del procedimento — in
particolare, durante le indagini preliminari — per i reati puniti con
non piú di cinque anni di detenzione e/o con sanzione pecuniaria.
L’archiviazione è subordinata alle condizioni, sottoposte a controllo da
parte del giudice, che la condotta sia di «particolare tenuità» e che
l’autore non sia un reo abituale.
A prima vista, l’intento non può che apparire meritorio. Sono, infatti, noti i numerosi problemi che attanagliano la giustizia penale italiana.
A partire dalla drammatica situazione carceraria — il cui
sovraffollamento integra non raramente veri e propri trattamenti
disumani — per arrivare alla lentezza dei processi, che finiscono per
non rendere giustizia o renderla troppo avanti nel tempo. Senza scordare
gli anomali intrecci fra una certa parte degli organi inquirenti e
mondo del giornalismo, nonché il fenomeno ben poco garantista dei
processi mediatici, alla ricerca d’un colpevole a tutti i costi senza
tenere in considerazione i fatti. La sensazione di fondo, nonostante gli
aggiustamenti apportati negli ultimi anni, resta quella d’un sistema
statico, inefficiente, incapace d’affrontare con celerità e la giusta
meticolosità i casi rilevanti e, al contrario, pronto a riempire le aule
dei tribunali con numerosi reati bagatellari. Inquadrata la questione
in questi termini, dovrebbe apparire chiara la necessità d’intervenire
in modo approfondito e radicale in materia, lasciando stare annunci a
sorpresa e sensazionalismi. La depenalizzazione d’alcuni reati, a prima
vista, dovrebbe quindi essere salutata con favore. Sfortunatamente,
invece, il disegno del governo prevede misure già a prima vista
inconcepibili, tantoché in un primo momento s’era pensato alle solite
bufale che circolano sui social network. Si dispone, infatti,
un alleggerimento su alcuni comportamenti che colpiscono il patrimonio e
la persona, mentre poco o per nulla s’è intervenuti sui reati
d’opinione o sui «reati senza vittime». La lista di reati compresi in
quest’operazione di depenalizzazione è lunga. Se è positivo che
rientrino alcune fattispecie tributarie — che con la giustizia penale
non dovrebbero avere nulla a che fare —, è del tutto negativo che siano
comprese fattispecie quali il furto semplice, la lesione personale
semplice, il danneggiamento, la violenza privata, la violazione di
domicilio e la minaccia.
Una prima avvertenza. Criticare questa depenalizzazione non significa stare dalla parte del «giustizialismo». I «manettari»
sono coloro che vedono reati ovunque, invocando di conseguenza la mano
pesante dello Stato, e non sono disposti a concedere le adeguate tutele
processuali agl’indagati. Si tratta, piuttosto, di profili di
ragionevolezza, poiché stride col buonsenso considerare questi reati di
«lieve entità». Se non si meritano i titoli dei giornali né analisi
troppo approfondite, sono comunque fatti che attengono alla vita
quotidiana della maggior parte delle persone, rientrando in quella
microcriminalità che turba l’ordine sociale e provoca danni alla sfera
personale o patrimoniale. Appare dunque confermato che è proprio d’una
certa sinistra tendente al radical-chic — tendenza di cui anche Matteo Renzi,
nonostante gli apparenti sforzi riformatori, non riesce a liberarsi —
trascurare o in qualche modo minimizzare l’impatto di tali reati;
caratteristica tipica di chi è abituato a tenersi lontano dai quartieri e
dalle città piú a rischio, e dunque lontano dalla vita reale di cui
vorrebbe farsi portatore.
Nel progetto governativo, resta
ovviamente intatta la possibilità per il danneggiato d’adire le vie
legali civili per ottenere un risarcimento. Ciò, però, non può
costituire un elemento sufficiente per giustificare il provvedimento.
Posto, infatti, che la tesi della risarcibilità pecuniaria non risulta
molto attraente in un Paese come l’Italia, dove i tempi
processuali rendono quasi inefficace la giustizia, essa attiene piú a
reati di stampo economico-societario, a riguardo dei quali certamente
l’interesse precipuo dev’essere quello di recuperare il maltolto, piú
che incarcerare il responsabile. Una simile ratio, tuttavia,
non si confà per nulla a reati contro la persona. In quest’ambito,
trattandosi di questioni legate anche e soprattutto alla sicurezza e
all’ordine pubblico — condizioni preliminari perché si possa avere una
convivenza pacifica e, nei limiti del possibile, civile —, l’interesse
principale dev’essere quello di porre i rei in condizioni di non nuocere
agli altri.
Esplode dunque una contraddizione insanabile. Lo Stato nasce e si giustifica in primo luogo per difendere e tutelare la libertà e la proprietà
dei cittadini — asserzione che è accettata anche dai fautori d’un
drastico ridimensionamento delle sue prerogative —, ma in questo caso
permette e in un certo senso favorisce attacchi contro di esse. In
particolare, il momento sembra dei meno propizi. In questi giorni, in
cui è forte l’attenzione sui fenomeni delle occupazioni abusive e sui
flussi migratorî (che anche chi rifiuta posizioni razziste e non guarda
con sfavore l’immigrazione deve considerare almeno con un po’
d’apprensione), allentare la presa su questi temi non sembra la maniera
adatta d’affrontare i problemi in campo. L’uomo di strada — anche se non
si fida delle uscite sguaiate di Matteo Salvini — è perfettamente in grado di rendersi conto che il piano dell’esecutivo assomiglia pericolosamente a un passe-partout
per questi tipi di comportamenti, una specie d’impunità che certo non
rasserena gli animi. Se le disposizioni dovessero essere approvate cosí
come sono state varate, risulterà de facto piú complicato sia
difendersi da un’eventuale violazione del proprio domicilio o da un
furto sia tutelarsi in tribunale, posto che l’archiviazione sarà sempre
dietro l’angolo. Senza considerare l’incentivo che, specialmente per i
gruppi criminali organizzati oppure le persone che non hanno nulla da
perdere, viene offerto da quest’alleggerimento. Anche da un punto di
vista strettamente politico, la mossa sembra perdente. È inutile
lamentarsi dei movimenti populisti — i quali assumono certamente modi
fuori luogo e sono portatori quasi sempre di proposte inaccettabili, ma
talvolta prendono spunto da problemi che le persone avvertono come tali —
e del successo da loro riscosso, se il partito di maggioranza relativa
in Italia cosí ingenuamente — e sfacciatamente — adotta misure contrarie
al buonsenso.
In particolare, un’amara e conclusiva riflessione la merita la proprietà privata:
calpestata da un fisco incontenibile e spesso disumano e da una
burocrazia sclerotica, essa rischia di subire colpi, probabilmente
letali, anche da parte della giustizia penale.
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