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Pochi giorni fa, il governo ha dato il via libera allo schema di decreto legislativo, in attuazione della legge delega № 67/2014, in materia di giustizia penale. Viene previsto, nello specifico, che possa essere richiesta l’archiviazione in qualsiasi fase del procedimento — in particolare, durante le indagini preliminari — per i reati puniti con non piú di cinque anni di detenzione e/o con sanzione pecuniaria. L’archiviazione è subordinata alle condizioni, sottoposte a controllo da parte del giudice, che la condotta sia di «particolare tenuità» e che l’autore non sia un reo abituale.
A prima vista, l’intento non può che apparire meritorio. Sono, infatti, noti i numerosi problemi che attanagliano la giustizia penale italiana. A partire dalla drammatica situazione carceraria — il cui sovraffollamento integra non raramente veri e propri trattamenti disumani — per arrivare alla lentezza dei processi, che finiscono per non rendere giustizia o renderla troppo avanti nel tempo. Senza scordare gli anomali intrecci fra una certa parte degli organi inquirenti e mondo del giornalismo, nonché il fenomeno ben poco garantista dei processi mediatici, alla ricerca d’un colpevole a tutti i costi senza tenere in considerazione i fatti. La sensazione di fondo, nonostante gli aggiustamenti apportati negli ultimi anni, resta quella d’un sistema statico, inefficiente, incapace d’affrontare con celerità e la giusta meticolosità i casi rilevanti e, al contrario, pronto a riempire le aule dei tribunali con numerosi reati bagatellari. Inquadrata la questione in questi termini, dovrebbe apparire chiara la necessità d’intervenire in modo approfondito e radicale in materia, lasciando stare annunci a sorpresa e sensazionalismi. La depenalizzazione d’alcuni reati, a prima vista, dovrebbe quindi essere salutata con favore. Sfortunatamente, invece, il disegno del governo prevede misure già a prima vista inconcepibili, tantoché in un primo momento s’era pensato alle solite bufale che circolano sui social network. Si dispone, infatti, un alleggerimento su alcuni comportamenti che colpiscono il patrimonio e la persona, mentre poco o per nulla s’è intervenuti sui reati d’opinione o sui «reati senza vittime». La lista di reati compresi in quest’operazione di depenalizzazione è lunga. Se è positivo che rientrino alcune fattispecie tributarie — che con la giustizia penale non dovrebbero avere nulla a che fare —, è del tutto negativo che siano comprese fattispecie quali il furto semplice, la lesione personale semplice, il danneggiamento, la violenza privata, la violazione di domicilio e la minaccia.
Una prima avvertenza. Criticare questa depenalizzazione non significa stare dalla parte del «giustizialismo». I «manettari» sono coloro che vedono reati ovunque, invocando di conseguenza la mano pesante dello Stato, e non sono disposti a concedere le adeguate tutele processuali agl’indagati. Si tratta, piuttosto, di profili di ragionevolezza, poiché stride col buonsenso considerare questi reati di «lieve entità». Se non si meritano i titoli dei giornali né analisi troppo approfondite, sono comunque fatti che attengono alla vita quotidiana della maggior parte delle persone, rientrando in quella microcriminalità che turba l’ordine sociale e provoca danni alla sfera personale o patrimoniale. Appare dunque confermato che è proprio d’una certa sinistra tendente al radical-chic — tendenza di cui anche Matteo Renzi, nonostante gli apparenti sforzi riformatori, non riesce a liberarsi — trascurare o in qualche modo minimizzare l’impatto di tali reati; caratteristica tipica di chi è abituato a tenersi lontano dai quartieri e dalle città piú a rischio, e dunque lontano dalla vita reale di cui vorrebbe farsi portatore.
Nel progetto governativo, resta ovviamente intatta la possibilità per il danneggiato d’adire le vie legali civili per ottenere un risarcimento. Ciò, però, non può costituire un elemento sufficiente per giustificare il provvedimento. Posto, infatti, che la tesi della risarcibilità pecuniaria non risulta molto attraente in un Paese come l’Italia, dove i tempi processuali rendono quasi inefficace la giustizia, essa attiene piú a reati di stampo economico-societario, a riguardo dei quali certamente l’interesse precipuo dev’essere quello di recuperare il maltolto, piú che incarcerare il responsabile. Una simile ratio, tuttavia, non si confà per nulla a reati contro la persona. In quest’ambito, trattandosi di questioni legate anche e soprattutto alla sicurezza e all’ordine pubblico — condizioni preliminari perché si possa avere una convivenza pacifica e, nei limiti del possibile, civile —, l’interesse principale dev’essere quello di porre i rei in condizioni di non nuocere agli altri.
Esplode dunque una contraddizione insanabile. Lo Stato nasce e si giustifica in primo luogo per difendere e tutelare la libertà e la proprietà dei cittadini — asserzione che è accettata anche dai fautori d’un drastico ridimensionamento delle sue prerogative —, ma in questo caso permette e in un certo senso favorisce attacchi contro di esse. In particolare, il momento sembra dei meno propizi. In questi giorni, in cui è forte l’attenzione sui fenomeni delle occupazioni abusive e sui flussi migratorî (che anche chi rifiuta posizioni razziste e non guarda con sfavore l’immigrazione deve considerare almeno con un po’ d’apprensione), allentare la presa su questi temi non sembra la maniera adatta d’affrontare i problemi in campo. L’uomo di strada — anche se non si fida delle uscite sguaiate di Matteo Salvini — è perfettamente in grado di rendersi conto che il piano dell’esecutivo assomiglia pericolosamente a un passe-partout per questi tipi di comportamenti, una specie d’impunità che certo non rasserena gli animi. Se le disposizioni dovessero essere approvate cosí come sono state varate, risulterà de facto piú complicato sia difendersi da un’eventuale violazione del proprio domicilio o da un furto sia tutelarsi in tribunale, posto che l’archiviazione sarà sempre dietro l’angolo. Senza considerare l’incentivo che, specialmente per i gruppi criminali organizzati oppure le persone che non hanno nulla da perdere, viene offerto da quest’alleggerimento. Anche da un punto di vista strettamente politico, la mossa sembra perdente. È inutile lamentarsi dei movimenti populisti — i quali assumono certamente modi fuori luogo e sono portatori quasi sempre di proposte inaccettabili, ma talvolta prendono spunto da problemi che le persone avvertono come tali — e del successo da loro riscosso, se il partito di maggioranza relativa in Italia cosí ingenuamente — e sfacciatamente — adotta misure contrarie al buonsenso.
In particolare, un’amara e conclusiva riflessione la merita la proprietà privata: calpestata da un fisco incontenibile e spesso disumano e da una burocrazia sclerotica, essa rischia di subire colpi, probabilmente letali, anche da parte della giustizia penale.

di T. Segre - 9 dic 2014

fonte: http://thefielder.net