La Banda della Magliana non è mai morta. Non vedere né toccare gli intoccabili del sistema apicale di cui il cecato è servo e signore, significa essere più orbi di lui, e complici
«È la teoria del mondo di mezzo compà… Ci stanno i come se dice, i
vivi sopra e i morti sotto e noi stamo in mezzo… Un mondo in mezzo dove
tutti s’incontrano e tu dici come cazzo è possibile». Quando Massimo
Carminati pronuncia queste parole per spiegare a Riccardo Brugia chi
sono e che portano – ma soprattutto che vogliono – l’ex Nar a capo (?)
della cupola romana è arcisicuro che nessuno oltre al compare di cosca
sia in ascolto. Per sua sfortuna, invece, e nonostante le buone
entrature ovunque, qualche cimicione ben piazzato qua e là (i fregni,
per stare al colorito linguaggio della banda) ancora resiste alle
soffiate e ai repulisti. Forse tanto non basterà a far sì che la sua
teoria, il suo sovramondo, sia inserito dallo Zingarelli tra i
neologismi dell’anno, certo è però che la vicenda del cupolone rossonero
messo in piedi da Carminati & soci merita una riflessione anche
sotto il profilo delle scienze politiche e delle comunicazioni, passando
per la semantica e la sociologia, lasciando la cronaca ai tanti
commentatori.
Carminati & co. sono la filiazione diretta dell’intreccio di
malaffare, mafia, eversione nera, servizi segreti, curia, massoneria e
addentellati politici di alto profilo che ufficialmente dalla metà degli
anni ’70 ai primi anni ’90 ha dominato la capitale – e non solo
– rendendola assai più infetta di quanto denunciasse una nota inchiesta
degli anni precedenti: quello passato alla storia come Banda della
Magliana, nota ai più come un prodotto di malafiction. Il non aver
scoperchiato quel verminajo, se non nella sua parte terminale, ha fatto
sì che quell’intreccio criminale non sia mai venuto meno, come non si
stancano di ripetere a ondate mediatiche successive gli scampoli dei
pentiti, vedi per tutti Antonio Mancini detto l’accattone. Ma Carminati
& co. sono assai di più. Se quella banda capace di dettare legge a
tutt’oggi in tutte le batterie di malavitosi, ben oltre i palazzi e le
periferie romane, mettere del suo in tutti i maggiori guasti del
Belpaese, dall’affaire Pasolini al caso Moro, dall’omicidio Pecorelli
alla strage di Bologna, dal rapimento Orlandi all’attentato a papa
Wojtyla, aveva una sua chiara pars politica di riferimento e sbudellava
senza pensarci su chiunque si frapponesse al suo cammino, oggi, in tempi
di pensiero spento e democrazia liquida, i suoi figliocci sono oltre.
Oltre gli schemi e le logiche della contrapposizione ideologica, ben
oltre la democrazia. Gli scagnozzi destrorsi gridano dagli allo zingaro
ma ci fanno più soldi che con la roba, ciancicano un linguaggio
veterofascista ma non si fanno scrupolo d’arruolare assessori d’ogni
colore, destri o sinistri non importa, purché utili alla causa. Di più.
«Da ieri sono diventato un membro dei Movimento 5 stelle. Stiamo aprendo
presso le zone Infernetto, Acilia, Ostia uno studio dove daremo vita a
questo movimento di Beppe Grillo. Chiunque fosse interessato ci contatti
su fb». Così recita un post del maggio 2012 di Matteo Calvio, uno dei
caporioni della banda, sul suo profilo facebook. Pronti a cogliere il
nuovo che avanza ma anche arretra, altro che fissi alle logiche della
guerra fredda o alla fedeltà di clan. Eccola qui, la quintessenza del
governissimo di piduista memoria, la democrazia pura e dura che mostra
la sua natura di menade del capitale. Forti di un tessuto sociale e
connettivo allo sbando, d’un paese troppo preso a castrarsi coi dettami
di Bruxelles e a baloccarsi di parole vuote, Carminati & co.
governano il paese reale & brutale. E lo fanno con parole
altrettanto reali & brutali. Non certo quelle mutuate dalla saga
tolkeniana che, checché ne dicano anime belle e aficionados del genere,
resta uno dei punti di forza del pensiero destrorso e superomista. E
neanche quelle che l’ottimo Filippo Ceccarelli scambia per slang
della gang. Eppure lui, romano doc e fine notista politico, dovrebbe
sapere che questa non è la lingua d’una nuova razza predona, ma il
corrotto romanesco d’ogni dì. Quello che può sentirsi fuori e dentro ai
bar o alle pompe di benzina, dove i nostri facevano squadra e traffici,
appunto.
La vera novità del sovramondo, il novus della sua teoria politica è
dunque l’aver compreso e rovesciato l’assioma latino: in medio stat vir,
non virtus, nel mezzo sta la forza e non la virtù; compreso e
rovesciato il messaggio orwelliano: “Chi controlla il passato controlla
il futuro, chi controlla il presente controlla il passato”. Dunque chi
controlla il mondo di mezzo controlla quello di sopra e di sotto. Come
cazzo è possibile, si chiede lo stesso Carminati con finto stupore, che
questi mondi siano lì a strusciarsi, nessuno meglio di lui – tra i
fiduciari del deposito di armi della banda negli scantinati del
ministero della Sanità e anello di giunzione tra il neofascismo e i boss
della Magliana dei quali era pupillo, prima di finire impiombati – può
dirlo. È possibile, altroché. Come è possibile che tutto ciò avvenga
alla luce del sole, o quasi, nell’indifferenza se non nella connivenza
d’una città morente. Come è possibile che chi ha messo in piedi un
sistema del genere tenga appeso al muro un Pollock o un Warhol e non
manchi di dare il becchime alle galline che tiene nella villetta ai
margini della capitale, mentre arraffa nella carne viva del paese, forte
del radicamento nei palazzi del potere che nutre e di cui si nutre.
La banda della Magliana non è mai morta, la si chiami pure mafia
capitale o modello autoctono di associazione a delinquere, per dirla
come il procuratore antimafia Franco Roberti. La madre di tutte le
bande, e di tutti gli intrecci, è ancora assai viva e vegeta per essere
solo un documentario di History channel di due anni fa. Solo, parla una
neolingua che nuova non è, ma assai antica e dolente, come la città di
cui è specchio. E spara allo stesso modo, anche se alza il tiro meno
d’allora. Per questo guai a vedere in Carminati & co, negli uomini
vecchi di questa capaci di riciclarsi nei tempi nuovi, i veri poteri che
muovono i fili, i burattinaj. Essi stanno nel mezzo, appunto, non sopra
né sotto, ma da sopra e da sotto traggono linfa vitale. Non vedere né
toccare gli intoccabili del sistema apicale di cui il cecato è servo e
signore, significa essere più orbi di lui, e complici. Ma tra tutte le
cose possibili, questa è senz’altro la meno plausibile.
di Maurizio Zuccari - 11 dic 2014
fonte: http://popoffquotidiano.it/
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