La demenziale convivenza tra Triton e Mare Nostrum
Come previsto l’avvio dell’Operazione Triton, dell’agenzia europea Frontex, non ha cambiato nulla nella demenziale gestione dei flussi migratori dalla Libia che Italia e Ue gestiscono litigando ma accomunati da una passiva accettazione che ingrassa i trafficanti nordafricani quando i mezzi militari in campo consentirebbero di attuare un programma di respingimenti coordinato e con tutte le necessarie garanzie di sicurezza.
I flussi sono di fatto limitati solo dall’eventuale maltempo non certo dalla missione europea e dall’italiana Mare Nostrum.
Le due operazioni che avrebbero dovuto essere complementari continuano invece a soffrire di una difficile convivenza ma soprattutto, al di là di chi li raccolga in mare, le migliaia di immigrati clandestini.
Continuano
a venire accolti in Italia. Esclusivamente in Italia: oltre 5mila negli
ultimi dieci giorni, 10 mila in novembre (quasi un terzo raccolti dalle
navi della missione targata Ue) 18 dei quali morti in mare e circa 170
mila dall’inizio dell’anno.
Una marea umana che, come Analisi Difesa aveva anticipato già l’anno scorso quando prese il via Mare Nostrum, non poteva non provocare problemi sociali, disordini e tumulti tra i tanti cittadini italiani indigenti o disagiati che non godono dei “privilegi” offerti dallo Stato ai clandestini.
Frontex, da quanto riferito dall’agenzia ANSA, ha manifestato alle autorità italiane perplessità per il fatto che le navi impegnate nell’operazione vengono costantemente chiamate dalle Capitanerie di Porto per interventi di soccorso a ridosso delle coste libiche, ben al di fuori dunque dello spazio di mare di competenza di Triton, che si estende nell’ambito di 30 miglia da Lampedusa.
Una marea umana che, come Analisi Difesa aveva anticipato già l’anno scorso quando prese il via Mare Nostrum, non poteva non provocare problemi sociali, disordini e tumulti tra i tanti cittadini italiani indigenti o disagiati che non godono dei “privilegi” offerti dallo Stato ai clandestini.
Frontex, da quanto riferito dall’agenzia ANSA, ha manifestato alle autorità italiane perplessità per il fatto che le navi impegnate nell’operazione vengono costantemente chiamate dalle Capitanerie di Porto per interventi di soccorso a ridosso delle coste libiche, ben al di fuori dunque dello spazio di mare di competenza di Triton, che si estende nell’ambito di 30 miglia da Lampedusa.
Dall’1 novembre sono giunte 15 richieste di soccorso che hanno impegnato un’unità navale di Triton per complessivi 25 giorni.
Nei giorni precedenti la partenza di Triton, i ministri dell’Interno e della Difesa, Angelino Alfano e Roberta Pinotti, avevano concordato di chiedere a Frontex che il centro di coordinamento della missione fosse insediato presso il comando della squadra navale della Marina Militare a Santa Rosa (Roma).
Frontex è stata però ferma nella decisione di mantenere il coordinamento presso il comando aeronavale della Guardia di Finanza di Pratica di Mare (Roma),come era avvenuto per le precedenti operazioni dell’Agenzia europea delle Frontiere.
Nei giorni precedenti la partenza di Triton, i ministri dell’Interno e della Difesa, Angelino Alfano e Roberta Pinotti, avevano concordato di chiedere a Frontex che il centro di coordinamento della missione fosse insediato presso il comando della squadra navale della Marina Militare a Santa Rosa (Roma).
Frontex è stata però ferma nella decisione di mantenere il coordinamento presso il comando aeronavale della Guardia di Finanza di Pratica di Mare (Roma),come era avvenuto per le precedenti operazioni dell’Agenzia europea delle Frontiere.
Se da un
lato non si comprende il senso (anche in termini finanziari) di avere
due comandi che dovrebbero essere complementari in sedi diverse,
dall’altro i litigi di campanile tra Mare Nostrum e Triton sono
paradossali e ben evidenziano il tentativo di Ue e Italia di scaricarsi
reciprocamente addosso le responsabilità di una crisi che nessuno ha il
coraggio di affrontare con la necessaria determinazione.
Le due missioni messe assieme non hanno infatti alcun effetto deterrente sui flussi di immigrati clandestini. Anzi, li incoraggiano. Nell’ultimo mese sono state sequestrate 7 carrette del mare e arrestati 32 scafisti che però verranno come al solito liberati in breve tempo, sempre ammesso che finiscano nelle carceri italiane anche solo per un breve “soggiorno”.
Il mandato di Triton è quello di fare controllo delle frontiere nell’ambito delle 30 miglia dalle coste italiane.
Le due missioni messe assieme non hanno infatti alcun effetto deterrente sui flussi di immigrati clandestini. Anzi, li incoraggiano. Nell’ultimo mese sono state sequestrate 7 carrette del mare e arrestati 32 scafisti che però verranno come al solito liberati in breve tempo, sempre ammesso che finiscano nelle carceri italiane anche solo per un breve “soggiorno”.
Il mandato di Triton è quello di fare controllo delle frontiere nell’ambito delle 30 miglia dalle coste italiane.
Ma fin
dall’inizio dell’operazione, si sono susseguite quotidianamente le
richieste di intervento avanzate al centro di coordinamento della
missione Frontex da parte delle Capitanerie di Porto per barconi in
difficoltà nello spazio di mare a 50 miglia dalla Libia, ben al di
fuori, dunque, dell’area di competenza.
E questo rende problematico assolvere il compito dell’operazione Frontex che, per mandato UE, è esclusivamente quello di controllare le frontiere marittime comunitarie.
A contribuire al “superlavoro” di Triton c’è anche un altro fenomeno segnalato dagli addetti ai lavori. Negli ultimi tempi, infatti, i mercantili che incrociano nelle acque del canale di Sicilia tendono a spegnere il sistema di posizionamento che consente loro di esser contattati via radio.
E questo rende problematico assolvere il compito dell’operazione Frontex che, per mandato UE, è esclusivamente quello di controllare le frontiere marittime comunitarie.
A contribuire al “superlavoro” di Triton c’è anche un altro fenomeno segnalato dagli addetti ai lavori. Negli ultimi tempi, infatti, i mercantili che incrociano nelle acque del canale di Sicilia tendono a spegnere il sistema di posizionamento che consente loro di esser contattati via radio.
Questo per
evitare di venire chiamati ad interventi di soccorso verso le acque
libiche, ai quali debbono necessariamente rispondere per le leggi del
mare, ma che rappresentano anche un costo. E’ così continua a squillare
il ‘telefono’ del Centro di Coordinamento di Triton.
A fine anno, con la fine annunciata di Mare Nostrum, presumibilmente la situazione peggiorerà ulteriormente poiché su Triton ricadranno tutte le richieste di soccorso mentre gran parte dei barconi tornerà a puntare su Lampedusa. All’agenzia europea con sede a Varsavia si attendevano un calo dei flussi migratori dalla Libia ma la realtà è ben diversa soprattutto se l’inverno resterà mite e le condizioni meteo favorevoli.
“Considerato che probabilmente gli arrivi via mare per il momento non diminuiranno, il rischio di naufragi resta ancora altissimo” ha sottolineato Federico Soda, capo missione dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni (OIM) in Italia.
A fine anno, con la fine annunciata di Mare Nostrum, presumibilmente la situazione peggiorerà ulteriormente poiché su Triton ricadranno tutte le richieste di soccorso mentre gran parte dei barconi tornerà a puntare su Lampedusa. All’agenzia europea con sede a Varsavia si attendevano un calo dei flussi migratori dalla Libia ma la realtà è ben diversa soprattutto se l’inverno resterà mite e le condizioni meteo favorevoli.
“Considerato che probabilmente gli arrivi via mare per il momento non diminuiranno, il rischio di naufragi resta ancora altissimo” ha sottolineato Federico Soda, capo missione dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni (OIM) in Italia.
Foto: Marina Militare
di Gianandrea Gaiani – 30 novembre 2014
fonte: http://www.analisidifesa.it
————————
fonte: http://www.analisidifesa.it
————————
MAFIA ROMANA IL BUSINESS DEI CENTRI DI ACCOGLIENZA
dal Sole 24Ore, 3 Dicembre 2014
di Claudio Gatti
«In una situazione di crisi, occorre guardarsi dai pericoli ma saper riconoscere le opportunità». Lo ha detto John F. Kennedy nel 1959 a Indianapolis. Ma negli ultimi 40 anni chi ha saputo metterlo in pratica meglio di chiunque altro a Roma è stato Massimo Carminati, l’ex terrorista dei Nar affiliato alla Banda della Magliana che da decenni coniuga politica, affari e criminalità organizzata nella capitale del nostro Paese.
Per tutti noi quella di Mare Nostrum è stata una tragedia. Per Massimo Carminati un’opportunità. Da un’inchiesta condotta negli ultimi mesi da Il Sole 24 Ore, e convalidata ieri dalla serie di arresti in seguito all’indagine condotta dal Servizio centrale del Ros e dalla sua sezione Anticrimine di Roma per conto della Procura , è emerso che quello dei «barconi della speranza», anziché un’emergenza umanitaria, è stato un grande business. Per Carminati è stata anche un’occasione per rafforzare quella tela di relazioni grazie alla quale nel sottobosco romano è noto anche come «l’ultimo re di Roma».
Carminati si è dimostrato un re magnanimo. Che ha saputo condividere con la sua corte. E in quest’ultima vicenda in particolare con quello che la Procura ritiene sia stato il suo socio occulto, Salvatore Buzzi, presidente di un importante consorzio di cooperative legate alla LegaCoop, le cosiddette «cooperative rosse».
Attenzione,
non si sta parlando di attività criminali – di droga, di pizzo o di
economia sommersa. No, a predisporre e raccordare l’emergenza migranti è
stato il «Tavolo di coordinamento nazionale» presieduto dal più
istituzionale dei ministeri, quello dell’Interno, del quale era membro
un uomo prezzolato dal duo Carminati-Buzzi. Leggendo gli atti
dell’indagine «Mondo di mezzo», diretta dai pm romani Giuseppe Cascini,
Paolo Ielo e Luca Tescaroli, torna in mente un altro tavolo, parliamo de
«U tavolinu», dove il «ministro dei Lavori pubblici» di Cosa Nostra,
Angelo Siino, spartiva appalti e fondi pubblici con aziende e politici.
Il ruolo di Siino, secondo le accuse della Procura di Roma, sarebbe
stato svolto da Luca Odevaine, l’uomo al servizio del duo criminale
membro del Tavolo di coordinamento nazionale, ex direttore di gabinetto
del sindaco Walter Veltroni, ex capo della polizia provinciale e
Protezione civile con Nicola Zingaretti, ed ex pregiudicato (vedi box).
Dall’indagine de Il Sole 24 emerge che, per via delle centinaia di milioni di fondi statali e comunitari, quella dell’accoglienza è stata una straordinaria mangiatoia. Per capirlo basta questa frase di Buzzi a un complice: «Tu c’hai idea quanto ce guadagno sugli immigrati, eh? Il traffico di droga rende di meno».
A mangiare tutti insieme appassionatamente sono stati i «fascio-mafiosi» di Carminati che secondo la Procura avevano in Gianni Alemanno l’esponente politico di riferimento di maggior spicco e i «rossi» di Buzzi, che avevano invece al proprio servizio uno stretto collaboratore del predecessore di Alemanno al Campidoglio, Walter Veltroni. In una sorta di iper-compromesso storico criminal-clientelare condotto in piena luce del sole e, almeno formalmente, sotto la tutela delle massime autorità dello Stato. Per usare le parole del Gip Flavia Costantini, è infatti emerso «un trait-union tra mondi apparentemente inconciliabili, quello del crimine, quello della alta finanza, quello della politica».La prima fase del «business dei migranti» inizia nell’estate del 2008, quando arriva la prima grande ondata di immigrati. Il 25 luglio di quell’anno, per fronteggiarla, il Governo Berlusconi dichiara lo stato d’emergenza che attribuisce ai prefetti potere derogatorio. Il 6 agosto Angelo Chiorazzo, un potentino trasferitosi a Roma e legato al mondo dell’ex Dc, si reca a Palazzo Chigi per incontrare il sottosegretario Gianni Letta.
Dall’indagine de Il Sole 24 emerge che, per via delle centinaia di milioni di fondi statali e comunitari, quella dell’accoglienza è stata una straordinaria mangiatoia. Per capirlo basta questa frase di Buzzi a un complice: «Tu c’hai idea quanto ce guadagno sugli immigrati, eh? Il traffico di droga rende di meno».
A mangiare tutti insieme appassionatamente sono stati i «fascio-mafiosi» di Carminati che secondo la Procura avevano in Gianni Alemanno l’esponente politico di riferimento di maggior spicco e i «rossi» di Buzzi, che avevano invece al proprio servizio uno stretto collaboratore del predecessore di Alemanno al Campidoglio, Walter Veltroni. In una sorta di iper-compromesso storico criminal-clientelare condotto in piena luce del sole e, almeno formalmente, sotto la tutela delle massime autorità dello Stato. Per usare le parole del Gip Flavia Costantini, è infatti emerso «un trait-union tra mondi apparentemente inconciliabili, quello del crimine, quello della alta finanza, quello della politica».La prima fase del «business dei migranti» inizia nell’estate del 2008, quando arriva la prima grande ondata di immigrati. Il 25 luglio di quell’anno, per fronteggiarla, il Governo Berlusconi dichiara lo stato d’emergenza che attribuisce ai prefetti potere derogatorio. Il 6 agosto Angelo Chiorazzo, un potentino trasferitosi a Roma e legato al mondo dell’ex Dc, si reca a Palazzo Chigi per incontrare il sottosegretario Gianni Letta.
Chiorazzo è
rispettivamente presidente e consigliere d’amministrazione de La
Cascina e di Auxilium, che insieme formano una rete di cooperative
«cattoliche». E pensa di avere le carte in regola: la Auxilium già
gestisce il Centro di accoglienza richiedenti asilo (Cara) di Bari e
quello di Ponte Galeria, a Roma. Letta lo mette subito in contatto con
l’uomo che dal Viminale gestisce l’emergenza umanitaria per il Governo,
il prefetto Marco Morcone, già allora capo del Dipartimento Immigrazione
del Ministero, il quale apre una corsia preferenziale per Chiorazzo. E,
grazie al regime derogatorio previsto da un’ordinanza del Consiglio dei
Ministri, nel giro di pochissimo tempo, Auxilium ottiene un appalto da
oltre un milione per aprire un nuovo Cara a Policoro, in provincia di
Matera (terra di Chiorazzo e di suo fratello Pietro, anche lui impegnato
nello stesso business).
Che tempistica e modalità fossero del tutto inusuali lo hanno dichiarato il prefetto di Matera Giovanni Monteleone e il suo collaboratore Michele Albertini, nelle loro deposizioni al pm Henry Woodcock (che sulla vicenda aveva aperto un’inchiesta, conclusasi con l’archiviazione delle posizioni di Letta e Morcone).
Che tempistica e modalità fossero del tutto inusuali lo hanno dichiarato il prefetto di Matera Giovanni Monteleone e il suo collaboratore Michele Albertini, nelle loro deposizioni al pm Henry Woodcock (che sulla vicenda aveva aperto un’inchiesta, conclusasi con l’archiviazione delle posizioni di Letta e Morcone).
«Non
risultava nessun tipo di gara» testimonia Albertini, «e il ministero –
la direzione centrale – ci diceva anche il prezzo che avremmo dovuto
pagare.… In tre mesi abbiamo quantificato circa 1 milione e 200mila
euro, per cui capite bene che non stiamo parlando di noccioline. Quindi
sollevai questa problema: “guardi io non sottoscrivo nessuna
convenzione, fino a quando voi per iscritto non ci dite che lo schema è
quello, che la ditta è quella, che il prezzo è quello. Perché almeno che
risulti che io sto sottoscrivendo 49 euro perché me lo state dicendo
voi, non perché io ho valutato se 49 euro è un prezzo congruo o meno”…
Altrimenti, sinceramente con tutte le deroghe della norma io non avrei
sottoscritto nulla».
fonte: http://www.lanuovaitalia.eu
Nessun commento:
Posta un commento