Felice che Massimiliano Latorre possa tornare per qualche tempo
in Italia, per curarsi e sentire l’affetto dei suoi, e della sua gente.
Ma so che un cruccio doloroso più di ogni altra complicazione medica lo
accompagna: lascia a Dehli Salvatore Girone. E questo fatto, da solo,
vale più di ogni altra garanzia scritta: o l’imbelle classe politica
italiana riuscirà in questi quattro mesi a riportare a casa anche
Girone, o Latorre tornerà a dividere con lui la cattiva sorte. Non è
stato un colpo di scena, quello della licenza sanitaria a Latorre. Il
governo indiano di Narendra Modi, che l’informazione italiana aveva
descritto con toni catastrofici, ha fatto quello che era lecito
aspettarsi in una vicenda nata nel vecchio partito di governo, il
partito del Congresso di Sonia Gandhi: è stato pilatesco.
Non era affar loro, e il buon senso, davanti a un pasticcio di una giustizia incapace di arrivare a un processo con prove costruite a malo modo, ha portato il governo a ripetere quel che Narendra aveva detto a Renzi: è una questione che riguarda la giustizia indiana, non il governo. Lasciando con il cappello in mano tutti i buoni propositi del terzo governo italiano ad occuparsi maldestramente della questione: “deve essere rispettata l’immunità funzionale, non può essere la giustizia indiana a giudicarli, ricorreremo a un arbitrato, però cerchiamo un canale di dialogo con il nuovo governo indiano…”. Parole tante, fatti zero. L’arbitrato richiede tempi lunghi, ma passi certi, e un segno di rottura che obblighi la comunità internazionale ad occuparsene, per risolvere un contenzioso altrimenti irrisolvibile. Così, il destino ha voluto che quella giustizia indiana, respinta a parole, ma mai investita da una strategia difensiva che facesse dell’innocenza dei due marò un punto forte e decisivo, vedesse stamane gli avvocati difensori invocare una sorta di clemenza, un atto di generosità verso un indiziato che, al contrario, è vittima di una montatura cui giustizia indiana e italiana, classe politica indiana e italiana, vertici militari indiani e italiani dovrebbero delle scuse. In questo mondo alla rovescia l’unico sorriso, ma amaro, viene dalla garanzia scritta che l’ambasciatore Daniele Mancini ha dovuto fornire alla corte sul rientro di Latorre, al termine dei quattro mesi.
Non era affar loro, e il buon senso, davanti a un pasticcio di una giustizia incapace di arrivare a un processo con prove costruite a malo modo, ha portato il governo a ripetere quel che Narendra aveva detto a Renzi: è una questione che riguarda la giustizia indiana, non il governo. Lasciando con il cappello in mano tutti i buoni propositi del terzo governo italiano ad occuparsi maldestramente della questione: “deve essere rispettata l’immunità funzionale, non può essere la giustizia indiana a giudicarli, ricorreremo a un arbitrato, però cerchiamo un canale di dialogo con il nuovo governo indiano…”. Parole tante, fatti zero. L’arbitrato richiede tempi lunghi, ma passi certi, e un segno di rottura che obblighi la comunità internazionale ad occuparsene, per risolvere un contenzioso altrimenti irrisolvibile. Così, il destino ha voluto che quella giustizia indiana, respinta a parole, ma mai investita da una strategia difensiva che facesse dell’innocenza dei due marò un punto forte e decisivo, vedesse stamane gli avvocati difensori invocare una sorta di clemenza, un atto di generosità verso un indiziato che, al contrario, è vittima di una montatura cui giustizia indiana e italiana, classe politica indiana e italiana, vertici militari indiani e italiani dovrebbero delle scuse. In questo mondo alla rovescia l’unico sorriso, ma amaro, viene dalla garanzia scritta che l’ambasciatore Daniele Mancini ha dovuto fornire alla corte sul rientro di Latorre, al termine dei quattro mesi.
L’ambasciatore che era stato consigliere diplomatico del ministro
Passera, tra i protagonisti dell’infausto rientro in India dei due
fucilieri di marina, l’ambasciatore che si era visto minacciare una
sorta di limitazione della libertà se i due non fossero rientrati,
l’ambasciatore che li ha mal sopportati in ambasciata richiedendo
persino un rimborso di qualche centinaio di euro per i danni causati
dalla biancheria dei due stesa ad asciugare su qualche rete di
recinzione. Sognava di essere il diplomatico del business tra la
rampante India e l’Italia delle commesse, gli tocca firmare garanzie,
invece che contratti.
Non a tutti i protagonisti della vicenda è andata così male, se sono
vere le voci che danno l’ ex ministro della Difesa, ammiraglio Di Paola,
candidato al vertice di Finmeccanica. E gli altri grandi nomi, in
questa galleria degli errori e delle incapacità? Hanno quattro mesi di
tempo. Inizia un conto alla rovescia: quattro mesi di tempo per riportare a casa anche Girone, e senza bisogno che si ammali.
C’è una parola d’onore data all’India ? Certo, ma c’è anche l’onore di
due vittime innocenti, e quello di quel che resta di questo nostro
Paese. Tutto vorremmo, meno che fra quattro mesi l’ultimo a difendere
quest’onore fosse Massimiliano Latorre, consegnandosi all’abbraccio di
Girone, e non lasciandolo indietro.
12 sett 2014 - il blog di Toni Capuozzo
fonte:http://mezzitoni.tgcom24.it
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