La missione UNIFIL a guida italiana avrebbe bisogno
di essere ripensata per andare incontro al nuovo scenario della guerra
in Medio Oriente
“Una terra dagli equilibri fragili”. Così il ministro della Difesa
italiano, Roberta Pinotti, aveva definito il Libano in occasione
dell’avvicendamento del comando UNIFIL lo scorso luglio, quando il
Generale Paolo Serra passava il testimone al Generale Luciano Portolano,
in un raro ma fiero caso di passaggio di consegne tra italiani. In
quell’occasione, il ministro aveva elogiato la “lunga e delicata”
missione di pace nella Terra dei Cedri – dove l’Italia è impegnata
ininterrottamente dal 1978 – definendola un “modello operativo” per
imparzialità nella mediazione, capacità di cooperazione tra le forze
armate e il governo libanese e, ancora, per sensibilità umana e ricerca
di dialogo.
Caratteristiche che indiscutibilmente si potrebbero applicare al
nostro impegno militare in Libano, se non fosse che uno dei suoi
obiettivi fondamentali – monitorare l’attività di Hezbollah (il
“Partito di Dio” e movimento armato sciita libanese) e impedirne il
riarmo – lasci alquanto a desiderare. Un dubbio sull’efficacia della
missione sorge, infatti, quando si viene a sapere che cellule di
Hezbollah operano da tempo ben oltre i confini nazionali. Dal 2013 è
noto il coinvolgimento delle milizie sciite del Partito di Dio in terra
siriana e, più di recente, anche in Iraq contro lo spauracchio dello
Stato Islamico, organizzazione sunnita che minaccia l’espansione nel
Levante. Una jihad nella jihad, dunque, che evidenzia sin troppo bene
come l’operatività di Hezbollah sia tutto fuorché contenuta.
Ovviamente, non solo a causa delle inefficienze dei no- stri soldati.
Se a questo si sommano le minacce che il leader del Partito, Hassan
Nasrallah, non ha smesso di lanciare contro Israele – l’ultima durante
un raduno sciita a Beirut in novembre, in occasione della festività
dell’Ashura, quando ha dichiarato di essere in possesso di altri razzi
che facilmente potrebbero colpire la “Palestina occupata” (leggasi
Israele, ndr) – questo la dice lunga sui risultati effettivi di una
missione che pure sarebbe il fiore all’occhiello italiano, insieme
all’Afghanistan.
Il ruolo dell’Italia
La Forza di Interposizione in Libano delle Nazioni Unite (UNIFIL)
nasce con le Risoluzioni ONU 425 e 426, in risposta all’intervento
armato israeliano in Libano del 1978. Il mandato viene rivisto a più
riprese (nel 1982 e nel 2000) e infine ampliato con la Risoluzione 1701
del 2006, a seguito dell’intervento militare israeliano in territorio
libanese. La missione, a guida italiana, consta attualmente di un
contingente militare internazionale di 10.319 unità, di cui 1.100
italiani, e quasi un migliaio di civili. Le vittime tra il personale
sinora sono state 306.
“Per quanto riguarda il Libano – spiega a Lookout News
Vincenzo Camporini, Generale dell’aeronautica Militare e già Capo di
stato Maggiore della difesa – UNIFIL è certamente una missione di
grande peso e prestigio che l’Italia ha sempre guidato in maniera
efficace. Se la situazione in questo Paese sinora non è implosa è
certamente anche per merito dei caschi blu guidati dall’Italia”.
La missione UNIFIL a guida italiana constadi 10.319 unità.
I nostri soldati sono 1.100…..
Tra gli obiettivi del mandato UNIFIL è esplicitamente citato che il
riarmo debba essere monitorato “tra il fiume Litani e la Blue Line” (la
linea di confine con Israele) il che, se inteso letteralmente, esula la
missione dei caschi blu da ogni responsabilità relativamente alla
rinnovata attività di Hezbollah.
“L’Italia – sottolinea però Paolo Messa, giornalista e fondatore della testata Formiche -
si conferma un partner importante della comunità internazionale sia
nell’ambito delle missioni della NATO che nel quadro delle iniziative
realizzate sotto l’egida delle Nazioni Unite. Lo dimostra il ruolo di
primo piano svolto in Libano. Non sempre però il nostro Paese è
promotore di interventi in grado di favorire maggiormente i nostri
interessi geopolitici e strategici”.
Il riferimento di Messa rimanda principalmente a quanto sta accadendo
in Libia. Considerato quello che sta accadendo a poche centinaia di
chilometri dalle nostre coste, non sarebbe forse il caso di rivedere nel
2015 (per l’ennesima volta, ma con più cognizione di causa) il mandato
della missione UNIFIL, vista la fragilità di contesti che interessano
in maniera molto più diretta l’Italia?
Dal magazine Lookout News n. 13 – novembre 2014
Nessun commento:
Posta un commento