La
crescita del fenomeno migratorio nel Mediterraneo e le numerose
tragedie verificatesi nel Canale di Sicilia e al largo di Lampedusa
hanno recentemente condotto l’Unione Europea a tentare di assumere un
ruolo di maggiore responsabilità in materia di immigrazione e di
controllo delle frontiere. In seguito alle costanti richieste da parte
del governo italiano circa un maggiore impegno dell’Europa, lo scorso
agosto Frontex, l’agenzia europea creata con il Regolamento 2007/2004
del Consiglio UE con lo scopo di gestire la cooperazione operativa alle
frontiere esterne degli Stati membri, ha annunciato la creazione della
missione Frontex Plus – poi rinominata Triton – che, operativa dal 1°
novembre, e integrando le due missioni già attive nel Mediterraneo (la
Enea e la Hermes), dovrebbe sostituire gradualmente l’operazione
italiana militare ed umanitaria Mare Nostrum.
Quest’ultima
era iniziata il 18 ottobre 2013 con l’obiettivo di potenziare il
controllo dei flussi migratori – già in essere nell’ambito della
missione Constant Vigilance (2004) – attraverso azioni di Search and Rescue
(SaR), nonché quello di contrastare coloro che lucrano sul traffico
illegale di migranti. Secondo le stime fornite dall’Alto Commissariato
delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR), ad oggi, oltre 165.000
migranti sono giunti in Europa attraverso il Mediterraneo centrale e, a
fronte del salvataggio da parte dell’Italia di 140.000 persone, si stima
che oltre 3.000 hanno perso la vita durante la traversata. Il bilancio
finale di Mare Nostrum, secondo quanto emesso dal governo italiano, è di
558 interventi, 100.250 persone soccorse, 728 scafisti arrestati, 6
navi poste sotto sequestro, 499 morti durante le operazioni, 1.446
presunti dispersi, 192 cadaveri non ancora identificati. Mentre tutta
l’operazione è costata 114 milioni di euro.
Alla base delle richieste italiane di un maggior coinvolgimento dell’Europa, peraltro auspicato anche dalle Nazione Unite tramite il suo portavoce Stephane Dujarric quando ha parlato della necessità di “uno sforzo internazionale”, ci sarebbero i circa 9,5 milioni di euro che l’Italia assegnava mensilmente all’operazione gestita dalla Marina Militare. Gli stanziamenti in favore dell’operazione Triton si aggirano ora intorno ai 3 milioni di euro mensili, all’interno di un budget totale previsto dalla Commissione europea di 92 milioni di euro. Sembra questo il nodo che ha spinto la stessa UNHCR e le maggiori associazioni umanitarie come Amnesty International a premere sul governo italiano affinché non accantoni Mare Nostrum. Appare del tutto logico che se Triton la sostituirà del tutto, il ridimensionamento delle risorse stanziate si tradurrà necessariamente in una diminuzione degli strumenti e dei mezzi a disposizione. Anche perché nella fase iniziale le risorse sono garantite da Frontex e dal Fondo Sicurezza Interna (ISF) ma dovranno poi essere gli Stati coinvolti a garantire il prosieguo dell’operazione [1].
Il Ministro Alfano ha da subito sottolineato come il risparmio economico per l’Italia sarà enorme; tuttavia, vista l’intensità e la frequenza degli sbarchi sulle coste italiane nell’ultimo anno, la nuova operazione potrebbe verosimilmente configurarsi come inadeguata nelle operazioni di salvataggio. Infatti, oltre alla diminuzione numerica dei mezzi e degli strumenti, Triton opererà non oltre le frontiere Schengen, mentre Mare Nostrum si spingeva fino alle acque internazionali (passando dunque da 175 a 30 miglia oltre le coste italiane). Un dettaglio non di poco conto se si considera che un simile campo d’azione ha permesso un elevato numero di salvataggi. Anche se il Ministro della Difesa Pinotti, in occasione della conferenza stampa per illustrare le caratteristiche di Triton e per archiviare Mare Nostrum, ha ribadito l’impegno dello Stato italiano a continuare a soccorrere i migranti in mare, appaiono sempre più fondate le perplessità operative e politiche rispetto al nuovo modo di affrontare un fenomeno che da tempo ha abbandonato il carattere dell’emergenza per diventare sempre più un fenomeno ordinario.
Dall’operazione
Triton emerge un problema politico evidente, riconducibile al desiderio
di Bruxelles di rinchiudersi dentro i confini della cosiddetta
“Fortezza Europa”, non in ragione di una reale minaccia, ma da coloro
che fuggono da condizioni di vita inaccettabili, da guerre persecuzioni e
regimi dittatoriali. È chiaro che Triton, essendo un’operazione di
Frontex e quindi del sistema Schengen, non avrebbe potuto garantire
quello che Mare Nostrum ha svolto fino ad ottobre; il problema è
piuttosto quello di un’Europa che non ha fornito gli strumenti –
politici ed economici – necessari affinché uno Stato membro come
l’Italia potesse portare avanti un’operazione umanitaria di queste
proporzioni. Più volte Bruxelles ha chiarito che l’Italia sarebbe stata
libera di proseguire o concludere Mare Nostrum: un assist che il
Ministro Alfano ha opportunamente raccolto, chiudendo l’operazione. La
debolezza di Bruxelles quando parliamo di immigrazione è ancora troppo
evidente.
La decisione di sostituire
del tutto Mare Nostrum con una operazione oggettivamente inferiore dal
punto di vista delle risorse e degli obiettivi ma di “respiro europeo”,
sembra confermare le politiche programmatiche in tema immigrazione
espresse in quest’ultimo periodo sia dai maggiori Paesi del vecchio
continente che da Bruxelles. Fino a questo momento non si è vista una
reale politica europea del Mediterraneo per i diritti umani, per la
soluzione dei conflitti in essere, per un sistema integrato sulla
protezione internazionale, né tanto meno una politica migratoria e per
una gestione dei flussi di ingresso europea.
Quando
parliamo di operazioni come Mare Nostrum e Triton occorre considerare
non solamente i mezzi, gli strumenti, gli Stati coinvolti, i budget o le
finalità mirate a colpire la criminalità organizzata transnazionale che
lucra sul traffico di migranti, ma soprattutto le migliaia di
richiedenti asilo che necessitano di accoglienza. Se su quest’ultimo
punto le proposte non mancano, ciò che spesso manca è una reale volontà
degli Stati membri ad abbandonare la propria sovranità su un tema così
delicato. Ad esempio, mai come adesso appare complicato effettuare una
profonda riforma del Regolamento Dublino III [2] introducendo ad esempio
lo status comune europeo di rifugiato; la creazione di un
sistema di accoglienza europeo capace di introdurre una ripartizione
equa dei rifugiati all’interno degli Stati membri, magari in base ad
indici economici e demografici; l’introduzione del riconoscimento
reciproco dello status di rifugiato da parte di tutti gli Stati membri o
addirittura la creazione di un’Agenzia europea per l’asilo e
l’immigrazione operante anche al di fuori dei confini europei [3]. Le
difficoltà di riformare il sistema di accoglienza collocandolo
parallelamente a quello della sicurezza e, più in generale, di operare
una effettiva comunitarizzazione del settore immigrazione risiedono
principalmente in una particolare condizione socio-politica del vecchio
Continente.
Occorre innanzitutto
considerare che dal punto di vista sociale, in un momento di crisi di
consenso nei confronti delle istituzioni europee, si sta consolidando
tra i cittadini europei una relazione sempre più intensa tra paura e
fenomeno migratorio. La recente operazione europea di polizia denominata
“Mos Maiorum” ha riposto proprio a questa esigenza: terminata lo scorso
26 ottobre, questa ha avuto l’obiettivo di identificare gli immigrati
irregolari all’interno dello spazio Schengen e di contrastare i gruppi
criminali che lucrano proprio sui traffici irregolari di migranti. Mos
Maiorum è stata coordinata dal Ministero degli Interni italiano, ma si è
realizzata con la collaborazione di tutte le polizie degli Stati
membri. Secondo molte associazioni umanitarie e ONG come Statewatch e
Amnesty International si sarebbe trattato di una vera e propria
schedatura forzata; dall’Europarlamento, Barbara Spinelli ha parlato
addirittura di una vera e propria retata su scala europea dove è stato
consentito «l’uso della violenza nei casi ove fosse necessario».
Si tratta dell’ultima di una lunga serie di operazioni simili che
periodicamente si svolgono all’interno dei confini europei (come ad
esempio Perkunas, Aphrodite, Aerodromus). Questa volta si è giunti a
tale decisione in seguito alle proteste da parte degli Stati aderenti a
Schengen nei confronti dell’Italia, colpevole di non applicare in modo
capillare e rigoroso le norme previste da Dublino III, lasciando che
numerosi immigrati irregolari valicassero i confini italiani per farsi
identificare altrove. E la situazione politica interna degli Stati? È
immune dall’immagine dell’immigrato come spauracchio sociale che ne
insidia la sicurezza? Assolutamente no. E non potrebbe essere
altrimenti.
In Germania, il numero
crescente di salafiti e simpatizzanti del nuovo Stato Islamico sta
riconducendo il Paese nelle paure post-11 settembre, quando Amburgo era
il centro direzionale degli attentati alle Torri Gemelle. Nel Regno
Unito David Cameron ha già lanciato la proposta di introdurre un limite
agli ingressi per i lavoratori europei non qualificati, toccando uno dei
capisaldi dell’Unione Europea, ovvero la libera circolazione dei
lavoratori, tanto che Barroso in una recente intervista alla BBC ha
replicato affermando che «la libertà di movimento è un principio
molto importante nel mercato interno e il mio consiglio al Regno Unito è
di non porre neanche in dubbio quel principio». Paure e diffidenze
che stanno aumentando il consenso non solo dell’UKIP di Nigel Farage, ma
anche del Front National di Marine le Pen, divenuto primo partito in
Francia dopo le elezioni europee dello scorso maggio, e dell’Afd in
Germania, che affronta il tema immigrazione con la stessa intransigenza
degli altri partiti euroscettici. Sembra proprio che la crescita di
questi partiti stia condizionando, sia pur ancora in maniera marginale,
le scelte programmatiche sia di Bruxelles che dei Paesi membri.
In
conclusione, sembra evidente che se l’Europa continuerà ad affrontare
il tema immigrazione esclusivamente dal punto di vista della sicurezza
forse riuscirà ad ottenere qualche consenso in più nel breve periodo e
forse anche a controllare le pulsioni euroscettiche, ma certamente in
futuro si troverà ad affrontare gli effetti controproducenti di una
politica miope.
Salvatore Denaro - 27 novembre 2014
fonte: http://www.bloglobal.net
* Salvatore Denaro è Dottore in Scienze Internazionali (Università di Siena)
[1]
L’operazione Triton avrà a disposizione ogni mese due navi d’altura,
due navi di pattuglia costiera, due motovedette, due aerei ed un
elicottero. L’Italia, come Paese ospitante dell’operazione, metterà a
disposizione un aereo, un pattugliatore d’altura e due pattugliatori
costieri. Il centro di coordinamento internazionale ha luogo nella sede
del Comando aeronavale della Guardia di Finanza a Pratica di Mare.
[2]
Regolamento (UE) n. 604/2013 che stabilisce i criteri e i meccanismi di
determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda
di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri da un
cittadino di un Paese terzo o da un apolide.
[3] Proposte presentate in Camera dei Deputati per la riforma del Regolamento Dublino III –
Mozione Nicoletti (http://www.michelenicoletti.eu/wp/wp-content/uploads /MOZIONE_DI_DUBLINO.pdf)
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