Rapite: con la forza o con l’inganno. Strappate alle loro famiglie e costrette ad abbandonare la fede cristiana.

Secondo l’AVAED, nel 40% dei casi le giovani – di età compresa tra i 14 e i 40 anni - vengono rapite, violentate e in seguito costrette a sposare il proprio carnefice dopo essersi convertite all’islam. Altre vittime vengono invece plagiate da giovani musulmani che prima si guadagnano la loro fiducia, quindi le obbligano a convertirsi e a contrarre matrimonio islamico. In preparazione alle nozze gli aguzzini cancellano con l’acido la croce tatuata sul loro polso: simbolo di una fede cristiana portata con orgoglio da molti esponenti della minoranza copta.

Le poche informazioni disponibili riguardanti i sequestri sono tratte dalle testimonianze delle ragazze che sono riuscite a fuggire. Come Ingy, ancora minorenne, che si è tagliata le vene dei polsi due volte per convincere i suoi carcerieri a liberarla. In molte però non hanno avuto la stessa fortuna. Come la piccola Nadia Makram, rapita nel 2011 a soli 14 anni. I genitori di Nadia conoscevano il nome del suo rapitore - Ahmed Hammad, un musulmano di 48 anni - e si sono rivolti immediatamente alla polizia. L’uomo non è stato arrestato. Stando ai numerosi episodi documentati dall’AVAED, spesso la polizia si rifiuta di cercare le ragazze sostenendo che queste abbiano abbandonato spontaneamente la casa paterna. Se poi le giovani vengono ritrovate e convocate alla stazione di polizia, quasi sempre sono accompagnate dai nuovi “parenti” musulmani, perfino in occasione del colloquio che dovrebbe servire ad appurare l’avvenuto sequestro. Comprensibilmente in molte confermano d’aver lasciato la famiglia d’origine senza alcuna costrizione.
La vicenda di Nadia, e di altre bambine rapite e costrette alle nozze, è ancor più grave. Perché la legge egiziana vieta il matrimonio e la conversione delle minorenni, anche se queste si dichiarano consenzienti. Eppure nel 2012, quando la ragazza appena quindicenne aveva già dato alla luce il suo primo figlio, il caso è stato archiviato e il marito prosciolto. All’uomo è stato sufficiente mostrare un certificato di matrimonio che attestava la “regolare” unione con la sua minorenne consorte.
Aiuto alla Chiesa che Soffre sostiene da diversi anni i progetti della Chiesa cattolica egiziana relativi alla promozione della dignità della donna. Roma, 8 marzo 2014
fonte: La Perfetta Letizia - 8 marzo 2014
Nessun commento:
Posta un commento