A tredici anni dall’intervento militare la
minaccia dei talebani non è stata eliminata. Obama ci riprova estendendo
l’impegno delle sue truppe a tutto il 2015. Ma difficilmente questa
strategia gli darà ragione
A tredici anni dall’intervento delle truppe statunitensi in Afghanistan e dall’inizio della missione NATO ISAF (International Security Assistance Force), l’Occidente rimane un ospite indesiderato per questo Paese, e a ribadire il concetto sono state le offensive registrate nelle ultime 24 ore. Prima l’attacco kamikaze a un convoglio dell’ambasciata britannica (6 morti, tra cui due funzionari inglesi, e oltre trenta feriti). Poi il blitz armato nel quartiere Wazir Akbar Khan, dove hanno sede diverse ambasciate straniere (compresa quella britannica), abitazioni di diplomatici e uffici di rappresentanza di società estere. La polizia afghana ha confermato che il commando entrato in azione era formato da tre talebani. Uno dei tre miliziani si è fatto esplodere, mentre gli altri due sono morti nello scontro a fuoco con guardie della sicurezza nepalese.
Le ultime mosse dei talebani
La scelta della giornata di ieri per sferrare attacchi frontali contro il quartier generale della diplomazia estera non è stata casuale. Ieri la maggioranza della Camera alta del parlamento afghano ha infatti approvato la ratifica di due accordi bilaterali tra Kabul, Washington e la NATO. Con questo passaggio viene delineato il quadro giuridico che consente di avviare ufficialmente dal primo gennaio la nuova missione della NATO dopo la conclusione della missione ISAF (prevista in totale la permanenza di 12.500 soldati)e il nuovo impegno militare degli Stati Uniti, che archiviano così la fallimentare Operazione Enduring Freedom per inaugurare l’Operazione Resolute Support.
Le ultime offensive anticipano anche di una settimana la conferenza internazionale sull’Afghanistan, in programma a Londra il 4 dicembre. L’appuntamento servirà per fare il punto sugli sforzi (economici e umanitari) necessari per mettere il nuovo presidente Ashraf Ghani nelle condizioni di poter governare.
Offuscati dall’avanzata dello Stato Islamico in Iraq e Siria, i talebani hanno perciò deciso di tornare a colpire nel momento di massima visibilità mediatica dell’Afghanistan. E per farsi sentire questa volta hanno deciso di alzare il tiro puntando direttamente su obiettivi internazionali. Non accadeva da maggio, quando era toccato al consolato indiano di Herat.
I dubbi sulla strategia americana
In questo scenario, la missione di guidare l’Afghnastin verso la normalizzazione appare sempre più complicata per il presidente Ghani. Al momento i militari e la polizia locali controllano formalmente i 34 capoluoghi di provincia del Paese. Nell’ultimo anno le perdite subite sono però aumentate, soprattutto nella parte orientale e meridionale. Solo nel 2014 sono stati 4.600 gli agenti uccisi, il 6% in più rispetto allo stesso periodo del 2013.
Ghani punta sugli americani per tenere in vita il suo governo. Il suo consigliere per la sicurezza nazionale, Hanif Atmar, ha contatti costanti con il generale statunitense John F. Campbell. Rispetto ai tempi dell’ex presidente Karzai, agli USA sono stati concessi maggiori margini di manovra per contrastare i talebani, la pericolosa rete degli Haqqani e le milizie qaediste. Oltre al mantenimento di 9.800 militari di stanza tra Kabul e Bagram, il cui compito sarà quello di garantire la sicurezza del personale americano, gli USA hanno anche in mente di condurre azioni mirate di terra e raid aerei con caccia F-16, bombardieri B-1B, Predator e droni Reaper.
Nonostante gli scarsi risultati ottenuti in questi anni, gli USA ritengono dunque che non sia ancora arrivato il momento di lasciare l’Afghanistan agli afghani. Una strategia rischiosa di fronte alla quale è certo che una nuova risposta dei talebani non tarderà ad arrivare.
La situazione del contingente italiano
Il rischio di una nuova escalation di violenze chiama direttamente in causa anche il contingente italiano impegnato in Afghanistan nell’ambito della missione ISAF. Negli scorsi mesi i nostri soldati sono stati impegnati nella chiusura di alcuni PRT (Provincial Reconstruction Team) e di diversi avamposti FOB (Forward Operating Base), tra cui la FOB Ice in Gulistan e Dimonios a Farah. L’ultima a essere dismessa a novembre è stata la FOB Tobruk a Bala Baluk, in uno dei distretti in cui l’intensità degli scontri con i talebani si è fatta sentire più che altrove. La chiusura di questa base è stata realizzata grazie a una complessa attività operativa di retrograde (ripiegamento), pianificata e condotta dal Regional Command West (RC-West) di Herat su base brigata meccanizzata Aosta. Gli ultimi convogli sono stati scortati durante il percorso dagli elicotteri d’attacco italiani A129 Mangusta della Task Force Fenice, nonché dagli aerei senza pilota Predator, che hanno consentito il monitoraggio dell’intera operazione. La cessione agli afghani della base Tobruk – l’ultima postazione NATO a essere chiusa nella provincia di Farah – segna anche il rientro in Italia di circa 400 nostri militari, nel piano di ridimensionamento del contingente che scende così sotto le 2mila unità.
28 nov 2014
fonte: http://www.lookoutnews.it
Nessun commento:
Posta un commento