Parla l'avvocato Michele Spina, docente di Diritto e procedura penale e militare alla Seconda Università di Napoli
Indagini effettuate in modo approssimativo, esami fondamentali mai
fatti. Spiega contraddizioni e lacune degli investigatori indiani
Michele Spina, avvocato penalista, docente alla Seconda Università di
Napoli in Diritto e procedura penale e militare. È membro dell’esecutivo
nazionale dell’Italia Dei Valori.
Avvocato Spina, ci sono molte zone d’ombra nella vicenda marò. Quali sono le più gravi?
«È acclarato che i fatti sono avvenuti in acque internazionali, ma
l’India vuole far passare il discorso della contiguità delle acque, che
invece riguarda solo gli aspetti economici-commerciali e non ha nulla a
che vedere con il penale. Tra l’altro non sappiamo neanche chi ha dato
l’ordine di rientro della nave. Inoltre, si parla di proiettili
compatibili, ma io faccio il penalista da 40 anni e un proiettile, se è
compatibile con un’arma, non vuol dire che è stato sparato da
quell’arma. Ritengo che in Italia si sarebbe arrivati a dare una
sentenza di eccesso colposo nell’uso legittimo delle armi».
Carenze anche dal punto di vista procedurale.
«Noi non abbiamo partecipato alla perizia balistica e questa è un’altra
burla. In Italia se io vengo incriminato il primo atto irripetibile è
vedere se quella mano ha sparato di recente, attraverso il guanto di
paraffina. Neanche questo è stato fatto».
Come giudica il comportamento dell’Italia nella vicenda dei marò?
«Il governo Monti ha gestito questa vicenda con leggerezza, poi con il
governo Letta si è tentato di rimettere le cose a posto. Adesso vedremo
cosa succederà con Renzi. L’Italia riteneva che tutto si sarebbe risolto
a livello diplomatico, ma l’intendimento dell’India è stato chiaro fin
da subito. Quando un ministro parla, parla a nome di tutto il governo,
non a titolo personale. Inoltre ritengo che sarebbe stato opportuno
informare maggiormente gli italiani su quanto veramente è accaduto.
Purtroppo c’è ancora molta disinformazione sui marò».
Anche l’Europa si è mossa colpevolmente in ritardo?
«L’Europa è stata proprio completamente assente. Bisogna ottenere un
arbitrato internazionale e in questo ci deve dare una mano l’Onu.
Sembrava che qualcosa si stesse muovendo, ma poi c’è stata una frenata.
Non si deve dimenticare che sulla nave vi era un nucleo di militari
armati sulla base di una funzione anti-pirateria, comandata dal
Consiglio di Sicurezza dell’Onu. Per far sì che si arrivi a una
soluzione internazionale dobbiamo sensibilizzare molto l’opinione
pubblica».
Quanto hanno influito in questa vicenda gli intensi rapporti economici tra Italia e l’India?
«Non lo so, ma i rapporti economici non si può escludere che abbiano
influito. L’Italia adesso, finalmente, in un modo un po’ più deciso sta
rivendicando la nostra giurisdizione».
Cosa nascondono i 27 rinvii della Corte suprema indiana?
«Lì c’è una situazione incandescente, a causa delle elezioni che si
terranno il prossimo maggio. La vicenda rischia di essere quindi
strumentalizzata dai partiti in lizza per la vittoria. Io sono convinto
che c’è stata una disattenzione da parte dell’Italia, perché si pensava a
una soluzione bonaria e diplomatica. L’india non ha rispettato precisi
accordi internazionali e ha proceduto in maniera molto poco chiara. Ad
esempio, ancora non sappiamo quasi nulla anche sul capo di imputazione.
C’è stato un palese mancato rispetto delle regole processuali. Anche su
questo dobbiamo protestare e farci sentire».
Inizialmente si era parlato anche di una condanna alla pena di morte con l’applicazione delle legge anti-pirateria.
«È incredibile, l’India voleva applicare la legge anti-pirateria, a
coloro, i due marò, che stavano lì proprio per contrastare la pirateria.
Paradossale».
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