8.3.2014
La fermezza italiana nel gestire il «caso marò» ha messo la pubblica
accusa indiana all’angolo. Ieri, giorno per il quale era stata fissata
l’ennesima udienza davanti alla Corte suprema di New Delhi, in realtà
non c’è stata alcuna audizione. Tutto è slittato di alcuni giorni, per
dare il tempo alla Procura di organizzare una risposta alla richiesta
della difesa di non usare la polizia antipirateria e antiterrorismo
contro due militari che hanno agito proprio durante una missione di pace
antipirateria.
Dopo l’esclusione del Sua Act, contro Latorre e Girone, avvenuta
nell’udienza del 24 febbraio, l’accusa aveva chiesto che potesse
comunque essere lasciata in campo la la polizia antipirateria e
antiterrorismo, la Nia. Ma a questo si erano opposti i legali dei marò.
Così, giovedì scorso, il pool di avvocati della difesa ha presentato
un’istanza scritta alla Corte suprema indiana in cui si oppongono
all’utilizzo della Nia. La Nia, ha spiegato l’inviato del governo,
Staffan de Mistura, può agire in base a leggi speciali, come quella per
la repressione della pirateria, appunto il Sua Act. Ma la Corte Suprema,
nel corso dell'ultima udienza, ha annunciato che il governo indiano
rinunciava a questa legge per incriminare Salvatore Girone Massimiliano
Latorre. A questo punto quindi, secondo la difesa dei due fucilieri
della Marina, non ci sono più i presupposti per lasciare alla Nia la
titolarità delle indagini.
L’accusa si trova così a dover usare una padella senza manico o un
manico senza padella e dovrà, nei prossimi giorni, spiegare cosa intende
fare. Prevedibilmente i due marò torneranno davanti alla Corte suprema
nella seconda metà di marzo. Questo in senso puramente figurato, visto
che i due fucilieri di marina non sono mai comparsi personalmente
davanti ai giudici indiani, tranne in un caso, lo scorso anno. Questo
per ribadire la volontà italiana di far rispettare i loro diritti visto
che, essendo militari italiani che hanno agito in acque internazionali
durante un’operazione di peacekeeping, devono essere giudicati in
Italia, sempre che meritino un giudizio.
Intanto, ieri, il ministro degli Esteri, Federica Mogherini, ha parlato
con il capo della diplomazia indiana Salman Khurshid. Lo ha annunciato
la stessa Mogherini su Twitter: «Parlato ora con il Ministro degli
Esteri indiano Khurshid dei nostri # marò. Lavoriamo per riportarli in
Italia».
La lapidaria affermazione ha scatenato reazioni indignate
dell’opposizione: «Il ministro degli Esteri Mogherini oggi si è limitata
a twittare di aver parlato con l’omologo indiano per riportare a casa i
due marò - ha dichiarato il senatore Bruno Alicata, capogruppo di Forza
Italia in commissione Difesa a Palazzo Madama - Ci aspettiamo qualcosa
di più che non i soliti proclami senza sostanza». E ha continuato: «La
presentazione da parte dei nostri marò di un'istanza contro l'impiego
della Nia, la polizia indiana antiterrorismo che dovrebbe indagare sul
caso - ha aggiunto - era sicuramente un atto dovuto e un passaggio
obbligato. È infatti inaccettabile che Girone e Latorre siano ancora
bloccati in India, che debbano essere processati da uno Stato che ha già
dimostrato inaffidabilità per quanto riguarda il rispetto dei diritti
umani, che continua a provocare attraverso continui rinvii e attraverso
l'eventuale coinvolgimento di reparti antiterrorismo».
«Preferiremmo che alle parole, su questa delicata vicenda, seguissero
finalmente delle azioni concrete», ha affermato il segretario nazionale
dell'Italia dei Valori, Ignazio Messina, che ha aggiunto: «Come
annunciato nei giorni scorsi, durante il sit-in promosso dall'IdV a
sostegno dei marò, che si è tenuto davanti al ministero della Difesa,
vogliamo che sia chiarito ogni dubbio, al fine di far emergere la
verità. Anche per questo abbiamo presentato un'interrogazione
parlamentare all'Unione europea».
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