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Non smettete mai di protestare; non smettete mai di dissentire, di porvi domande, di mettere in discussione l’autorità, i luoghi comuni, i dogmi. Non esiste la verità assoluta. Non smettete di pensare. Siate voci fuori dal coro. Un uomo che non dissente è un seme che non crescerà mai.

(Bertrand Russell)

05/03/14

LA RISPOSTA INTERNAZIONALE. Tutti insieme appassionatamente per la Crimea… forse


A “Fuori dal Mondo” avevamo deciso di concentrare l’analisi sull’azzardo del Cremlino nell’affare di Ucraina, ma è forse il caso di procedere, antecedentemente, con una panoramica della propensione globale alla vicenda principale di questi ultimi giorni. I due punti di riflessione in realtà non sono affatto disgiunti, dal momento che un policy maker di respiro internazionale come il Presidente della Federazione Russa è cosciente di come un’azione di Mosca debba tenere conto di ogni variabile estera, specie nel principio di un “azzardo”, come è stato definito da molti l’inclinazione russa verso il suo vicino occidentale. Che si possa sovrastimare o sottovalutare (come qui si pensa) la contro-risposta internazionale, almeno nel breve periodo, è una variabile imprescindibile per valutare l’effettiva portata dell’azione di uno stato nei confronti di un’altra realtà politica, seppure friabile. Valutare quindi l’impatto internazionale dell’azione russa potrà sicuramente dirci di più sulla lungimiranza, o tragica miopia, della “visione da scacchiera” di Vladimir Vladimirovich Putin.

NAVE DA GUERRA 
La storia insegna e la Russia, di storia, ne conosce molta. Tirare l’acqua al proprio mulino è chiaramente un esercizio che appartiene ai maggiori “makers” dello scenario internazionale, Stati Uniti in primis, ma i russi hanno un particolare “expertise” da questo punto di vista, un trascorso esperienziale che è venuto in aiuto (sarà veramente tale?) dei pianificatori strategici del Cremlino agli albori della decisione dell’operazione in Crimea, e ora non più solo nella Penisola (peraltro da sempre a maggioranza russa, non solo russofona).
Così sarà spontaneamente tornata alla memoria del Cremlino l’imbarazzante e stampellata reazione del “fronte occidentale” alle ultime vicende internazionali, dalla Libia a soprattutto la Siria, dove lo scoramento francese e lo stop britannico hanno forse salvato Obama e gli USA dall’impiccio peggiore che sarebbe potuto svilupparsi. Applicarlo anche al caso ucraino è un esercizio tanto spontaneo quanto razionale nella sua genesi, almeno all’apparenza, dal momento che se la Libia ha creato quel che ha creato, poiché gli interessi in gioco erano solo pressochè regionali, mentre il quadro internazionale avviluppato su Damasco ha impedito una definizione dei problemi siriani per i troppi interessi globali in gioco, in particolare quelli russi.
Se l’America non è esente da ipocrisie e la frase di Obama: “Putin sta dal lato sbagliato della storia” (qual è quello giusto?) non è proprio il massimo in termini di pragmatica efficienza estera, quale può essere il freno all’azione moscovita in Ucraina in assenza, così credono i quadri militari e d’analisi, di una risposta compatta da parte della NATO, dagli USA e, ancor meno probabile, dall’Unione europea, certamente non una forte opposizione.

GNAM 
Ma sarà poi vero? Non sarà forse invece una situazione diversa da quella libica e non sarà forse un caso in cui Putin arriva consumato dalla sua performance in Siria, legato a un rispetto della sovranità (del tutto di comodo) che potrebbe ritornargli contro in Ucraina, visto che la protezione della popolazione russa o russofona appare del tutto pretestuoso, dal momento che, almeno in Crimea, la parola della Russia è legge, da Sebastopoli a Sinferopoli?
Alcune considerazioni in merito si possono già compiere valutando la propensione globale sul caso della Crimea, del destino dell’Ucraina e dell’azione russa. In molti casi si verificano dinamiche ampiamente prevedibili e previste, dalla poca coesione della (dis)Unione europea alle sterili lamentele degli Stati Uniti, dalle ancor più sparute rimostranze della NATO e delle Nazioni Unite, all’annunciato schieramento cinese a fianco, anzi, al retro, della Russia, per non dare l’impressione di accodarsi alle lamentele dell’Occidente e fare uno sgarbo, uno di più, all’amministrazione Obama.
Tuttavia si nota un forte, crescente imbarazzo da parte di chi, come la Germania, si trova presa tra due fuochi, da un lato quello politico istituzionale dell’Unione, dall’altro quello economico strategico dei legami con l’orso moscovita. E non sono gli unici tentennamenti, a dimostrazione che l’ “Affare Ucraina” potrebbe risultare troppo grande, persino per Putin e, nella fattispecie, inutile, come vedremo nel prossimo articolo. E poi ci sono gli ovvi, immancabili e giustamente interessi connaturali in gioco ad animare il gioco delle parti su cui conta Putin per poter agire indisturbato nell’ennesima riedizione dell’epopea della potenza russa. Qualcosa, però, potrebbe non andare per il verso prescelto dal Cremlino…

CINA_-_Protestanti 

Restano le impressioni internazionali da sottolineare. La Cina, come detto, sostiene la decisione moscovita di aiutare la popolazione di origine russa che popola la penisola e la parte est della nazione ucraina, anche se questo stride e non poco contro il principio di non ingerenza che anima non solo il governo di Pechino ma quel fiore all’occhiello dei cinesi (e dei russi) che è la “Shangai Cooperation Organization”. Che poi, a corollario di tale linea d’azione, ci sia anche l’acquisto di 100.000 ettari di terreno agricolo su suolo ucraino, proprio in faccia all’orizzonte della penisola di Crimea, che potrebbero diventare 5.000.000 a scopo agricolo per ridurre l’annoso problema della “food security” di Pechino, questo è un altro discorso. Rimane il forte impaccio, ad ogni modo, di 3 miliardi di dollari di prestiti che, si dice, la Cina vorrebbe ripagati in mais dal governo di Kiev; un accordo sancito nel febbraio 2012 (in cambio l’Ucraina avrebbe concesso 3 milioni di tonnellate di mais alla Cina ogni anno) che avrebbe dovuto permettere a Kiev di utilizzare i soldi cinesi sempre a scopo agricolo, per il potenziamento degli impianti di irrigazione.
Il portavoce del governo cinese, che ha ampiamente discusso con il ministro degli esteri russo Lavrov, ha ripetutamente sostenuto che Pechino non si sognerebbe mai di tirare fuori una questione di debito in questo frangente ma tant’è… (d’altronde Gazprom stessa si dice molto preoccupata per i debiti di 2 miliardi di Kiev nei confronti del governo russo per le forniture di gas arrivate da tempo). E il gas è a farla da padroni, è chiaro, ma solo a livello preliminare, e per l’analisi più superficiale della questione.

Renzi, non vogliamo Ue che dà linea a Italia 

Mentre Francia, Regno Unito e Stati Uniti si schierano fortemente per una serie di sanzioni e per l’estromissione della Russia dal G8 (oltre che all’ovvio boicottaggio di Sochi, di nuovo lei, sede del prossimo meeting internazionale), Germania e Italia guardano con orrore a una visione di questo tipo, seppur per motivi diversi. È vero che le possibili ripercussioni in tema di esportazioni di gas russo passando per l’Ucraina, in caso di cataclisma geopolitico, sarebbero molto gravi soprattutto per il Nord Europa, visto che l’80% del gas russo passa per l’Ucraina e l’Europa è per il 40% importatrice del gas moscovita, ma l’approvvigionamento energetico conta fino a un certo punto.
L’incertezza della questione di Crimea, e dell’Ucraina nel suo complesso, visto che la situazione a Donetsk e Odessa sembra degenerare e assomigliare sempre più a quella di Sinferopoli, pesa come per un macigno per gli accordi commerciali stretti dallo stato di Kiev e alcuni grandi partner europei tra cui, guarda caso, l’Italia, che con ENI ha siglato proprio il novembre scorso un accordo di “producing sharing” per l’esplorazione “offshore” del Mar Nero Ucraino. Gli accordi di questo tipo e la tradizionale simpatia tra Roma e Mosca sono molto più pressanti del gas moscovita, per fortuna sostituibile dalla buona e consolidata struttura di diversificazione energetica nazionale (che in passato ha dovuto sostenere preoccupazioni ben peggiori). Politica e dialogo divengono quindi le armi della diplomazia italiana, in verità le uniche che potremmo usare in questo frangente, anche per liberarci dall’imbarazzante impaccio di dover di nuovo prendere parte a uno scontro in cui si sommano interessi contrapposti ma a noi molto amici (come in Libia).

Merkel, EP 

La posizione politica viene fortemente condivisa dalla Germania di Angela Merkel, irritatissima per il forte imbarazzo provocatole dalla perentoria decisione di Putin di voler procedere con il suo piano di Crimea: le intese tra Berlino e Mosca sono sempre più forti, dal punto di vista economico, con la Russia che è divenuto uno dei principali mercati di esportazione di beni tedeschi e quanto detto dalla Merkel circa il fatto che “Putin abbia perso i riferimenti della realtà” denota una Germania scocciata e imbarazzata liaison con la Russia, tanto da proporre, con una telefonata “Angela-Vladimir” una missione di verifica in Ucraina sotto il controllo dell’OSCE per intraprendere un vero dialogo politico sulla questione.
Quanta stizza nell’agire di Berlino, molto evidente, tanto da lasciare pensare che, in una deprecabile resa dei conti, Berlino sarebbe costretta a mandare il business all’aria e sostenere le rimostranze occidentali nei confronti del ricco partner moscovita. Qualcuno, ad ogni modo, dovrebbe spiegare alla Cancelliere di ferro del nuovo millennio che gli incontri tra Lavrov e il ministro degli esteri tedesco Steinmeir, a margine della conferenza sui diritti umani delle Nazioni Unite a Ginevra (che ironia), possono dare un’immagine non proprio cristallina dell’operato tedesco, visto che Steinmeir è uno dei maggiori sostenitori della non esclusione della Russia dal G8, oltre che essere il protetto dell’ex Cancelliere Schroeder, amicissimo di Putin e grande fautore del progetto “Nord Stream” per il trasporto tramite pipeline del gas naturale russo sul suolo tedesco.


ucraina 

Tutti questi fatti avvengono nel momento in cui viene smentito l’ultimatum alle forze ucraine diffuso in maniera improvvida dall’agenzia russa Itar-tass, mentre il Consiglio straordinario degli Esteri UE ha condannato la Russia e chiesto il ritiro immediato, non senza che il Presidente del Consiglio Europeo, Van Rompuy abbia convocato per giovedì un vertice straordinario con un obiettivo solo “de-escalation”.
Sarà molto arduo ottenere ciò (molto dipenderà anche dalla visita del Segretario di Stato Kerry, oggi a Kiev), ma è certo che la Russia inizi a muoversi un po’ troppo indipendentemente dalle proprie, seppur grosse, zampe d’orso, con la convinzione che tutto andrà come in Georgia o, per altri aspetti, come in Siria.
Già la Georgia, motivo di ulteriore imbarazzo per Berlino verso l’amico moscovita, dal momento che la Germania e l’allora non più cancelliere Schroeder in particolare, furono i più strenui sostenitori della reazione russa allo sciagurato attacco georgiano. Come agire adesso? Tornano a mente le parole di Putin, nel suo celebre op-ed sul New York Times circa la Siria, sulla necessità di utilizzare il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite per dirimere le controversie internazionali e il caos (quello globale, non quello nell’accezione russa): che Vladimir possa scivolare sulle sue stesse parole e fregare agli americani la palma dell’incoerente parolaio? Sono errori che, alla lunga, si pagano (intanto le borse di tutta Europa, compresa quella russa, sono in picchiata), soprattutto quando si è passato oltremodo una vita a dire agli americani di “farsi gli affari propri”.
Chiudiamo con la notizia per cui pare che la presenza russa in Ucraina sia stata richiesta da una lettera di pugno da parte di Yanukovich, il presidente senza stato deposto e ora in Russia a perorare la propria causa. I russi, per la verità molto infastiditi per il fallimento dell’uomo su cui avevano puntato molto, costringendoli (vedremo) a muoversi, pensano che una giustificazione di Yanukovich li liberi dal fardello morale di essere in Ucraina. Qui si ritiene invece che tale costrutto renda la faccenda non solo più contorta ma anche tendenzialmente fragile nelle mani artigliate dell’orso russo: proteggere i russi o assecondare le richieste di un presidente deposto? (a prescindere dalle notazioni di merito sull’operato di Yanukovich alla guida, democraticamente eletto nel 2010, del paese).
E’ un’ardua sentenza alla quale la Russia cerca forse risposta. Purtroppo per Putin, questa volta, quasi sicuramente, arriveranno altre risposte oltre alla sua, perché il quesito è troppo grande. Vedremo nel prossimo numero (e nelle prossime ore) se per Mosca ne varrà la pena.

fonte : Italia Post

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