Francesco nella Moschea Blu
Sarà pur stata un’“adorazione
silenziosa”, e non una vera e propria preghiera. Sarà pur stato un gesto
simile a quello compiuto da Benedetto XVI nel 2006, come s’affanna a
precisare il preoccupato portavoce della Santa Sede. Sarà tutto quel che
si vuole, ma fa un certo effetto vedere il Papa che si mette a mani
giunte verso la Mecca nella Moschea Blu di Istanbul, mentre l’imam
recita i versetti del Corano. E fa ancor più effetto pensare che quel
Corano è lo stesso che, poco distante da lì, gli islamici usano per
eccitare le folle a squartare i cristiani, a impalarli e crocefiggerli. A
spazzarli via. C’è un contrasto troppo forte fra il Papa che rispetta
fino all’ultimo tutti i riti dell’Islam, si toglie le scarpe e s’inchina
al "mihrab", e gli islamici che a pochi chilometri dalla Moschea Blu
non rispettano nulla dei cristiani. Non le loro chiese, non le
tradizioni, non i riti. E nemmeno la loro vita.
Papa Francesco vuole dialogare con l’Islam, si capisce. Ma
come si fa a dialogare con chi non vuole farlo? Come si fa dialogare con
chi vuole solo abbatterti? Come si fa a dialogare con chi vuole
piantare la bandiera del Califfato in piazza San Pietro? Il dialogo è
una parola bellissima, che permette discorsi straordinari, preghiere
comuni, gesti esemplari. Ci si toglie le scarpe insieme. Ci si inchina
alla Mecca. Ci si trova d’accordo con l’imam e il gran muftì. Ma poi, in
realtà, gli islamici non vogliono dialogare. L’hanno dichiarato
apertamente: vogliono conquistarci. E distruggerci.
L’Islam buono e l’Islam cattivo? Una favola. Se fosse vero
che i terroristi sono pochi fanatici marginali, non li avrebbero forse
già messi a tacere? Non li avrebbero combattuti? Non li avrebbero almeno
condannati con durezza? Invece no. Non sento dure condanne unite del
mondo islamico contro gli orrori dei tagliagole. Non vedo mobilitazioni
dei pellegrini della Mecca per fermare le mani dei loro confratelli. Non
vedo fremiti di sdegno contro i massacri che vengono perpetrati contro i
cristiani. Anzi: vedo silenzio. Quasi compiacimento. E, anzi, vedo
fremiti di anti-cristianità che scuotono tutto il mondo arabo e arrivano
perfino in Paesi che fino a ieri laici e nostri amici. A cominciare
proprio dalla Turchia che sta scivolando sempre di più nell’Islam
radicale, che non a caso sostiene sottobanco le milizie dell’Isis. E il
cui presidente Erdogan ha appena riunito i 57 Paesi islamici per
incitarli alla rivolta contro di noi: «L’Occidente ci sfrutta, vuole le
nostre ricchezze - ha detto -. Fino a quando sopporteremo?».
Qualcuno ha cercato di spiegarmi che c’è pure una differenza
tra il gesto di Benedetto XVI (che in moschea si fermò in raccoglimento
ma non giunse le mani in preghiera) e quello di Francesco (che invece
le ha unite, proprio come se stesse pregando). Se fosse vero, sarebbe un
motivo in più per rimanere un po’ perplessi. Ma per rimanere perplesso a
me basta, per la verità, vedere un Papa che si rivolge alla Mecca
insieme con gli islamici proprio mentre molti islamici che si stanno
rivolgendo alla Mecca hanno le mani sporche del sangue dei cristiani.
Mi pare che, dopo il famoso discorso Ratzinger a Ratisbona e
la furiosa reazione che ne seguì da parte dei musulmani, i cattolici
siano stati costretti a piegarsi. Noi facciamo gesti distensivi e loro
moltiplicano i massacri. Noi costruiamo per loro moschee e loro
distruggono le nostre chiese. Noi ci inchiniamo ai loro simboli nei
nostri Paesi e loro non ci permettono di mostrare i nostri nei loro
Paesi. Noi ascoltiamo i versetti del Corano con ammirazione e loro
minacciano di declamarli dal Cupolone di San Pietro. Che vogliono
trasformare all’incirca in un parcheggio dei loro cammelli.
Capisco l’ansia di Papa Francesco, che è un grande
comunicatore, di costruire ponti con tutti: con gli islamici e con i non
credenti (Eugenio Scalfari). Ma per costruire i ponti ci vogliono due
cose. Primo: bisogna che dall’altra parte non ci sia chi ti vuol
sgozzare o annientare, altrimenti è un autogol. Secondo: bisogna che i
pilastri siano saldi, tutti e due. E il dubbio è proprio questo: il
pilastro dell’Islam è saldo, quello dei non credenti pure. Ma il
pilastro cattolico? È incerto. Barcollante. Sradicato. In effetti: non
abbiamo radici. Le stiamo perdendo. L’Europa non ce le riconosce. Le
chiese si svuotano. I preti invecchiano. I ragazzi non vanno più a
catechismo. Dopo la cresima c’è la fuga. I valori del matrimonio e della
vita sono messi costantemente in discussione. La famiglia tradizionale è
massacrata. Come si può dialogare se non si hanno più valori da
rappresentare? Come si possono aprire le porte agli altri, se non si è
fortemente saldi dei propri principi? Se i propri valori sono stati
attaccati, messi in vendita e liquidati?
In queste condizioni il ponte rischia di crollare. Non per
il gesto del Papa, non per una preghiera rivolta alla Mecca, non per la
Moschea Blu circondata da Paesi rosso sangue. Il ponte rischia di
crollare perché lanciamo gittate in avanti senza assicurarci della
nostra tenuta. Non perché loro sono violenti, ma perché noi siamo
deboli. E perché anziché rafforzare la nostra debolezza, ci esponiamo
alla loro forza. Al loro fanatismo. Alla loro violenza. Fino al giorno
in cui sarà troppo tardi.
E ci accorgeremo che quello che ci ostiniamo a chiamare
dialogo, in realtà è un loro monologo. O, peggio, una loro invasione. La
conquista definitiva. E allora addio cattolici: rivolgersi alla Mecca
non sarà più un gesto distensivo. Ma un comando del padrone islamico.
di Mario Giordano - 30 novembre 2014
fonte: http://www.liberoquotidiano.it/news/libero-pensiero
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