L'INTERVISTA/ "Quanto successo a Charlie Hedbo è stato definito l'11 Settembre dell'Europa, io invece direi che si tratta della Pearl Harbour dei servizi segreti francesi". Alfredo Mantici, ex capo del dipartimento Analisi del Sisde, interpreta gli aspetti d'intelligence della strage di Parigi in un'intervista ad Affaritaliani.it
Alfredo Mantici, quanto accaduto a Parigi in questi giorni rappresenta il fallimento dei servizi segreti francesi?
Quanto successo a Charlie Hebdo è stato definito l'11
Settembre della Francia, io invece direi che si tratta della Pearl
Harbour dei servizi francesi. L'11 Settembre europeo c'è già stato, ed è
stato l'attentato nella metropolitana di Londra del 2004. Anche in quel
caso, tra l'altro, si era trattato di un attacco portato avanti da
cittadini europei e non da jihadisti dall'estero. Le modalità operative
tra Londra e Parigi sono del tutto diverse ma quello che conta
sottolineare è che ci sono cellule di cittadini europei pronti a
colpire le città europee in nome di Allah. La debacle dei servizi
segreti francesi, in ogni caso, è innegabile.
A che cosa è dovuta?
Passa attraverso la riorganizzazione degli ultimi mesi. Fino a
gennaio 2014 la sicurezza interna francese era affidata a due servizi,
la Dst (Direzione di sorveglianza del territorio) e la Rg (direction
centrale des Renseignements généraux) che dipendevano dal capo della
Polizia. Entrambe svolgevano non solo attività di intelligence ma anche
di polizia politica e segreta. Avevano una riconosciuta e solida fama di
efficienza. All'inizio dello scorso anno i servizi sono stati riformati
ed è stata creata la Dgsi (Direzione generale della sicurezza interna)
che opera in maniera analoga alla già precedentemente esistente Dgse
(Direzione generale della sicurezza esterna), dipendente dal ministero
della Difesa prima e da quello degli Esteri poi. La Dgsi, analogamente, è
stata messa alle dirette dipendenze del ministero dell'Interno. Il
processo di cambiamento a portato all'allontanamento di molti "anziani" e
una riorganizzazione dello staff dirigenziale. Il risultato che ora i
servizi rispondono alle indicazioni politiche del ministro e del governo
mentre prima rispondevano alle esigenze tecniche del capo della
polizia.
I servizi francesi dunque hanno ora meno competenza in materia di antiterrorismo?
Nel processo di riorganizzazione, ripeto, se ne sono andati molto
veterani e per prassi si sono portati via con loro le proprie reti di
informatori, che da sempre rispondono alle persone e non alle strutture.
Ora lo staff dirigente è allineato sulle posizioni del ministro e del
governo socialista che ha promosso una politica di accoglienza,
integrazione e allentamento della vigilanza sull'antiterrorismo. C'è
stata una diminuzione di conoscenza del pericolo, come dimostra quello
che è successo. Tra l'altro tre dei quattro attentatori erano ampiamente
conosciuti dalle forze di polizia. Non sappiamo se erano conosciuti
anche dai servizi. Un processo di ricostruzione di una rete informativa
sul territorio non avviene dalla sera alla mattina, occorrono degli
anni.
Come giudica invece l'intervento operativo delle forze speciali nei blitz a Dammartin en Goeule e a Parigi?
Mi pare siano stati due interventi intelligenti, prudenti ed
efficaci, anche perché i quattro ostaggi sono stati uccisi prima
dell'irruzione al supermercato kosher. Si sono attesi i tempi tecnici
senza farsi tirare la giacchetta dall'opinione pubblica. Penso che la
polizia e la gendarmeria abbiano fatto un eccellente lavoro ma, se
quello che dico sulla Dgsi è vero, credo che nell'arco di una settimana
il suo capo se ne andrà a casa.
Pare che i servizi algerini avessero avvertito la Francia dell'allarme. Come mai non sono state prese le contromisure adatte?
Noi, ai miei tempi, abbiamo sempre considerato i servizi algerini
come tra i più professionali del Medio Oriente e ci siamo sempre fidati
di loro. Tra l'altro c'è da sottolineare come tre dei quattro
attentatori siano di discendenza algerina. I servizi algerini sono
efficaci, spregiudicati e dotati di una grande capacità informativa. Noi
collaboravamo intensamente con loro e se hanno fatto questa
segnalazione non generica è perché hanno agenti molto più bravi di
quelli francesi attivi nelle banlieue parigine. E questo è
preoccupante...
Secondo lei l'Europa, e l'Italia, investono abbastanza su intelligence e sicurezza?
Il problema è che per la sicurezza si spende in qualcosa che non si
sa quanto sia efficace. Tanto più la sicurezza è efficace quanto più non
succede niente. La Cia sostiene che grazie alle torture sono stati
evitati degli attentati, come si fa a sapere se è davvero così? Manca e
mancherà sempre la controprova e per questo i vari paesi sono restii a
spendere sulla sicurezza. Il problema dei governi è capire che spendere
per la sicurezza è spendere per qualcosa per cui i cittadini non
vedranno mai risultati. In Inghilterra, dopo il 2004, l'hanno capito.
Noi facciamo fatica a spendere quello che spendono gli israeliani.
All'aeroporto Ben Gurion c'è un sensore che avvisa se qualcuno si sposta
più lontano di qualche metro dalla propria valigia. Un sensore simile
costa quanto un volo di Stato. E allora magari potremmo togliere qualche
volo di Stato e investire di più sulla sicurezza...
L'Italia sarebbe in grado di far fronte a un attacco come quello subìto da Parigi?
In Italia esiste una buona rete territoriale di polizia e carabinieri
in grado di percepire questi fenomeni. Mi astengo dal giudicare la rete
informativa del servizio di sicurezza interno. Stando alla mia
esperienza del post 11 Settembre posso comunque dire che l'Italia è
considerata dai jihadisti un buon retroterra logistico perché in essa ci
si può muovere liberamente. L'Italia ha un sistema giudiziario
abbastanza indulgente, basti pensare che nel 2003 un magistrato, di
fronte a un'intercettazione telefonica in cui un algerino diceva di non
vedere l'ora di buttare giù un aereo Usa, decise di non rinviare a
giudizio perché per lui l'algerino aveva semplicemente espresso
un'opinione politica... L'Italia è un bel Paese per loro perché possono
vivere tranquilli, non sono pressati e le maglie giudiziarie sono molto
larghe. Fare un attentato in Italia provocherebbe una reazione violenta e
loro lo sanno. Ritengo quindi che noi, così come lo eravamo nel 2007,
siamo un buon retroterra logistico ma non un obiettivo primario.
Renzi ha proposto la creazione di un'intelligence europea. Le sembra una buona idea?
E' una proposta intelligente fatta però da una persona che non si
rende conto che i servizi segreti sono espressione dei governi. Un
servizio segreto comune presupporrebbe un governo comune. I servizi sono
il braccio informativo del governo e dei ministri e fanno riferimento
alle priorità nazionali. La collaborazione tra i diversi servizi già
esistono ma è difficile creare un servizio in cui mettere da parte le
esigenze nazionali. La Nsa spiava la Merkel per conto di Obama anche se
Usa e Germania sono amici e alleati. Ma sapere cosa fa l'amico, da un
punto di vista informativo, è utile quanto sapere che cosa fa il nemico.
Si potrebbe studiare un modo per migliorare la circolazione di
informazioni tra i diversi servizi ma per parlare di servizio unico
bisognerebbe avere esigenze uniche anche in politica. E la politica
estera dell'Italia è uguale a quella inglese, francese o estone? Finchè
non c'è omogeneità formale, anche politica, è difficile creare una
struttura informativa comune.
@LorenzoLamperti - 10 gennaio 2015
fonte: http://www.affaritaliani.it
*Alfredo Mantici è ora direttore editoriale della rivista Lookout News
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