«Raid e bombe americane su Mosul». Così il titolo di un articolo di Alberto Stabile sulla Stampa del 24 ottobre fotografa l’avanzata della coalizione anti-Isis a Mosul.
Nell’articolo, Stabile dettaglia che sono entrati in azione gli F 16
dell’U.s. Air force, i quali stanno bersagliando la zona d’attacco per
aprire la strada alle truppe di terra.
Nello stesso articolo si ripete la nota quanto tragica situazione dei
civili, che l’Isis tiene in ostaggio. Mentre in altro articolo,
stavolta di Paolo Mieli sul Corriere della Sera dello stesso giorno, si
riferisce dei festeggiamenti della popolazione civile perché finalmente,
dopo due anni, qualcuno attacca i terroristi che li opprimono.
Le stesse cose avvengono in Aleppo: i
siriani festeggiano quando dei quartieri sono strappati al Terrore, e
salutano con sollievo l’offensiva del governo contro le zone ancora
occupate. Non solo, anche in Aleppo Est i civili sono ostaggio delle
milizie jihadiste guidate da al Nusra (al Qaeda), le
quali controllano questa parte della città. Tanto che i corridoi
umanitari lasciati aperti da Damasco per consentir loro di fuggire non
hanno avuto alcun esito: nessuno li ha utilizzati. Gli jihadisti lo
impediscono, come a Mosul.
Eppure i bombardamenti russi e siriani, a differenza di quelli
americani, sono cattivi. Questa la narrazione ufficiale, alquanto
bizzarra.
Non siamo fan delle bombe, né delle guerre. E sappiamo bene che
questa guerra potrebbe finire senza altro spargimento di
sangue: basterebbe lasciare gli jihadisti senza soldi, ché senza pecunia
non si comprano armi e munizioni, né si pagano i tanti costosi
mercenari assoldati dalle Agenzie del Terrore in tutto il mondo.
Tagliati i fondi, anche le varie Agenzie del Terrore sarebbero
costrette a chiudere i battenti, a Mosul come ad Aleppo come nel resto
del mondo.
Ma evidentemente è rimasto lettera morta il suggerimento di John
Potesta all’allora Segretario di Stato (e sembra futuro presidente Usa) Hillary Clinton di far «
pressioni sui governi di Qatar e Arabia Saudita, che stanno fornendo supporto finanziario e logistico clandestino all’ISIL [Isis ndr.] e ad altri gruppi sunniti radicali nella regione» (mail rivelata da wikileaks; sul punto vedi nota precedente).
Significativo anche l’accenno agli altri «gruppi radicali sunniti»
della mail, che indica come gli stessi ambiti che sostengono l’Isis
supportano, ovviamente allo stesso scopo, anche i miliziani di Aleppo Est, beneamini dell’Occidente.
Tale sostegno si realizza in tanti modi: a parte le armi e le
munizioni, ci sono gli aiuti di natura umanitaria e sanitaria (i gruppi
terroristi godono di servizi sanitari di altissimo livello, assicurati
loro da diverse ong internazionali che operano sul loro territorio in
cambio del placet all’assistenza dei civili). E altro.
Su un piccolo aspetto di tale ausilio ha fatto chiarezza la Toyota.
Interpellata da russi e siriani sui veicoli forniti all’Isis, la casa
automobilistica giapponese ha svolto una indagine interna i cui
risultati sono poi stati comunicati agli interessati: in effetti
«migliaia di veicoli Toyota» sono finiti nelle mani dell’Isis.
Giunti loro tramite queste vie: 22.500 veicoli sono stati acquistati
da una società dell’Arabia Saudita; 32.000 sono stati acquistati dal
Qatar; 4.500 sono pervenuti all’Isis tramite l’esercito della Giordania,
al quale ha fatto da garante una banca dello stesso Paese.
Si tratta delle automobili immortalate nelle foto che pubblichiamo in
questa pagina: veicoli nuovi fiammanti, scenografici con la loro
bandiera nera che garrisce al vento quanto invisibili a droni e aerei
della coalizione anti-Isis, nonostante il deserto iracheno offra invero
poche opportunità mimetiche.
Val la pena accennare a questo proposito anche alle parole dell’ex ambasciatore americano alle Nazioni Unite Mark Wallace il quale ha definito la Toyota Hilux e la Toyota Land Cruiser un marchio di identificazione dell’Isis.
Non si tratta di criminalizzare la Toyota, che alla fine comunque ha
risposto a una richiesta specifica sul tema, ma di notare come tale
richiesta non sia mai stata avanzata prima dai volenterosi e coalizzati
anti-Isis, nonostante fosse facile, come visto, porre domande e ottenere
risposte.
Tale acquisto di automobili nuove peraltro è transitato tramite vie
ufficiali. Si tratta di operazioni commerciali su larga scala: servono
navi, banche, reti logistiche. Eppure l’intelligence occidentale non ha
visto niente di niente…
Il parco macchine del Califfato è ovviamente solo una piccola parte
dei tanti “aiutini” che giungono all’Agenzia del Terrore da ogni dove.
Ma ha un suo significato e aiuta a intuire altro e ben più importante (qui i riferimenti, in arabo, sulla vicenda).
fonte: http://piccolenote.ilgiornale.it - 24 ottobre 2016
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