La palla è in mano al governo di
Matteo Renzi. Che deve decidere se e (soprattutto) come intervenire per
risolvere il pasticcio sulle pensioni dopo la dichiarazione di
incostituzionalità della legge Fornero. Ma la partita sull’illegittimo
blocco della rivalutazione degli assegni previdenziali oltre quota 1.406
euro mensili molto probabilmente finirà di nuovo in mano agli avvocati.
Palazzo Chigi valuta le carte sul tavolo. Una delle quali è un decreto
d’urgenza, necessario a contenere gli effetti finanziari della sentenza
della Corte costituzionale e a disegnare l’architettura dei rimborsi.
In linea teorica, l’esecutivo potrebbe anche non muoversi, ma finirebbe
col consegnare la patata bollente nelle mani del presidente Inps, Tito
Boeri: ma per l’Istituto di previdenza sarebbe un massacro e il bilancio
correrebbe il rischio di saltare per aria. Girano vari calcoli: la
mazzata sull’Inps potrebbe addirittura superare quota 16,6 miliardi. La
platea dei pensionati presi di mira dalla sforbiciata dalle riforma
Fornero è vastissima: oltre 5 milioni di soggetti.
NIENTE AUTOMATISMI
Cifre a parte, l’Inps non manderà a casa un assegno con gli arretrati e con le scuse (firmate da Renzi) di sua iniziativa. Se a palazzo Chigi decidessero di non intervenire, la restituzione dei soldi non sarebbe automatica. Si dovrebbe passare in prima battuta per una istanza da presentare allo stesso ente previdenziale. Una domandina che, secondo l’esperto di welfare e previdenza Giuliano Cazzola, potrebbe essere respinta o ignorata per mancanza di fondi. Di qui l’inevitabile ricorso: perché «nessuno si illuda di avere già in tasca quelle risorse o di potersene avvalere come misura di rilancio del mercato interno».
LEGALI E PATRONATI
Fatto sta che una causa da affidare a legali specializzati durerebbe gioco forza qualche anno, non troppi: l’Inps potrebbe arrendersi al primo grado di giudizio. Cazzola, invece, frena sulla pista class action: la causa collettiva è «problematica e inconsueta». A fornire assistenza per battere cassa a Boeri potrebbero essere snche i patronati, magari a costi più contenuti.
La sensazione diffusa, fra addetti ai lavori e pure negli ambienti politici, è che un decreto arriverà, peraltro in tempi brevi. Tra le ipotesi, si potrebbe procedere alla restituzione di quanto dovuto (sarà l’Inps a ricalcolare gli assegni) a rate in un certo numero di anni, in modo da diluire l’impatto sulle finanze pubbliche. Non solo. Si potrebbe anche rimodulare l’intervento spostando l’asticella del blocco della rivalutazione dall’importo oltre tre volte il minimo (circa 1.500 euro lordi al mese, bocciato dai giudici di palazzo della Consulta) a un livello più alto (a esempio oltre cinque-sei volte), in modo da ridurre le somme da ridare. Con il blocco della rivalutazione, negli anni 2012-2013 i risparmi sono ammontati a 8,2 miliardi (circa 3,8 miliardi nel 2012 e 4,4 miliardi nel 2013) che, «spalmati su 5,2 milioni di trattamenti interessati, ha determinato una riduzione media pro-capite di 1.584 euro», ha spiegato Cazzola. Ma a pesare non sarebbero solo i rimborsi per gli anni in cui il blocco è stato dichiarato incostituzionale (2012 e 2013 appunto), pure quelli per i mancati esborsi degli anni successivi, in una sorta di effetto trascinamento. Di qui il conto che potrebbe salire ulteriormente. Ecco perché appare difficile immaginare che Renzi resti fermo.
Si tratta di blindare sia i conti futuri sia di tenere a bada il deficit degli anni precedenti, in modo da evitare pesanti ricadute a Bruxelles con tanto di cartellini gialli sui parametri di bilancio Ue. Qualsiasi intervento volto a introdurre nuovi paletti, tuttavia, potrebbe essere di nuovo censurato dal Giudice delle leggi, spiega Riccardo Troiano, l’avvocato dello studio Orrick che ha condotto (e stravinto) la battaglia legale, per conto di Federmanager e Manageritalia, dinanzi la Corte costituzionale contro la riforma Fornero. Troiano sostiene che governo e Parlamento «mostrerebbero approssimazione» se si decidesse di aumentare i soli assegni pensionistici più bassi. L’avvocato spiega, poi, che nella stessa sentenza dello scorso 30 aprile viene richiamata una precedente pronuncia del 2008, relativa a al blocco degli assegni elevati. In quella circostanza la «Corte rigettò il ricorso», ma lanciò un «monito»: disse «al legislatore di non adottare più provvedimenti analoghi anche» per le pensioni alte «perché si sarebbero minati i principi del sistema previdenziale». Quel suggerimento non è stato ascoltato nel 2011 e la riforma Fornero è stata bocciata. E per le stesse ragioni una «nuova, eventuale operazione di congelamento di assegni di importo elevato violerebbe il principio introdotto nel 2010».
NUOVO RICORSO
Ragion per cui, come accennato, scatterebbe immediatamente un’altra vertenza e, successivamente, una nuova denuncia alla Corte costituzionale che, secondo Troiano, potrebbe bocciare ancora le sforbiciate agli assegni previdenziali. La Corte ha chiarito che «non è possibile colpire con prelievi forzosi i trattamenti previdenziali per meri scopi di risanamento della finanza pubblica». Non è tutto. A palazzo Chigi si parla pure di un eventuale ricorso in sede europea perché, secondo una tesi che circola, i trattati Ue e il six pack blinderebbero in qualche modo i decreti del 2011 che misero in sicurezza i conti pubblici. La riforma Fornero, insomma, sarebbe elevata a norma di rango costituzionale. Troiano parla di «tesi bizzarra che non ha alcun fondamento nell’impianto normativo italiano: vorrebbe dire che la Corte costituzionale ha operato inutilmente o in modo sportivo». Di sicuro a palazzo Chigi manca il fair play.
Francesco De Dominicis - 5 maggio 2015
fonte: http://www.liberoquotidiano.it
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