Le
parole rubate al telefono hanno fatto comodo finché i derubati erano
avversari da esporre alla berlina, da emarginare e, infine, escludere
dall'arena
Le
parole rubate al telefono hanno fatto comodo finché i derubati erano
avversari da esporre alla berlina, da emarginare e, infine, escludere
dall'arena
Fin
dagli anni Cinquanta la sinistra si dà tante arie e suole dividere
l'umanità in buoni e cattivi, mettendosi dalla parte dei primi che essa
definisce non a caso progressisti.
Già. Talmente progressisti da arrivare ultimi in ogni
circostanza. Lo abbiamo constatato anche stavolta a proposito delle
intercettazioni, da decenni al centro di polemiche, oggetto di numerose
proposte di legge dibattute all'infinito eppure rimaste lettera morta
poiché prive del nullaosta indovinate di chi? Degli ex o postcomunisti,
decida il lettore come chiamarli; tanto, comunisti erano e la loro
mentalità settaria è ancora intatta dai tempi che furono.
Il
problema è semplice. Ai politici col birignao e sedicenti colti in
quanto militanti o simpatizzanti di sinistra, le parole rubate al
telefono (contenenti millanterie e forzature di ogni genere sul cui
significato occorrerebbe detrarre la tara) hanno fatto comodo finché i
derubati erano avversari da esporre alla berlina, da emarginare e,
infine, escludere dall'arena. Un gioco facile facile. Le Procure
inserivano negli atti processuali le registrazioni di colloqui
malandrini, compresi quelli penalmente irrilevanti ma giornalisticamente
interessanti, piccanti, e a divulgarle provvedeva solerte la stampa,
suscitando la curiosità morbosa dell'opinione pubblica.
Gli
sventurati, vittime delle incursioni nella loro vita privata, venivano
infilzati con soddisfazione da chi se ne avvantaggiava. Questo tipo di
falli erano e sono impuniti: manca una legge apposita che li sanzioni.
Clemente Mastella, quando era guardasigilli, predispose una normativa
per arginare il traffico delle intercettazioni (poco giudiziarie e molto
gossippare), però la maggioranza progressista che all'epoca reggeva il
governo lo mandò al diavolo, creando i presupposti per eliminarlo dalla
scena.
È chiaro a chiunque che le intercettazioni violano il
segreto delle conversazioni private, ma poiché di solito riguardano la
gente comune (della quale non importa nulla a nessuno nel Palazzo)
oppure «nemici» di partito da sputtanare, ogni iniziativa tesa a
disciplinare la materia è stata sistematicamente bocciata. Per lustri il
personale politico di destra e centrodestra ne ha fatto le spese,
mentre quello di sinistra ne ha tratto dei benefici sotto il profilo
elettorale, essendo scontato che dai faldoni dei tribunali non uscisse
nemmeno un sospiro delle loro telefonate innocenti o no. Una pacchia per
i progressisti durata fin troppo. Infatti la musica sta cambiando.
Qualche
spiffero velenoso comincia ad ammorbare le sacre stanze degli
«intelligenti per antonomasia», i quali, sfiorati dal fetore delle
intercettazioni, sono sul punto di cambiare idea; anzi, l'hanno
cambiata, tanto è vero che si stanno attrezzando per impedire la fuga di
notizie frutto di «furti» negli uffici dei magistrati. Come? Sbattendo
in galera i giornalisti «ricettatori» del materiale scottante. Se la
stampa aiuta la sinistra, i progressisti predicano in favore del diritto
alla libertà della medesima; se, invece, essa si concede un attacco
antigauche, allora meditano d'ingabbiare i ficcanaso delle redazioni.
Sinché erano i berlusconiani a essere massacrati dai quotidiani con
paginate e paginate di chiacchierate intime, non c'era anima bella che
suggerisse di porre fine alle gratuite diffamazioni. Al contrario,
adesso i progressisti, colpiti dalle indiscrezioni, invocano la
Costituzione affinché agli scribi sia tolta la licenza di ferire con la
penna riportando il contenuto di nastri registrati su ordine delle
Procure.
Questa è la storia delle intercettazioni che attendono
ancora - per poco, suppongo - una regolamentazione: non per vietarne
l'impiego a scopo investigativo (ci mancherebbe), bensì perché si
pubblichino soltanto quelle relative all'accertamento di reati. Ci si
domanda come sia possibile procedere in questo senso. Visto che siamo
tanto cretini da non recuperare in proprio una soluzione che salvi la
capra (la dignità delle persone) e i cavoli (giudiziari), sarebbe
opportuno dare un'occhiata alle legislazioni di altri Paesi e copiare la
migliore. Non è un'operazione complicata, basta alzare i glutei dalla
sedia ministeriale e recarsi, per esempio, negli Stati Uniti a
verificare come agiscano le autorità americane. Chi avrà l'energia per
affrontare la trasferta scoprirà che negli Usa non sfugge una parola dei
discorsi intercettati. Motivo? I magistrati statunitensi non mollano ai
giornalisti neppure uno spiffero. Sarà perché ignorano l'esistenza di
Pulcinella, per loro il segreto è una cosa seria.
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