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Non smettete mai di protestare; non smettete mai di dissentire, di porvi domande, di mettere in discussione l’autorità, i luoghi comuni, i dogmi. Non esiste la verità assoluta. Non smettete di pensare. Siate voci fuori dal coro. Un uomo che non dissente è un seme che non crescerà mai.

(Bertrand Russell)

31/03/15

Perché i media non hanno compreso le elezioni in Francia?


Perché i media non hanno compreso le elezioni in Francia?


di D. Emone (The Fielder)*
Domenica 22 marzo si sono svolte in Francia le elezioni per i dipartimenti, corrispondenti alle nostre province, ma là sono ancora eletti direttamente. Fin dalla sera, sui media italiani, non si sono sprecati i commenti e le analisi prêt-à-porter a risultati ancora per nulla chiari. A risultati definitivi, ora, si possono analizzare le elezioni d’oltralpe e si può facilmente capire come l’informazione italiana abbia preso un ennesimo granchio nell’urlare alla sconfitta del Fronte Nazionale e al trionfo dell’ex presidente Sarkozy.
Iniziamo dai dati, quelli del Ministero dell’Interno, e non degli exit poll. L’alleanza tra la destra repubblicana dell’UMP e i centristi liberaldemocratici dell’UDI ha ottenuto il 28,8% dei voti, seguito dal partito di Marine Le Pen, in solitario al 25,2%, e dai socialisti insieme agli alleati, al 21,8%. La sinistra estrema nelle sue varie articolazioni si ferma al 6%, i verdi crollano al 2%, mentre vari candidati di «destra diversa» e «sinistra diversa» ottengono rispettivamente il 6,8% e il 6,7%. Queste due etichette comprendono candidati che a livello locale si schierano in un campo politico ma senza l’appoggio dei partiti, oppure con l’appoggio ma non ufficiale, mantenendo una denominazione formalmente distinta da quella dei grandi partiti nazionali. Mutatis mutandis, come certe liste civiche a livello locale che si trovano sparse per l’Italia.
Si può parlare, allora, di sconfitta del Fronte Nazionale? A parere di chi scrive, e di molti analisti francesi, no, per vari motivi. L’equivoco s’è generato poiché i sondaggi avevano previsto l’FN in testa col 30%, e invece è arrivato secondo con cinque punti in meno. Inoltre, alle elezioni europee dello scorso maggio, l’FN — peraltro con mezzo punto in meno — arrivò effettivamente al primo posto. Certo, oggi il partito dell’estrema destra non è più la prima forza politica francese, ma resta il primo partito, perché il centrodestra è riuscito a superarlo solo grazie all’alleanza tra centro dell’UDI e destra dell’UMP. Inoltre, bisogna considerare che partiva dal 15% delle corrispondenti elezioni del 2011, con un solo consigliere, e oggi ne ottiene già 6 al primo turno, oltre a qualificarsi al secondo turno in oltre 1.000 cantoni (le circoscrizioni che eleggono, ognuna, due consiglieri dipartimentali in ticket). Ma, al di là dei numeri, già di per sé eloquenti, la prova per il Fronte non era semplice, perché si tratta d’elezioni locali, in cui entrano in gioco dinamiche anche non sovrapponibili a quelle nazionali, con un sistema elettorale maggioritario che storicamente lo sfavorisce, e in un contesto senza praticamente consiglieri uscenti su cui poter contare.
Manca l’exploit del 30%, ma conferma (aumentando anche in termini di voti assoluti) le progressioni degli ultimi anni e continua il processo di radicamento territoriale nelle istituzioni locali, dopo l’elezione dei primi sindaci frontisti un anno fa. Ci si può chiedere se il 25% sia una barriera non oltrepassabile, un limite fisiologico per questo partito «antisistema», e se reggerà in contesti in cui l’affluenza non si attesta sul 50% (era prevista inferiore), ma al 75% almeno, come alle presidenziali.
In seconda battuta, ha davvero vinto Sarkozy? A prima vista, l’alleanza della destra e del centro è al primo posto, e si direbbe di sì, ma la realtà è più complessa. Parlando sempre di numeri, le liste dell’UMP e dei centristi alle europee dello scorso maggio (quando l’ex presidente non era ancora tornato in campo) si presentarono separate, ottenendo rispettivamente il 20% e il 10% circa: sommate, superarono il 28,8% di questa tornata. Paragone da prender con le pinze1 ma che rende l’idea del motivo per cui parlare di trionfo è ingiustificato. Certo la destra ha vinto le elezioni, e sarà ancor più evidente dopo il secondo turno, ma il merito non pare da attribuire a Sarkozy. La sua elezione alla guida dell’UMP, con le votazioni di fine novembre ristrette agli iscritti, non fu un trionfo: di fronte ad avversari di scarsa rilevanza, ottenne solo il 64%. Questo anche perché all’interno del suo stesso movimento restano parecchie divisioni, e l’idea di una sua ricandidatura alla presidenza della Repubblica nel 2017 è fortemente avversata da molti esponenti di spicco, tra cui gli ex premier Juppé e Fillon, pronti ad avversarlo alle primarie.
Come s’è detto, decisivo è stato l’apporto dei centristi per arrivare in prima posizione, e proprio il rapporto col centro è un tema di polemica ricorrente tra Sarkozy e Juppé. Il secondo vorrebbe un’alleanza larga comprendente anche il MoDem di Bayrou; il primo li vorrebbe escludere per vendicare l’appoggio dato da questo a Hollande nel secondo turno delle elezioni presidenziali del 2012. In secondo luogo, l’onda di vittorie del centrodestra a livello locale non inizia certo oggi, ma già subito dopo i primi mesi del mandato d’Hollande, e prosegue con la netta vittoria delle comunali del 2014. In sintesi, è sicuramente un buon risultato, figlio anche della grave difficoltà in cui versa la sinistra in Francia, ma è lungi dall’essere un biglietto di sola andata direzione Eliseo per Sarkozy. Egli ha sicuramente avuto il merito di portare un po’ di chiarezza in un partito che aveva visto, dopo la sua uscita di scena, lotte fratricide, elezioni interne contestate, e l’assenza di un leader. Tuttavia, la sua popolarità non è quella di un tempo, e i francesi sono ancora delusi dal suo quinquennato. La strategia di tornare presidente solo grazie alla paura per l’avversario (Le Pen) o all’essere considerato semplicemente «meno peggio» (Hollande) si rivela pericolosa ed esposta a rischi: il 2017 è ancora lontano.
E, in tutto ciò, i socialisti? Chiaramente è una dura sconfitta, ma non una catastrofe. Come si suol dire, una volta toccato il fondo (14% alle scorse europee), scendere ancora è impossibile. Grazie a un recupero di partecipazione al voto, ad alleanze a macchia di leopardo con gli altri partiti di sinistra, allo storico radicamento (anche clientelare, in alcuni casi) e al crollo degli ecologisti, il 20% viene superato. Sarà però il secondo turno a rendere più negativo il risultato: le previsioni dicono che, dei 60 (su 100) dipartimenti che erano governati dal PS, meno di 40 vedranno confermata l’amministrazione socialista. L’impopolarità d’Hollande non è stata nemmeno significativamente scalfita dal clima d’«unità repubblicana» che ha seguìto i terribili fatti di Parigi. L’economia non dà segni importanti di crescita, i disagi sociali restano elevati, e questo non può che nuocere al risultato del partito di governo. Tuttavia, con la nomina di Manuel Valls a primo ministro e, soprattutto, d’Emmanuel Macron a ministro dell’Economia, il presidente ha dato una svolta «socio-liberale» alla sua politica, e il governo ha portato avanti alcune riforme per liberalizzare l’economia, facendo d’altro canto sollevare la sinistra del partito, che s’è più volte espressa in dissenso in parlamento. Questo il difficile compito dei socialisti per tentare di risalir la china: aprire al centro senza lasciare autostrade a sinistra. Ma, soprattutto, cercare di rimettere in moto l’economia.
Proprio sull’economia si giocherà, infatti, buona parte delle chance di tutti i pretendenti alla vittoria tra due anni, e queste elezioni non sono che un piccolo indice. Ma attenzione a dare per morta Marine Le Pen e per risorto Nicolas Sarkozy: la partita è ancora tutta da giocare. Checché ne dicano i media italiani, sempre alla ricerca di nuovi fenomeni all’estero e sempre pronti a cadere dalle nuvole quando non si accorgono dei processi in atto.
1 Innanzitutto perché in questa tornata d’elezioni dipartimentali non si sono espressi gli elettori delle città di Parigi e Lione, che in base alla riforma territoriale hanno uno statuto particolare. Inoltre, perché il fenomeno delle liste di «destra diversa», tipico delle elezioni locali, non si presentò alle europee. Infine, giova ricordare che la differenza dei sistemi elettorali (maggioritario «binominale» a doppio turno per le dipartimentali, proporzionale con sbarramento al 4% per le europee) influenza le scelte degli elettori.

25 Marzo 2015

Fonte: The Fielder http://thefielder.net/25/03/2015/perche-i-media-non-hanno-compreso-le-elezioni-in-francia/

tramite: http://www.lanuovaitalia.eu

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