di Marco Mori
L’art. 278 c.p. “Offese all’onore o al prestigio del Presidente della Repubblica” dispone: “Chiunque offende l’onore o il prestigio del Presidente della Repubblica, è punito con la reclusione da uno a cinque anni”
Trattasi di un reato doloso eppertanto per la sua consumazione necessita
della volontarietà della condotta criminosa. Ovvero nella volontarietà,
seppur generica, di offendere il Presidente della Repubblica. Altresì richiede
che ovviamente non venga esercitato un legittimo diritto di critica o
che le offese mosse riguardino l’attribuzione di fatti determinati
realmente commessi (exceptio veritatis). Se dicessi, ad
esempio, che il Presidente della Repubblica ha rapinato una banca, ed il
fatto risultasse essere stato realmente commesso, ovviamente non sarei
punibile.
È cronaca di questi giorni la condanna, in primo grado, di Francesco
Storace per aver definito “indegno” il Presidente della Repubblica.
Storace, tuttavia, non aveva semplicemente utilizzato il termine in
questione, ma aveva altresì motivato le ragioni per cui il Presidente
era definito con tale termine, così esprimendo una fortissima (ma
legittima) critica al suo operato. La valutazione di Storace rientrava
dunque pienamente nel diritto di critica, anche aspra, che ogni
cittadino può esercitare contro i membri delle istituzioni.
I reati di vilipendio sono oggettivamente di dubbia legalità posto che
la libertà di espressione è un principio supremo della democrazia.
Tuttavia la Corte Cost., nel pronunciarsi sulla questione, ha già avuto
modo di considerare legittima la punizione della fattispecie ritenendo
che anche il diritto all’onorabilità delle cariche istituzionali sia
meritevole di tutela di rango costituzionale.
Ovviamente in presenza di conflitti tra diritti di rango
costituzionale è però sempre necessario contemperare le opposte esigenze
in gioco e dunque scendere nel merito dell’asserita offesa pronunciata.
Mai nella storia repubblicana si era stati in presenza di un Presidente così motivatamente criticabile. Chi scrive, ad esempio, ritiene
Napolitano direttamente responsabile di gravi reati per aver, a più
riprese, collaborato attivamente allo smantellamento della personalità
giuridica dello Stato. Di tale posizione si è detto
compiutamente in altri articoli ed in particolare nella denuncia penale
che ho pubblicato e realmente depositato in Procura.
Orbene, se in perfetta buona fede, dichiaro, come ho più volte fatto,
che Napolitano è un “traditore” della nostra Costituzione e della nostra
Patria, argomentando compiutamente, non commetto alcun reato.
Ovviamente sarei pronto a dimostrarlo in un processo se qualche pubblico
ministero intendesse, erroneamente, incriminarmi per ciò che dico.
La fattispecie penale punisce pacificamente la volontà di
offendere onore e prestigio del PdR ma deve necessariamente essere
interpretata compatibilmente con il dettato Costituzionale ovvero
secondo quella che in dottrina e giurisprudenza viene usualmente
chiamata “interpretazione costituzionalmente orientata”.
Laddove si esprime un giudizio motivato su circostanze concrete e
documentate corrispondenti a verità non potrà trovare spazio alcun
rilievo di responsabilità penale esattamente come avviene per i reati di
diffamazione ed ingiuria. Diversificare le cause di non punibilità
delle fattispecie di vilipendio e di diffamazione ovviamente creerebbe
un’evidente violazione del principio di uguaglianza e ragionevolezza
(art. 3 Cost.).
Inoltre, data la natura dolosa del reato in esame, se le circostanze da
me elencate dovessero essere confermate, non tanto in fatto (sono palesi
sul punto), ma nelle conseguenze giuridiche che da tale fatto
scaturiscono, sarebbe Napolitano, come doveroso, a dover finire sotto
processo. Non si potrebbe parlare di offesa ad onore e prestigio del PdR
poiché lo stesso non sarebbe leso dall’attribuzione di fatti reali
determinati, fatti per i quali vale dunque sia il diritto di cronaca
(riconoscibile a qualunque cittadino) che quello di critica, nonché
l’exceptio veritatis.
Pertanto l’onore ed il prestigio del PdR non possono essere lesi
definendo lo stesso un “traditore” di Patria e Costituzione allorquando
si è realmente in presenza di circostanze che possono ampiamente
ricomprendersi proprio nella fattispecie di alto tradimento come
rivendica lo scrivente. La stessa costituzione usa il termine
“tradimento”, ergo tale termine può essere conseguentemente utilizzato
dato il suo significato giuridico.L’incriminazione del PdR è
dunque un diritto costituzionalmente tutelato al pari della tutela
stessa del suo onore e del suo prestigio.
Onore e prestigio non sono sussistenti in chi tradisce il dettato
costituzionale, indi è lecito affermare che di fronte ad un Presidente
della Repubblica che chiede specificatamente e reiteramente di cedere
sovranità nazionale esiste un pieno e totale diritto di segnalare la
macroscopica violazione da parte di qualsivoglia cittadino in tutte le
sedi, anche in quelle meramente informative.
Ad avviso di chi scrive è Napolitano stesso, con la sua assurda
richiesta di smantellare la nazione e di asservirla ad interessi
stranieri, a ledere costantemente l’onore ed il prestigio della nostra
Repubblica che malauguratamente rappresenta.
Napolitano dunque è e resta il peggior presidente della storia
repubblicana (sacrosanta espressione del legittimo diritto di critica
dell’esponente). Mai si era infatti visto un PdR che chiedesse
intenzionalmente di cedere la sovranità nazionale a terzi
infischiandosene del fatto che, ex art. 1 Cost., detta sovranità
appartenga in realtà al popolo.
Inoltre si rammenta che tra i doveri costituzionalmente tutelati di ogni cittadino rientra anche quello di difendere la patria: “La difesa della Patria è sacro dovere del cittadino” (art. 52 Cost.)
Dunque nanti a richieste palesemente ostili alla Patria, come quella di
cedere la sovranità nazionale, sarebbe grave omettere di attivarsi
pubblicamente come la Costituzione impone. Dunque ciò che io con
orgoglio e senza timore delle conseguenze sostengo risulta la mera
concretizzazione di un dovere di rango costituzionale. Ho piena fiducia nella Magistratura quale unico potere dello Stato che può ancora salvare il paese dalla catastrofe.
La giurisprudenza peraltro conforta ampiamente la visione dello
scrivente: “La previsione di reato di cui all’art. 278 c.p. (offesa
all’onore o al prestigio del Presidente della Repubblica) manifestamente
non si pone in contrasto con gli artt. 3, 21, 24, 25, comma secondo, e
111 della Costituzione e può essere integrata da affermazioni che,
esulando dai limiti del legittimo diritto di critica, abbiano (valutate
nell’ambito dell’intero contesto in cui sono contenute) carattere
insultante, ingiurioso e ridicolizzante”. Cass. Pen. n. 12625/2004.
Fermiamo il golpe e facciamo in modo che la propaganda non ci freni nel pieno diritto di rivendicare la verità. Andiamo avanti!
http://www.studiolegalemarcomori.it/napolitano-vilipende-la-repubblica/
tramite: http://alfredodecclesia.blogspot.it/
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