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Non smettete mai di protestare; non smettete mai di dissentire, di porvi domande, di mettere in discussione l’autorità, i luoghi comuni, i dogmi. Non esiste la verità assoluta. Non smettete di pensare. Siate voci fuori dal coro. Un uomo che non dissente è un seme che non crescerà mai.

(Bertrand Russell)

27/11/14

Marine Le Pen chiede il rimpatrio dell’oro



Parigi, 27 nov – E’ ufficialmente ripartita la caccia all’oro in Europa e in Italia nessuno sembra accorgersene. In Svizzera, esattamente tra tre giorni, 5 milioni di cittadini saranno chiamati a decidere con referendum se rimpatriare le riserve di oro oggi depositati all’estero e se portare dall’8% al 20% la quota di metallo sul totale delle riserve della banca centrale. Ma la proposta della destra elvetica è tutt’altro che un’iniziativa isolata. Una delle tante spie che si sono accese e che segnalano il malessere dei popoli contro le politiche delle banche centrali attuate negli ultimi lustri.
Ma la caccia all’oro ebbe inizio in Germania a fine 2012, allorquando Jens Weidmann, presidente della più potente banca centrale europea, la Bundesbank, annunciò che avrebbe rimpatriato entro il 2019 l’oro depositato all’estero, per lo più presso i forzieri della Federal Reserve, della Banca di Francia e della Bank of England. Una mossa che ebbe del sensazionale e in molti si chiesero se dietro questa iniziativa si fosse nascosta la volontà della Germania di tutelarsi da un eventuale tracollo dell’euro, nel caso si fosse tornati alle monete nazionali. Berlino è peraltro il secondo possessore di riserve aurifere dopo gli Stati Uniti, ma è proprio da Washington che giunse poco dopo la doccia fredda: un documento attestava che per non meglio precisate difficoltà logistiche, l’oro tedesco non poteva essere rimpatriato e solo poche tonnellate giunsero nei caveau della Bundesbank. Di tutto questo il Primato Nazionale se ne occupò dettagliatamente in questo articolo.
Da quell’episodio si è scatenato il dubbio che a Fort Knox non vi sia più l’oro che gli alleati europei consegnarono agli americani per metterlo in sicurezza, dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, da un’eventuale invasione dell’Unione Sovietica. Sta di fatto che i russi non ci invasero ma l’oro sembra che l’abbiamo perso comunque, sebbene per vie diverse da quelle dell’occupazione militare. Gli Usa – questo è il sospetto inconfessabile di diversi operatori ed analisti – potrebbero avere venduto o locato con determinati contratti i lingotti stranieri a investitori privati, col risultato che potrebbe averne conservato la proprietà, ma non il possesso. In sostanza, l’oro europeo nel Kentucky non ci sarebbe e il suo rimpatrio sarebbe molto difficile, se non impossibile da attuare.
Nei giorni scorsi anche la banca centrale di Amsterdam ha diffuso una nota nella quale si evidenziava la volontà di aumentare le riserve di oro detenute in patria dall’11% al 31%. Quel 20% in più aumenterà rimpatriando l’oro dagli Usa, dove viene conservato il 51% dei lingotti olandesi. Rimarrebbero invariate le percentuali detenute presso il Canada e il Regno Unito. L’azione di Amsterdam implica una sfiducia palese verso gli Stati Uniti, se è vero che intende rimpatriare solo l’oro depositato presso la Fed.
In aggiunta a tutto questo, un paio di giorni fa, Marine Le Pen, leader del più grosso partito politico francese, il Front National, ha scritto al governatore della Banca di Francia, Christian Noyer, chiedendogli di rimpatriare tutto l’oro delle riserve detenuto all’estero e di sospendere tutti i piani di vendita decisi sotto l’amministrazione di Nicolas Sarkozy. Inoltre, ha chiesto che l’istituto acquisti altro oro, man mano che le quotazioni scendono. La mossa della Le Pen potrebbe prestarsi a due interpretazioni: la leader del Front National preparerebbe così la strada a un ipotetico ritorno al franco francese, da lei invocato e auspicato, garantendo la vecchia moneta nazionale con lucenti lingotti d’oro. Ma la Le Pen potrebbe anche volere mettere in difficoltà gli Usa, creando un caso diplomatico, nel caso in cui risultasse che nemmeno in questo caso fossero in grado di restituire i lingotti.
Al di là della ragionevole sfiducia verso gli Stati Uniti il filo conduttore di questo rinato interesse verso le riserve aurifere potrebbe anche essere ricondotto al crescente convincimento che finalmente sia arrivato il momento di tornare a garantire la moneta con una ricchezza tangibile, l’oro.

Giuseppe Maneggio - 27 nov 2014
fonte: http://www.ilprimatonazionale.it

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