Afghanistan, Etiopia, Kenya, Libano, Mozambico,
Niger, Palestina, Senegal, Kosovo: il ruolo delle nostre concittadine
nelle aree di crisi sta diventando sempre più determinante
Donne, pace e sicurezza. Converge su questi tre punti la Risoluzione adottata nel 2000. Essa afferma l’importanza delle donne nella prevenzione e nella risoluzione dei conflitti, ma anche nella fase decisionale delle negoziazioni di pace e nella partecipazione alle attività di ricostruzione post-conflict e di mantenimento della sicurezza. Obiettivo della Risoluzione è ovviamente anche quello di invocare l’adozione di misure speciali contro la violenza sulle donne in situazioni di conflitto armato. Su tali premesse, l’Italia ha adeguato la sua risposta stilando un Piano d’Azione Nazionale che è stato presentato il 25 novembre, in occasione della Giornata Internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, in un incontro alla Farnesina alla presenza di rappresentanti di governo e parlamento, dei ministeri della Difesa e degli Esteri, di NATO e UE, oltre che di attivisti sul campo e operatori di ong italiane.
Il Piano predispone interventi tanto sul fronte nazionale (il primo obiettivo è quello di valorizzare la presenza delle donne nelle forze armate nazionali e negli organi di polizia statale, rafforzandone il ruolo negli organi decisionali delle missioni di pace), quanto su quello internazionale. Un investimento di oltre 3,5 milioni di euro è previsto per far fronte alle numerose iniziative di cooperazione nell’assistenza alle vittime di violenza di genere principalmente nell’area MENA (Medio Oriente e Nord Africa) e in Africa. Inoltre, con la sottoscrizione della Dichiarazione sulla Prevenzione della Violenza sessuale nei Conflitti al G8 di Londra del 2013, l’Italia si è assunta l’impegno ulteriore di mobilitare nuove risorse finanziarie per l’assistenza alle vittime di stupri in contesti di guerra (impegno che è costato alla Cooperazione Italiana un contributo straordinario di 500 mila euro).
Le iniziative all’estero
Sul fronte delle missioni all’estero e degli incarichi multinazionali che l’Italia gestisce in coordinamento con altri Stati e Agenzie internazionali, il nostro Paese è impegnato su vari fronti per l’implementazione delle direttive ONU relative alla 1325, facendosi promotore di numerose iniziative di cooperazione in materia di empowerment femminile in aree di crisi. In quest’ottica, la Conferenza di Bamako del 2007 ha rilanciato le tematiche di genere consentendo di incrementare gli interventi della Cooperazione per la realizzazione degli Obiettivi del Terzo Millennio.
In Afghanistan, Etiopia, Kenya, Libano, Mozambico, Niger, Palestina e Senegal sono state inviate esperte a supporto delle operazioni italiane in loco (Female Engagement Teams). In particolare in Libano e Palestina sono stati realizzati programmi di sostegno alle associazioni femminili locali per un valore di 30 milioni di euro. La partecipazione alla campagna multilaterale dell’ONU contro le mutilazioni genitali femminili, inoltre, impegna l’Italia per altri 10 milioni di euro.
In Libano e nei Territori Palestinesi, come prima in Kosovo e nella regione balcanica, l’Italia favorisce la partecipazione delle donne alle attività di capacity building delle istituzioni nazionali in fase di ricostruzione post-conflict, anche attraverso la formazione di forze di polizia locali e tramite il prezioso contributo di ong italiane in loco. In Afghanistan, Iraq, Pakistan, Somalia, Congo e Sudan, oltre alle attività di empowerment femminile istituzionale, il nostro Paese predilige anche azioni di mainstreaming in tema di sicurezza alimentare, sanitaria e ambientale, spesso in collaborazione con le agenzie multilaterali come UNFPA, UNICEF, UNDP e UN-Women. Infine, attività di emergenza a favore delle popolazioni vittime di conflitti, con relativa assistenza sanitaria e psicologica femminile, sono state predisposte in Mali, Siria e Darfur.
Ma la strada resta ancora lunga sul piano dell’effettiva implementazione delle direttive internazionali. Un esempio lampante è offerto dall’intervento, nel corso dell’incontro del 25 novembre alla Farnesina, di Jivka Petkova, Focal Point della Task Force europea (SEAE) sulla Risoluzione 1325. Riferendosi agli ultimi negoziati di pace in Mali sostenuti dall’Unione Europea, la Petkova ha riportato il seguente quadro: dei vari gruppi coinvolti nelle trattative a Bamako in quei giorni il governo del Mali era rappresentato da 15 membri (tutti uomini), lo stesso dicasi per i gruppi ribelli filo-governativi (15 membri, nessuna donna), e per i gruppi di mediazione (35 partecipanti, tutti uomini) mentre solo nelle fila dei ribelli antigovernativi comparivano appena 2 donne sui 15 membri della delegazione.
Marta Pranzetti - 28 nov 2014
fonte: http://www.lookoutnews.it
di Marta Pranzetti - 28 nov 2014
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