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Non smettete mai di protestare; non smettete mai di dissentire, di porvi domande, di mettere in discussione l’autorità, i luoghi comuni, i dogmi. Non esiste la verità assoluta. Non smettete di pensare. Siate voci fuori dal coro. Un uomo che non dissente è un seme che non crescerà mai.

(Bertrand Russell)

27/11/14

Attenta Italia, guai a fidarsi del metodo Juncker

Per mesi gli Stati dell’Eurozona hanno fatto affidamento sul piano ultramiliardario d’investimenti del presidente della Commissione senza però riuscire a superare la crisi. Ecco come può ripartire il nostro Paese

Italian Prime Minister Matteo Renzi talks with European Commission President Luxembourg Jean-Claude Juncker before the arrival of Pope Francis at the European Parliament in Strasbourg


Il Documento di Economia e Finanza per l’anno 2015 ha ottenuto la sospensione di giudizio della Commissione Europea, almeno fino alla prossima primavera. Può dunque continuare il suo iter parlamentare in Commissione Bilancio, dove ancora nei giorni scorsi sono stati presentati nuovi emendamenti (quota 96 della scuola, lavoratori precoci, revisione tassazione fondi pensione integrativi, etc.). Resta quindi in piedi l’impianto della Legge di Stabilità voluta dal premier Matteo Renzi, che cerca di riavviare la crescita puntando su una ripresa dei consumi interni e degli investimenti privati sostenendoli direttamente e indirettamente attraverso trasferimenti (80 euro), riduzione di tasse e oneri fiscali, (riduzione del costo del lavoro) e riforma del mercato del lavoro (Jobs Act).

I dati che però giungono dall’Eurozona sono tutt’altro che incoraggianti. Pur in presenza di un record dell’attivo del bilancio delle partite correnti di 75,7 miliardi di euro nel terzo trimestre del 2014 (7,8 miliardi per l’UE), che per l’Italia si è tradotto in un attivo di oltre 26 miliardi (Germania +138 miliardi, Olanda +38 miliardi, mentre hanno fatto registrare un deficit la Francia -49 miliardi e la Spagna “dei miracoli” -17 miliardi), la crescita media nel terzo trimestre è stata dello 0,2% (0,3% nell’UE), con un misero +0,1% per la Germania e un desolante -0,1% per il nostro Paese.

Purtroppo i dati sulle vendite al dettaglio nell’UE hanno registrato in settembre una caduta dell’1,3% rispetto ad agosto, la riduzione maggiore dal 2012, mentre i dati destagionalizzati nel settore delle costruzioni, considerato un buon rivelatore della ripresa economica, indicano una riduzione della produzione dell’1,8% con un picco negativo del -10,6% in Italia. In queste condizioni, aggravate da un tasso medio d’inflazione intorno allo 0,4%, che quando non diventa negativo come in Spagna e Grecia (deflazione) approssima lo 0 come in Italia, non c’è molto da sperare da una manovra che concentra i propri interventi sul rilancio della domanda privata in un Paese che affronta il terzo anno consecutivo di recessione e si avvia a precipitare nella deflazione.

Come ogni manuale di economia insegna, e come la storia ricorda, in queste condizioni ci sarebbe bisogno di una crescita della domanda aggregata sostenuta da una spesa pubblica in investimenti, anche in deficit, ma il Trattato di Stabilità e Sviluppo non consente di perseguire questa strategia. Per mesi si è quindi fatto affidamento sul mitico piano ultra miliardario d’investimenti del presidente della Commissione Jean-Claude Juncker. Purtroppo la realtà è ben diversa dai sogni e il favoloso piano per gli investimenti strategici di Juncker si è rivelato il classico topolino partorito dalla montagna.

Il Fondo per gli Investimenti Strategici avrà un capitale di soli 21 miliardi (in tre anni e per 28 paesi) di cui 6 provenienti dalla Banca Europea degli Investimenti (BEI) e 15 dal bilancio comunitario. Il piano conta di superare i 300 miliardi sulla base di un effetto di leva sugli investimenti dei singoli Paesi. La Commissione si è riservata infatti il diritto di decidere quali tra i progetti presentati dai singoli Stati possano essere finanziati in deficit senza però essere contabilizzati. L’incertezza delle regole decisionali e la non chiarezza dei criteri di selezione dei progetti, indeterminatezze volute per non rischiare la bocciatura preventiva dei tedeschi e dei loro alleati rigoristi, rendono gli effetti del piano Juncker assolutamente aleatori. Soprattutto sorgono molti dubbi sulla possibilità che il pacchetto italiano di oltre 2.000 progetti per un valore di 40 miliardi pronto da mesi – e che ha al suo interno gli investimenti per la Banda Larga, la TAV, progetti autostradali e per l’energia – sia approvato. Senza lo scorporo dal deficit, la cui decisione spetta però alla Commissione Europea, l’Italia, il cui deficit è stimato al 2,6% dal governo ma al 3% dall’OCSE, non ha alcuna possibilità di attivare investimenti pubblici e il piano Juncker lascerebbe un Paese condannato alla cura spagnola, ovvero al decino industriale e sociale.

Come però più volte ricordato e riaffermato recentemente anche dal presidente della Cassa Depositi e Prestiti (CDP) Franco Bassanini, l’Italia ha alcune istituzioni con una grande quantità di risparmio (fondi pensione, casse previdenziali e assicurazioni) che può essere mobilizzato per l’approntamento di un’arma non convenzionale di protezione di massa: la cartolarizzazione di parte del patrimonio pubblico non strategico in un fondo garantito da CDP e allocato ai grandi collettori di risparmio privato. Cosa si aspetta?

http://www.lookoutnews.it - 27 nov 2014

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