Il potere stantio del Csm, le correnti e la riforma che Renzi deve fare
Lo hanno capito anche a sinistra, forse. Lo hanno capito anche i vecchi nemici di Silvio Berlusconi, ora, e lo
dicono sottovoce ma con convinzione, con aggettivi che lampeggiano come
fulmini e accuse che rimbombano come tuoni. E lo fanno, a sinistra,
anche se le parole e le imputazioni, vostro onore, sono le stesse che un
tempo il Cavaliere lanciava tra i buuu, gli ululati e i fischi
dell’intellighenzia progressista. La notizia è grossa e vale la pena di
essere approfondita perché riguarda uno storico e insidioso tratto
identitario della sinistra, oggi in trasformazione, che è quello del rapporto tra gli eredi del Pci, ora Pd, e la magistratura democratica.
Sul piano legislativo c’è ancora molto da fare, ovvio, e le
dichiarazioni di guerra inviate gentilmente dal governo al mondo della
magistratura, finora, riguardano più la forma che la sostanza e più i
simboli che la struttura. Ma nelle ultime settimane, rullo di tamburi, è
successo che la sinistra di lotta e di governo si è ritrovata per varie
ragioni a sospettare che la vecchia accusa berlusconiana relativa a una
magistratura che agisce con finalità politiche non era forse campata
così per aria. La storia più recente, clamorosa è quella che riguarda la
scelta di Magistratura democratica – corrente di sinistra del mondo
togato – di prendere esplicitamente posizione contro il governo, contro
Renzi e i suoi alleati, decidendo di sostenere direttamente il comitato
referendario per il No al referendum sul ddl Boschi, in nome di una
doverosa e necessaria “resistenza costituzionale”. Dunque la domanda. Con lo stesso criterio con cui un tempo ci si poteva chiedere se
fosse possibile riconoscere fino in fondo il principio di terzietà in
un gruppo di magistrati che sceglieva deliberatamente di impegnarsi
politicamente, allo stesso modo oggi nel mondo renziano ci si inizia a
chiedere se non avesse ragione Berlusconi quando si chiedeva se
“un paese dominato dal predominio arbitrario di un nucleo di magistrati
collocato nel cuore dello stato, dotato di un enorme potere, non
sottoposto di fatto a nessun controllo, del tutto autoreferenziale e per
niente legittimato da una elezione democratica”. (Domanda maliziosa:
qualora un magistrato di Md dovesse aprire un’indagine su un qualche
volto vicino al governo, potrà mai essere considerato pienamente super
partes ora che Md è scesa ufficialmente ed esplicitamente in campo
contro le politiche del governo?). Nelle ultime settimane, però, più che
da Palazzo Chigi, le parole più dure pronunciate a sinistra contro
l’attivismo della magistratura sono arrivate da una gauche particolare e
importante come quella bolognese, in seguito a un piccolo caso di
cronaca locale. A inizio gennaio i pm di Bologna hanno querelato per
diffamazione i capigruppo di Pd e Sel a Palazzo d’Accursio, che avevano
definito “folle, surreale e ridicola” un’indagine a carico del sindaco
Merola (Pd) e dell’assessore al Welfare Amelia Frascaroli, accusati di
abuso d’ufficio per aver riallacciato l’acqua in alcuni stabili occupati
illegalmente a Bologna, in via De Maria e via Fioravanti.
ARTICOLI CORRELATI Chissà che direbbe Montesquieu vedendo l’ultima
genialità di Md Non spero che Stasi sia colpevole, spero che sia
innocente chi l’ha condannato Usare la giustizia come lotta di classe.
Risposta a Magistratura democratica
Il caso ha assunto un certo rilievo non tanto per l’indagine
in sé quanto per il diritto reclamato ad alta voce dal Pd bolognese di
poter criticare liberamente e apertamente l’azione di una procura della
Repubblica. Sarà perché in Emilia Romagna, negli ultimi anni, le procure
hanno influenzato con forza l’azione della politica. Sarà
perché l’Emilia Romagna è una regione in cui un governatore di sinistra
(Vasco Errani) si è dimesso per un’inchiesta che poi nel tempo si è
rivelata inconsistente. Sarà perché l’Emilia Romagna è una ragione in
cui la procura ha avuto un peso anche nella scelta dei candidati alle
successive primarie (Matteo Richetti, antagonista dell’attuale
governatore Stefano Bonaccini, fu costretto a ritirarsi dalle primarie
in seguito a un’inchiesta che poi si è rivelata inconsistente). Sarà per
questo e molto altro, ma il fatto è che l’indagine sul sindaco e il suo
assessore è stata un detonatore dell’insofferenza dem rispetto
all’attivismo dei pm. E a far saltare definitivamente il tappo è stato,
udite udite, l’ex premier Romano Prodi, con un intervento su Repubblica
(Repubblica!). Senso dell’intervento: la magistratura non è intoccabile,
va rispettata ma quando serve va anche criticata. “Ho seguito con un
certo interesse lo svolgersi dei rapporti fra autorità politica e
giudiziaria della nostra città… devo confessare che mi sono rimasti
parecchi punti di difficile comprensione in entrambi gli episodi che
sono oggi all’attenzione dell’opinione pubblica… trovo una certa
differenza fra chi urla all’arbitro di mettere gli occhiali e chi gli dà
del venduto”. A Prodi, sempre su Repubblica, qualche giorno dopo
risponderà in modo più esplicito il professor Piero Ignazi, ex direttore
del Mulino, secondo il quale “il fenomeno di delega alla magistratura
da parte della politica parte da lontano… io credo sia molto utile una
riflessione in questo momento perché ci sono tra politica e magistratura
asperità irrituali… Non so se si tratti di un fenomeno limitato a
Bologna, perché in generale risale a vecchi problemi di delega alla
magistratura da parte della politica”. Prodi e Ignazi non arrivano a
sostenere la tesi di Raffaele Cantone e non arrivano a dire che i
problemi della magistratura sono il Csm – “un centro vuoto di potere”,
le correnti, “diventate come un cancro”, e alcune correnti in
particolare, come Md, che “utilizzano la giustizia come lotta di
classe”. Ma se il mondo democratico, ora che lo spettro berlusconiano
non fa più paura come un tempo, volesse davvero fare un passo in avanti
per anestetizzare la supplenza della magistratura non può che partire
dall’origine dei problemi e dalle ambiguità e dalle irritualità evidenti
che nascono nel momento in cui si dà la possibilità ai magistrati di
fare esplicitamente politica attraverso l’attività delle loro correnti,
prendendo per esempio posizione su questioni che riguardano il potere
legislativo e non quello giudiziario e rinunciando di fatto a essere
percepiti come delle figure terze e neutrali.
Il presidente del Consiglio ha mostrato in più occasioni di nutrire un sentimento di viva insofferenza nei
confronti dell’attivismo della magistratura e in alcune circostanze
(alcune) ha dato prova di voler riequilibrare a vantaggio della politica
lo sbilanciamento esistente nei rapporti tra politica e magistratura.
Agire sulla responsabilità civile e sulle ferie però non basta,
naturalmente, e per riequilibrare una volta per tutte il rapporto tra
giudici e politica la scelta più ovvia sarebbe quella di fare un passo
per eliminare le correnti della magistratura. E con la stessa logica con
cui il governo è riuscito a limitare il potere di veto dei sindacati
dei lavoratori restringendo sempre di più il perimetro della
concertazione, allo stesso modo l’unica mossa che potrebbe permettere di
svolgere “una riflessione sul perché ci sono tra politica e
magistratura asperità irrituali” è intervenire con in maniera non
simbolica, ma strutturale, su quel “centro vuoto di potere” che è il
Csm.
Le correnti, oggi, hanno un senso nella magistratura perché ci sono alcuni ruoli che si raggiungono più per
questioni correntizie che per questioni meritocratiche. Basterebbe
dunque far sì che l’appartenenza alle correnti cessasse di essere
conveniente – per esempio sorteggiando i consiglieri del Csm e non più
eleggendoli seguendo la logica del Cencelli – per rendere inutile la
presenza delle correnti. L’attuale equilibrio del Csm, dove i membri
laici, approfittando della litigiosità dei membri togati, giocano un
ruolo cruciale e spesso determinante che dà buon margine di manovra alla
politica e ovviamente indirettamente al governo, potrebbe indurre a
posticipare nel tempo la riforma del Csm. Renzi potrà giocare ancora a
lungo con tutti i simboli che vuole. Ma senza toccare il Csm e il suo,
diciamo così, odore stantio di correnti, continuerà a non toccare uno
dei grandi problemi dell’Italia. E fino a che ci saranno le correnti
della magistratura ci saranno sempre governi che a un certo punto della
storia si chiederanno se è un paese normale, e democratico, quello in
cui magistrati e giudici in attività si schierano contro una forza
politica in nome di una ultra politica “resistenza costituzionale”. No
riforma del Csm, sì party dei magistrati, caro Renzi.
di Claudio Cerasa | 20 Gennaio 2016
fonte: www.simofin.com
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