Se, nella nostra quotidiana frenetica corsa alla ricerca del tempo perduto, ci fermassimo, tra un passo e l’altro, ad osservare per un istante cosa stiamo calpestando, potremmo scoprire che una parte della storia, della cultura e della tecnologia romana sta letteralmente sotto ai nostri piedi.
Conoscere il sampietrino romano significa non solo imparare a conoscerne la tecnologia, ma anche, e soprattutto, riconoscere nei suoi riflessi la stessa città di Roma, la sua storia ed il suo territorio.
Ma di tutto questo all'Homo Ridens, nato a Genova da madre svizzera e padre siciliano di Acireale, non gliene pò fregà de meno.
I Romani, quelli veri, quelli de Roma ...... lo fermino.
In allegato: IL SAMPIETRINO ROMANO LA STORIA, Cosa, Perchè, Come, Dove, Quando ..... a cura dell'Architetto Ludovica Cibin.
e.emme
Sampietrini bye bye, costa troppo mantenerli, sono un’insidia per auto e moto, fanno rimbalzare le gomme e anche il rumore. Via i tradizionali «serci», almeno dalle strade di passaggio.
Il sindaco, scrive il messaggero, ha più volte rilanciato il progetto di confinarli nelle zone pedonali, liberando i percorsi più trafficati dai blocchetti di leucitite a cominciare da via Nazionale. Adesso in Campidoglio è allo studio l’ipotesi di portare l’asfalto anche a piazza Venezia già piuttosto malmessa a nemmeno due anni dall’ultimo restyling.
L’idea innovativa è quella di pagare i lavori con gli stessi sampietrini, considerandoli una risorsa, un bene da vendere. La ditta chiamata a interviene per rinnovare la piazza acquisterebbe in pratica i blocchetti per farne ciò che crede, anche rivenderli come oggetti d’arredo, souvenir.
fonte: http://www.imolaoggi.it - 28 dicembre 2014
IL SAMPIETRINO ROMANO
LA STORIA
Cosa Perché
Come Dove Quando
a cura dell’Architetto Ludovica Cibin,
autrice del libro:
“Selciato romano il
sampietrino” Gangemi Editore, Ottobre 2003
Ho voluto pubblicare a mie spese i risultati delle ricerche che
ho condotto sul sampietrino per tramandare questa tecnologia, sconosciuta
perfino ai romani più attenti, e per svelare ciò che sta sotto ai nostri piedi,
un antico tappeto artigianale frutto del ventre della terra e della sapienza
dell’uomo.
Questo lavoro è assolutamente inedito, poiché, incredibilmente,
il sampietrino romano non era mai stato studiato con metodo scientifico. Con
metodo scientifico, quindi, ho incominciato a sondare ogni suo aspetto,
materia, lavorazione ed evoluzione storica, fino a fotografarne l’attualità ed
ad indagarne le problematiche.
Cosa, perché, come, dove, quando, sono le domande a cui ho
cercato di dare risposta.
Dopo due anni di ricerche archivistiche e bibliotecarie, di
indagini presso i cantieri stradali e presso le cave di selce attive o
dismesse, dopo i chilometri percorsi passeggiando per il centro storico
osservando e monitorando le tessiture e le tipologie di selce ancora presenti
nel centro storico di Roma, ho raccolto le informazioni rintracciate e mi sono
resa conto di quanto il sampietrino romano rispecchi l’identità della città e
della società romana. Perciò, ringrazio innanzitutto gli attori principali
della pavimentazione romana, i selciatori ed i selciaroli, e tutti coloro che
mi hanno fornito documentazioni ed informazioni in merito, poiché mi hanno
permesso di scoprire e divulgare questa tecnologia, celata dalla polvere
dell’oblio.
Se, nella nostra quotidiana frenetica corsa alla ricerca del tempo perduto, ci fermassimo, tra un passo e l’altro, ad osservare per un istante cosa stiamo calpestando, potremmo scoprire che una parte della storia, della cultura e della tecnologia romana sta letteralmente sotto ai nostri piedi.
Conoscere
il sampietrino romano significa non
solo imparare a conoscerne la tecnologia, ma anche, e soprattutto, riconoscere
nei suoi riflessi la stessa città di Roma, la sua storia ed il suo territorio.
Purtroppo
fino a quando non si rischia di perdere ciò che si ama, non lo si apprezza, ed
è invece importante capire che il selciato romano non è solo un retaggio, una
pesante, goffa eredità del passato: la sua millenaria sopravvivenza, nella
nostra storia, è dovuta alle qualità intrinseche del materiale, al suo valore
estetico, ed alla capacità di evolversi grazie alla mutazione delle forme dei
singoli pezzi subita nei secoli. Infatti i basoli
che potete ancora ammirare nelle strade consolari romane, e che vengono
apprezzati per la loro bellezza e durevolezza, sono consanguinei dei selci. Questa parentela non è affatto
evidente, persino a noi romani.
La
pavimentazione in sampietrini ci
parla innanzitutto della geologia e della storia del territorio su cui è
fondata Roma. Camminiamo su blocchetti di lava lavorata artigianalmente, a
mano, pezzo per pezzo. I selci romani sono infatti frammenti di quella lava,
effusa dall’antico Vulcano Laziale dei Colli Albani, che è stata spaccata dai selciatori in pezzi di varie forme e
dimensioni e disposta dai selciaroli
sulle sedi stradali romane. La forma e le dimensioni degli elementi sono
variati nei secoli, così come sono evolute le disposizioni dei singoli elementi
nella sede stradale, ma la materia, è, ed è sempre stata, la vicina pietra
lavica dei Colli Albani. La vicinanza della città con il Vulcano Laziale è
stata fondamentale per l’edilizia romana in senso ancora più ampio: la città è
stata edificata con i prodotti piroclastici (tufi e pozzolane) e con il magma
delle colate laviche effuse durante le fasi eruttive del vulcano. La colata
storicamente più importante ed estesa è la cosiddetta “colata di Capo di Bove”:
giunge fino alla tomba di Cecilia Metella, a 3 Km. da Porta S. Sebastiano. E’
percorsa per un lungo tratto dalla via Appia Antica, ed è stata particolarmente
importante per la tecnologia stradale romana fino alla prima metà del XX sec.
Le storiche cave di selce, localizzate proprio su questa lingua di lava sono
però state attive da sempre: provengono da qui i basoli che costituiscono il manto stradale della vicina via Appia
Antica.
Perché
gli elementi che formano la pavimentazione romana in selce vengono chiamati
genericamente sampietrini?
Leggenda
metropolitana vuole che la prima pavimentazione con piccoli elementi regolari
sia stata realizzata alla fine del XVII sec. in piazza S. Pietro; tutti gli
elementi dal taglio standardizzato vennero quindi definiti, popolarmente ed in
via del tutto generica, sampietrini.
Occorre ricordare, però, che il sampietrino
corrisponde, in gergo tecnico, al piccolo elemento utilizzato tradizionalmente
per i marciapiedi. Il blocchetto di selce più comune, presente nelle strade
romane, dalla forma troncopiramidale, si definisce invece quadruccio. Altri elementi dalle forme regolari presero forma dalle
mani dei selciatori: la guida, la mezza guida ecc...
La
pavimentazione in selce, a Roma, esiste dall’epoca Repubblicana ed Imperiale, da
quando si incominciò a pavimentare le strade più importanti con pezzi di forma
pentagonale e di grandi dimensioni (i succitati basoli), per proseguire in
epoca Medioevale e Rinascimentale con elementi più piccoli di forma irregolare.
Il periodo dell’Illuminismo ha introdotto una pavimentazione formata da
elementi in selce dalla forma regolare, “standardizzata”, con l’uso di
blocchetti dalle dimensioni prefissate e con la creazione dei tipi.
La
tradizionale disposizione dei blocchetti è la cosiddetta spina: gli elementi di selce - principalmente i quadrucci- vengono disposti a 45°
rispetto all'asse viario. Ideata per contrastare le spinte dovute al transito
dei veicoli trasmettendole verso i margini della carreggiata, fu l'unica ad
essere usata fino al XX sec. allorché venne introdotta anche la sistemazione ad
archi contrastanti. La varietà dei
tagli dei singoli pezzi e la ricchezza delle tessiture degli elementi in selce
si possono ancora osservare passeggiando per le strade romane.
Questi
termini potrebbero sembrare solo simpatiche, pittoresche definizioni del nostro
piccolo mondo antico... al contrario, proprio perché li calpestiamo
sbadatamente ogni giorno, sono invece straordinariamente attuali.
In
questi anni, come in passato, la riqualificazione delle piazze e delle strade
romane scatena animatissime discussioni, in particolare sull’uso di questo o
quel materiale per la pavimentazione stradale. Non è una diatriba moderna. Già
nel Rinascimento, ad esempio, il popolo e gli studiosi si divisero tra l’ammattonatura
o la selciatura delle strade romane. Per un breve periodo venne persino
proibito di eseguire pavimentazioni stradali in selce, ed i trasgressori
venivano puniti con sanzioni pecuniarie e... corporali. Nonostante ciò, la
selce cominciò a dominare incontrastata, sia per l'economicità dei lavori, sia
perché presentava una maggior durevolezza e resistenza al transito dei veicoli.
Nei
primi anni del XX sec. la sperimentazione di nuovi materiali portò
all’introduzione di nuovi tipi di pavimentazioni stradali in pietra (ad
esempio, in granito ed in porfido), ma la selce risultò ancora una volta il
materiale più adatto.
Ci
troviamo oggi di fronte al momento più critico, per il tradizionale selciato
romano. Si è innescato, in questi decenni, un meccanismo vizioso dovuto a
diversi fattori, primo fra tutti il progressivo calo della richiesta di nuovi
selci presso le cave laziali e la conseguente scomparsa della figura
professionale del selciatore (colui
che, sul fronte lavico, spaccava la lava a colpi di mazza). Di questo
meccanismo portiamo le conseguenze oggi, poiché, anche se negli ultimi anni si
nota un generale, rinnovato interesse verso il recupero della tradizionale
pavimentazione romana, risulta difficile, a causa della mancanza di ricambio
generazionale, rintracciare il know-how professionale del selciatore, necessario al suo ripristino. Per il recupero delle
professioni di selciatore e di selciarolo è indispensabile riconoscerle
e valorizzarle come artigianali, se non artistiche: creare un sampietrino, una guida, un quadruccio, significa conoscere e sentire le pulsazioni
della materia, disporre questi sulla sede stradale equivale a tessere un
mosaico di lava.
Questo
mosaico è frutto del ventre della terra e della sapienza dell’uomo. Sapienza
che ha saputo coniugare esigenze funzionali (lo smaltimento delle acque) e
strutturali, con l’estetica.
Le
disposizioni dei selci sulle sedi stradali non sono state frutto della
bizzarria dei Maestri di strada: ogni
disegno era soluzione d’ingegno. Optare per un profilo stradale a culla o a schiena, associare il tipo di allettamento alle diverse tipologie
di selci era un saper fare a regola
d’arte che veniva tramandato ed affinato nei secoli, relazionandosi sempre
con l’ambito urbano.
I
gioielli architettonici ed urbanistici di Roma si posano visivamente su questo
mosaico, prezioso ed antico, sottovalutato e sconosciuto, che rappresenta la
faccia dell’urbe a sviluppo orizzontale: si relaziona inconsciamente con
l’immagine della città eterna,
valorizzandone i contenuti storici e semantici. Il “colloquio” tra la
pavimentazione stradale e gli edifici, tra l’orizzontale ed il verticale, è
sempre stato ricercato perché sinonimo di armonia ed equilibrio architettonico.
Allora, perché non proteggerla amorevolmente, con manutenzioni a regola d’arte
ed interventi filologici, come già avviene per le infinite sfaccettature della
faccia verticale della città?
Per
valorizzare nella progettazione questo patrimonio storico, tecnologico e
sociale, e garantirne il futuro, con dovuta attenzione ai vincoli che la
modernità impone (superamento delle barriere architettoniche, abbattimento
delle vibrazioni, ecc.) è necessario recuperare la sapienza degli antichi
mestieri di selciatore e selciarolo, reinserire nel processo
produttivo delle cave di selce attualmente attive il taglio di nuovi elementi
con modalità e geometrie tradizionali, e, in primis, avere l’umiltà,
innanzitutto di osservare, poi di capire, ciò che ci è stato tramandato dalla
storia... che calpestiamo distrattamente ogni giorno.
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